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Auguri Enrico!!

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di Alberto Sala

 

AnimaGuzzista Protagonisti Enrico Cantoni __011

I guzzisti se lo tengono stretto, eccome. Enrico Cantoni è l’ultimo protagonista presente tra noi della stagione d’oro della Moto Guzzi e del famoso ‘triumvirato’ Carcano-Cantoni-Todero, artefice della più strabiliante moto da corsa di tutti i tempi, la 8 cilindri, e di tante moto di successo.

Così oggi, al ristorante al Verde, un centinaio di persone tra presidenti di Club, rappresentanti della Moto Guzzi e della giunta di Mandello e tanti, tanti ex dipendenti e appassionati si sono stretti in un affettuosissimo abbraccio per il suo 85° compleanno. E’ stato un piacere infinito riempirlo di attenzioni e di onori, con un’impressionante processione di pensieri, ricordi, aneddoti, ringraziamenti portati dall’intero consiglio direttivo del motoclub Velocifero capitanato dal Prof. Augusto Farneti, eppoi da Mario De Marcellis e da Connie e Marzia Patrignani che hanno fatto gli ‘onori di casa’, dal sindaco Riccardo Mariani e dall’assessore allo sport turismo e commercio Luciano Benigni, da Daniele Torresan che ha portato un riconoscimento a nome della Moto Guzzi, dai tanti ex dipendenti ‘storici’ e parenti come la moglie di Umberto Todero e il figlio di Pomi, e da Anima Guzzista… un pensiero al nostro Premio Anima Guzzista – Bicilindrica 2009 era davvero il minimo.

Così sono partiti tanti tanti ricordi e aneddoti che sarebbero stati da raccogliere tutti… e chissà che non succeda. E’ stata anche una bella occasione di ricevere tanti complimenti per il nostro monumento, soprattutto da parte degli ex dipendenti che l’hanno apprezzato moltissimo, e dal Prof. Farneti che ci ha donato un bel riconoscimento a nome del Velocifero. Una autentica fornace di passione per superare il freddo incombente, atmosferico e dei mercati. Cento di questi giorni, Enrico!!

Grazie a Connie Patrignani per linvito 🙂

 

 

13-11-2011 © Anima Guzzista

Io ci sarò. Con il mantello.

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

GMG 2011

Di Enzo Nasto
Giornate Mondiali Guzzi 2011, non un semplice raduno.

E’ passato quasi un anno dalla mia ultima fatica letteraria, decisamente troppo! Ma si
sa, bisogna attendere che l’ispirazione e la “vena giusta” diano l’inchiostro buono alla penna,
altrimenti si finisce solo per riempire il cestino di cartacce. E così è stato, con quello che mi è
capitato negli ultimi mesi non potevo non mettere nero su bianco!

– Io, Guzzista.

Spesso, parlando con gli amici, sono stato accusato di monotonia, di parlare sempre
della stesa cosa, e cioè di moto (Guzzi, ovviamente). Ma che posso farci se per tanto, troppo
tempo, questa passione è stata l’unica cosa buona della mia vita? Il Guzzismo, questa specie di
malattia incurabile, è esploso in me ormai sei anni fa. Ho usato il termine “esploso” perchè
sono convinto che ogni tipo di passione sia innata in noi, e aspetti solo una scintilla per venire
alla luce. Nel mio caso le scintille sono state alcune foto di mio padre in sella alla sua V7 850
GT California (lieve cenno del capo). Tutto è partito da li. Poi dalle foto, dai sogni, e dai
tormenti sono passato finalmente alla mia prima Guzzi, un’Imola II, che mi ha letteralmente
allevato, facendomi entrare, a piccoli passi, in questo mondo meraviglioso.
Due anni dopo è arrivata la “Splendida” California, ed ora è il turno della Stelvio, che si
sono succedute dando un senso alla mia vita e riempiendo i vuoti che sarebbe stato compito di
altri colmare. Perchè a volte l’unica cosa di cui si ha bisogno è di una spalla per poggiarci la
testa, o di una persona da abbracciare. Io invece il più delle volte ho trovato a disposizione
solo pedane per poggiarci i piedi su e manubri da stringere forte tra le mani per partire alla
ricerca di un briciolo di felicità. Loro, le mie moto, non mi hanno mai detto no, non mi hanno
mai detto “oggi non è giornata”, oppure “stasera non ci sono”. Nemmeno quando perdevano
olio o si avviavano a fatica, oppure quando qualsiasi genere di problema non le faceva essere
al massimo. Ed è proprio per questo che provo verso di loro un senso di venerazione e di
gratitudine che nemmeno provo a spiegare, e che solo chi ha trovato nelle sue moto queste
cose può capire davvero. Mi capita di pensare frequentemente che questa passione è e rimarrà
l’unica certezza della mia vita, l’unico punto fermo.
Certo, può sembrare assurdo, ma è così. A 21 anni, quando la gran parte dei miei
coetanei faceva cose da ventunenni, appunto, io ero nel garage che sistemavo la mia
“Imoletta”. Nemmeno una giapponese, no! Una Guzzi! Certe cose ammetto di averle fatte
sempre in maniera molto poco razionale, ma ora che ci penso di razionalità nella mia vita ce
n’è sempre stata ben poca. E poi solitamente non si sceglie, ma si viene scelti. Come quando
due anni dopo ho comprato una California, si proprio lei, il mito della produzione Guzzi, la
moto che per tanti anni ha tenuto in vita la “baracca”. L’ho sognata, desiderata e poi avuta e
vissuta, ma un bel giorno sento il bisogno di qualcosa di nuovo, di una nuova moto che porti
nuova linfa a questa passione.
La Stelvio mi ha fulminato subito, fin da quando ho visto le prime foto in rete. Alta,
imponente, con quei cilindroni neri pronti a portarti ovunque e quegli “occhi” che sembrano
guardarti e chiederti: “Allora, dove si va?”. Ed ecco che grazie all’aiuto dei genitori (senza di
loro certe cose non avrei mai potute farle), a maggio di quest’anno passo dalla California allo
Stelvio. E nonostante la distanza epocale, il salto non è stato affatto traumatico.
Però lei, la California, mi è rimasta dentro, con tutto quello che è e che non è. A volte
mi manca ogni cosa di lei, dalle pedane larghe al cambio a bilanciere.

– Io ci sarò. Con il mantello.

L’enduro di casa Guzzi, erede della Quota, è una di quella moto che ti invogliano a
partire. Non per andare a prendere il caffè al bar, ma per uno di quei viaggi che vorresti non
finissero mai, di quelli che il contachilometri parziale arriva almeno una volta a 999 e poi
riparte. Certo, Mandello del Lario non è distante quanto Capo Nord, ma l’occasione delle
Giornate Mondiali Guzzi 2011 non posso perderla, anche perchè quest’anno sono ancora più
speciali, si festeggiano i 90 dell’Aquila di Mandello. Così quando arriva la data ufficiale
dell’evento, il mio pensiero è uno solo, senza rifletterci troppo, come mio solito: “Io ci sarò”.
Anzi, noi ci saremo, io e la mai moto, perchè come dico sempre, in moto non si è mai da soli,
anche quando il sellino del passeggero è vuoto. Ma ci sarà anche il mio compagno d’avventure
a due ruote preferito! L’estate passa veloce e noiosa, niente ferie nemmeno ad agosto causa “cantiere
infinito”. Se non fosse stato per una bella novità, questo mese potrei pure cancellarlo. Prendo
qualche giorno proprio a cavallo delle GMG, e il conto alla rovescia sembra essere più veloce
del naturare andare delle lancette, portandomi al momento della partenza troppo in fretta.
Preparo le valigie solo qualche ora prima di premere il pulsante “start”, e si vede, sono più
disordinate della mia stanza.
Mi vesto in maniera rapida e veloce, quasi distratta, ma una cosa non può mancare. Il
gilet di pelle con le toppe, divenuto una vera e propria memoria storica della mia vita
motociclistica. Qualcuno mi ha detto che è da “Californiano” e non da “Stelvista”, ma io non
posso rinunciarci. Quando non lo indosso, sento la mancanza di qualcosa, non riesco a guidare
tranquillo. Quando invece c’è, mi fa sentire meglio. E poi è come se fosse impregnato delle
particelle di gas di scarico di tutte le moto che ho incontrato, dell’aria dei tanti luoghi visti, e
del profumo delle persone che ho avuto la fortuna di poter conoscere e abbracciare.
Quel gilet un pò vecchio e con qualche toppa che si sta scucendo, sta a me come il
mantello rosso sta a Superman. Senza il mantello Superman non sarebbe stato lo stesso
supereroe, io senza il gilet non mi sento me stesso. Se non sono in autostrada e l’andatura non
è molto spinta, lo lascio sbottonato, libero di “svolazzare”, così mi sembra davvero di avere il
mantello.

– Nel segno della “V”.

Giovedì 15 Settembre 2011, si parte! Alla fine rimaniamo solo io e Antonio, con la sua
piccola ma eroica Nevada 750. Ormai siamo diventati i macinatori di chilometri ufficiali dei
“Guzzisti Partenopei”. Anche Willy e Peppe, purtroppo, devono rinunciare, mentre Gennaro e
Pasquale ci raggiungeranno in aereo.
Le nostre moto partono col buio, io per rendere ancora più piacevole il viaggio accendo
il lettore mp3, che mi tiene sempre compagnia con una bella selezione di canzoni. E volete
sapere qual è la prima canzone che parte? “Ti sento” di Ligabue. Com’è normale che sia,
qualcuno dirà: “E quindi? Che c’è di particolare?” Beh, per me c’è molto di particolare in questa
canzone, infatti il “cantiere infinito” che mi ha rovinato l’estate mi ha anche dato la possibilità
d’incontrare una persona speciale di quelle che forse non ci sono mai state nella mia vita. E’
stata capace di rendere piacevoli le giornate più pesanti, anche solo con uno sguardo, o un
saluto, senza nemmeno rendersene conto. Il bello è che il suo nome inizia, come il mio, con la
lettera “V”, che è anche la più cara a tutti noi Guzzisti, essendo la “forma” dei nostri motori.
Così, per la prima volta, oltre ad avere una “V” che fa correre la mia moto, c’è n’è anche
un’altra che mi sta vicina e che mi accompagna in questo viaggio, pur non essendo fisicamente
con me. Certo, la mancanza si sente, ma dopotutto la distanza, come ogni elemento fisico, è
sempre relativa. Anche il sole infatti è lontano, anzi lontanissimo, eppure il suo calore non ci
manca mai.
Si, il sole. Che mi da sempre l’occasione di vedere una scena che adoro, e cioè l’ombra
mia e della mia moto proiettata sull’asfalto. Sarà pure una banalità, ma quando riesco a
vederla ho come l’impressione di viaggiare insieme ad un altro equipaggio, è una figura
raffigurante.

– La mia Mecca.

Ogni canzone mi parla di lei, e così, quasi senza accorgermene, io ed Antonio ci
avviciniamo sempre di più a Mandello, la Mecca per tutti i Guzzisti. Durante il viaggio e nelle
soste in autogrill incontriamo tante Aquile che tornano verso il loro nido, e ogni volta è un
susseguirsi di saluti, di lampeggi e di sorrisi.
Ho come la sensazione, man mano che ci avviciniamo, che la fabbrica ci attiri verso di
lei, e anche le nostre moto, ne sono sicuro, cominciano a sentire l’aria di casa. Ora sono io che
guido il tandem, e il mio compagno di viaggio ogni tanto suona e lampeggia per farmi
capire che sto correndo troppo, che devo rallentare. Si, sono diventato impaziente e non vedo
l’ora di arrivare li, davanti alla “mia” fabbrica. L’ultimo tratto della Statale 36 e quello urbano
che ci porta a Mandello sono sicuramente i più emozionanti, e fanno sparire in un colpo la
fatica e la stanchezza di un viaggio fatto praticamente senza fermarsi e sotto un sole degno del
miglior luglio. Una trasferta lunga 849 chilometri, tanti separano il cancello nero di casa mia da quello rosso della fabbrica di Mandello, che ha dato vita a tutte le Moto Guzzi che viaggiano per
il mondo, portando in giro, con orgoglio, le loro origini tricolori.
“Antò, ce l’abbiamo fatta.” Non so a lui, ma a me l’emozione mi ha preso di brutto.
Mista anche ad un briciolo di orgoglio, per essere riuscito a realizzare presto il sogno di andare
almeno una volta nella vita alla Mecca, in moto ovviamente.
Il tempo di qualche foto di rito e di qualche telefonata con la voce rotta dall’emozione
(chissà se sono riuscito a mascherarla bene), e ripartiamo per raggiungere la casa dei miei zii,
che ci ospiterà in questi giorni, distante solo una ventina di chilometri.

– Che fantastica storia è la vita.

L’indomani cominciano ufficialmente le GMG, noi c’iscriviamo riuscendo fortunatamente
ad evitare, per un soffio, una fila infinita. L’affluenza è altissima, si percepisce che sarà
abbattuto il record di presenze delle scorse edizioni. La fabbrica però apre al pubblico nel
pomeriggio, quindi trascorriamo la mattinata in giro per Mandello, incontrando tanti vecchi
amici, come Fabio, che con la sua “Califoggia” proprio non vuole smetterla di macinare
chilometri!
Dopo un bel pranzo, ci aspetta un momento davvero appassionante, l’inaugurazione del
monumento a Carlo Guzzi, il creatore di questo mito a due ruote. La piazza del
Comune, artefice dell’iniziativa insieme ad Anima Guzzista, è piena zeppa. Si susseguono tanti
interventi, arriva anche la targa del Presidente della Repubblica con gli auguri alla Moto Guzzi
per i suoi 90 anni.
Una scritta ai piedi del monumento recita così: “A Carlo Guzzi, i motociclisti del mondo.”
All’inizio, in maniera forse troppo “estremista”, penso che io avrei scritto “guzzisti” invece
di “motociclisti”. Poi però, riflettendoci, Carlo Guzzi ha dato tanto, con le sue innovazioni
spesso geniali, a tutto il mondo motociclistico, e non solo all’azienda che ha creato. Spero con
tutto il cuore che questo evento sia arrivato a tutti quelli che amano la moto, di qualunque
marca sia.
Finalmente arriva il momento di entrare in fabbrica, è tutta la giornata che lo aspetto
con ansia (vero Antò?). Credo di non essere mai stato un buon narratore, mi sono sempre
definito un “raccontatore di emozioni”. Certo che però a volte raccontare, anzi, raccontarsi, è
proprio difficile. Quindi non so se riuscirò a spiegare bene quello che ho provato varcando il
cancello rosso e camminando tra i reparti produttivi che da quasi un secolo danno vita
a tutte le moto con l’Aquila.
Ho provato ad immaginare come sono stati gli inizi, quando Guzzi aveva un sogno o
poco più, quello di costruire motociclette. Oppure il momento in cui a quel genio dell’Ing.
Carcano è venuta l’idea di progettare un motore con 8 (otto!) cilindri. E come se la mia mente
fosse attraversata da tante immagini che non ho mai vissuto, cosa abbastanza irreale, lo so. In
questo turbinio di flashback il tempo sembra passare troppo velocemente, infatti il giorno
comincia a far posto alla sera e non abbiamo il tempo di visitare il Museo. Poco male, ci resta
ancora una giornata intera da trascorrere a Mandello.
Anche la serata passa in fretta, io ed Antonio lasciamo abbastanza presto Mandello solo
per non tornare a casa troppo tardi, fosse stato per noi avremmo tirato fino al mattino dopo.
Mi sa che le prossime GMG le vivrò allo stato “selvaggio”, in tenda. Ho capito che è tutta
un’altra faccenda.
Ma io questo giorno lo ricorderò anche per un altro episodio, che una volta tanto va al di
la della Guzzi (ma fino ad un certo punto). Ho pensato a lungo se scriverne o meno, temendo
di essere indelicato. Ma poi mi sono convito che se non l’avessi fatto me ne sarei pentito
amaramente.
In due occasioni ho visto un ragazzo su una carrozzina, spinta forse da qualche
familiare, ed entrambe le volte i nostri sguardi si sono incrociati, gli ho anche sorriso, non per
compassione, credetemi, ma perché mi piace pensare che così si è sentito meno solo. Da quel
che ho capito poteva muovere a stento qualche muscolo, ma di una cosa però sono certo, i
suoi occhi erano vivi, e a me davano l’impressione di ammirare estasiati le tante moto che
vedevano. Non so cosa mi faccia essere così sicuro di quello che sto scrivendo, ma sono
fermamente convinto che avrebbe dato tutto per poter saltare su una di quelle motociclette e
farci un giro. Inutile dire che avendo la possibilità di andare in moto “normalmente”, di fare
quello che lui molto probabilmente non ha mai fatto e mai potrà fare, mi sono sentito la
persona più fortunata del mondo. Troppo spesso mi è sfuggito un “che vita di merda la mia”, dimenticando che la vita è e rimane una cosa meravigliosa, una storia unica e fantastica,
sempre, anche quando le cose belle sembrano essersi dimenticate di te. Specialmente per uno
come me che ha la fortuna di avere tutto.

– La storia siamo noi.

Il sabato mattina, dopo un altro giro in fabbrica, da solo visto che Antonio è a spasso
con il fratello, mi metto in fila per entrare nel Museo. Io l’ho già visto, però non voglio
perdermi un’altra visita, anche perchè, con le GMG, ogni cosa in riva al lago ha un sapore
diverso. Non essendo un grande esperto di meccanica, non mi soffermo troppo sui particolari
tecnici più nascosti, nemmeno li capirei.
Ad un amico con il quale ho scambiato due chiacchiere mentre eravamo in coda, anche
lui senza parole davanti a tante meraviglie con diversi decenni sulle spalle, dico solo: “Da
questa fabbrica sono uscite cose incredibili!” E lui: “Qui c’è la storia del motociclismo.”
Ma la storia è fatta anche da chi quelle moto, da 90 anni, le porta in giro per il mondo,
per viaggiare, per andare al lavoro, in vacanza o semplicemente ad un raduno lontano pochi
chilometri da casa. Solo con il mito e con le vittorie del passato non si va da nessuna
parte. Della storia facciamo parte anche noi, Guzzisti di ogni epoca ed età, che non solo
portiamo le nostre moto in ogni angolo del pianeta, ma alimentiamo la passione che senza il
fuoco di chi la vive quotidianamente si sarebbe già spenta da parecchio, anche perchè negli
ultimi anni di occasioni per far spegnere questo fuoco ce ne sono state tante.
Ecco, io quando sono in moto penso sempre che sto guidando un piccolo,
piccolissimo pezzo di quel grande puzzle che è la Moto Guzzi, con tutto quello che è
stato, quello che è oggi, e con il suo futuro che mi auguro fantastico e con le linee di
montaggio che lavorano a pieno regime. Magari anche con un nuovo Reparto Corse, che dia
nuovamente vita a qualcosa di magico, come è stato oltre mezzo secolo fa con la Otto Cilindri,
che fa bella mostra di se alla fine dell’esposizione. Si lo so, sono un sognatore, ma dopotutto
qui a Mandello tutto è iniziato con un sogno.

– Amico è.

Nel pomeriggio, dopo aver ancora pranzato in stile “campo”, mi concedo, insieme a
Gennaro, un altro giro nel Museo (si lo so Antò, ti starai facendo una bella risata). Però,
complice la pioggia che comincia a cadere, mi prende un pizzico di malinconia, forse
perchè sento che le mie GMG stanno per finire. Penso che mi ci vorrebbe non un weekend, ma
almeno una settimana intera!
Ma prima che cali il sipario c’è ancora il sabato sera, con il concerto. Bel momento di
festa sicuramente, ma io sono la soprattutto per un’altra cosa. Aspetto due persone che non
vedo da tempo, due amici, di quelli che senti veri e vicini pur vedendoli una volta l’anno. A
volte mi chiedo se sia possibile definirsi amici vedendosi così poco, abitando a centinaia di
chilometri di distanza. Però quando poi c’incontriamo e si sta così bene, si parla, ci si dice
praticamente tutto in maniera naturale, si parla di gioie e dolori, sogni e speranze, allora vuol
dire che l’amicizia c’è, ed è più forte del tempo e della distanza. Forse qualcuno avrà già capito
di chi sto parlando, sono Antonio e Andrea, meglio noti come “Ice966” e “Frizz”. La felicità
d’incontrarsi, le risate e qualche birra sembrano accelerare l’orologio. Purtroppo il tempo che
riusciamo a trascorrere insieme non è mai abbastanza, ci vorrebbe un raduno tutto per noi.
Magari un nuovo “Aquile Bariste” (che ne dite, organizziamo?).
Verso l’una di notte, a malincuore, lascio loro e la festa. Dopo qualche ora devo
ripartire, ho deciso di anticipare alla domenica mattina il rientro a casa. Non volvevo proprio
lasciare quel gruppo di persone splendide, c’erano anche Chiara e Maia (com’è cresciuta!), cioè
“le donne” di Andrea, poi Diego e la sorella, insieme ad un loro amico, e candidamente
confesso che nel raggiungere la moto quasi ho pianto, mi scocciava troppo lasciare quel
focolare di benessere.

– Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come
essere alcolizzati. Gore Vidal.

La domenica mattina lascio presto la casa dei miei zii, dopo quattro ore scarse di sonno.
In più, piove e sono da solo, visto che Antonio ha deciso di trattenersi in zona per un’altra
giornata. Appena chiudo la visiera mi viene da dire: “Ma che bella partenza.”
Superata Milano, mi lascio alle spalle anche la pioggia, e fortunatamente un tiepido sole
comincia a scaldarmi, e non mi abbandonerà più. Essendo da solo, posso mantenere
un’andatura più allegra (senza esagerare), anche per lunghi tratti, e questo mi fa saggiare le
doti della Stelvio. Che moto eccezionale! Come all’andata, la musica non può mancare, ma
stavolta il sonno è un pessimo compagno di viaggio, che riesco a sconfiggere solo grazie a
qualche dose in più di caffeina.
Le ultime decine di chilometri, al ritorno da un viaggio mi hanno sempre fatto uno
strano effetto, e così pur essendo stanco ed assonnato, avrei voluto allungare il giro,
percorrere più strada prima di arrivare a casa. Però ad un certo punto mi sarei comunque
dovuto fermare, lasciare la “V” di metallo per raggiungere quella vera e viva, che mi aspetta a
casa.
Ritornare alla vita di tutti i giorni dopo un’avventura del genere non è mai facile, per
fortuna ho ancora due giorni di ferie che si riveleranno preziosi per tarare la carburazione sulla
modalità “vita quotidiana”, anche se io l’avrei lasciata volentieri su quella “viaggio pesante”.
Infatti il lunedì mi sveglio con la voglia di saltare di nuovo in sella per ripartire. Per fortuna,
però, ho sempre saputo darmi dei limiti, che poi servono anche per apprezzare meglio il valore
delle cose, quando poi hai l’opportunità e la fortuna di poterle vivere.

– Ciao Giovanni.

Ormai ne sono sicuro. Come diceva Enzo Ferrari, la vita è sempre un mix di “gioie
terribili”, cioè di emozioni belle e brutte, di sentimenti dal sapore opposto che viaggiano su
binari paralleli. E così, questo racconto l’ho scritto con la gioia di aver vissuto un’esperienza
indimenticabile, condita anche da una presenza vera ed importante nel cuore, ma anche con la
tristezza data dall’aver saputo che un amico, un fratello guzzista, ci ha lasciati.
E’ accaduto nella notte di sabato, Giovanni stava tornando a casa dopo aver festeggiato
a Mandello insieme a migliaia di persone, proprio come ho fatto anche io. Non lo conoscevo di
persona, anche se avevo letto di lui come “Seagull78”. Ma in questi anni di “Guzzismo” ho
capito che non è indispensabile aver conosciuto di persona qualcuno. Siamo tutti guzzisti che
viviamo sotto l’ala protettrice dell’Aquila di Mandello, un pò come figli suoi, quindi siamo tutti
fratelli, pur non essendoci mai visti. So che la mamma di Giovanni ne ha conosciuti tanti di
questi fratelli, nei giorni dopo la tragedia e in quello, straziante, del funerale, e vorrei tanto che
queste mie parole arrivassero anche a lei, magari tra queste righe riesce a capire meglio il
senso della passione di suo figlio e a trovare, perchè no, un briciolo di serenità per andare
avanti.
Eventi come questi sono sempre difficili da commentare, e ancor più da accettare.
Cominci a pensare che bastava partire un attimo prima o un attimo dopo, andare leggermente
più veloce o più piano per mancare l’appuntamento con quella macchina che gli ha tagliato la
strada e con la “signora vestita di nero” che quella sera aveva deciso di appostarsi la, in
quell’incrocio anonimo divenuto poi maledetto. Anche grazie a Giovanni sono sempre più
convinto che ogni giorno che abbiamo la fortuna di vivere sia un dono unico e prezioso,
preziosissimo. Perchè non sai mai quello che ti può capitare, quello che puoi trovare svoltando
l’angolo oppure attraversando un incrocio, appunto. E questo vale se si è in moto, in macchina,
in aereo o semplicemente passeggiando a piedi.
Io, crescendo e diventando motociclista, sono diventato abbastanza fatalista, e forse
questo si capisce facilmente leggendomi. Certo, la moto ha in se una carica di pericolosità e di
rischio maggiore rispetto ad altri mezzi di trasporto, se non altro perchè sei in una condizione
continua di equilibrio instabile, con quei pochi centimetri quadrati di gomma che ti fanno stare
in piedi. Ma ne ha anche una enorme di felicità, di passione ed ha un effetto terapeutico
fortissimo, capace di farti tornare il sorriso anche nelle giornate peggiori, come ho potuto
provare tante volte sulla mia pelle. E questo Giovanni lo sapeva bene, ne sono più che
convinto. Così come sono sicuro che aveva stampato bene in mente il verso della poesia del
motociclista, che recita così: “In moto si muore, è vero, ma non esiste modo migliore per vivere il tempo che ci è concesso.” Lui sapeva di rischiare, ma sapeva anche non c’era nessun
altro modo per vivere meglio la sua vita. E lo so anche io.
Ora forse qualcuno dirà che sono pessimista, che penso al peggio, ma io mi definisco
semplicemente realista. Se un malaugurato giorno l’irreparabile devesse capitare a me, perchè
ci può stare, e ne sono perfettamente consapevole ogni volta che avvio la moto, sappiate miei
cari che io me ne andrò felice, perchè ho avuto la fortuna di poter vivere la vita come mi è
sempre piaciuto, con questo enorme valore aggiunto che è stata la passione smisurata per la
Moto Guzzi. Grazie a lei, è come se la vita l’avessi vissuta al quadrato, con una intensità
sconosciuta a chi ha la sfortuna di non avere una passione così intensa da riempirgli la vita, e
che quindi esiste solamente, senza vivere davvero, parafrasando Oscar Wilde.
Si certo, mi dispiacerà un sacco lasciare tutte le persone a me care, e anche le mie
Guzzi. Mi mancheranno, come io spero di mancare a loro. Però mi piace pensare che lassù, tra
le nuvole, potrò continuare a volare libero su un’Aquila, senza nemmeno la paura di cadere e
di farmi male. Proprio come sta facendo adesso Giovanni.

– 29 Settembre 2011.

Dopo un’altra notte poco tranquilla, mi sveglio a fatica e l’alba non sembra promettere
una giornata ideale per prendere la moto, ci sono nuvole minacciose che i raggi del sole ancora
non sono riusciti a scalfire. Ma chi se ne importa del tempo, io oggi esco con la mia Stelvio, ho
bisogno della medicina che solo lei può darmi.
“Illumino spesso gli altri, ma io rimango sempre al buio”, scrisse Alda Merini.
Ultimamente mi sento anche io così, al buio, quella luce arrivata ad agosto sembra già
affievolirsi, e le certezze costruite in maniera così meravigliosa, ma forse troppo in fretta,
cominciano a scricchiolare. Nonostante questo mi viene da dire di nuovo che fantastica storia è
la vita, il mio cuore non rallenta nemmeno per un attimo, mi sento fortunato per aver vissuto
di nuovo certe emozioni ormai dimenticate, anche se forse non si trasformeranno in quello che
ho sognato, diventando anche loro delle “gioie terribili”. Ma così girano le cose, non sempre si
può avere quello che si vuole e si desidera, bisogna accettarlo. A volte qualche sogno deve per
forza rimanere tale.
Alle 8.00 avvio il motore, metto il casco e parto, lasciando ansie e paure nel punto in cui
il cavalletto si stacca da terra, e trovando, ancora una volta, forza e serenità nella mia moto,
un po’ come Superman, che le andava a cercare, nella solitudine più totale, nel sole (che
ritorna ancora una volta). A proposito, devo ricordarmi di cucire alcune toppe sul mio
mantello.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e condiviso con me.

GMG, non solo Giornate Mondiali Guzzi, ma anche Grazie Mamma Guzzi. Oggi e per sempre.

enas84

Bikers Classic 2011

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GUZZISTI SU MARTE

Di Mario “Licio 33” Licini

 

Rapporto dal Pianeta di Spa Francorchamps – data astrale 01/02 – 07 – 2011.

È un altro mondo, quello che ti attende dentro e fuori il circuito di Spa Francorchamps.
Ti sei preparato, hai studiato i video, hai letto la storia dell’ Autodromo (la A maiuscola è d’obbligo), ne hai parlato con chi ci è già stato ma appena fuori dall’autostrada cominci già a percepire qualcosa di insolito, un senso di calma quiete che invece ti inquieta.
Quando poi, per arrivare all’ingresso dell’ Autodromo, devi farti un giro di parecchi chilometri, la sensazione si fa più concreta. Superi il posto di guardia e pensi di essere arrivato, invece devi farti ancora qualche chilometro tra i boschi che, giusto prima di ripartire, capirai essere la strada laterale del tratto di curvoni in sequenza del Blanchimont.
Finalmente arrivi al paddock, la manifestazione avrà inizio il mattino dopo ed è già pieno di gente, moto, side, camper, chioschi, griglie, birra.
Un mondo di appassionati che si ritrova ogni anno per festeggiare le vere protagoniste della Bikers Classic: le moto classiche e la splendida pista di Spa.

Questa volta ci presentiamo con un team inedito:
presunti piloti – Graziano e Licio
meccanico, guida spirituale, spacciatore di salumi – Oliviero
cronometristi e muretto – Davide e Raimondo (2 veterani)
rifornimenti – Stefano
estintore – Petugo
foto e vettovagliamento – Roberto
vettovagliamento – Licia

Ci manca molto il Monza, con la sua ingombrante e rassicurante presenza e tutto il nostro numeroso e rumoroso team.

Raggiungiamo il nostro box e troviamo la prima piacevolissima sorpresa: sembra di essere a Cartagena!
Infatti i box 23 e 24, che di fatto sono un box unico, ospitano oltre a noi ed il Taurus Team, la famiglia Segarra, il team Alba Motorsport con Teto Martinez e Javier Delgado, i simpaticissimi Baschi del GG Team ed il Team Fusco con Damiani e Rossi.
A parte i Bimotisti Simani e Manzalini, siamo tutti veterani delle gare nella nostra pista più amata e questo crea immediatamente un clima di grande e reciproca collaborazione, è un po’ come se fossimo un unico grande squadrone.

Sistemiamo la nostra mercanzia ed esco dal box per una telefonata a casa, arrivo al terrazzo con vista panoramica sui vecchi box e l’Eau Rouge – Raidillon e resto di sale.
Se non ci siete mai stati, nessuna foto e nessun filmato può rendere l’idea della grandiosità di quel posto e cominci a pensare con preoccupazione che lì dentro ci dovrai correre!

Venerdì mattina si comincia con le verifiche, molto più approssimative e veloci che in Italia e Spagna, poi ci dedichiamo agli ultimi lavori di preparazione del Bombardone.
Dobbiamo arrivare alle 6 di sera prima di assaggiare l’asfalto e l’attesa sembra infinita.
Il clima è estremamente variabile, pioggia, sole, vento, una breve grandinata tanto per gradire ma, come per magia, mezz’ora prima dell’inizio delle nostre prove ecco spuntare il sole di Cartagena a riscaldare i piloti ed asciugare la pista.

Bene, è giunta l’ora di rompere gli indugi ed affrontare le belve (moto e pista), la prima con le sospensioni completamente nuove e mai provate, l’altra vista solo su youtube…

Entro con le gomme fredde perché le termocoperte sono vietate e faccio un giro giusto per capire dove sono.

A questo punto mi sembra d’obbligo una breve descrizione del tracciato.

Partiamo dal rettilineo dei box Formula 1 che finisce nello stretto tornante a destra della Source da cui ci si immette nel rettilineo in discesa (vera) davanti ai vecchi box, in 4° piena si arriva alla compressione dell’Eau Rouge, si chiude il gas e si riapre per affrontare la ripida salita del Raidillon, che di fatto è un curvone semicieco a sinistra in salita.
Il Raidillon immette nel lungo rettilineo del Kemmel lungo il quale si riesce a tirare per bene la 5a fino alla staccata delle Les Combes, un bel trittico di destra-sinistra-destra da terza.
Inizia il tratto in discesa con un breve rettilineo che porta al tornante Bruxelles, quindi ad una bella curva a sinistra ed allo spettacolo della Double Gauche, un curvone da 4a con una traiettoria spettacolare.
Un altro tratto misto bello guidato (Fagnes e Campus) quindi inizia il tratto che io imparerò a fare tra due o tre anni ovvero il Paul Frère e Blanchimont.
Qui ci vuole veramente tanto coraggio ed una moto molto, molto stabile; in pratica dovresti (il condizionale è d’obbligo) tenere aperto in 5a piena per un lungo tratto di curvoni semiciechi che è già complicato farli di giorno, figuratevi di notte con la sola luce dei propri fari…
Staccata, via 3 marce, chicane bella stretta e via sul rettilineo dei box a chiudere il giro.
Il tutto spalmato su 7 Km di asfalto perfetto!

Il primo obiettivo a Spa è qualificarsi, perché sono accettati 80 iscritti ma “solo” 70 equipaggi saranno ammessi al via.
Non basta avere un socio veloce, la qualifica si ottiene dalla media dei migliori tempi di entrambi i piloti.
Il tutto si sviluppa su 2 turni a testa di 25 minuti, quindi se hai un problema tecnico, se comincia a piovere, se hai qualsiasi inconveniente puoi essere tagliato fuori ed aver fatto il viaggio a vuoto.

Io, da buon esordiente, sono il pilota “sacrificabile”, quello che deve entrare subito e vedere se tutto funziona a dovere.

Dai miei calcoli preventivi deduco che, se riesco a girare sui 3’20”, ci qualifichiamo di sicuro, anche se nelle retrovie.
Al 6° giro infilo un 3’21” poi finisce il turno, sono 67°, per poco ma ci son stato dentro.

La moto va abbastanza bene ma c’è da fare qualche ritocco alla ciclistica.

Arriva il momento di Graziano che è il veloce del gruppo.
Infatti stampa al volo un 3’10” che ci garantisce la qualificazione al primo colpo.

Ora siamo più tranquilli e ci dedichiamo alla sistemazione della moto.
Al secondo turno mi rendo conto di aver centrato le modifiche giuste, faccio subito un 3’20” alto, poi comincia a piovere e finisco il turno tranquillamente per continuare l’apprendimento del tracciato.
Il secondo turno di Graziano va decisamente meglio e il Rapido realizza un buon 3’05” che ci garantisce la media di 3’13” e la qualificazione in 57° posizione.

Il primo obiettivo è raggiunto, ora bisogna portare a termine la gara, meglio se dignitosamente…

Arriva il momento delle temute prove notturne, da prassi entro per primo, alle 22,30.
In effetti la pista è buia ma non tanto da fare paura, giro a passo turistico e cerco di memorizzare qualche riferimento, quindi passo il manubrio a Graziano e, manco a farlo apposta, dopo 3 giri ricomincia a piovere…

La mattina del sabato il clima è rigido, una sorta di Marzo nella Valle dell’ Olona.
La giornata passa abbastanza veloce, tra un giro nel paddock, le ultime rifiniture e la solita raffica ininterrotta di minchiate.

Alle 18 è il momento del warm up da 10 minuti a testa (è una gara da piloti veri) ed il nostro sole cartaginese ricompare!
In pratica abbiamo il contrario della nuvoletta di Fantozzi!

Entro ancora io e tiro via 3” al volo, sono più che soddisfatto e molto carico per la gara, la moto va bene, la pista è favolosa ed il team organizzatissimo.
Assoldiamo al volo come addetto all’estintore il buon Petugo dei Pane & Nutella, che si trova a Spa in gita turistica e siamo pronti per il via.
Nell’attesa ci rifocilliamo attingendo alla ricca cambusa di specialità enogastronomiche emiliano-romagnole di Oliviero, le panze ringraziano.

Arriva il momento tanto atteso, la partenza dal rettilineo di fronte ai vecchi box.
Il colpo d’occhio sulle 70 moto allineate di fronte ai 70 piloti è impressionante, la tribuna è gremita come se dovesse partire la MotoGp, in pit lane una folla eterogenea di amici, parenti e conoscenti con i commissari che tentano, inutilmente, di fare retrocedere gli stessi oltre la linea di sicurezza.

Un delirio…

20,00 Si parte!!!
A Spa si parte con il motore spento, quindi tutte le moto senza avviamento elettrico partono da fondo griglia.
Questo ci permette di recuperare prima del via ben 8 posizioni, che in teoria dovremmo perdere perché si tratta di piloti molto veloci.
Il Nostro, specialista delle partenze ai limiti della legge, alla fine del primo giro ha già recuperato altre 11 posizioni, sono passati solo 4 minuti di gara e siamo già 38mi …

Si insinua uno stato di esaltazione precoce, se andiamo avanti così entriamo nei primi 20, io sono tranquillo ma sempre più carico e so dove togliere secondi ai miei tempi ma…

Al 6° giro Graziano ci segnala che deve rientrare al box…

Oliviero sentenzia: sono sicuramente i freni e si presenta in pit lane armato di opportuno cacciavite, Graziano si ferma ed erano proprio i freni che ad andatura di gara si erano un po’ allungati.
Due giri di vite e si riparte, 57mi!

Tutto da rifare e siamo consapevoli che l’unico obiettivo raggiungibile è la bandiera a scacchi.
Graziano rimonta posizioni su posizioni ed alla fine della prima ora – faremo 4 turni da un’ora con rifornimento ad ogni cambio – mi cede il manubrio in 34ma posizione.

Io devo cercare di migliorare i miei tempi, memorizzare bene la pista per non perdermi di notte e possibilmente non peggiorare la classifica.

I tempi migliorano, giro dopo giro arrivo ad un dignitoso 3’11” (9 secondi meglio delle qualifiche) e riesco anche a recuperare qualche posizione passando il testimone a Graziano in 28ma posizione.

Ma non può andare tutto così bene, vi pare?

Per la cronaca, nel frattempo si sono ritirati sia i Ducatisti Fusco e C. che la coppia Ispanica Martinez – Delgado, entrambi per caduta mentre il Taurus Team é stato abbandonato da una valvola.

Torniamo alla nostra cronaca: sono ormai le 10 di sera e comincia a scurire ma i tempi di Graziano ci sembrano comunque troppo alti. Si ferma al box di nuovo, questa volta è la frizione che slitta…
Diamo una regolata rapida al registro e riparte ma la situazione non migliora anche se riesce comunque a girare. Dopo una quarantina di minuti si ferma di nuovo, la situazione è peggiorata.
Oliviero interviene ed anticipiamo cambio e rifornimento, mi tocca un turno da 1 ora e 15’ in piena notte e con la frizione che slitta…
Parto, primo giro quasi bene ma all’inizio del secondo la frizione non stacca più e mi tocca fare un giro (7 Km) a 3000 rpm per rientrare ai box.
Siamo ormai pronti al ritiro ma Oliviero fa la magia: interviene su leveraggi, registri e non so cos’altro ed in 5 minuti riparto con la frizione che funziona!

La notte in mezzo al bosco di Francorchamps è veramente buia, in alcuni tratti c’è anche un po’ di nebbia e fa freddo. Mi lacrimano gli occhi, mi cola il naso, la mano destra è mezza congelata mentre la sinistra la riscaldo sulla testata, percorrendo il lungo rettilineo del Kemmel.
Ad ogni giro spero di vedere la bandiera a scacchi, invece dal muretto mi espongono dei tempi a caso, tanto per tenermi compagnia!
Ma la fine arriva e a mezzanotte sventola l’ambita bandiera.
Ci siamo riusciti, siamo 36mi su 70 partenti ma quello che conta davvero è aver portato a termine la gara, bellissima, difficile più delle 6 ore cartaginesi, nonostante il nostro unico obiettivo fosse arrivare in fondo.

Al parco chiuso l’atmosfera è festosa, abbracci e strette di mano con tutti ed in particolare con la famiglia Segarra, che ha vinto la gara.

Dopo il podio si torna al box per ricaricare il camion che ripartirà il giorno dopo e l’amara sorpresa dell’ingiusta squalifica dei Segarra.

La mattina di domenica ci diamo al turismo, gironzolando per il paddock pieno di gente, bancarelle, chioschi di dolciumi, bevande e panini, compriamo qualche ricordino e ci rifocilliamo all’ Accademia del Colesterolo.
Finisce con la visita all’esposizione del 50° anniversario Yamaha e con la foto di rito all’ Eau Rouge – Raidillon.

Non siamo ancora partiti e abbiamo già un po’ di nostalgia…

Ma ci vediamo di sicuro tra un anno, magico Pianeta di Spa Francorchamps.

Alano Montanari “Muscoun”

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di Luigi Foschi

 

PREFAZIONE

Nel 2002, ho letto sul sito Anima Guzzista la bellissima intervista all’ Ing. Giulio Cesare Carcano che io avevo conosciuto ma non frequentato perchè molto più giovane di lui. Della intervista col più grande creatore di motori del 900 mi colpi, oltre alla sua lucidità, il fatto a me noto che non fosse certo molto amante delle corse e dei piloti perchè ricordo che quando trovava un tecnico anche della concorrenza durante le corse si estraniava a parlare con lui. Di un pilota solo era amico anzi più che amico perchè era fortemente attratto dalla sua bontà, dalla sua umanità e dalla sua personalità, Questo pilota si chiamava Alano Montanari o Edmondo o Muscoun come era abitudine chiamarlo perchè in Romagna tutti avevano un soprannome che nel suo caso probabilmente era dovuto al rumore dei suoi motori; infatti Muscoun viol dire moscone e il suo ronzio può essere avvicinato al rumore di una motocicletta che magari procede abbastanza lontano da noi. Avevo notato inoltre che un episodio esilarante riportato da Carcano era abbastanza inesatto, per cui incuriosito e per il desiderio di parlare dopo quasi 50 anni con il più grande genio del motociclismo come era lui, procuratomi il numero telefonico mi azzardai a chiamarlo dicendo che ero un amico di Cesare figlio di Montanari ed ero il nipote del parroco di Macerone che aveva battezzato Alano quando era cappellano della parrocchia di S. Pietro. Lui, 92 anni compiuti, mi fermò perchè ricordava tutto, e questo mi calmò perchè ero molto emozionato nel parlare con un idolo della mia giovinezza e allora azzardai: “Perchè ha detto che non sapeva se valeva come pilota? non si ricorda nel 57….?” Allora lui mi fermò dicendo che era stato travisato perchè voleva dire che non gli interessava se Alano era un buon pilota, bensì gli interessava la sua amicizia e ciò era sicuramente credibile perchè, come viene fuori dall’intervista diceva di aver ammirato Tenni ma che aveva il grave difetto della troppa temerarietà che lui riteneva in molti casi controproducente. Così dicendo dimostrava che tutti i piloti gli erano quasi indifferenti.ed era sempre perso nei suoi progetti. Fu forse la più bella telefonata della mia vita e lui rise quando gli dissi che da piccolo volevo fare il meccanico per riuscire a cambiare almeno una candela a Tenni. Subito finita la telefonata ebbi la folgorazione di scrivere la vita di Montanari per fare giustizia perchè era stato un grandissimo come Tenni anche se per molte circostanze che spiegherò non riuscì e in parte non volle realizzare quanto le sue potenzialità gli avrebbero permesso. Soprattutto è stato sensazionale e incredibile l’intreccio fra le nostre due famiglie. Non ebbi il coraggio di disturbare ancora l’ing. Carcano per questo; certamente gli avrebbe fatto piacere e forse mi avrebbe permesso di telefonargli ancora o andarlo a trovare a casa, cosa che ho sognato tutta la vita. Non ho detto “per me” MONTANARI era un grandissimo perchè se avete la bontà di leggere, 100% sarete d’accordo con me. Non vi basta sapere che un grandissimo campione come Lorenzetti ha voluto essere sepolto a Cesena accanto a lui dopo quarant’anni dalla morte di Alano? Quarant’anni sono tanti, si può dimenticare il volto della madre, si può dimenticare quasi sempre che una persona è stata amica tua. E’ quasi incomprensibile poi che un milanese da morto voglia divorziare da gran parte della sua famiglia e dalla sua terra per restare accanto all’amico per l’eternità. Non vi basta, continuate. Dovete sapere che tutta la storia, l’ho pensata in dialetto e poi l’ho tradotta in italiano in omaggio alla mia terra che con altri voglio che sia staccata dall’Emilia perchè noi rispetto agli emiliani siamo “cme e signor e la zveta” come dio e una civetta. Un deputato Romagnolo, Pirolini, che si battè per questo veniva accolto in Romagna, quando ritornava a casa dall'”estero” cioè da Roma, col coro di” All’erta Pirolini e non ti avvilire che prima di morire repubblica farem!” Abbiate pazienza se spesso interrompererò il discorso con qualcosa fra due virgole perchè questa è una traduzione letterale. Noi facciamo così e questo problema, ragazzo di campagna, mi ha sempre perseguitato da quando cominciai a “fare” il classico perchè Dradi Maraldi Biagio, professore di ” belle lettere” mi dava un punto in meno per questo; ma io, più forte di lui, vinsi e lui smise di punirmi ed ebbe una grande sconfitta come insegnante perchè la cosa mi si era “incancrenita” dentro come spiegò a mio padre che non capì ma mi picchiò quando ritornò dal colloquio “per stare dalla parte del sicuro”. Non siamo testardi e passati più di cent’anni dalla morte di Pirolini…….

PRIMA PARTE

Innanzitutto dovete sapere che la storia dell’uomo e del pilota Montanari va soprattutto inquadrata (tutti quelli che scrivono dicono così) nel periodo storico, nel luogo dove ha vissuto e nelle persone che ha conosciuto. Non stupitevi quindi di qualche divagazione che ritengo necessaria nella ricerca, forse inutile, di presentarvi a lui come fosse una persona ancora viva e che possa parlare con voi. So in partenza di fallire perchè non sempre c’è riuscito un certo Manzoni ma bisogna provarci sempre e se qualcosa della biografia vi colpirà un poco nel cuore sarà merito dell’uomo, del tempo, del luogo e degli uomini che sono entrati in sinergia con lui. Fatta questa doverosa premessa… Montanari nacque nel 1908 a Macerone di Cesena e ivi morì nel 1958; queste sono due date molto significative e penso che ne citerò poche altre. L’ Uomo che fino ad allora aveva conosciuto, ben impiantato a terra, la VELOCITA’ solo a dorso di un cavallo o su una biga o dentro ad una carrozza con gli indiani urlanti dietro, scopre la velocità su o dentro un aggeggio metallico poi chiamato mezzo meccanico. Forse prima c’era stata la bicicletta ma essa non era più veloce di un cavallo e furono fatte diverse sfide fra un uomo su bici e un uomo su cavallo con alterna fortuna. Soprattutto arrivò il miracolo di un motore applicato ad una cosa che si avvicinava alla bicicletta o ad un’altra cosa che si avvicinava ad una carrozza. L’uomo fin dai tempi di Adamo aveva avuto dentro la PASSIONE della velocità e non l’aveva potuta mai sfogare limitandosi a provarla un poco per raggiungere Eva essendo intenzionato a picchiarla per essere stato fregato con una mela e si accorse nell’ebbrezza della velocità che si era dimenticato l’incazzatura; quando raggiunse Eva e le chiese: “dove eravamo rimasti?” e lei, anch’essa ebbra di velocità rispose “Boh” e lui allora equivocò, sdraiò Eva e insieme dimenticarono, precursori di Scarpia, Dio che si era arrabbiato. Poi per millenni non successe niente se non che i valligiani provarono un poco questa passione nel buttarsi giù con due pezzi di legno ai piedi su un pendio innevato o prima quando ci fu un uomo che addomesticò un cavallo. Alla fine dell’800 quindi arrivarono i PIONIERI DELLA VELOCITA’ quelli che più degli altri sentivano la passione per la velocità e che avevano le doti per domare questi nuovi cavalli e perciò definirono in “cavalli” la potenza di questi aggeggi meccanici. Io farò qua e la solo cenni, fra i due che ho conosciuto, a Tenni, coetaneo di Montanari. Non capivo da piccolo la grandezza di Montanari e Tenni è stato l’idolo della mia infanzia, lo sognavo spesso che scendeva dalla moto e mi diceva “Vuoi provarla?” e aspettavo che la maestra ci desse un tema libero. Quando volevo parlare di Tenni ci diceva: Uffa Tenni Tenni perchè dovremmo parlare di un pazzo? io devo educarvi e sto Tenni è diseducativo. Io non capivo questa parola, ribattevo: Si si ma Tenni come va forte; eh la madonna! e la maestra mi dava quattro bacchettate due per tenni e due per la madonna tirata in ballo impropriamente. I pionieri come sempre succede, erano, lo capisco adesso, ESAGERATI. Nessuno si preoccupava all’inizio neanche di mettere delle balle di paglia davanti al palo della luce che veniva sfiorato e qualche volta preso in pieno da un corridore che poi all’ospedale al medico che gli chiedeva cos’era successo magari diceva intronato “non so, mi sembra che mi abbia attraversato la strada un palo della luce!”. La maestra che ho fortemente odiato per via di Tenni e delle bacchettate aveva ragione perchè come si può chiamare uno come lui o Montanari che si fratturarono uno 60 volte e l’altro 40 e quando venivano ingessati dopo tre giorni immancabilmente cercavano un qualcosa per liberarsi dell’incomodo gesso? Non per liberarsi del gesso in se ma per appoggiare il sedere sopra il sedile della loro amante. Tenni non so cos’aveva ma so che Alano aveva un punteruolo che se lo portò dietro anche quando ” espatriò ” per qualche anno a Sesto San Giovanni e che usò anche prima delle ultime corse. Avevo dimenticato, nella fretta di usare il nome Tenni, che gli uomini subito cominciarono a usare il mezzo meccanico per misurarsi l’uno contro un altro e quindi erano cominciate le corse, la prima a Cervia di Ravenna e mi sembra giusto, avrete capito perchè. Omobono e Alano ebbero due infanzie e due giovinezze abbastanza diverse perchè una volta scoperta la moto per Tenni finirono tutte le altre cose e se non fosse morto 10 anni prima di Alano, alla fine della carriera, sarebbe sicuramente morto lo stesso subito o al massimo il giorno dopo. Alano scoprì subito la moto ma ebbe da giovane tante altre passioni come la Femmina dove fu campione fino alla morte ma non come pensate; a lui come al figlio Cesare mio coetaneo piaceva essere amati, piaceva vederlo negli occhi di una donna e basta perchè non ho mai visto persone più fedeli di loro. Prima Alano e poi Cesare mi facevano una rabbia vedendo che tutte le ragazze del paese erano o erano state innamorate di loro; soprattutto il fatto che loro due le “snobbassero”. Erano tempi duri per noi in generale e quando mio zio prete mi diceva “attento alle tentazioni!” io dentro dicevo “fanculo, io cerco di non vincerle le tentazioni con tutto me stesso e mi tocca vincerle per forza e… lui che pugnetta che mi fa”. Non mi sono mai permesso di dirlo ad alta voce perchè lo zio aveva una piccola piantagione di canne d’india notoriamente forti e flessibili e come le usava! e nessun padre andò mai da lui a protestare perchè tutti erano fermamente convinti che ciò facesse parte del suo magistero e poi anche i padri avevano assaggiato le sue penitenze; sbaglio una volta e una volta sola andò “a sgridare da lui” l’Anna ad Bigiain (mio amore segreto) che pensava di essersi affrancata dalle sane abitudini paesane andando all’Università. Quando la bacchetta “faceva la stoppa” lo zio ne sceglieva con cura un’altra, la puliva accuratamente delle foglie col coltellino che ha portato in tasca per tutta la vita, la guardava soddisfatto e via a fare il proprio dovere di pastore; quando noi arrivavamo a scappare, lui aveva una memoria di ferro e anche dopo un mese ci redimeva dei nostri peccati con la giusta dose di bacchettate, 2 per non essere andati alla messa, 3 per avere sorpreso me e Cesare nel sottoscala mitica stanzetta dove facevamo le “porcherie” con le bambine; che “baccelli” nelle gambe nude! Io e Cesare inseparabili “deliquenti” eravamo i più gettonati ad essere redenti perchè io vivevo colla famiglia, mia madre era sua sorella, in canonica. Alano a sua volta fra una bacchettata e l’altra dello zio si dedicò a tutti gli sport possibili e a fare altri lavori con una vitalità che lo portò a dare il meglio di se stesso sulla moto a 49 anni! Soprattutto lo entusiasmò quand’era bambino e poi adolescente la rapida ascesa di un suo conterraneo, Benito Mussolini. Bisogna dire che la Romagna de mutor è terra delle facili e focose passioni che poi possono anche sparire senza lasciare tracce nella mente ma l’adorazione per il Duce ad Alano durò fino alla fine di una guerra totale come fu quella del 40-45, poi però Muscoun quando vide che il suo sogno era crollato in un amen si dimenticò del fascismo. E’ normale in Romagna che ad esempio uno si sposi, per lavoro vada a abitare a tre km di distanza e poi non si fa più vedere nel paesello natio e tu l’incontri dopo trent’anni e struggenti sono i ricordi comuni e tu ti domandi con l’amico il perchè di questo stupido distacco e non lo trovi mai. Forse per questo in tutta la Romagna non si trovava un manicomio perchè si vede che siamo vaccinati alla pazzia col nostro “dimenticare facile” e bisognava espatriare a Imola per trovarne uno. Il romagnolo puro da sette generazioni ha una passione enorme che sembra ragione di vita e poi passa nel giro di un giorno. Ho fatto un tragico errore! Imola nella vecchia provincia papalina era Romagna! Essa comprendeva anche il Montefeltro dove parlano il dialetto romagnolo; per cui andate a dire a Capirossi o a Rossi che non sono romagnoli! Come tutti quelli che sono nelle zone di frontiera e hanno la percezione di essere di una razza… eletta sono più realisti del re. Poi siamo blateroni; quando ai tempi della giovinezza e della maturità di Alano si giocava a carte, sempre giochi a 4, due contro due, in coppia sempre con l’amico del cuore e contro lui e lui contro l’altro offese terribili, la moglie e la figlia prostitute, il figlio ladro, l’amico finocchio, ancora oggi la peggiore delle contumelie. Alla fine della partita ciascuno non aveva detto niente e ognuno non aveva udito niente, andavano al bar a pagare o a riscuotere poi tranquillamente prendevano la via di casa con le immancabili caramelle nelle tasche per la moglie e per i bambini e si fermavano a parlare per ore del più e del meno sulla politica, sulla carestia e quant’altro davanti alla porta del più vicino al bar ; ma poi invariabilmente dopo essersi data la buonanotte non era finita. Spesso mia madre mi comandava di andare alla finestra per vedere se era arrivato il babbo e mi chiedeva di cosa stessero parlando e quando dicevo “di motociclismo” allora lei subito “andiamo a dormire perchè quell’insensato non l’avrebbe mai finita” e si sarebbero accompagnati a casa a vicenda quattro o cinque volte. Alano era un’eccezione, taciturno, introverso ma cordialissimo, spontaneamente sincero ma senza alcuna acrimonia quando doveva dire qualcosa che poteva dispiacere all’altro; molto, troppo generoso ma non inflessibile contro chi cercava di approffitarsi della sua generostà. Nella manesca Romagna dove anche da vecchi si scappellotta l’amico del cuore per dire sono qui, sono arrivato ma giammai si fa quando l’amico è concentrato nel tresette e nella briscola. Montanari non l’ho mai visto reagire neanche quando era nel più sublime momento di creazione come era la concentrazione nel gioco delle carte per non dimenticare nulla, al massimo però si girava e guardava lo scappellotaro che stava molto attento per mesi a non ripetersi. Ho detto ancora una cavolata a dire che Muscoun era un'”‘eccezione” ad essere taciturno, non è vero; i Romagnoli sono blateroni o taciturni, magari i taciturni sono i meno. Questa contrapposizione netta c’è anche ai giorni nostri in quasi tutte le caratteristiche della romagnolità e tutti sono una cosa o il contrario esatto di essa, senza il giusto mezzo. Ora però in Romagna si sono gli infiltrati ,gli “oriundi” di altre regioni. che hanno già imbastardito la regione e che si riconoscono perchè ostentano di essere romagnoli, ostentazione che poi si riconosce per non essere vera già dalla prima volta che uno ha il coraggio di non essere o da una parte o dall’altra; allora non sono tanto ben visti allo stesso modo, all’inizio, dei muratori romagnoli che hanno espatriato e che hanno insegnato a tutto il mondo come si fa a lavorare; esagerato? No; provate ad andare in Svizzera a Basilea la città più razzista della nazione più razzista al mondo e parlando con le persone, facendovi raccontare un poco della loro vita, capirete che dopo un poco sono stati accettati dai locali per questo e per la SINCERITA’. Ecco la Sincerità! E’ assolutamente vero che un romagnolo da sette generazioni è sempre, scortesemente anche, sincero. E il contrario, questo sì, è un’eccezione. Alano era il massimo in questo e gli uomini, che stimano e amano molto negli altri questa dote e molto meno in se stessi, anche per tutte le altre qualità ne sono stati sempre soggiogati. Un’altra virtù era la modestia che lo faceva stare bene in mezzo a tutti. Perfetto allora Montanari Alano Edmondo detto Muscoun?, direte voi e vi rispondo SI…. eccetto per quella faccenduola delle donne “snobbate”. Cominciò a correre presto con le moto e poco gli importava vincere ma andare più forte possibile anche con un catenaccio e spesso non sapeva se era arrivato secondo o quinto, vinse una quantità di corse in Romagna (si correva tutte le domeniche in circuiti cittadini). In questa passione per la velocità e solo per la velocità era uguale a Tenni, con lui esponente della generazione dei pionieri, quella circa dei nati negli anni fino al 1910. Cominciò a farsi notare sempre di più cercando di correre sempre colla Guzzi e questa passione per Guzzi non lo abbandonò più per tutta la vita come l’amicizia per il suo coetaneo Carcano che anche lui riferisce di questo fatto singolare. Nei primi annni trenta, a poco più di ventanni, sposò una ragazza molto bella che aveva “studiato” molto il violino poi praticamente abbandonato per lui. E’ stato bello per mio zio, che li aveva battezzati entrambi, li aveva sposati e lo diceva sempre di essere stato molto fiero di aver sposato due “artisti”! Per lui era stata la coppia più bella del mondo e quando lesse ” Love Story” mi fece, violando quei terribili silenzi che erano normali una volta in famiglia, commosso come mai l’avevo visto:”Lè cmè la storia ad Muscoun”. E’ come la storia di Montanari con lei che aveva lasciato lo strumento musicale per lui colla differenza che sopravvisse lei, ben 51 anni, ed è morta a un pelo dai cent’anni 5 giorni fa. Io che avevo fin da piccolo la passione della musica, la ascoltavo, bellissima, in chiesa suonare l’Ave Maria di Schubert con le donne commosse e lacrimanti; questa è stata come una foto che resterà sempre davanti ai miei occhi. Lasciando stare le vicende sentimentali o sentimentaloidi, Alano Montanari già da molto tempo detto Muscoun dopo il matrimonio e la nascita del figlio Cesare nel 33, ha quasi un momento di celebrità quando, in testa alla Milano-Taranto ebbe quasi mezz’ora di vantaggio ma “spaccò” non so dove. Questa storia, sempre raccontata nei 2 bar del mio paese non ha trovato conferma nelle mie ricerche; mi preme precisarlo perchè questo che sto scrivendo non è altro che una cronaca del tutto veritiera di quello che io visto e la mezz’ora mi lascia un poco dubbioso; i miei favolosi conterranei sono anche amantissimi della caccia e quindi bombaroli! Lo era bombarolo anche mio zio prete amante della caccia ed ha avuto un nipote, mio cugino, campione del mondo di tiro allo storno; non solo bombarolo e amante della caccia ma soprattutto il terzo pioniere della moto di questa storia. Un prete direte voi? Si uno che quando poteva scorazzava colla sua B.S.A. come un pazzo per le strade della Romagna specialmente quando faceva visita agli innumervoli parenti sparsi per la Romagna fino ad arrivare ad una sorella “espatriata” a Bologna dove aveva sposato, inorridisco a dirlo, un calabrese. Quando questo tipo veniva lui in Romagna, era lui che inorridiva ad ascoltare le offese al bar fra due amici quando uno dei due sbagliava a “calare” un asso e non doveva, il massimo della delinquenza manifesta ed evidente a tutti! Il calabrese diceva che a Bologna lui aveva costretto ad espatriare in Svizzera uno che l’aveva “disonorato” buttandogli del caffè sui pantaloni e mia zia aveva sempre confermato. Questo fatto mi aveva fatto capire da bambino la presenza in Italia di tante Italie e il tema che feci su questo fatto e che cominciava dicendo: “In Romagna si dicono le più grandi boierie” e non succede niente, in Calabria per un caffè sui pantaloni si ammazzano… ebbe un bel 10 e lode, malgrado Tenni. Mio zio, proprio a Bologna, ebbe la sfortuna di cercare di difendere un socialista ed ebbe una coltellata in pancia da un fascista. Medicato alla meglio dalla sorella ritornò a casa colla B.S.A e col suo immancabile sigaro in bocca e non disse nulla. Alla mattina dopo mia madre, nel riordinare la stanza, vide il letto inzuppato di sangue e domandò poi al fratello se era successo qualcosa a Bologna. Mio zio rispose di no e memore del misfatto che aveva dimenticato durante la messa appena celebrata, subito si prestò a riordinare la sua stanza da solo e mia madre, allora sbottò: “Cut avnes un colp te e tot chit rumagnul stopid e te Mondo tci e pez cun cal cursi! Tan pins a la tu mama, brot pataca quant ve a spachet agli osi in zir pre mond, fascesta ad merda!” Prima si rivolse a mio zio e quindi al presente Alano perchè la casa del prete era tutto: bar, ritrovo per i morosi clandestini, centro organizzativo soprattutto delle trasferte per andare a vedere Montanari ecc. Traduzione: Venisse un colpo a te e a tutti i Romagnoli stupidi come te e tu Edmondo sei il peggiore con quelle corse! Non pensi alla tua mamma, brutto patacca quando vai a spaccarti le ossa in giro per il mondo, fascista di merda! Montanari con quel sorriso timido che incantava vedendola veramente furiosa l’abbracciò e la calmò accarezzendola calmo come fosse una bambina anche se l’accenno al fascista doveva averlo punto di brutto. Ma Montanari era così, era sempre pronto a questi gesti affettuosi, insoliti una volta quando c’era un pudore dei sentimenti eccessivo. Vi dico che l’unico bacio che ho avuto da mia madre e questa è un’altra foto, l’ebbi quando mi recai a Bologna a discutere la tesi di laurea e lei venne in Stazione con me e mi mise nelle mani la sua catenina d’oro, l’unica cosa che aveva e mi baciò ed io: Csa fet mama, Tant vargogn? Cosa fai mamma, non ti vergogni? e scappai dentro al treno a piangere nella toilette e lo feci forse anche perchè era morto da un mese mio padre. Abbiamo lasciato Montanari nel 33 alla nascita del figlio Cesare che come avrete capito è stato anche il mio compagno di banco e che sarebbe divenuto il compagno di mascalzonate enormi. Alano era sul punto di esplodere, di affermarsi definitivamente, quando il suo amico Benito pensò bene di creare un Impero Romano e allora per lui sono cominciati 13 anni di guerre sempre da volontario prima nella guerra d’Africa, poi in Spagna con i franchisti, col fratello Oddino naturalmente per le contrapposizioni dei romagnoli comunista focoso dalla parte dei repubblicani! La leggenda narra che una volta si videro col binocolo e cominciarono a spararsi contro l’un l’altro, cosa sicuramente non vera e sempre sdegnosamente (una volta tanto) smentita da Alano e non da Oddino che fece appena in tempo a tornare dalla Spagna colla bellissima moglie spagnola Maria e la figlia Normita coetanea di Mimma figlia di Alano. e poi ripartì e non tornò più. Non dico l’anno di nascita delle due perchè non mi credereste essendo ancora due stupende donne. Tutti i Montanari erano radunati nel palazzone del padre di Alano ed Oddino, E Ghilin, il Ghilin che era il suo soprannome naturamente. E Ghilin fervente socialista e mangiapreti doc aveva un fratello che naturalmente… era prete e fascista; mio zio mi raccontava che D. Enea Montanari avrebbe potuto fare il parroco a Macerone ma che non volle perchè E Ghilin non aveva il carattere dolce di Alano e credo di Oddino ma poteva essere violento per le sue idee ed era meglio stargli lontano; questa notizia è vera perchè ricordo che quando io e mio zio andavamo a benedire le case all’avvicinarsi della Pasqua, potevamo recarci a casa sua solo quando la mamma di Alano, una signora dolcissima come i figli, ci veniva a chiamare perchè il Ghilin stava facendo la siesta. Ma una volta si svegliò e dovemmo scappare ingloriosamente lasciando sul posto la “gavagna” grossa cesta di vimini che mi serviva per raccogliere le offerte in natura o in denaro, la cosiddetta decima, che i parrocchiani davano dopo che lo zio aveva benedetto la casa e soprattutto parlato con il capofamiglia, comunista, socialista, repubblicano o D.C. che fossero. Parlare con l’azdour (capofamiglia) serviva per conoscere i problemi e cercare con lui la soluzione di questi problemi. Non ricordo se c’erano altri nel paese come E Ghilin ma ricordo che al ritorno andavo di corsa dalla mamma a dire che quelli che avevano dato di meno erano i D.C. pur essendo le persone più abbienti del paese; ma forse contribuivano a parte perchè, fra gli uomini, andavano alla messa solo i D.C. eccetto la notte di Natale quando si faceva un pienone anche perchè l’Isotta (ecco il nome) suonava diversi pezzi. Io ero contento perchè Schubert mi aveva un po’ stancato e poi una volta l’anno potevo azionare la leva, un bastone che gonfiava il mantice dell’organo suonato dalla sorella dell’Isotta, Lucia Lombardi e Cesare mi dava il cambio quando ero stanco. Mio zio non amava la musica che distraeva le persone nella preghiera, diceva lui, ma il rumore della moto sì e tutti i santi giorni andava con la sua grossa B.S.A. a trovare D. Enea parroco di Gattolino a 5 Km di distanza; erano amici perchè avevano fatto il seminario assieme e D. Enea che non amava i motori (l’avevate capito?), si stancava subito perchè lo zio voleva raccontare solo le gesta di Alano che andava a vedere la domenica e che mimava a cavalcioni di una sedia. Ma lo zio andava da D. Enea soprattutto perchè, prima del rettilineo dove si trovava la chiesa c’era e c’è una curva esattamente di 90° e il rettilineo era ed è fiancheggiato da un fossato profondo circa 3 m. Io non so se lo zio era affascinato più dalla curva o dal brivido che gli procurava il fossato pericolosissimo, ma lui provava a fare la curva sempre più forte e quando non c’erano i contadini a guardarlo ritornava indietro e provava 4 o 5 volte sempre più forte dalla parte dove avrebbe “fatto fosso” se avesse esagerato. Nella sua vita ha fatto fosso in quel punto non meno di 10 volte, se sbaglio sicuramente in difetto, essendomi ripromesso di dire solo verità note. Mia madre quando vedeva arrivare uno trafelato e sconvolto in bicicletta o col motore urlava a mio padre: “Gustin, D. Ioli l’ha fat fos” Agostino, D.Ioli (l’ha sempre chiamato così) è andato nel fosso! Mio padre Gustin de prit lo andava a tirare fuori, lui, il motore e il suo sigaro con corde tirate prima da una Bianchi S5 ministeriale e poi da un macchinone americano potentissimo, lasciato da un generale americano alla fine della guerra che nell’occasione era alimentato a benzina mentre di solito andava a metano dato che era circa 7 litri di cilindrata. Non ho MAI visto lo zio ritornare arrabbiato, fradicio sì, ma contentissimo per l’avventura che non vedeva l’ora di raccontare ad Alano. Il Vescovo, anzi i vescovi, sono stati sempre molto arrabbiati con lui a cominciare dal 34. Aveva partecipato contro il loro volere al più grande motoraduno della storia dal momento che andò a Roma da tutta Italia una percentuale enorme di motociclisti, si disse, ma non credo, circa 500.000, come riportò la Gazzetta ma si sa che in quel periodo tutto veniva ingigantito per far piacere al Capo. Il motoraduno “oceanico” fu organizzato per rendere omaggio al Duce e sfilarono ai Fori Imperiali e chi c’era in testa da solo seguito da tutto il corteo a file di 10 moto? L’antifascista quasi feroce, unico prete, D. Salvatore Ioli, col saluto romano che ho in una foto scattata dalla tribuna del Duce e regalata dal Duce stesso allo zio! Era naturalmente andato per la moto e al ritorno a Terni salutando un gruppo di ternani disse:” Speriamo che quel saluto romano e la mano che mi ha dato lui, Romagnolo come me, non mi faccia andare all’inferno. Poi mi disse che pensò: Se hanno speranza Enea e Alano ho speranza anch’io. Perchè al plurale i vescovi? Perchè c’era una regola che vietava ai preti di girare con grosse moto. La notte che morì lucidissimo dopo una lunghissima malattia disse a me che lo vegliavo:”Sono contento di una cosa che fra le mille persone che ho battezzato ci siano quei tre: Ambrosini campione del mondo che poverino è morto giovane, Alano Montanari il grande, che non ha avuto fortuna ma anche lui, fare tutte quelle guerre… hai visto Tenni che cosa ha fatto quando lui voleva fare ed ha fatto il soldato? E poi quel ragazzo, mi ha detto suo padre Ernesto, quello che è andato a stare qui a Cesena, il figlio di Tordi il nostro sagrestano… Mi ha detto che è bravo e che farà strada… Altra bellissima cartolina che ho sempre davanti, la notte che morì! Poi mi disse ancora che il suo unico cruccio fu che le leggi ecclesiastiche gli avevano impedito di correre e anzi, anche solo, di girare in moto con quelle vesti svolazzanti e gli uomini a urlargli dietro “ciavador” (gran donnaiolo) e che smisero quando cominciò ad urlare anche lui. “Chi tlà det, la tu moi?” Chi tel’ha detto, tua moglie? Alla offesa più grande per un prete rispondeva con la offesa più grande per un romagnolo. Poi mi disse avendola in parte trasgredita: “ma cla leza can puteva zirè cun la motocicleta erla po giosta?” Quella legge che mi vietava di girare in moto era poi giusta? Zio D. Ioli riposa in pace con i tuoi tre eroi! Abbiamo lasciato Alano e Oddino di ritorno dalla Spagna e poco dopo ripartire, Oddino medaglia d’oro alla memoria della Resistenza, in montagna con i partigiani e Alano ancora e sempre volontario, in guerra, dalla quale tornò a 1946 avanzato perchè fu preso prigioniero in Africa e rilasciato dopo la Conferenza di Pace nella quale De Gasperi fece quel famoso discorso che io imparai a memoria quasi per intero essendomi convertito dal fascismo alla D.C.in un lampo. Finisce quì la prima parte e rileggendola mi sono accorto che la più parte dei discorsi in dialetto perdono veramente tanto nella traduzione. Pazienza!

SECONDA PARTE

Tenni, finita la guerra, alla quale mi sembra non partecipò, alla soglia dei 40 anni riprese il suo posto perchè era il pilota più famoso al mondo; Alano si trovò invece in una situazione veramente sfortunata e incredibile, almeno per i primi anni. Era successo che intanto in italia era “venuto su” un numero notevole di piloti bravi, quella nati intorno all’anno 1920 e con loro finì l’era del pionierismo; poi fu importantissimo il fatto che il dominio delle case motociclistiche inglesi, massimo fino al 1935, era andato scemando a favore delle case italiane fino al punto che nel 1952 scomparvero completamente annichilite dalla supremazia tecnologica italiana. Tutto questo in un periodo brevissimo, se consideriamo i 7 annni della guerra e della successiva riconversione industriale delle nazioni da guerresca a pacifica. Colloco il 1935 come spartiacque di questo fenomeno perchè anche i circuiti inglesi erano con le loro corse i più famosi e in quell’anno per la prima volta Tenni corse il Tourist Trophy, la corsa che era come il campionato del mondo che invece cominciò nel 1949. Senza preparazione, questa corsa di 362 Km, come tutti sanno(?!), venne dominata da Tenni anche se persa per un guasto meccanico. Ma tutti si accorsero della validità del progetto motoristico italiano assieme naturalmente alla bravura del pilota che fece impazzire gli Inglesi. Questa graduale scomparsa delle case inglesi fu ancora un grave sfortuna per Montanari perchè corridori di tutto il mondo, eccetto gli americani che hanno sempre fatto storia a sè fino agli anni 70, vennero man mano più numerosi a bussare alle porte di Guzzi Gilera e Mondial che con Ducati, Benelli e M.V.nel 1952 restarono le uniche a correre. Quindi per Montanari la concorrenza non era mai stata così grande e questo fenomeno non ha più avuto uguali; di conseguenza Alano si trovò, dopo la cavolata di fare tutte quelle guerre, a 40anni e nel momento sbagliato. Però non completamente nel posto sbagliato perchè Carlo Guzzi era un suo grande estimatore; aveva lasciato la parte tecnica dell’azienda e del reparto corse a Todero e Carcano e si occupava personalmente della scelta dei piloti. Per anni i miei compaesani, quando si incazzavano con qualcuno gli urlavano: Cut avnes un colp a te e a clet! Ti venisse un colpo a te a quell’altro!; quell’altro che entrava in tutte le incazzevoli minestre era Carlo Guzzi che però non aveva per me colpe; Ovviamente la colpa attribuitagli era di ignorare spesso Montanari che tra l’altro qualche anno dopo fu gratificato perchè gli fu aperta la concessionaria Guzzi di S.S. Giovanni. Finissimo conoscitore di piloti, Carlo Guzzi, dicevano di lui che “sapeva contare i peli nel culo ai piloti da sopra le mutande” .Ma bisognava considerare che Alano ripartiva dall’età di 40 anni e quindi puntare su di lui era problematico anche se fosse stato suo padre o suo figlio e poi tanti corridori anche di altissimo livello volevano correre in Guzzi. Carlo Guzzi aveva allora un rapporto con Tenni non eccellente perchè Tenni aveva la pretesa che lui riteneva giustificata di voler fare quello che voleva e ascoltava solo qualche volta Carcano, senza che avesse cattiveria alcuna. Però bisogna dire che quando morì a Berna,nel 48, Tenni ebbe l’incidente mortale forse proprio per quello, perchè volle correre con una moto che Carcano sapeva non essere adatta a lui e, grande disgrazia, quel giorno Carcano era a Roma. Siccome Tenni e Montanari sembravano avere le stesse caratteristiche, puntare su un altro con grande esperienza però forse scomodo era oggettivamente problematico; sullo scomodo si sbagliava di grosso, come vedremo. Quando poteva Carlo Guzzi fece in quel periodo correre come “ufficiale” Montanari perchè era in possesso di un regolare contratto fin dal 1950 e se ci pensiamo, con tutto quello che ho detto finora era segno di un’enorme stima da parte della sua dirigenza. I 40 anni e il nugolo di piloti alla Guzzi erano due sfortune ma erano superabili se non che ebbe un’altra sfortuna ancora come tanti: quella della clausola, nei contratti, dell’ordine di scuderia. Avrebbe potuto farcela ad emergere perchè era in grado di spolverare tutti, come poi si vide ma ne fu impedito dalla crudele, terribile legge che prevedeva che uno sapeva già in partenza, a meno di eventi sfortunati per gli altri, che non poteva vincere. Io non ero mai riuscito a capire questa legge che per me come per tanti altri era anche inutile. Ora non esiste più (avete presente il muro fra Rossi e Lorenzo?) ma allora era inflessibile. E’ vero che durante la corsa l’ordine poteva essere cambiato ma il “gregario” aveva sempre almeno due capitani e la “carta bianca” non l’ho mai vista sventolare in corsa. La CARTA BIANCA era una bandierina o il più delle volte un foglio che veniva fatto sventolare al passaggio dello schiavo per liberarlo dalle catene e così poteva fare la sua corsa. Naturalmente l’ordine di scuderia aveva una sua ragione d’essere che ho capito tardi anche perchè Alano non si sognava neanche di spiegare; all’inizio si pensava fosse dovuta al fatto che essendo costruite in modo artigianale le moto potevano essere anche notevolmente diverse come prestazioni e però durante le prove si vedeva e allora il gregario disciplinatamente lo faceva presente e alla sera venivano scambiati i numeri già assegnati dalla Direzione gara. Poi si capì che, esssendoci tanti galletti in una squadra, eventuali lotte intestine potevano essere dannose alla marca e allora veniva stilata una lista di preferenza ben ponderata dallo stesso Carlo nel caso dellla Guzzi. Questo modo di procedere era dovuto anche all’equilibrio fra Guzzi e Gilera nella 500 con buona prevalenza Gilera, il contrario nelle 350, equilibrio fra Guzzi e Mondial nelle 250 con leggera prevalenza Guzzi e apparizioni significatve della Benelli, moto di altissima qualità ma con presenze un poco a “singhiozzo”; questa approssimazione e schematizzazione penso sia abbastanza valida. Per parlare dei piloti Guzzi italiani (per tutti gli altri anche di altre case, c’è il web!) i migliori nati come ho già detto attorno al 1920 erano Lorenzetti e Ruffo ma vi parlerò solo di Lorenzetti. Lorenzetti pur essendo poco più giovane di Tenni e Montanari, avendo cominciato a correre un poco tardi, era di un’altra generazione rispetto a loro, diciamo che il suo modo di correre non era pionieristico come quello di Tenni e Montanari che correvano con l’istinto, magnificamente con l’istinto e la follia della velocità per la velocità era troppo prevalente ripetto alla fredda determinazione a vincere dei corridori post pionieristici come erano quelli nati nel 1920. Lorenzetti abbastanza alto e magro pressapoco come Valentino Rossi, taciturno come Montanari si “innamorò” subito di lui come fece Carcano. D’altra parte le caratteristiche di Alano lo facevano apprezzare da tutti, era quello che faceva “spogliatoio” come si dice nel calcio, sempre pronto a dare consigli per la sua esperienza, a consolare i compagni perdenti e d’altra parte tutti i piloti, che avvertono istintivamente la grandezza come pilota di un collega, l’hanno sempre considerato un grandissimo e questo gli bastava come gli occhi innamorati delle ragazze. Non poteva esistere ancora, non era pensabile un Rossi che cerca di distruggere psicologicamente un avversario o il suo stesso compagno di squadra. E’ una caratteristica di Vale però discutibile ma non più tanto perchè l’uomo è cambiato e la lotta per emergere è diventata più dura di un tot e il voler emergere a tutti i costi è diventata una qualità mentre una volta era un difetto grave. Diceva Lorenzetti che bastava che Alano ti guardasse senza parlare per capire che la sua solidarietà C’ERA, CHE LUI CI SAREBBE SEMPRE STATO nel caso tu avessi avuto bisogno di lui. I corridori del 1920 avevano studiato la tecnica e soprattutto Lorenzetti è stato in Italia il primo pilota intelligente in corsa. Come pressapoco dice anche Carcano, la sua intelligenza si vedeva col fatto che quando era in grande vantaggio è stato il primo a staccare, levare il gas, 20 m prima del solito prima di affrontare la curva. Per Tenni questo era meschino perchè la gente lo stimava anche e sopratutto quando perdeva perchè in vantaggio di un mezzo giro staccava invece 5 metri dopo e questo per lui era rispetto per chi pagava; quando per questo osare sempre di più cadeva aveva una ovazione massima. Lorenzetti è stato tanto inteligente da essere stato il primo a liberarsi di un eventuale cappio della legge di scuderia; si comprava dalla Guzzi i motori col patto di essere assistito in corsa dalla casa. Alano pur consigliato da Lorenzetti in tal senso, l’ha fatto solo nel 1957. Avrebbe avuto qualche occasione per emergere perchè allora si correva sempre, fra campionato Mondiale e Italiano e altre corse varie, almeno una volta la settimana, ma anche lì in Guzzi c’era l’inflessibile mannaia della legge di scuderia. Soprattutto il campionato italiano era importante per i corridori italiani e parecchi piloti preferirono per tanti anni rinunciare alle lunghe trasferte del mondiale, come il grande Libero Liberati, penalizzato anche lui come Alano dalla legge degli ordini di scuderia. Si incontrarono in Guzzi e assieme fino al 1951 praticarono il “gregariato”, ma Liberati, giovane rampante, nato nel 1926, come dice il nome Libero, mal sopportava questa legge e passò alla concorrenza meno rigida, cioè alla Gilera dove dominava il grandissimo Masetti vincitore del campionato 1950 e che Liberati pensava di potere far fuori. Ma Masetti vinse anche il campionato nel 1952 e alla fine dell’anno la Gilera si dovette arrendere alla moltitudine degli stranieri e ingaggiò l’immenso Geoff Duke che nel 1951 aveva umiliato la potentissima Gilera e Masetti correndo con una Norton poco potente ma maneggevolissima. Questa fu la fine per Masettti alla Gilera e passò alla M.V.; Liberati allora scopri le grandi qualità della monocilindrica Gilera Saturno e si rifece nel campionato italiano cogli interessi. Montanari restò per il suo amore per la marca e l’amicizia con Lorenzetti e Carcano e tutto lo stuolo dei piloti Guzzi; continuò quindi nel suo lavoro preziosissimo per la squadra, ma difficilissimo, di tenere a bada gli inseguitori del proprio capitano ma che non dava certo la gloria. Una volta trasgredì l’ordine e in testa di molto si fermò in una curva, per fare passare i 2 capitani e si accese l’immancabile sigaretta. Un’altra volta si ritirò per aver “bruciato” i freni, me lo disse Lorenzetti, per non sopravanzare il suo capitano! Sarebbe potuto andare forse nel 52 alla nuova grande marca, la M.V., che entrò in lizza nel mondo delle corse appunto in quell’anno. Ma Alano non capiva neanche la grande importanza del suo lavoro oscuro, pensava forse che i tempi erano cambiati, che c’era stata una evoluzione nel modo di correre e quindi era contento di correre con la sua amata Guzzi e questo gli bastava anche se vedere Liberati dominare nel campionato italiano forse un poco gli pesava ma non lo fece mai vedere anche perchè aveva sempre di più la stima di Carlo Guzzi AL QUALE NON CHIESE MAI NULLA.
E gli altri eroi della nostra storia? Mio zio continuava a correre anche se, essendo del 1885, sui 60 era meglio che la smettesse “con i bollori” e di “fare fosso” come gli diceva tutto lo stuolo dei fratelli e sorelle, ben 8, e dei nipoti e a un certo punto trovò un amatore e vendette la B.S.A. anche per pagare i debiti che mio padre aveva contratto nell’acquistare una specie di limousine di marca Plymouth che era stata di un generale americano. Ormai avete finito di stupirvi e quindi spiego subito: mio padre era autista di rimessa, cioè era cercato dalle persone che non avevano l’auto e che grosso modo erano il 90% in paese. Il lavoro più grosso era quello di fare servizio nei matrimoni; poi portava la gente all’ospedale e quasi sempre a Bologna perchè “per affogarsi ci vuole dell’acqua” e allora convinceva tutti dell’opportunità di andare da professori dell’Università facendo fieri quei contadini che poi più tardi cercarono, comprandosi l’auto, di preferire anche vecchie ma immancabilmente le Mercedes colle quali la domenica portavano la famiglia a spasso e che riposavano durante la settimana sotto il porticato e d’inverno nella stalla perchè l’acqua del radiatore poteva gelare; poi d’estate portava tutte le mattine la gente al mare a Cesenatico al Bagno Venezia e alla sera la gente al cinema a Cesena. Soprattutto era necessaria la Plymouth per portare la gente a vedere al cariri (le corse) di moto; niente calcio o altri sport anche perchè in paese e nei bar si parlava SOLO DI MOTO. la Plymouth ha contenuto, a zur sora e signor e la madona (Giuro su Dio e la Madonna) con bambini fino a 16 persone! (a pieno carico). Era conosciuta in tutta la Romagna come la “macchina di Ridolini” perchè in una comica Ridolini aveva appunto un’auto da cui uscivano una dietro l’altra 50 persone! Nella settimana venivano raccolte le prenotazioni delle 12 o 13 persone che la domenica sarebbero partite alla mattina prestissimo per andare alle “cariri”. Bisognava andare presto perchè ci voleva del tempo a trovare il posto per montare delle tribunette in legno che smontate trovavano posto sopra la Plymouth legate nel portapacchi. Nel bagagliaio viveri in abbondanza e specialmente bottiglioni di sanzves (Sangiovese). All’estero (fuori dalla Romagna) si ricorda la trasferta per Ospedaletti quando “traversammo gli Appennini” e la Plymouth alla fine della salita non ce la fece più perchè andava a metano e nell’occasione il babbo si era dimenticato di mettere un po di benzina. Dovemmo scendere e fare 3 Km di corsa e al ritorno per mettere la benzina mio padre tassò tutta la comitiva facendo i conti due volte perchè c’erano due non paganti, io e Luis ad fracul che era ubriaco fradicio. Partimmo al sabato sera dopo il cinema e tornammo al lunedì mattina! A Monza nel 50 non avemmo problemi ma perdemmo Mas-cin detto anche Angammà che ritornò in treno dopo 3 giorni; non “trovava” il treno perchè l’italiano era per lui una lingua straniera e chiedeva alla gente del “vapore” finchè non si imbattè in un romagnolo che lavorava alla Braun-Boveri che Mas-cin chiamava SBRAMBOVERI come chiamava Oliver (sidecarista) OLIVUD e la curva di lesmo L’ESMA(L’asma!) quando mimava le corse per quelli rimasti a casa. Più tardi andammo anche a Salisburgo e partimmo al lunedi perchè volevamo vedere tutto dal momento che le prove cominciavano al mercoledì e fummo seguiti da un camioncino con i viveri e il vino per una settimana. Il camioncino si chiamava “Giulio” perchè una volta senza freni aveva fatto la” funzione” ad una Giulietta Alfa Romeo investendola da dietro. Giulio ogni 40 km si doveva fermare per fare acqua che bolliva essendo un residuato bellico e arrrivò il giorno dopo e non morimmo di fame perchè fummo salvati da una comitiva di tedeschi che, pieni di birra, disboscarono un mezzo bosco per riscaldarsi e vicini ai carboni mettevano a cuocere un tot di patate (cos’altro se no?) che furono in parte usate per la nostra sopravvivenza. In compenso questi crucchi i cui padri ci avevano “per” la guerra razziato tanti maiali, fecero fuori nella settimana molta parte dei nostri viveri forse per non essere inferiori ai loro genitori. Noi a nostra volta ci rifacemmo perchè quando ubriachi fradici i “doic” si addormentavano vicino al fuoco, noi soddisfacevamo le brame delle morose a cui l’alcool dei morosi aveva tolto l’amore nel senso più bello ma non il più puro del termine. Dopo la guerra germogliò, si sviluppò, divenne pronubo di botte, sempre per educazione fuori dal bar, cosa?: il TIFO. Per Ambrosini, per Liberati, per Valdinoci? No per la Guzzi o per la Gilera che erano le case principali e anche la M.V. prendeva paga anche se correva in tutte le categorie, ma regolarmente vinceva a Cesena mandandoci a casa tutti scornati. Il tifo era quasi solo per le marche e ancora adesso mi riesce incomprensibile; si poteva tenere, al limite, anche per un corridore del campo avverso ma raramente e con discrezione. Il tifo era pressapoco diviso in questo modo: i padri dell’età di Alano erano guzzisti e naturalmente i figli erano convinti gileristi. Anch’io tradii Tenni ma non Montanari anche perchè non lo consideravo moltissimo essendo lui guzzista e questo per molti anni. Cesare? Beh Cesare quando rubava il motore al padre, specialmente una Guzzi da motocross colla quale Alano vinse a Parigi, a 15 anni faceva cose incredibili. Motocross? Parigi? Montanari correva dappertutto e con qualsiasi mezzo. VI SPIEGO: Macerone ha un fiumiciattolo, il Pisciatello che corre dietro le case dalla parte destra della strada Cesena-Cesenatico e continua poi attraverso i campi. Il nome Pisciatello vuol dire piccola pisciata ma fu scoperto dagli studiosi essere il vero Rubicone dove” l’altro” Cesare gettò il dado che nientepopodimeno cambiò la Storia. Gianni Brera, commentando la perdita del Giro d’Italia da parte di Charlie Gaul per essersi fermato a orinare, scrisse un memorabile articolo intitotolato “Piccole cause grandi effetti”, sulla Gazzetta paragonando la pisciata di Gaul al fiume Pisciatello, entrambi responsabili di grandi eventi. Per sentirsi importante, come meritava, questo Pisciatello, sempre quasi secco, quando pioveva tracimava tutti gli anni; fu creato un apposito consorzio che alzò gli argini di 2m sulla campagna. Sull’argine destro c’era un sentiero, largo 20cm che arrivava fino ad un punto dove il Pisciatello si allarga, AL BOTI, bel posto nascosto dalle piante dove noi portavamo le ragazze. ECCO: Cesare percorreva questo sentiero ai 100 all’ora colla moto da cross del padre. Era pericolosissimo perchè da una parte c’era la recinzione dei campi col filo spinato e dall’altra il fiume profondo. Aveva visto Alano farlo per allenarsi per il cross e lui tranquillamente lo faceva 100 volte al giorno.Nel tifo era agnostico però diventava gilerista quando il padre veniva a sapere di tante cose che facevamo e sgridava Cesare in modo quasi violento e però intanto strizzava l’occhio a me perche era buonissimo. Cesare, colla scusa di essere miope, non pensava alla moto ma cantava tutto il giorno e suonava di tutto. E’ diventato un grandissimo cantante, commercialmente era pressochè nullo perchè come il padre ignorava il denaro, non si è saputo gestire, ma continua a cantare a 75 anni e la gente si chiede sempre perchè non è diventato famosissimo. Si vede che questo è nel D.N.A. dei Montanari, sempre calmi, sempre tranquilli,sempre silenziosi e sempre un poco sfigati. D. Enea aveva continuato ad essere superfascista, aveva ereditato da un soldato tedesco in fuga un fucile con molte cartucce che teneva pronto per quando i comunisti si fossero presentati per “venirlo a prendere”. Questo fucile se lo portò dietro a Gaibola di Bologna dove fu esiliato dal vescovo per una faccenda enormemente stupida e crudele dove era evidente la mancanza di qualsiasi colpa da parte sua. Lui che aveva un po’ il carattere del fratello, ubbidì ma io che ho vissuto con lui il primo anno d’Università come ospite sono ancora straziato dalle sue urla nel sonno per la mancanza degli amici e dei suoi vecchi parrocchiani. Alano appena poteva non mancava di recarsi da lui ed essendo una persona di grande umanità gli era di grande conforto assieme alla figlia Mimma, a tutti i suoi parenti e a mio zio. Fra i suoi tifosi Alano aveva un idraulico, un certo Fracul che era protagonista di tutte le storielle che poi venivano raccontate agli altri corridori e a Carcano. Balbuziente, simpatico, pronto allla battuta come nessuno, sempre con la tuta da lavoro unta e bisunta, Fracul era conosciutissimo nel mondo della moto per le battute e i numeri che faceva. Carcano riferisce un po’ male un episodio al quale bisogna fare giustizia. Un giorno Alano percorreva la statale Cesena-Cesenatico in direzione Cesenatico con una delle sue Guzzi e nel sedile dietro aveva Fracul. Dopo pochi km si vede superato da una Gilera, il più grande disonore per lui; si abbassa e dà tutto il gas urlando:”botat zo Fracul!”, Buttati giù Fracul intendendo dire che si doveva abbassare per avere più velocità. Fracul che non capiva la ragione delle urla, restava interdetto e allora Alano più volte ripetè arrabbiato: “botat zo Fracul, botat zo Fracul!” Fracul non capiva il perchè però “per stare dalla parte del sicuro”(?!) come disse poi, arrrivato ad una curva e approfittando di un rallentamento della moto si buttò letteralmente giù dalla moto e, tutto ammaccato ma illeso, al primo che lo soccorse e che gli chiedeva cos’era successo rispose “sut ca sepa, a so arivè ades” (cosa vuoi che sappia, sono arrivato ora!). Intendeva dire che ancora non sapeva cosa era successo veramente perchè l’avrebbe saputo da Montanari più tardi. Il soccorritore che lo conosceva capì dalla battuta che restò famosa che era illeso e allora gli ripetè la domanda e allora Fracul disse “a ne so propi, u ma det ad butem zo” “non lo so proprio, mi ha detto di buttarmi giù” e l’altro pensò che fosse un’altra battuta perchè equivocò anche lui e ripetè ancora la domanda e allora Fracul si arrabbiò: “Aloura tci sourd! me an so miga sourd! um la det dis volti” Alora sei sordo! io non sono sordo; mel’ha detto 10 volte! il soccorritore perplesso ma non convinto si arrese e lo portò in casa e, come era uso nei casi di spavento, gli portò un bicchiere d’acqua e allora Fracul perse proprio la pazienza e da buon bevitore gli fece: “aloura tan si sol sourd ma tci anca scioc! cma vut ca feza ad arfem cun un bicir d’aqua! portum de sanzves a sem in Rumagna!” (allora non sei solo sordo ma anche sciocco; cosa vuoi che mi riprenda con un bicchiere d’acqua! portami del Sangiovese! siamo in Romagna!); si riferiva al detto che si “vedeva” quando uno arrivava in Romagna perchè quando chiedeva da bere gli portavano del vino mentre fuori, al confine della Romagna gli davano dell’acqua. Tutto il discorso era condito dal fatto che, spaventato, era diventato più balbuziente del solito e questo colloquio durò più di una mezzora. Alano che non si accorse della caduta, era tutto impegnato nel suo “dovere”, e quando lavò l’onta, si accorse dell’inopinata assenza di Fracul e ritornò indietro a cercarlo più perplesso che mai e dal gruppo di persone che si era radunato ebbe la notizia che l’amico si era buttato giù dalla moto perchè era stato lui a dirglielo e allora spiegò l’equivoco e fu abbastanza contrariato perchè sostenne con l’amico che doveva capire cosa voleva dire perchè era sicuro che Fracul avesse visto la Gilera e Fracul allora si prese la colpa, fece spallucce e disse “Te rasoun unainta volta a staro piò ataint a la merca di mutur !” (Hai ragione, un’altra volta starò più attento alla marca dei motori!) Fracul come ho detto faceva l’idraulico ed era un gran lavoratore ma quando ritornava a casa Muscoun, subito sospendeva i lavori e faceva “cappella” (vacanza) e a quando uno gli chiedeva un intervento faceva un cenno al fratello che spiegasse lui perchè, essendo balbuziente aveva paura di perdere un secondo di tempo. Appena Alano arrivava nei circuiti tutti i corridori smettevano di fare anche le prove per andargli a chiedere le ultime nuove su Fracul che era ospite fisso del suo sellino, stava attento ai motori però regolarmente bussava sulla spalla di Montanari e gli chiedeva che marca era perchè “uns sa mai” non si sa mai! Fracul era ospite fisso nella Plymouth e “non pagante” perchè tutti si “tassavano” per averlo con noi e Montanari durante la corsa trovava il modo di fargli un cenno di saluto! Quando partì soldato fu un dramma per noi ma anche per lui perchè non capiva gli ordini e li considerava quasi sempre contrari al “suo” buon senso e allora faceva quello che gli pareva. Intendiamoci non è che sbagliava Fracul, ma il sergente o il tenente, per i quali, come militari, la logica era ed è sempre stata una materia estranea alla loro mentalità. Gli dicevano di fare una cosa e gli volevano anche dire come doveva fare; essendo meridionali o bassitaliani lui non capiva e faceva le cose nel “suo” modo migliore. Ritornò a casa due mesi e 22 giorni dopo il dovuto perchè dovette scontare 2 mesi e 22 giorni di punizioni. Riuscì a “imparare” non so come il telefono e un giorno mi telefonò tutto concitato dicendo: “Luvigino cosa vuol dire “TRAINE”? e io naturalmente dissi che non lo sapevo e allora lui taglio corto (per modo di dire): “Domani vengo a casa e ci spieghiamo bene” Mi scervellai tanto ripensando a tutte le cose contrastanti, che era spaventato e che però veniva a casa dal momento che, dopo un anno e mezzo, non aveva avuto mai una licenza. Il giorno dopo naturalmente venne da me, fece le condoglianze a mio padre perchè aveva speso male i suoi soldi per mandarmi a scuola dal momento che non sapevo l’italiano; poi mi spiegò che il comandante del campo aveva ordinato a tutti di lavare PER BENE il carro armato perchè doveva” venire” il generale. Lui per quella strana logica dei militari era passato da idraulico a carrista e una volta tanto i miltari ci presero perchè Fracul aveva fatto anche il trattorista. Dopo aver visto che la morchia di olio e polvere usando il compressore non andava via coll’acqua, se ne andò col suo carro armato a distanza di un km dove c’era il deposito del gasolio. Col compressore che collegò alle botti di nafta da 200 litri, di botti ne consumò quattro o cinque e ritornò al campo tutto felice. Il generale passò in rivista tutti i “carrarmati” ma poi il comandante bassitaliano di nome Calogero chiamò a raccolta tutti e Fracul disse che urlò incazzatissimo per mezz’ora. Lui non capì quasi nulla se non che ogni tanto diceva: TRAINE FRACUL e poi lo chiamò in ufficio gli diede un foglio e lo mandò a casa. Lui pensò che avessero scoperto tutto, che lo mandassero a casa per salutare il babbo e la mamma perchè poi lo avrebbero tenuto tutta la vita “nei” militari o che si fossero stancati di lui e considerandolo matto per non andare nei matti loro si fossero liberati di lui! Fracul sperava su questo perchè un suo amico di Conselice non aveva fatto il militare perchè arò alla notte col trattore la piazza sterrata davanti al municipio, ma per via del comandante incazzatissimo… aveva capito che il nocciolo del problema stava in quel TRAINE. Io guardai il foglio che gli aveva dato il comandante e che aveva ripiegato 10 volte per la paura di trovare cattive nuove. Era una licenza premio di 20 giorni! Aveva confuso TRAINE con TRANNE! Volle vederlo nero su bianco sul “VACCABOLARIO” dizionario e per un po lo chiamammo trainefracul ma poi era troppo lungo e ritornammo a Fracul.

TERZA PARTE

Montanari intanto continuava a fare il suo prezioso lavoro durissimo perchè passare davanti al principale avversario del suo capitano e rallentare poi e fare questo gioco 100 volte ogni corsa è da campioni e lui lo era. Capimmo più tardi che Carlo Guzzi aveva visto giusto anche come stratega ma fare delle staccatone per passare davanti a un campionissimo è naturalmente da campionissimi ma era rischioso; naturalmente pensava che solo Alano lo poteva fare. Montanari pensava che era l’unico rimasto, data l’età, dei PIONIERI, modesto com’era non aveva ambizioni perchè correre con la Guzzi era il massimo per lui, alla sua età e come tutti i pionieri aveva uno straordinaio coraggio e una spericolatezza estrema. Nel 1953 già aveva uno stipendio uguale a Lorenzetti e a tutti gli altri, perchè naturalmente non aveva i premi per la vittoria; se qualcuno che aveva vinto soprattutto per merito suo ci provava a fare a mezzo aveva sempre rifiuti, sempre una volta tanto sdegnati. Ha corso nel 1956 anche con la Ducati 100 cc, che partecipava alle gare della 125, straordinario gioiello, opera di Taglioni che era di Lugo di Romagna; ma non era la Guzzi, trovò il feeling (mica era Melandri) ma ritornò a piena disposizione della Guzzi. A 48 anni “ufficiale” in due case! Allora per molto tempo e fino quasi al 1980 si correva in più classi, le gare erano molto più lunghe e le moto erano molto meno maneggevoli delle attuali. Si scendeva da una moto e si saliva su un’altra. Ricordo la corsa di Alano un poco claudicante per andare dal box Ducati al box Guzzi perchè le gare si susseguivano una dietro l’altra e se si aspettava un poco tutto il circuito era un unico fischio. Il massimo delle corse fatte in un giorno è stato stabilito a carriera praticamente finita da Hailwood (in romagna olivud) a Pesaro dove dalla mattina alla sera corse le quattro gare 125, 250, 350 e 500 vincendone tre e arrivando secondo nella 125! Nella 350 e nella 500 con la Benelli battè Agostini e quindi non era una gara di comprimari, anche se da grande tifoso di Agostini il fatto di correre a Pesaro dove la Benelli era di casa e aveva organizzato la corsa, per me puzzava un poco! Il meccanico di Fosso Ghiaia RA, che era stato il Fracul di Agostini che a sua volta, per farsi capire da lui, dovette imparare il Romagnolo altrimenti non si sarebbero compresi se non a gesti, disse che Ago non si era certo dannato l’anima. Nel 53 ci accorgemmo che qualcosa era cambiato in Montanari; a 45 anni aveva assorbito il modo nuovo di correre, aveva acquisito forse senza rendersene conto una tecnica sopraffina; così poteva far meglio il suo lavoro senza la straordinaria ma pericolosa spericolatezza. Reinventarsi a 45 anni non è straordinario? Eravamo tutti speranzosi che qualcuno dei big della Guzzi avesse una influenza e auguravamo anche una caduta di qualcuno, noi gileristi anche con conseguenze gravi e i guzzisti invece colla rottura di un ossicino piccolo piccolo ma Montanari che aveva già avuto tanti parametri di sfiga, fino al 1957 non ebbe neanche quella fortuna anche perchè alla Guzzi facevano il turnover 10 campioni anche se nessuno era in grado di fare il lavoro di Alano che per tutta la gara faceva una Laguna Seca del 2008. Nel 1956 Carcano, che aveva creato il più grande capolavoro della storia, la 8 cilindri Guzzi era ancora perplesso, perchè la potenza del mezzo non era pari alla sua affidabilità; i materiali non erano ancora all’altezza e cosi anche i telai di allora. Provava e riprovava con Alano e si stava convincendo che il suo progetto era troppo avveniristico, riprovò ancora a diminuirne la potenza e la macchina che aveva corso anche nel 1955 con risultati deludenti per l’affidabilità, trovò un discreto equilibrio. Naturalmente Carcano non era contento perchè giustamente prevedeva che con materiali migliori, anche per il telaio, si potesse elevare la potenza della 8 cilindri in modo impensabile. Di questo non abbiamo la riprova, però mi fido ciecamente del genio di Carcano tanto più che dal 57 al 2008 concettualmente non è stato creato nulla di nuovo anche se sono migliorati tantissimo i materiali e la componentistica ha fatto enormi passi come aveva previsto il Mago. Nel 1956 a Imola Ken Kavanagh colle ultimissime innovazioni mise in riga tutti ma in modo straordinario e si ritirò perchè vide il manometro dell’acqua salire molto e pur continuando a correre e sempre in testa con cenni o urlando a Carcano “Water High”, fece sì che fu fatto fermare. Questo dice molto sulla ancora poca fiducia di Carcano nella macchina. Giustamente Canavaz (strofinaccio) fu fatto fermare perchè la cosa poteva essere pericolosa, ma si scoprì in fabbrica che quello che non andava era il manometro! Noi gileristi non ci credemmo anche dopo il giuramento di Alano (una sola volta e poi lasciò perdere) e all’inizio del 1957 eravamo pronti alla battaglia convinti che stavolta Carcano ” l’avesse fatta fuori ” cioè avesse fatto un bidone. All’inizio della stagione 1957 eravamo pronti alla battaglia e la settimana prima di Siracusa (apertura della stagione e prima gara del campionato italiano) preparammo un grande cartello da affiggere al bar. Scrissi” ELLA FU! SICCOME MERDA/ DATO IL MORTAL SOSPIRO/ STETTE LA 8 IMMOBILE/DOPO AVER PRESO IL GIRO… parafrasando il Manzoni. Il tutto in gran segreto perchè anche i forti devono avere la giusta prudenza. Ma al sabato sera nelle veementi discussioni a qualcuno scappò detto qualcosa, qualcuno furtivamente si introdusse in casa mia sempre aperta giorno e notte. Alla domenica eravamo a casa perchè Siracusa è in BASSAITALIA e la corsa che si svolgeva a Rimini delle 175 non era importante anche se la Plymouth fece egregiamente il suo lavoro anche in quella circostanza. Al pomeriggio alla radio calcio e ciclismo, ciclismo e calcio non riuscimmo a sapere niente. Andai anche nel circolo dei Comunisti dove mi era vietato l’ingresso come nipote del “prete”, ma il “prete” vi andava a giocare a carte e rubava spudoratamente e guardai da fuori per vedere la televisione. Niente di niente. Bisogna dire che la televisione in paese l’avevano solo i Comunisti notoriamente poveri e questo per la comprensione e il circolo era il covo dei guzzisti e ancora per la comprensione del divieto al nipote mentre mio zio per la prudenza che la chiesa deve avere nel dirimere le cose più importanti era solo tifoso di Alano! Alle sei a circoli deserti perchè a quell’ora si mangiava, andai col papiro arrotolato nell’altro circolo dei repubblicani, dove in una stanzetta si riunivano i gileristi per decidere in segreto le punizioni corporali da dare ai guzzisti. Quel circolo era abbastanza agnostico perchè era “bipartisan” e prima o poi capitavano anche i guzzisti dell’altro circolo, anche i guzzisti di fede marxista perchè la barista era chiamata “patacca di ferro”, bella da morire e si sa che questo fa sparire anche le divisioni politiche. Lasciai il papiro arrotolato sotto il banco della patacca di ferro perchè c’era solo la barista, ci provai con lei per l’ennesima volta e per l’ennesima volta andò buca e andai a mangiare. Ritornai nel circolo subito perchè “dai” comunisti, naturalmente… “attaccati” alla chiesa, non veniva nessun suono e quindi era buon segno. E’ vero che quando vi passai davanti il silenzio era troppo ma non capii e andai “dai” repubblicani e entrai in fretta per fare il mio lavoro di attacchino. PRIMO mi arrivò in faccia il papiro arrotolato e straordinariamente pesante perchè pieno di sterco SECONDO pacche dappertutto TERZO pernacchie e insulti vari di prete falso da parte dei guzzisti comunisti, gli altri si limitavano ai soliti insulti normali perchè i repubblicani erano al governo con la DC. I due capi del guzzismo, persone altolocate perchè uno era il farmacista e l’altro il ragioniere del comune, non si potevano abbassare a livello della plebe mi guardarono con sorrisi sardonici: mio padre, appena arrivato da Rimini, si limitò a dire “i mi boch a mandet ai studi” i miei soldi per mandarti a studiare! facendomi così capire di essere guzzista mentre di solito diceva di essere agnostico; forse perchè nella Plymouth entravano tutti e durante i viaggi l’auto traballava dalle botte che si davano e traballava poi anche la piccola gradinata in legno autocostruita e automontata da un falegname di fede gilerista. Solo il fratello di Fracul non si accorgeva che ballava perchè dopo un’ora era ubriaco fradicio ed era andato a dormire sotto il trabiccolo. Quando era finita la corsa e il falegname gilerista aveva smontato la gradinata da solo perchè aveva paura che gli altri gli rovinassero il capolavoro, Fracul lo andava a svegliare perchè era ora di partenza; invariabilmente il fratello gli chiedeva se era l’ora della partenza delle moto! Ritornando a Siracusa era successo che la 8 cilindri aveva vinto dominando e i guzzisti l’avevano saputo via telefono. La guidava Giuseppe Colnago, un bravo corridore ma modesto e riservato e allora gli veniva data normalmente la moto peggiore. Intanto si venivano delineando le nuove prospettive. Bill Lomas (LOMAN l’uomo) che aveva vinto nella 350 nel 55 e 56 fu destinato allo sviluppo della 8 cilindri che avrebbe potuto ribaltare la supremazia Gilera in quella classe, si apriva un buco nella 350 che poteva essere buono per Alano. Nel frattempo seguendo finalmente i consigli dell’amico Lorenzetti che da una vita faceva così, Alano a 49 anni (!) si mise in parte in proprio acquistando la sua Guzzi 350 con una forma di contratto speciale che prevedeva il supporto tecnico della casa. Nel campionato italiano delle 350 fu ripagato con la vittoria abbastanza netta su Liberati che intanto aveva avuto carta bianca dalla Gilera nelle classi 350 e 500 nel mondiale e nel campionato italiano. Fu un anno trionfale per Liberati che si aggiudicò il mondiale della 500 classe regina. Alano nel mondiale non poteva sobbarcarsi l’onere organizzativo per correre colla sua macchina e restava a disposizione della Guzzi e quindi non era cambiato niente. RIPOSO, RIENTRA FRACUL. Nell’ultima gara de campionato italiano Montanari colla sua 350 mono (come diceva il ragioniere) battè ancora nettamente Liberati colla 4 cilindri Gilera. Io guardavo la televisione dai comunisti perchè la F.G.C.I. del paese aveva fatto una mezza rivoluzione e gli anziani soccombettero e quindi zio e nipote fecero il primo compromesso storico d’Italia! All’arrivo della corsa sento una pacca nella schiena e chi poteva essere se non Fracul? Te vest che Muscoun lè mei cne Pateta (Hai visto che Montanari è migliore di Liberati “Patata” per la forma del naso)? Io già lo sapevo ma essendo Gilerista non lo potevo dire e ribattei: “Si ma Patata è campione del mondo… ” E allora Fracul: “Perchè Patata cos’è? non è forse italiano? E allora se Alano è il migliore degli italiani, sarà più migliore di Patata!” E allora io tagliai corto dicendo che io e Giorgio avevamo avuto l’idea di fare una grande festa in onore di Montanari e che sarebbe venuta un casino di gente importante. Fracul ci pensò un po’ e poi chiese: “Dove fate questa festa?” Io pronto: “nel cinema dei Repubblicani” che già aveva avuto l’onore di organizzare grandi veglioni come Notte a Venezia e Notturno Hawaiano! E allora Fracul ” Vengo anch’io!” e un “compagno” dell’alta aristocrazia: “Verranno persone importanti e tu con la tuta sporca che ti fa la notte da pigiama…. valà non sai che ci vuole il frac?” e Fracul pronto: “Io mi chiamo Fracul, mi levo il cul e resto in frac!” Finito l’intervallo fraculesco. Noi speravamo che Alano avesse carta bianca nel mondiale 350, ma Carlo Guzzi preferì ingaggiare Keith Campbell al suo posto. Questo australiano giovane, bravo e molto aggressivo, correva indifferentemente con le auto e le moto ed era affidabile; in romagna fu sicuramente il corridore più odiato dai guzzisti e segretamente dai gileristi che però si mostravano apparentemente indifferenti. Fu il primo fra gli australiani a vincere un mondiale e finalmente i malauguri contro di lui ebbero effetto almeno per una volta perchè in vista della prova mondiale di Monza si fratturò, penso in modo non grave perchè l’unica gara che saltò fu quella. Ma Montanari si era fratturato anche lui 15 giorni prima ad una gamba ed era ingessato. Fracul che vedeva Alano espatriato a Sesto San Giovanni solo ogni tanto, fece “cappella” per piangere calde lacrime imprecando all’ennesima sfortuna assieme al fratello Luis che se non capiva il motivo di questa “piangeria” era perchè era sempre ubriaco, non per questo però lesinava il suo appoggio morale al fratello. Ma… RULLO DI TAMBURI… MONTANARI DOPO 10 GIORNI naturalmente con il suo punteruolo si era tolto il gesso, era andato da Carlo Guzzi a dargli la sua disponibilità facendo finta di stare bene ma la gamba gli faceva male e non poco; tra l’altro Alano era quasi sempre stato claudicante perchè si fratturava la gamba, si tirava via il gesso, la gamba non era guarita e si rifratturava con niente e poi ricominciava di nuovo il ciclo. Guzzi probabilmente non era convinto ma se il più fedele dei suoi scudieri gli assicurava l’appoggio allora poteva stare sicuro! Quando si seppe in paese si radunarono gruppi bipartisan tutti accomunati dalla gioia e i guzzisti accolsero fra loro anche Miglin che aveva tradito la causa qualche anno prima; stanco di pagare casse di birra perse in scommesse tutte le domeniche sera, passò alla Gilera e ufficializzò il suo passaggio, in piedi sopra un tavolo del bar con un discorso che restò celebre. Cominciava: “Popolo di Macerone e paesi limitrofi Gattolino, Capannaguzzo, Ponte del Cucco fino ai confini estremi della repubblica della Romagna, (Pausa di 10 interminabili secondi) ho pazientato abbastanza! Ora basta! Comunico uffucialmente… ecc. ecc.” discorso che avevo scritto io e dovevo stare vicino al tavolo a fargli da suggeritore perchè non riusci a impararlo a memoria. Ma Miglin restò fedele ad Alano che assistette divertito alla sua “conversione”. Mio zio prete stava dicendo la messa e allora gli fu bisbigliato in un orecchio dal ragioniere; per avvertirlo entrò in chiesa la prima volta dopo il giorno del matrimonio, era il momento della comunione, si mise in fila e quando” toccò” a lui gli diede la notizia e poi rifiutò l’ostia benedetta salvando così il suo onore di anticlericale. Fu organizzato il viaggio, lo si preparò con cura, davanti nella Plymouth con mio babbo Fracul (non pagante) suo fratello (non pagante ma che doveva portare il vino per tutti) e il Gig siccome era piccolo accanto a Luis e andava bene perchè erano parenti dal momento che Luis e la moglie del Gig ecc… ma Pilusain, soprannome di mio padre, li guardò tranquillo impegnati nella loro logistica e poi alla fine disse che era impegnato sabato e domenica con matrimoni. Allora Giorgio ad Prazain, già citato studente di ingegneria che era diventato il mio amico del cuore dopo la partenza di Cesare a Sesto San Giovanni, mi propose di andare in treno ed avemmo il netto rifiuto dei genitori perchè era il momento degli esami e “dovevamo” studiare. Io naturalmente ero interessato alle moto, Giorgio era poco interessato alle moto ma molto molto alla figlia di Muscoun e attraverso una telefonata a lei andammo ospiti da Montanari a Sesto. Pur perpetrando un furto nelle cassette delle elemosine in chiesa, non riuscii a trovare quasi niente forse perchè prima era passato mio fratello. VI SPIEGO: Mio zio prete come tutti i piloti pionieri anche potenziali disprezzava il denaro, anche quando diventò monsignore presidente della Curia, non ebbe in dote nessun podere. Chi doveva assegnare i poderi ai parroci? Il presidente della curia! Ma lui, per non far dire alla gente che si approfittava dell’incarico, non se ne assegnò neanche uno! Più tardi sì, uno solo in montagna che non lo voleva nessuno e però lo diede in gestione al Consiglio parrocchiale che con i proventi restaurò il teatro e costruì il bar parrocchiale. Allora lo zio che si faceva pagare le messe poco, aveva solo un piccolo stipendio chiamata Congrua che era una miseria e era di fatto quindi non congrua; perciò non ne avrebbe avuto abbastanza per sé e per il mantenimento della chiesa e quindi quando tornava a casa mio babbo colla Plymouth “incamerava”. Mio padre era andato sposo molto giovane alla sorella del prete nubile anzianotta sperando nel detto che in casa del prete c’è sempre il pane; così quando la Plymouth non andava imprecava anche per la doppia fregatura ed essendo molto giovane era praticamente il quinto fratello; anche lui, se “perdeva” la messa restava senza cena anche se aveva un’urgenza e con l’ambulanza Plymouth doveva portare la gente sempre a Bologna e sempre per il detto che per affogarsi ci vuole dell’acqua! Quando mio padre protestava timidamente mio zio diceva che per stare dalla parte del sicuro c’era sempre la messa delle 6 e mio padre doveva abbozzare perchè spesso tornava tardi il sabato sera quando la Plymouth benedetta da Dio era prenotata in segreto per andare in te casain, nel casino a Forlì e allora mio padre dichiarava al fisco pretesco di essere andato a Cesena così lucrava extra perchè Forlì era molto più distante. Poi i professori della clinica universitaria qualcosa gli davano e anche il dott. Bisulli padrone della clinica S. Lorenzino “contribuiva agli extra” perchè mio padre aveva a disposizione un vasto bacino di possibili pazienti e lui “conosceva bene tutti i dottori” e quindi la gente si fidava di lui per cui faceva un doppiolavoro. Mio zio pensava che anche gli altri disprezzassero il denaro e allora era superipertirchiissimo e anzi non si mangiava neanche perchè “ne uccide più la gola che la spada” e mio fratello che non accettava il fatto e forse preferiva morire di spada ma a pancia piena andava a bestemmiare nel gabinetto e salvava la sua buona “lomina” reputazione da tenere cara per quando ci si arrangiava andando in chiesa a perpetrare qualche furto sacrilego. Io avevo scoperto il segreto di mio zio che fermava le cassette dell’elemosina con una vite da sotto non visibile ma si sa che la fame agguzza l’ingegno e della scoperta ne feci partecipe il fratello più giovane, bello come un angelo e all’apparenza buono come un angelo. Come sempre la generosità non paga e forse mio fratello aveva più fame di me e aveva il vantaggio della buona lomina e allora i miei furti erano modesti, saggiamente modesti per via della bacchetta di canna d’india, mentre mio fratello razziava tutto. Allora mio zio quando tornava dalla chiesa a mani vuote calmo col sigaro in bocca senza parlare mi infliggeva la giusta punizione che era maggiore di quella del sottoscala. Io non protestavo ma non ritenevo giusta la punizione 1) perchè mio fratello con i proventi mangiava 5 paste al bar e io due 2) io ero stato picchiato per colpa sua 3) perchè le 5 paste necessarie capisco per la sua soprvvivenza erano merito mio. In silenzio quindi pure io “incantonavo” mettevo in un angolo l’angioletto e pugni nei fianchi fino a stancarmi. Mio fratello in silenzio prendeva la sua razione e si sentiva solo la voce di mia madre calma perchè era nel rito sacro della sfoglia che diceva: “parchè de tot chi casel a che burdel?” perche dai tutti quei pugni a quel bambino? e non ricevendo risposta continuava nel suo dovere forse comprendendo che si trattava di una regolazione di conti fra uomini. Penso che sarò perdonato anche perchè avevo con le mie orecchie sentito mio zio infervorato dire che i poveri hanno anche il diritto di rubare; se non era vero e se Dio non farà i conti giusti lo farò presente. Mio fratello, morto l’anno scorso, più colpevole, sarà in Purgatorio per un po’ e questo mi sembra giusto! Mio zio se avrà fatto il purgatorio per la bugia riguardante i poveri, gli sta bene anche a lui! Tutta questa storia per spiegare al colto e all’inclito perchè Giorgio e io, presi dal sacro fuoco di due amori diversi ma entrambi grandi facemmo tutto il viaggio nella toilette del treno e la Mimma preventivamente avvertita venne a pagare il taxi che prendemmo alla Stazione. Così la sera prima del giorno fatidico ebbi la conferma che l’amico del cuore era amato! Giorgio era riservato e aveva taciuto mentre io che ero scarsissimo nello sport della femmina, quando riuscivo a baciare con la lingua una ragazza, la facevo aspettare un poco con una scusa e correvo nel bar a raccontarlo e l’amico del cuore dell’interregno fra Cesare e Giogio mi faceva tutto serio e annuendo colla testa: “Te dla doga” Hai della classe! Quando entrammo in casa Alano e Cesare mangiavano, Alano ci fece un cenno di saluto e un sorriso e con la mano ci pregò di sedere, Cesare ci diede un’occhiata distratta perchè naturalmente della grande fratellanza che ci unì e che doveva essere cementata dalla comunione delle bacchettate non ci era rimasto niente. E pensare che, quando decisi di andare in Seminario, Cesare che era stato in chiesa solo al battesimo e la notte di Natale per aiutarmi col mantice delll’organo, subito decise di venire anche lui con me e ci pensò il Ghilin a metterlo sulla giusta strada “perchè non voleva morire 10 anni prima da e guai dal dolore”; già che c’era stata quella storia del fratello “prete”… La Mimma come tutte le donne prima del matrimonio non mangiò e di solito non è l’amore che le porta a questo ma l’istinto atavico ereditato dalle madri e dalle nonne dal momento che una volta il fidanzato povero quando vedeva la morosa mangiare molto ci pensava su due volte a sposarla; una volta tutti erano poveri e per giunta… non avevano neanche i soldi! Poi dopo sposate, le donne sì che mangiavano! Noi andammo a letto subito stanchissimi e nauseabondi dall’odore della toilette del treno e più tardi la Mimma ci portò da mangiare in camera e da un piccolo gesto affettuoso ebbi un’ulteriore conferma dell’idillio. Giorgio dormì beato perchè per lui si avverava un sogno e anch’io beato, presago del grande giorno che sarebbe venuto!

QUARTA PARTE: IL GRANDE GIORNO

La domenica mattina 10 settembre 1957 ci alzammo tutti presto. Cesare era andato via con il motore e un suo amico che speravo fosse bravo come il precedente amico; Giorgio e la Mimma forse vennero alla corse da soli col bus o forse rimasero a casa. Questo proprio non lo ricordo, non vorrei maliziare e il mio dubbio non è mai stato sciolto dall’interessata e lo riferisco perchè se rimasero a casa da soli il tutto poi non ebbe importanza perchè più tardi convolarono a giuste nozze. Io e Alano andammo al circuito in silenzio forse perchè io ero gilerista o forse perchè era normale per lui. Lo guardavo e lo vedevo “carico” per il fatto che al sabato aveva stracciato tutti nelle prove ma però non potevo manifestare apertamente la mia gioia per via della mia ” fede”. Mi fece avere il biglietto omaggio per il “prato” e andai come al solito alla curva di Lesmo vicina a quella del Porfido che come tutti sanno immette sul rettilineo del traguardo. Lì vi trovai il farmacista coi due figli piccoli e il Ragioniere assieme ad una combriccola di bolognesi fra i quali c’era Gigi il meccanico di Alano quando correva da “isolato” e che era veramente un genio e un corridore di nome Patrignani che diceva sempre dell’emozione che aveva avuto “nello stringere la mano al grande Montanari” l’anno prima al Giro d’Italia motoclistico, vinto da Muscoun colla Ducati. Riferisco questo fatto perchè significa la grande stima di tutti i piloti per un corridore che aveva vinto pochissimo, molto meno di quello che meritava, ma era già un mito. Il ragioniere gran bugiardo e gran mangiatore era con suo parente di Milano e durante la 125, l’intervallo e la 250 aveva “fatto fuori” 19 delle 20 “rosette” con prosciutto che avevano con loro e aveva lasciato “per compassione” la ventesima al suo parente. In compenso nell’intervallo, sdraiato sull’erba, a bocca aperta, fu ulteriormente rimpinzato dai due figli del farmacista con chili d’uva comprata in loco. Poi arrivò il grande momento aspettato per anni. Con la Guzzi c’era anche il buon Colnago, con le Gilera c’era Liberati già in testa al mondiale delle 500 e Mc Intyre con le 4 cilindri, Surtees con la M.V. colla quale vinse poi diversi campionati del mondo e poi uno stuolo di altri “privati”. In tutto partirono in 22… in verità solo 21. Si partiva a spinta e Alano per il dolore alla gamba riuscì a mettere in moto il motore dopo 12 secondi. Quasi alla fine del primo giro passò davanti a tutti Mc Intyre (macintre) che aveva sostituito Duke nella 350 e tutti gli altri e alla fine staccatissimo Montanari. Noi eravamo tutti costernati, senza parola eccetto il farmacista anche lui verde in faccia ma proferiva: “questa è la volta che si ammazza, io lo conosco…” Noi lo vedemmo incarognito perchè fece la curva come un pazzo e io di corsa feci quei dieci metri necessari per vederlo nel Porfido. Così tutta la gara, lui andava sempre più veloce ma anch’io di corsa facevo quei 10 m.sempre più veloce. La curva di Lesmo è bellissima, adatta a chi vuol sorpassare e lo vedemmo stracciare prima tutti i privati e poi pian piano Colnago, poi Surtees e Liberati in quella curva. Davanti c’era Mc Intyre protetto da Liberati che non potè fare niente. Pian piano il distacco diminuiva 5 secondi, il giro dopo 4 secondi fino a quando a poco più di un giro dalla fine si accodò a Mc Intyre e fra Lesmo e il Porfido lo vidi rialzarsi perchè aveva rotto il cambiò! Come mi avessero ammazzato un genitore! Penso che mio zio mi avrà perdonato per tutte le bestemmie che dissi nel ritornare dagli amici; infatti quando raccontarono a lui il fatto non fece una piega e penso che non abbia dormito un mese per il dolore “più grande della sua vita”. Mia madre tutte le mattine tornava dalla sua stanza e mi parlava del nugolo di mozziconi di di sigari che vi aveva trovato. Noi corremmo di corsa al traguardo e vedemmo Mc Intyre svenire sul podio per la tensione perchè le segnalazioni gli davano Alano avvicinarsi sempre più e poi lo volle come covincitore sul podio, con lui che si scherniva. Io non ho più visto una corsa come quella dal 1957 fino al 2008! Dopo 20 anni il mitico cronista dello Stadio, De Deo Ceccarelli, a un lettore che gli chiedeva quale gara, secondo lui, era stata la più bella e la più emozionante del 900 rispose:” Senza dubbio la 350 a Monza il 10 settembre del 1957″ e la risposta fu più lunga di un articolo! Tutto il tripudio della fine corsa fu tanto grande che la gara delle 500 partì con 15 minuti di ritardo e noi ci rinfrancammo e io ripresi un poco il self control da… gilerista. Col farmacista ritornai a casa di Alano, a Sesto S. Giovanni commentando col ragioniere e dicendo che Carlo Guzzi avrebbe sicuramente capito per il futuro cosa era giusto che facesse. Il ragioniere mi disse che non l’aveva capito dopo la gara di campionato italiano di Ravenna dove Liberati era in testa perchè la 4 cilindri Gilera, messa finalmente a punto, era velocissima. Caddero poche gocce d’acqua e Alano in pochi giri recuperò lo svantaggio e vinse. Corse quella volta anche anche nelle 500 colla 8 cilindri e in testa volle spingere forte e cadde in una curva. Il farmacista non parlò perchè era ancora affranto, ma arrivato a casa fu consolato da Montanari che considerava “normale” la sua corsa. Poi invitò tutti a mangiare e il ragioniere disse una battuta, all’invito, che fu celebre: “l’è mei chet compra un caputin a Cesarino” “E’ meglio che tu compri un cappottino a Cesare!”. Poi restarono e il ragioniere non mangiò molto dopo i 19 panini e l’uva della giornata. Giorgio e la Mimma gli chiesero, conoscendolo, se stava poco bene e lui, schermendosi: “A voi che a mondo ui aresta un po ad baioc pre caputin ad Cesarino” “Voglio che ad Edmondo gli restino un poco di soldi per il cappottino di Cesare”. Montanari, sapendo della mia fede gilerista, mi chiese se secondo me, se non avesse rotto il cambio, avrebbe vinto e io risposi subito: “si al 100%” e contento azzardò: Ti e dispiaciuto che io abbia rotto?” e io ” Si, tanto” ma poi ricordando i sorrisi sardonici del ragioniere e del farmacista nell'”affaire” papiro aggiunsi: viva sempre e comunque Gilera! Lui ci rimase male ma poi giunti al rito del caffè me lo portò lui con un sorriso facendomi capire che mi aveva perdonato, perchè lui era così. Agli altri lo portò la Mimma con una furtiva carezza a Giorgio sempre e comunque smentita dall’interessata. Il campionato mondiale lo vinse Campbell con tre vittorie e il resto della stagione fu apppannaggio della 4 cilindri Gilera eccetto che… a Monza dove vinse ma fu dominata da un quarantanovenne rabberciato da 40 fratture! Il ragioniere in piedi appoggiato al banco del bar col bicchiere di Sangiovese in mano ha descritto per un mese la corsa una volta dicendo che era in una curva e il giorno dopo era stato in un’altra curva con delle invenzioni mirabolanti, ma dovevamo ascoltarlo seri perchè se si accorgeva che sghignazzavamo, erano guai. Una volta raccontò che in Africa (dove non era mai stato) il suo tenente si lanciò fuori dalla trincea urlando “All’attacco” e prese una velocità tale che una granata gli staccò di netto la testa e lui colla spinta che aveva percorse altri cento metri. Fracul allora tutto serio gli disse:” si vede che si accorse solo allora che non aveva più la testa, sennò (altrimenti) se non se ne accorgeva, avrebbe fatto in tempo a ammazzare una divisione di inglesi” L’altro infervorato: “me l’hai tolto dalla bocca!”; tutti eravamo corsi fuori a ridere. Ma quando parlava di una mangiata pantagruelica che aveva fatto, dopo Monza, io gli ho sempre creduto. Alla fine di settembre noi gileristi avevamo chiuso i battenti, parecchi di noi avevamo fatto il passaggio alla Guzzi che comunque aveva perso le caratteristiche di marca; Guzzi voleva dire Montanari e quindi avevamo scelto il binomio non inscindibile. C’era però sempre l’ammirazione per Liberati e la 4 cilindri Gilera con la loro supremazia netta nella 500. Rimase praticamente uno solo ad essere gilerista Ligio ad Bigiain ex mio fidato scudiero, già da qualche mese diffidato da tutti noi perchè ebbe una storia poco bella con Alano. Quando Alano tornò dalla corsa vinta a Ravenna nel bar chiese a Eligio: “Sarai pur contento che ha vinto un tuo compaesano!” La risposta ci fece inorridire: “No, io voglio che vinca sempre la Gilera anche quando ci sei tu!” Alano, da quella persona semplice che era ci rimase male ma poi dopo 5 minuti, parlandogli, gli sorrise come prima. LUI ERA COSI’.

QUINTA PARTE: LA FINE

I nostri sogni, segreti per i gileristi e manifesti per i guzzisti, si stavano avverando. Campbell aveva il contratto di un anno e non faceva più paura. Ma la sfiga che ci vede benissimo continuò a fare egregiamente il suo lavoro. Infatti le case italiane si ritirarono improvvisamente dal mondiale e in un comunicato congiunto della fine del 1957, Gilera, Guzzi e Mondial scrissero che era inutile continuare a correre perchè tutto era stato inventato e confermato nella moto. Avevano ragione in parte perchè concettualmente è verissimo dal momento che la 8 cilindri Guzzi è stato sì il monumento ad un mondo che stava per morire, ma è andato oltre perchè come idea non è stata più superata. Da allora solo la componentistica cioè la parte che riguarda tutti i componenti della moto ha fatto passi da gigante come i materiali che ora arrivano anche a sfruttare le innovazioni aerospaziali, ma le moto concettualmente sono sempre le stesse. I giapponesi si sono subito appropriati delle ultime innovazioni della Gilera e hanno sviluppato quel progetto. Restò a correre delle marche italiane la sola M.V., che a sua volta aveva copiato la Gilera, assieme alla Ducati e alla Benelli, le ultime due non con una presenza costante. La verità che non viene mai detta nei comunicati ufficiali è che i costi erano diventati troppo gravosi e ancora non c’erano gli sponsor a dare una grossissima mano ai costruttori. I maghi della pubblicità si sono accorti poi che una scritta sui pantaloni di un pilota è più “visibile” di una pagina di un quotidiano che “vive” un giorno solo e non viene neanche guardata. Ora la pubblicità resta in eterno nelle foto che teniamo in casa dei nostri campioni preferiti. Bisogna dire che il motociclismo italiano in gran parte morì ma da vincitore mentre gli inglesi erano morti sul campo sconfitti dalla nostra supremazia. Carcano non si ritirò e fece in tempo a creare moto per la Polizia e l’Esercito, non volle andare alla M.V. e la sua incompiuta 8 cilindri è rimasta nei musei e ogni tanto viene tirata fuori nei motoraduni dove stupisce ancora. Stupisce di più ancora che nessuno abbia provato a portare avanti quel progetto; in fondo l’uomo non è poi quella creatura intelligente che crede di essere. Carcano si ritirò all’età canonica, aveva dimenticato le corse ma continuò a lavorare fino alla morte, a 95 anni, nel 2005. Nel suo cassetto è rimasto un progetto di una moto che con le ultime innovazioni del diesel avrebbe permesso alla polizia di girare un mese con un pieno di gasolio! Alano contnuò a correre colla sua vecchia 350 che continuava ad andare per la bravura di Gigi, vinse a 50 anni diverse corse fra le quali la famosa Coppa d’ Oro Shell a Imola sotto la pioggia battente. QUI FRACUL FECE IL NUMERO PIU’ GRANDE. Sapemmo che aveva deciso di passare allo stato di schiavitù sposando la Paciavina. Io mi misi in ginocchio davanti a lui dicendo in italiano, perchè il momento era solenne, che per noi era la fine della nostra giovinezza. Lui sorridendo ci tranquillizzò e fece le prenotazioni per la Plymouth per sé per suo fratello e per la Paciavina. Alla mattina si sposò alla “famosa” messa delle 6, ma un rinfreschino e poi andare al cimitero com’era di norma, partimmo un po’ tardi per il viaggio di nozze a Imola “per” le corse. Allora io spinsi al massimo la Plymouth colla Paciavina che mi urlava: “Sa sit Nuvolari?” Cosa sei Nuvolari? col risultato che essendo le strade ancora molto dissestate i 10 bottiglioni di vino si ruppero. Disastro colla Paciavina ancora con i capelli dritti per la paura e Luis ad Fracul a piangere per il vino! Allora lo sposo prese gli ombrelli e portò la Paciavina a fare un giro e non si vide più fino a sera. All’ora di partenza arrivarono in stato pietoso perchè avevano fatto nei campi sotto l’acqua 4 volte il giro del circuito! Durante il ritorno Fracul spiegò che aveva sempre sentito le mogli degli altri lamentarsi perchè i mariti andavano “via” senza loro; siccome voleva essere un buon marito aveva cominciato a fare il contrario degli altri fin dal giorno del matrimonio. Poi aggiuse: Domenica dove si va? Tre posti prenotati per me, Luis e la Paciavina! Lei urlava “No no no!” Lui insisteva ancora e lei per tutto il viaggio a dire “NO! NO! Faccio il Divorzio!” FRACUL ERA COSI’ Avemmo una bella prima prima parte dell’anno, ritornavamo vittoriosi e così dimenticammo il dispiacere che ci era stato causato dal ritiro delle 3 grandi case. L’unica cosa che era cambiata per Alano era il suo numero di corsa che prima era il 71 e poi divenne il 41. Aveva voluto sempre il 71 perchè è il contrario del 17, numero che lui odiava essendo superstizioso. Alla fine di luglio ebbe un incidente con l’auto e “cappottò” sotto l’acqua per non investire un’autoambulanza nella quale fu caricato e portato all’ospedale dove gli fecero un busto di gesso perchè si era rotto delle costole. Naturalmente dopo qualche giorno col punteruolo si tolse il gesso per correre e cadde facendosi male ad una spalla strisciando sull’asfalto ma lui come al solito non ci fece caso. Per giunta da tempo si era infettato un grosso foruncolo, probabilmente una fistola, che gli dava fastidio ma non se ne curò. La sera del 6 Agosto fece una mangiata di pesce con gli amici e ritornò a casa che non stava bene e subito gli venne una febbre altissima, con dolori lancinanti per tutto il corpo e fu portato all’ospedale Bufalini di Cesena, dove, ennesima enorme sfortuna, l’assistenza medica era molto insufficiente per via del Ferragosto. Non si è mai capito quale causa ha scatenato l’evento, forse le costole rotte che avevano leso qualcosa, poi la caduta che aveva acuito la lesione interna, forse il pesce avariato, forse l’infezione del foruncolo che provocò setticemia ma probabilmente tutto fu concausa ed anche l’incuria all’ospedale. Il 17 sera stava molto male ma continuava a far coraggio agli altri dicendo: Se arrivo a mezzanotte non ho più la maledizione del 17 e me la cavo. Invece morì alle 11.30 del 17 Agosto 1958. I due grandi pionieri del motociclismo sono morti così, Tenni forse perchè quel giorno non era presente Carcano, Montanari per una serie di maledette circostanze dopo che per tutta la vita, anche per colpa sua, non ebbe quel riscontro che la sua enorme bravura avrebbe potuto avere. Mio padre morì poco dopo, poi la laurea e LA VITA! Per 7 anni mi disinteressai delle corse e tutte le volte che andavo al cimitero e vedevo il monumento di Alano rimpiangevo di non essermi affezionato a lui in vita. La sua morte e quella di mio padre segnarono la fine della mia giovinezza.

EPILOGO

Questa sciocchezzuola è stata scritto in Marocco nel mese di gennaio 2009. Non ho quindi consultato testi e tutto è venuto fuori dai ricordi che man mano si sono affollati. Eccetto le correzioni ortografiche lo lascerò così colle imperfezioni storiche che possono esservi. In queste notti ho sognato almeno 10 volte tutti gli eroi del motociclismo che sfilavano davanti a Dio con tute bianche immacolate e in testa Montanari e Tenni ma poi guardavo bene e 10 cm avanti a tutti c’era Montanari Alano Edmondo detto Muscoun.!

 

Bellerofonte

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Foto e testo di Alberto Sala

 

IN QUALSIASI LUOGO E IN QUALSIASI MOMENTO, DENTRO I VOSTRI SOGNI.

C’è uno spazio particolare deputato da ognuno di noi per collocare i propri voli più arditi e segreti, un luogo che in rare occasioni visitiamo durante il giorno, spesso neppure la notte, dipende. Dipende dalla luna, da come è stata la giornata, da come ci addormentiamo, da quanto sappiamo isolarci per cercarlo. E neppure tutti i nostri sogni vi entrano, che siano a occhi più o meno aperti. Solo alcuni. Solo alcuni escono dalla banalità, dalla materia fisica e dal ricordo nitido, solo alcuni si fanno semplici ed essenziali, lievi come una brezza ma rivelatrici più di ogni altra cosa del nostro mondo più nascosto, e per questo terribilmente attraente. Nascosto perchè talvolta così intimo da aver paura anche del suo padrone, paura che non sia il momento adatto per recepirlo, per assimilarlo, per seguirlo decisi fino in fondo. Si fanno vivi solo quando sono certi di essere ascoltati e visti con l’esaltazione vivissima della rivelazione.

Spesso nascono da spunti del tutto inattesi; a volte è un immagine colta sfogliando altro che funge da scintilla dirompente in un deposito di esplosivi. Nel caso di FIlippo Barbacane è stata una pagina di Freeway sulle Board Track a scatenare tutto, a concretizzare qualcosa che stava già vagando senza definizione precisa nella sua mente, nel limbo.

E quando hai nitida la rivelazione diventi attivo come ventiquattro fulmini e non conosci altro che la tua creatura che sta materializzandosi, veloce, in fretta, prima che sia troppo tardi,

prima che la purezza venga ‘inquinata’ dal successivo, eccessivo, raziocinio.

bellerofonte Filippo Barbacane Moto Guzzi

Così il creatore di altri capolavori a nome Firestarter Garage, per venti intensi giorni (e notti) ha saldato, recuperato, tagliato, sagomato, assemblato il suo sogno, appena in tempo per la sua consacrazione a Padova, al Bike Expo Show cogliendo un meritato primo premio (ex equo).

Bellerofonte, una Board Track rude dal sapore di ferro e di petrolio, memoria degli anni ’20,

quando le moto non sapevano neppure che esistessero i freni, quando la sfida era motorizzare un telaio di bicicletta e lanciarsi su paurosi ovali in legno inclinati a 60 gradi, così quasi a mani nude. Bellerofonte, una moto lunga un sogno, slanciata come un levriero teso nel suo scatto agile e leggero, arcuata come una randa di bolina cazzata a ferro per stare sul filo sottilissimo della raffica…

bellerofonte Filippo Barbacane Moto Guzzi

Entare nei dettagli sui materiali usati è esercizio utile alla conferma della sana genialità di Filippo, applicata nella ricerca di elementi semplici, poveri, o addirittura di pezzi ‘riciclati’ come il pomello del cambio proveniente da un treno, o il manubrio tolto da un espositore per parabrezza; come non rimanere stupiti del pedale del freno, somigliante a un infernale zoccolo di Lucifero tanto da aver paura di scottarsi ad azionarlo, o del cilindro tra i pistoni raggruppante tutti gli odiosi ammenicoli elettrici a guisa di barilotto di San Bernardo?

bellerofonte Filippo Barbacane Moto Guzzi

Dal creatore del Cyclope, il V11 più stupefacente del globo guzzista, e della Kimera, altra creatura sensuale su telaio Ghezzi & Brian, ci giunge questo spettacolo affascinante, conferma di un talento fuori dal comune, irrequieto e instancabile nel percorrere e materializzare i suoi sogni (o incubi?), e chissà a cosa starà dando forma ora, mente leggete questo articolo…

GALLERY

 

Etiopia

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Spedizione Africa Italiana

di MotoClub Alfa-Centauri Salento

 

La spedizione motociclistica in Etiopia, svoltasi dal 28 dicembre 2010 all’11 gennaio 2011 si è conclusa felicemente, lasciando in tutti partecipanti un patrimonio di emozioni e ricordi che rimarranno indelebili.

 

Giunto il 29 dicembre nella capitale etiopica il gruppo, composto da 11 persone, dopo avere disimpegnato le formalità burocratiche e doganali relative allo sdoganamento delle 7 Moto Guzzi STELVIO e il noleggio di 2 jeep ed un camion di appoggio con i relativi autisti, nonché una guida turistica, nel pomeriggio del 29 dicembre 2010 è stato ricevuto presso l’Ambasciata d’Italia da S.E. Ambasciatore Renzo Rosso, che ha rinnovato la squisita ospitalità anche la sera dell’11 gennaio 2011 prima della partenza dal suolo etiope.

Abbiamo percorso un anello di quasi tremila chilometri che da Addis Abeba, attraverso gli splendidi panorami degli altopiani etiopi solcati da fiumi che hanno scavato valli e gole spettacolari, ci ha fatto toccare le storiche città di Macallé, Adigrat, Aksum  – situata nella regione del Tigrè, antichissima capitale dell’omonimo regno famosa per la presenza delle celeberrime steli e della chiesa di Nostra Signora di Sion che custodirebbe l’Arca dell’Alleanza contenente le Tavole della Legge su cui sono scritti i 10 Comandamenti portati da Mosè –, i Monti Simien – con vette di oltre 4500 m, i cui spettacolari pinnacoli che fronteggiano i precipizi fanno sì che questo paesaggio sia stato paragonato per maestosità al Grand Canyon americano –, Gondar  – vecchia capitale imperiale dell’Etiopia che ancora conserva il Palazzo imperiale nelle cui vicinanze vi è la località di Culqualber e sulle cui alture nel novembre del 1941 si immolarono stoicamente i Carabinieri del 1° Gruppo Mobilitato nel tentativo di fermare l’avanzata delle truppe britanniche nell’Africa Orientale –, Lalibela (Foto 36) – famosa per le 11 chiese rupestri tutte scavate nella roccia tufacea costruite senza muratura, né pietre né legnami e collegate tra loro da cunicoli ove abbiamo assistito alle antichissime cerimonie del Natale copto (queste ultime quattro località sono state riconosciute dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità), Bahir Dar con il lago Tana (Foto 37) e le sorgenti del Nilo Azzurro (Foto 38 e 39).


Le sette Moto Guzzi Stelvio 1200 4V protagoniste della spedizione, strettamente di serie (eccettuato lo scarico sportivo AP racing) ed equipaggiate con gli ottimi pneumatici tassellati Metzeler Karoo “T” gentilmente offertici dalla Casa di Mandello del Lario unitamente ad una serie di utili accessori (set di borse d’alluminio, protezioni paramotore, paramani, paracoppa dell’olio, paracardano e manopole riscaldate), si sono comportate egregiamente sugli impegnativi sterrati di montagna (si pensi che sui Monti Simien abbiamo raggiunto la quota di 3740 m. s.l.m.), dimostrandosi sicure ed affidabili anche nelle più proibitive condizioni di utilizzo, tanto che alcun guasto si è verificato se si eccettua soltanto la rottura di un motorino d’avviamento (dovuta al pulsante d’accensione rimasto bloccato dalla polvere) e della molla del cambio (dovuta ad una caduta).
Desideriamo, pertanto, ringraziare la Casa costruttrice Moto Guzzi anche per l’abbigliamento personalizzato fornitoci tramite la “Spark”, per le belle grafiche dedicate realizzate dal Centro Stile Moto Guzzi e per l’assistenza tecnica garantitaci tramite il concessionario salentino Arturo Valentini di Maglie (Lecce), che ci ha dimostrato una straordinaria disponibilità, accompagnandoci personalmente in tutto il viaggio ed assicurandoci la sua preziosa collaborazione anche per la preparazione e messa a punto delle moto.
Soprattutto siamo particolarmente felici anche per essere riusciti a raggiungere – come ci ripromettevamo – l’ospedale pediatrico di Awasa (in località Bushulo a 270 km a sud di Addis Abeba , ove abbiamo consegnato al missionario Don Leonardo D’Alessandro, alias “Abba Leo”, la somma di quasi ventimila euro da noi raccolta sia attraverso la rappresentazione teatrale organizzata al Teatro Politeama di Lecce il 3 dicembre 2010 con la Compagnia “La Busacca” di Francesco Piccolo, sia attraverso ulteriori donazioni dell’imprenditore Vittorio Marra (che ha direttamente donato diecimila dollari) e del professionista Daniele Garzia (che ha direttamente donato mille euro).

AnimaGuzzista Racconti Spedizione Africa Italiana040_039 Nel ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’impresa, desideriamo, infine, sottolineare che ciascuno dei partecipanti (compreso il concessionario Moto Guzzi Arturo Valentini) ha interamente pagato di tasca propria il viaggio al Tour Operator Avventure nel Mondo di Roma (che attraverso il professionale referente etiope Greenland ci ha garantito i voli aerei, i mezzi d’appoggio e l’intera logistica) e che ciascuno dei sette motociclisti ha preventivamente acquistato il mezzo utilizzato per la spedizione. Tanto per sgomberare il campo da alcune ingenerose critiche formulate in rete da parte di chi, evidentemente non informato, ipotizzava una strumentalizzazione della missione umanitaria per fare un viaggio gratis. Semmai è vero il contrario: ciascuno di noi ha sostenuto un personale sforzo economico per compiere un viaggio che ha perseguito, con successo, una prioritaria finalità umanitaria che sarà proseguita con una grande raccolta di vestiario in corso d’organizzazione ed altri eventi di beneficienza programmati per il 2011.
L’itinerario e le fotografie della spedizione saranno disponibili sul sito del ns Motoclub www.alfacentauri.eu

I partecipanti: Maurizio Saso, Gennaro Ventriglia, Arturo Valentini, Franco Romei, Piero Lorenzoni, Umberto Saso, Marco Micelli, Antonio Miggiano, Giuseppe Calò, Marcello e Gaia Apollonio.

uinterparti 2010

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Gallery AlcideX

Gallery Arianna

Gallery Monza

 

LucaF

appena tornato dalla cena, burp!
bellissima serata, burp!
all’anno prossimo, burp!
ora mi vado a prendere un alka seltzer!
saluti
luca

ps: per chi non c’era, vi siete persi una bellissima novità motociclistica, in anteprima mondiale!!!
ps2: e che bello rivedere tante brutte facce! e prendere il libro di jejo!
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Pralina

Appena tornati..
Che mondo sarebbe senza Uinterparty!? (E senza il Tatuato?? )
Vi voglio bene! E’ sempre un piacere rivedervi!

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Calidreaming

Il Uinterparty se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
Vi voglio bene ragazzi.
Ciauz

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BeppeTitanium

per chi non c’era:
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…zzi vostri !!!

punto

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Totogigi

Grazie a tutti i partecipanti, la serata è stata *piuttosto* notevole… Goffredo, Fra e Enrico con la band si sono proprio superati. Grazie anche ai Millepercento per la grande anteprima di Alba (mi spiace per il grande lavoro di ripulitura dopo le sbavate), grazie a Alberto e al resto dello staff di Agostini e al Moto Guzzi Club Mandello per l’ospitalità a pranzo moolto gradita!

E’ stato un grande spettacolo. Minchitudo loop

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valtertre

Grazie

Goffredo,sei un grande artista

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Master

Rientrato dal treesimo Uinter che dire siete tutti fantastici………. Alba una vera sportiva…….Enrico ogni anno migliora qualcosina con la chitarra invece Goffredo è stratosferico veramente un ringraziamento al presidente e la sua compagna che organizzano eventi indimenticabili e un abbraccio a tutte le Anime

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Califoggiano

Che serata…
Grandi tutti!

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Cipo

va bè dai verde a parte che sono 3 anni che ci vado a mangiare e mi sembra che il menu sia sempre lo stesso.
per tutto il resto siete fantasticamente fantastici!
grazie all’organizzazione di AG che ci ha fatto passare una bellissima serata con le canzoni nuove e vecchie; poi ovviamente noi anime ci abbiamo messo del nostro per rendere il tutto fantastico.
vedere i vecchi amici e conoscere quelli nuovi non ha prezzo… per tutto il resto c’è moto guzzi.

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JackalG

Bellissima giornata!!

Tra i primi ad arrivare sabato mattina e alle 9:30 gia’ in sella a provare (per l’ennesima volta) la Stelvio

Grande ospitalita’ del Moto Guzzi Club Mandello…adoro quella club house.

Il Conc. Agostini e’ stato un ottimo ritrovo dove parlare, conoscere e rivedere vecchi amici!

Sarata al Ristoguzzi Al verde veramente al Top. Band, minchitudo, Alba, compagnia…insomma tutto.
Non dimentichero’ mai le pogate e sopratutto le “lesbicate” cor Tatuato.

Anche il rientro in moto alle 3 di notte sotto la pioggia ha avuto il suo fascino…

Grazie AG!

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Tonirag

Ciao bella gentaccia,

sono da poco rientrato… ah no, sono ancora a Mandello, al Verde,

domattina mi metto in marcia e riparto verso la capitale…

Oggi nonostante la gran pioggia oggi io e Katy ci siamo regalati un bel giro del lago,

soffermandoci a Bellagio (era d’obbligo per me), Lecco e Como.

Pur essendo venuto in auto, grazie ad Agostini ho potuto fare un giro sulla nuova Stelvio

quattro valvole, grandissimo ferro con un gran motore (tacci suoi quanto spinge…),

“peccato” (puramente retorico) che ho già la Bellagio….

Anche stavolta l’incontro è stato una gran figata, sono contento di avervi

rivisto tutti.

Alla prossima

Toni

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nuradler

Ciao a tutti gli amici Guzzisti, al mio primo Uinterparty che dire ,semplicemente fantastico, il clima Guzzistico la cordialita’ tra amici nuovi e conosciuti, l’armonia e lo spirito da veri appassionati dell’aquila non ha prezzo ,ragazzi a detta di tutti è stato bellissimo.

Un enorme grazie allo staff

Grazie a tutti
Un grosso ciao a tutti, volevo ringraziare per la bellissima cena al lume di “CANDELA” passata in compagnia di
Cipo, Diegodelson, Califoggiano, Tonirag. Sono stata fortunata ,tutti bei ragazzi!!!!
Grazie anche a Katy per la compagnia .
Spero di rivedervi presto, ciao Lella e company.
Ps
aquila nera aspetta colletta di gruppo

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Goffredo

arriverà un report come si deve tra breve… Perchè di cose da ricordare ce ne sono…

per ora un banalissimo ma, mannaggia alla zozza, sincerissimo grazie a tutti.

Ailoviu, tenchiuuuuuuu

G.

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Chiaucese

Bello bello, see you on Kirghizistan!

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Lupastro

Sì ve ne approfittate perchè io non c’ero.
Come dice che c’ero?
….minkia sì che c’ero!
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Irongate

il treesimo e’ stato il migliore .

fare meglio per il cuartesimo sara’ difficile , pero’ io ho molta fiducia e sono sicuro che ce la possiamo fare

dovrebbe durare un settimana il uinterparti per poter dedicare a tutti tutto il tempo che meritano:

in ordine sparso:

il professor Santacatterina e’ ufficialmente il mio chitarrista preferito,

la tribu’ di Walter e’ bellissima

il tatuaggio del tatuato ha scelto uno dei supporti migliori che c’erano in giro.

la versione di Alba esposta e’ la migliore che si sia mai vista

i torinesi con Sam e il Lanz meriterebbero un ‘altro uinterparti per poterne godere con calma

il Valix e Loredana toccano i massimi livelli di gradevolezza umana consentiti
ultimo ma piu’ importante:
no Agentewilma ? no party! (grazie di “quore” a tutti quelli che si sono sbattuti)

dimentico qualcuno ,mir, lupastro ,il Califoggiano ,il Cipo , Master …….. e chissa quanti altri , davvero non ce la si fa : siamo troppi.

grazie

nik Cinzia e Otto

p.s. mi scuso ancora con la ragazza che e’ cascata inciampando nel mio pastore talebano infuriato con il barboncino ti assicuro che di solito sono piu’ attento e mi rendo conto di non essere stato sufficentemente sul pezzo , spero solo che, come mi e’ sembrato , tu stia bene e mi farebbe piacere averne una conferma.
—-
MIR

Bellaserata, divertente come sempre, grazie a voi x la visita al motoclub, e alla compagnia.
fabry mgcm

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Dieguzzi

Grazie a tutti per la splendida serata!
Risate e cibo a più non posso!
Guzzirock e tutta la Santacatterina Mitic Band…siete fantastici.
Un particolare ringraziamento al Team Motoeuropa per averci ospitato al tavolo e in particolare del particolare a Licio33 per la carrambata con Valerio.

 

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giancarloessezeta

Ripresicisi,

dopo una domenica di riposo ed un lunedì di ri-riposo.

E’ il momento di dire un GRAZIE dal profondo di due cuori!

Anna e Giancarlo

p.s.: ma quando inizia il prossimo?

 

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Samside

Io quest’anno non ho bevuto niente, fuori pioveva e non ho trombato nè con il Tatuato nè con Lupastro.

Si, una pomiciata alla cipolla in agrodolce col Lanz, ma a parte questo non mi sono divertito per niente.

E Goffredo con la chitarra fa schifo.

E la Nevada non c’ha la sesta.

E se non ci foste bisognerebbe inventarvi.

Vi amo tutti.
Nik un po’ di più perchè chiama le sue moto ispirandosi a me. Anche quando le chiama “Cinghiale”.

 

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Ape Maia

Dal momento in cui abbiamo rischiato di cenare in piedi siamo a ringraziare solo il tavolo di Motoeuropa per l’ospitalità

Scherziamo ringraziamo tutti quanti per la bella serata

 

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Olimpino

avete visto che ho fatto il bravo stavolta?
Serata indimenticabile, come tutti i giorni che passo con voi di AG del resto.
Si conferma la qualità di minchitudo di tutto il grupp

siamo i migliuori!

 

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Macio

Dove eravamo rimasti?
Ah sì.. immagini fugaci di chitarre, bimbi che si addormentano in braccio, sigari cubani, pioggia, calore, non solo emotivo…
Grazie a tutti…. e vorrei vedere un’alba rossa prossimamente…

 

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nedo

mi sono divertito un fottìo…l’unica cosa è che mi aspettavo Ruby Rubacuori in camera ed invece è arrivato motopesantista!

 

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MarcoB

voglio l’alba… bianca.. sexy
saluto chi nn ho salutato.. ma nn ero in forma sabato..

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Licio 33

Che dire?
Io mi sono divertito veramente tanto
Dopo attenta ed autocritica visione del video deciderò se ripropormi in veste di cantautore

Grazie a tutti per i pietosi applausi

 

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Tatuato

cosa dire… il uinterparti era partito male… mi avvertono che goffredo forse non riusciva a partire… mi dicono:”senza Goffredo non si può fare… disdiciamo tutto… er Tatuato e bono come spalla ma senza Goffredo non si può fare”… fanculo alla spalla io so un grande… poi arrivo e vedo che Goffrdo c’è… e sabato mi accorgo che effettivamente senza goffredo il uinterparti non si può fare… ma come si può pensare di fare un uinterparti senza Francesca, la sua voce e la sua mimica… come fare senza Clauidio il regista e le mie figure di merde solite(Claudio se stai leggendo sei un bastardo come Goff e Francesca)… come fare senza Rosella, impossibile organizzare… senza alberto e la sua eleganza, quest’anno non ho visto nessun piagiamino strano… persino Olimpino, che pensavo potevamo sostituire come ogni anno con un cartonato, invece l’ho visto sotto una luce diversa, a dir la verità dopo dei racconti notturni direi che l’ho visto sotto un COLORE diverso… senza 1/3 di Walter e famiglia impossibile(l’artri du 2/3 de walter so persi)… senza Bruschetta che ride ad ogni mia minchiata, ti dico che esistono delle cure… senza la band, così bravi da far sembrare capace di suonare anche Goffredo… senza Nello che dopo un viaggio in macchina con lui il paralelissmo universale e la teoria del cungiugimento astrale sono dei concetti da elementari… senza Agostini che ci ospita… senza quelli del 1000% che fanno provare a me la BB1, a me, non potete capire… senza il comandante che prova la BB1 “Faccio solo un giretto corto”… dopo 40 minuti… ar telefono… “me so perso veniteme a pià”… “dove sei???”… “NON LO SOOOOOO”… senza Calidreaming e il suo perenne sorriso e buon umore e della sua famiglia… senza le famiglie Licini, due grandi e due mogli PIU’ grandi, che è riuscito a presentare anche un corista con le palle, le canzoni non credevo ma erano belle veramente… Lupastro regista da film porno ma con una cultura da parura, troppa cultura… senza Mir il Cuoco… senza Marcello, Antonella e Andrea che ha più muscoli de Macio… senza il pulman dei moto europa arrivati anche con gli spandieratori de cori, pure ar bagno annavano tutti insieme… Senza Piero e moglie cor telefono :”ma non è il mio che squilla”… senza er Monza con la serie piccola… senza Vanni e famiglia… senza tutto quel sesso che aumenta esponenzialmente ad ogni bevuta… senza tutti quelli che ogni anno conosco di nuovo e rincontro e non ricordo i nomi ma le faccie non le dimentico… ma più de tutto senza tutti noi di AG il uinterparti sarebbero le solite GMG der cazzo…

P.S. Una sola cosa… possiamo smetterla di usare il Tatuato come cojone della comitiva???
Ho deciso che da quest’anno rilancio la mia immagine e il prossimo untirparti sarò Tatuato l’INTELETTUALE

GRAZIE DI CUORE A TUTTI… questi momenti di danno la forza per andare avanti

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AlcideX

Gran bella serata davvero, grazie a tutti/e.
Ed anche il resto della giornata non è stato niente male
Finalmente ho associato dei visi a dei nomi noti…certo in qualche caso sarebbe stato meglio di no, però…
Ed a parte certa gente convinta di saper suonare, e che ha rovinato un ottimo trio, ed altra di saper cantare (San Modugno proteggici tu) mi sono proprio divertito.

Qui’ qualche miserabile foto, a breve (spero) un paio di video a confermare la mia frase di sopra

 

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Valigiaio

Grazie a tutti!
Bellissimo incontro! Bellissima serata!

E’ stato bello poter collegare ai nomi anche i visi! Tutti simpatici e piacevolissimi!
Califoggiano, Samside, Walter (e gruppo), il Presidente, Olimpino, il Tatuato(!), Mir, il cortesissimo Calidreamnig!, le ragazze tutte!, il ben trovato Lupastro e tanti altri!!
Un grazie speciale per Cinzia e Nicola per la bellissima compagnia (che contiamo di replicare presto).
Un saluto allo Scola che mi sopporta da secoli! (ma anch’io sopporto lui! )

Il cruccio è di non essere riuscito a salutarvi tutti!
Ma l’occasione certamente non mancherà!

Un abbraccio dal Valigiaio

 

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bruschetta

Ragazzi… posso solo dire GRAZIE!!! … soprattutto perchè quest’anno il Uinterparti non è stato fatto il sabato della settimana dell’Eicma e finalmente ho potuto partecipare anche io!!!
Posso dire che siete fantastici????
E’ stata una serata meravigliosa, peccato mi abbiano portato via prima dei “balli”, ma è solo colpa mia che mi ostino ad andare in giro con il gruppo “sono vecchio dentro” della MPC… (mi sto giocando il posto di lavoro)….. ma la prossima edizione sarò automunita!
Grazie anche per il premio Anima Guzzista….grande soddisfazione!!!
E come dice Goffredo…
Tenchiuuuuu

PS x Tatuato: sono stata troppo felice di vederti dopo ben 4 anni… e ti garantisco che non c’è cura… con te mi diverto troppo!!!… ma ti voglio dire una cosa con il ruolo da intellettuale faresti ancora più ridere… pensaci bene prima di cambiare!
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Legnone

Leggo da postazione provvisoria in quel d’abruzzo, viaggio ch non mi ha consentito di partecipare al mio 1° UP.
Non mi ero privato, però, di una capatina in quel di mandello il venerdì sera, alla presenza delle avanguArdie (e che avanguardie!) e già lì
Che simpatia; pur conoscendo il solo Tonirag non mi sono sentito affatto fuori posto.
Gente incredibile, come del resto qualcuno mi aveva già descritto.
Al prossimo anno, non ci sarà nula che tenga …. PRESENTE!

 

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Pietro

anche per me breve apparizione venerdì sera …. un saluto a tutti quelli che hanno festeggiato il sabato
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V-007

Un grosso grassie a tutti, da parte mia e di Paola.

Salutoni a Nedo, Cane, CrazyDiamond, Pralina, ai 3 Santacatterina bros (sempre + granderrimi – chi mi dice quel’era il titolo di quel meraviglioso pezzo di Charlie Mingus che hanno suonato?), Francesca, Goffredo e Tatuato e tutti quelli di cui mi sto scordando.

Ho scoperto anche di avere un quasi gemello, cioè Samside.
Non so se è una buona cosa ma tant’è…
Nota di colore:
ho portato via a forza di capocciate almeno un etto di intonaco dal soffitto della “suite imperiale” (nome ufficiale, non me lo sono inventato) ovvero la stanza 22 del Verde.

Credo prenda questo nome dopo che vi soggiornò Vittorio Emanuele III (che era anche imperatore d’Etiopia), alto un metro ed uno sputo e che non stampava il cranio contro il soffitto ogni 20 secondi.

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Paolino

Volevo ringraziare lo Staff di Anima Guzzista per la bellissima targa che mi è stata consegnata ieri sera da Max Mantovani, veramente una piacevole e divertente sorpresa!

Farà bella mostra di se sul 1100 Sport vincente in esposizione nella concessionaria.

Mi dispiace molto non essere potuto venire a Mandello, non mancherò la prossima volta!

Paolo Stagi
Moto Guzzi Genova

 

Caffè Nero

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Caffè Nero
 Piccola storia di Anime Guzziste
 di Enrico Verago

Prologo

Mi chiamo Enrico e sono un non più giovane avvocato-centauro di 33 anni.
Ho sempre avuto una sfrenata passione per le moto e da vent’anni ne serbo (almeno) una nel mio garage.
Ho posseduto motociclette ad uno, due e quattro cilindri, di tutte le tipologie e marche: dall’enduro professionale alla maxi tourer, dalla nuda cattiva alla sportiva pistolata da pista.
Mi piacciono molto le Moto Guzzi. La Casa dell’Aquila ha un fascino irresistibile, una storia ineguagliabile ed un blasone da brividi.
Perciò mi sono comprato, nel luglio dell’anno scorso, una rara Moto Guzzi Daytona RS 1000, figlia della passione di un dentista americano per le creature di Mandello e della sua fissa per le corse dedicate alle derivate di serie.
A tutt’oggi, quella moto non sono ancora riuscito a guidarla, ma questa è una storia che racconterò, forse, in un’altra occasione.
Oggi vorrei parlarvi, invece, dell’avventura in cui ci siamo imbarcati io ed il mio socio Massimiliano, detto Acciuga, all’incirca un anno fa e che consiste nella trasformazione, fatta nel garage di casa, con pochi mezzi e tanta buona volontà, di una vecchia e paciosa Moto Guzzi in una cattivissima cafe racer.
Quest’ultimo termine, per chi non lo sapesse, sta ad indicare una tipologia di moto molto in voga negli anni Sessanta. Allora, infatti, si usava spogliare di tutto il superfluo normali moto stradali (spesso mono o bicilindriche inglesi, ma anche italiane e tedesche), per renderle più leggere e performanti e per assecondare i pruriti sportivi degli spesso squattrinati proprietari, che le modificavano personalmente nel proprio garage, per poi ingaggiare epiche sfide sulle strade aperte al traffico. Spesso tali ingarellamenti partivano dai locali di ritrovo dei centauri, tra cui il mitico Ace Cafe di Londra.
Dopo tale doverosa precisazione, diamo inizio al racconto che ripercorre la storia della evoluzione di una Moto Guzzi turistica, per la precisione una T3 850 del 1975, da tranquilla macinatrice di chilometri in fascinosa fuoriserie sportiva.

CAPITOLO PRIMO

La vecchia signora
Tutto cominciò nell’estate del 2008, quando mi trovai ad assistere ad una prova del campionato Endurance per moto d’epoca, nell’infuocato catino di Franciacorta.
Vedere le arzille vecchiette darsele di santa ragione in pista e, soprattutto, sentire il boato gutturale dei bicilindrici Guzzi che competono in quella categoria, mi fece vibrare di emozione.
Subito in me nacque la malsana idea di procurarmi una base mandelliana per una elaborazione in stile Seventies e non avendo i capitali per farne una special da gara e correrci in circuito, decisi di dedicarmi alla preparazione di una sportiva stradale.
Serviva la moto di partenza e quindi mi misi a setacciare la rete.
Qualche tempo dopo riuscii a trovare quello che cercavo. Si trattava di una T3 850, modello da turismo senza troppe pretese, ma dotato del mitico telaio progettato da Lino Tonti, comune alle sportivissime V7 Sport e Le Mans.
Ecco una foto del modello in questione, tratta da una brochure dell’epoca:

caffè nero 2Come si vede, il leggendario bicilindrico a V trasversale raffreddato ad aria era destinato al servizio di una moto tutto sommato tranquilla, votata al turismo a lungo raggio anche in coppia, stabile e ben frenata, poiché dotata dell’ingegnoso sistema di frenatura integrale.
A dire il vero, l’effettiva base di partenza del nostro progetto era a sua volta una sorta di special, in quanto il precedente proprietario aveva modificato il modello di serie per ottenere un mezzo che potremmo definire una custom all’italiana.
Infatti, la sostituzione del serbatoio con uno proveniente da una più moderna Nevada 750 e l’adozione di una sella monoposto di derivazione Nuovo Falcone (!), avevano dato al mezzo una impronta più ammerigana, completata da una vera chicca: l’innesto, sul cannotto originale, di un avantreno estirpato niente meno che da Sua Maestà California, guarnito dai due minacciosi disconi da 320 mm dell’impianto frenante Brembo Serie Oro.
Il materiale grezzo era quindi di ottima qualità, ma, come dimostra l’immagine qui sotto, c’era una infinità di lavoro da fare per giungere al risultato che ci eravamo prefissati…

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A guardar bene, tuttavia, le piacevoli sorprese non erano finite. Il telaio, infatti, era stato sabbiato e verniciato; i pregiati cerchi Borrani a raggi vestivano delle Pirelli Sport Demon nuove di zecca ed il motore beneficiava di un aumento di cilindrata fino a 950 cc, dell’alleggerimento del volano, di cammes più spinte, valvole di derivazione Le Mans e di due bei cornetti liberi all’aspirazione.
L’avventura era cominciata.

CAPITOLO SECONDO

La grotta
Trovata la base adeguata per la special, era necessario decidere dove attrezzare un garage per lavorare con calma al nostro progetto.
La scelta cadeva sulla rimessa dell’appartamento di Massimiliano, poiché il mio garage risultava, per le nostre necessità, troppo piccolo e pieno di carabattole.
Vi era, tuttavia, un particolare inquietante: il garage di Acciuga, in affitto da un arcigno proprietario, era privo di collegamento elettrico, quindi niente luce, freddo glaciale d’inverno e impossibilità di usare utensili che non fossero a pile!
L’inizio dei lavori, quindi, coincideva con una sorta di “discesa nella grotta”, in quell’antro buio da cui, quasi un anno e mezzo dopo, sarebbe uscita la nostra creatura.
Se ci ripenso, ancora oggi batto i denti dal freddo…

caffè nero 4

Ad ogni modo, quando ci sono la passione e l’entusiasmo, niente è impossibile, quindi cominciammo senza indugio lo smontaggio della moto di base, necessario ad un suo accurato esame.
Privata del manubrio California, del serbatoio e della sella monoposto, dei parafanghi e degli orrendi terminali sforacchiati, la Guzzi appariva in tutta la sua razionale bellezza: un motore raffreddato ad aria con una geniale disposizione dei cilindri, incastonato come una pietra preziosa in uno dei telai più efficaci e granitici del motociclismo moderno.
Gli ammortizzatori posteriori, degli onesti Ikon, replica dei Koni dell’epoca, parevano un po’ sottotono se confrontati col magnifico anteriore della California, ma riguardo alla componentistica io ed Acciu avevamo le idee molto chiare: il meglio di tutto, solo prodotti italiani ed in linea con quelle che erano le elaborazioni stradali dell’epoca.
C’era di che fregarsi le mani (e non solo per il freddo polare della grotta…).
Ecco come appariva il nostro mezzo una volta privato delle sovrastrutture e dotato di più sportivi semimanubri, dei Menani color nero opaco.

caffè nero 6caffè nero 6

A questo punto, ovviamente, bisognava cominciare a dare la caccia alle sovrastrutture, quindi cominciammo a battere a tappeto le fiere ed i mercatini d’epoca.
A Novegro, dove periodicamente si svolge una delle manifestazioni di settore più frequentate del Nord Italia, trovammo molte delle cose che cercavamo: un serbatoio in vetroresina, replica di quello usato dalle Honda da GP negli anni Sessanta, stretto ed allungato, un codone monoposto, sempre in vetroresina (da modificare nella forma e nella dimensione, per adattarlo perfettamente al nostro telaio) ed un paio di ammortizzatori Ceriani by Paioli, con corpo in ergal ricavato dal pieno e completamente regolabili in idraulica e precarico (con molla bianca, una vera chicca…).
Con una grezza passata di vernice spray, i pezzi erano pronti per essere appoggiati sul telaio nudo, per cominciare ad avere una vaga idea del possibile risultato finale.
Ecco una immagine, che già permette di individuare le prime modifiche fatte alla vetroresina ed i “tagli” ai pezzi originali che stavano per essere eseguiti.

caffè nero 7

Il faro ed i relativi supporti, in questa fase, sono ancora quelli originali della California; manca poi del tutto la strumentazione e gli ammortizzatori sono ancora gli Ikon montati al momento dell’acquisto della moto di base. Anche i collettori sono ancora gli originali di provenienza T3, mentre le pedane di serie (orrende) sono state smontate e relegate nel dimenticatoio…

Il lavoro sulle sovrastrutture è stato lungo ed affidato all’estro ed alle capacità di Acciuga, vero maestro della vetroresina, che pian piano ha plasmato il codone di base per cercare di giungere all’idea che entrambi avevamo in testa.
Nel frattempo, io mi dedicavo al reperimento degli altri accessori necessari all’affinamento della special: un bel faro cromato e dei meravigliosi supporti ricavati dal pieno in alluminio arrivavano quindi ad ornare l’anteriore della belva.
Giusto per intuirne l’ingombro, le nostre prove estetiche utilizzavano anche una agghiacciante sella di cartone, appoggiata lì, giusto per immaginare “come potrebbe essere”.

caffè nero 8Ci stavamo davvero prendendo gusto…
Arrivò anche il momento di aprire sul serio i cordoni della borsa, per dare una voce consona alla nostra bassotta. Niente di meglio, per restare in tema cafe racer all’italiana, di una bella coppia di cannoni da contraerea, al secolo Lafranconi Competizione, acquistati nuovi di pacca da Stucchi a Mandello.
Con tanto di “elica” rossa posteriore…da perderci la testa!
Nel frattempo, il codone aveva trovato la propria forma pressoché definitiva ed il posteriore poteva ora fregiarsi dei sopraffini ammortizzatori Ceriani.
Si cominciava, in effetti, a ragionare e, visto che l’appetito vien mangiando, riuscii anche a convincere la ditta Tarozzi a confezionarmi delle splendide pedane nero opaco, con i supporti che calzavano alla perfezione sui minacciosi terminali. Oh yeah!
La strumentazione California, poi, munita di supporto modificato, ritrovava il suo posto sulla testa di forcella, munita pure della batteria di spie di serie.

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CAPITOLO TERZO

La luce alla fine del tunnel
Dopo un anno di lavoro, sfruttando in effetti solo una sera a settimana, la nostra special cominciava infine a mostrare la propria linea pressoché definitiva.
Serbatoio e codone risultavano già abbondantemente sgrezzati ed al Bike Expo di Padova avevamo trovato frecce e porta targa adatti al nostro stile. Inoltre, sempre grazie ad Acciu, ora un fianchetto su misura in vetroresina andava a chiudere il vano della triangolazione del telaio, sul lato sinistro.
Occorrevano ancora una buona messa a punto generale, il rifacimento completo dell’impianto elettrico e la sostituzione della maxi pompa freno posteriore. Quest’ultima, sovradimensionata in origine per servire l’impianto frenante integrale, risultava ora inutile sulla bassotta, visti i mostruosi disconi anteriori.
Per fare tutto questo, serviva uno specialista di alto livello e noi ci siamo rivolti ad uno dei migliori, il mitico Marcello Muraro di Murri Factory, nel ferrarese.
Ecco le foto della piccola la sera prima della partenza per la “clinica”: sovrastrutture grezze ormai complete, anteriore caratterizzato da un groviglio di tubi e cavi fuori misura ed una miriade di particolari che richiedevano mani esperte per l’assemblaggio definitivo.
Il lavoro fatto, comunque, ci rendeva orgogliosi e già si scatenavano accese discussioni per arrivare alla decisione definitiva riguardo i colori e le grafiche da utilizzare per la verniciatura finale.
Nel nostro peregrinare fra fiere, manifestazioni e mostre scambio, avevamo rintracciato il nome di un bravissimo painter che si sarebbe occupato di fregi ed aerografie, mentre i maestri artigiani a cui affidare la sella racing su misura avevano il loro atelier a non più di dieci chilometri dal nostro garage.
Evvai!
La moto era bella ed essenziale, la linea pulita e cattiva, da vera bassotta arrabbiata e la componentistica era veramente di alto livello e, come fortemente voluto fin dall’inizio, tutta italiana (compresi i blocchetti elettrici al manubrio e le manopole, tutto della Domino-Tommaselli).

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CAPITOLO QUARTO

La belva è fuori
Appena tornata la guzzona dall’atelier di Marcello per la messa a punto e l’assemblaggio finale, bisognava far realizzare una sella monoposto per il codone, che fosse racing il giusto e che avesse quel tocco di aggressivo e retrò che ci serviva.
Optammo per una soluzione estremamente sottile ed in due pezzi, con una struttura a cannelloni trasversali e tappezzata con un materiale antiscivolo resistente e dall’aspetto “tecnico”.
A quel punto la belva era pronta per essere rismontata ed inviata a pezzi dal painter per la verniciatura finale.

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Le tubazioni freno nuove e della giusta lunghezza ed il cablaggio ordinato del nuovo impianto elettrico contribuivano senz’altro ad amplificare la sensazione di pulizia e leggerezza dell’anteriore che, comunque, nella versione definitiva e street-legal, avrebbe beneficiato del montaggio di un bel paio di specchi cromati (molto poco racing ma obbligatori per circolare su strada) e di un parafango anteriore.
Quest’ultimo, preso a prestito dalla Moto Guzzi Bellagio, avrebbe avuto il pregio di usare gli attacchi originali California, pur essendo notevolmente più corto, basso, snello e filante.

Insomma, c’eravamo quasi, anche se i piccoli particolari da sistemare (all’apparenza quasi insignificanti, ma ai quali noi tenevamo molto) erano ancora tantissimi.
Ma i risultati del lungo lavoro erano ormai davanti ai nostri occhi…oh yeah!

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CAPITOLO QUINTO

Epilogo
Il giorno in cui io e Massimiliano ci siamo recati a Treviso per ritirare i pezzi della special finalmente verniciati e rifiniti, c’era nell’aria una certa eccitazione, che non venne smorzata nemmeno dal conto astronomico che il pur bravo artigiano ci metteva sotto il naso.
A questo punto si trattava solo di organizzare l’assemblaggio finale e per far questo dovevamo prepararci al meglio.
La nostra officina, quindi, venne spostata nel garage di casa mia, dal quale erano state sfrattate tutte le carabattole che lo ingombravano, compresa la mia cara Mini Cooper, che certo non ha gradito di essere spodestata nella mia classifica di gradimento.
Il momento era topico quindi, radunati i migliori strumenti ed attrezzi, illuminato il luogo di lavoro con potenti neon ed indossati i guanti bianchi, ci mettemmo al lavoro con la massima concentrazione, in modo che ogni particolare risultasse perfettamente assemblato, che ogni vite fosse accuratamente lucidata nonché serrata alla coppia corretta e che tutto funzionasse a dovere.
Dopo diverse ore di “sala operatoria”, spalmate su diverse settimane a causa dei nostri impegni lavorativi (che ci obbligavano, come di consueto, a ritrovarci solo per un po’ la sera, dopo cena), la bassotta era finalmente pronta.
Con le mani tremanti per l’emozione ed il cuore gonfio di orgoglio, ci siamo riempiti gli occhi della sua maestosa sportività, del suo essere classica ed aggressiva insieme ed abbiamo deliziato le nostre orecchie col suono profondo e molto Seventies dei suoi Lafranconi RC. Che sballo!
Finalmente era finita. Era come l’avevamo sognata. Era perfetta. Ed era qualcosa di unico e tutto nostro.
Non riesco a non usare toni un po’ retorici (quasi epici, in effetti…), ma l’intima soddisfazione di creare qualcosa a tua immagine e somiglianza, che incarni i tuoi desideri ed il tuo gusto estetico è qualcosa che risulta molto difficile da spiegare a parole.
Il fatto che io e Massimiliano avessimo una esperienza tutto sommato limitata riguardo ad interventi di tale portata su moto del genere, ci ha resi ancora più euforici per il risultato raggiunto, per certi versi superiore ad ogni nostra più rosea aspettativa.
E, cosa forse ancora più importante, ci ha permesso di investire il nostro tempo e le nostre energie in qualcosa che ci appassionava e stimolava veramente, avendo la possibilità di condividere una avventura che ci ha impegnato tanto quanto ci ha divertito.
Il primo giro di prova, necessario per verificare che tutto funzionasse a puntino, è stata una emozione fortissima: la moto ha un gran motore, pastoso, potente e ricco di coppia.
I carburatori originali e l’accensione modificata (con l’eliminazione delle puntine e l’adozione della centralina elettronica) hanno donato all’erogazione della potenza una invidiabile regolarità, in questo aiutati dal certosino alleggerimento del volano e dalla più favorevole fluidodinamica, garantita dai pistoni ad alta compressione uniti alle valvole maggiorate.
La forcella California, così come gli ammortizzatori Ceriani, sono risultati perfettamente a punto e magnificamente accordati fra loro (grazie Marcello…), conferendo alla moto un assetto rigido e coerente, privo di eccessivi trasferimenti di carico, ma al contempo pronto ad assorbire le asperità del manto stradale.
La frenata, complici i Bremboni Serie Oro anteriori è risultata letteralmente mostruosa, con spazi di frenata degni di moto molto più moderne.
Il sound dei Lafranconi, poi, gratifica e fa rabbrividire di piacere, con una sonorità baritonale d’altri tempi.
Che moto ragazzi!!
La strumentazione leggermente rialzata, infine, permette addirittura di deviare sopra le spalle del pilota buona parte della pressione aerodinamica fino ai 130 indicati, garantendo pure una certa comodità.
Del resto, l’assetto in sella, moderatamente disteso in avanti, coi polsi poco caricati e le pedane giustamente alte ed arretrate, non risulta nemmeno troppo estremo, consentendo senza troppi patemi (se non per la sella non proprio da turistica…) un utilizzo quotidiano. Ecco qualche foto che testimonia il risultato di tanto lavoro:

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Scusate se mi sono dilungato un po’, ma sentivo il bisogno di condividere con altri appassionati la nostra piccola
storia di anime guzziste.
L’Aquila vola!

Viaggio in Turchia

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di Filippo Barbacane

 

Tre i punti salienti del “trip” che ci aspetta:

Niente GPS, gingilli vari e ne cartine geografiche così saremo costretti a improvvisare, sbagliare, domandare e quindi avere contatti con la gente del posto
Uno scopo ben preciso, magari un po’ assurdo, ma comunque una meta, in questo caso fare un volo in mongolfiera sulla Cappadocia.
Nessuna prenotazione, nessun albergo, punto preciso, campeggio, orario, scadenza,ecc niente di niente solo asfalto e strada da percorrere.
E’ lunedì 21 luglio 2010, il tempo inclemente ci aspetta, una pioggia fitta e intransigente è lì pronta con lo scopo di piegarci, ma noi non ci spezzeremo, siamo abituati a ben altro.

Nonostante l’acqua impietosa abbiamo un sorriso ebete stampato sulla faccia, ci aspettano 2 paesi, più di 5000km e una certa incertezza in cosa incontreremo.

Il traghetto a Brindisi lo raggiungiamo umidi e bagnati, con temperature più autunnali che estive, ma alla fine il grosso vocione dell’omone greco che ci inveisce contro per caricare le moto nel traghetto ci fa solo sorridere e preparare alla traversata di una notte in una cabina che definirla tale è già tanto.

Si sbarca in Grecia a Igumenitsa, tempo meteorologico a prima vista buono con grosse nuvole all’orizzonte che poco ci preoccupano, un vecchio siciliano trapiantato in Grecia ci tiene compagnia durante la colazione con i suoi ricordi della terra natia, gente simpatica i Greci, una faccia una razza come si dice.

Scegliamo di non fare l’autostrada ma le strade di montagna, bellissime, ottimo asfalto, fino a che non comincia a piovere su di un passo montano, a un tratto sembra di stare più in Irlanda d’inverno che in Grecia d’estate, non riesco neanche a fermarmi per cogliere qualche ottimo scatto tale è il freddo e la bruma che mi impedisce di vedere la cima degli alberi.

Un autista pazzo su di un grosso autobus ci passa a 10 cm a più di 100 all’ora sorpassando i piena curva le auto e i tir che procedono a passo d’uomo, una scena terrificate, sembrava la scena del film Speed dove il pullman non poteva fermarsi altrimenti esplodeva, una delle cose più assurde mai viste su strada in tutta la nostra vita.

La meta di oggi è il confine Turco ma con questo tempo ci rendiamo conto che non è fattibile fare 900km, anche se alla fine ne faremo 750, così ci fermiamo ad Alessandropulos, bruttina città della Grecia a dispetto del suo nome altisonante, non senza aver preso 2 km prima dell’arrivo una grandinata di grossa qualità.

In questo viaggio abbiamo già capito alla fine del primo giorno che la pioggia sarà una costante, ma allo stesso tempo che sarà direttamente proporzionale al nostro divertimento.

Il bello di un viaggio realizzato così in piena libertà è quello di cambiare piano quando e come si vuole, così invece di puntare verso la Cappadocia, viste anche le previsioni, cambiamo completamente giro invertendolo al 100% e puntiamo verso Istanbul.

L’arrivo in città è stordente, assordante, inquietante, allucinante.

U n gigantesco serpente di asfalto a 5 corsi per lato sale e scende dalle colline scoprendo a volte il mare a volte giganteschi palazzi dozzinali, con l’onnipresente interminabile fila di auto incolonnate che con la luce del tramonto rimanda più a scene da Highway americana che dell’ est del mondo.

Gente che attraversa l’autostrada con pacchi in mano, altri che scendono al volo dagli autobus per rifugiarsi sotto i ponti di cemento armato a far la polvere aspettando un ennesimo e scassato pulmino che li carichi di nuovo.

I prossimi tre giorni li dedicheremo a Costantinopoli(Istanbul) con quasi 15 milioni di abitanti, il terzo centro municipale più popoloso del mondo e la seconda area metropolitana più popolosa d’Europa, dopo Mosca.

Una metropoli molto simile alle altre sparse per il globo ma sicuramente con un profilo unico, così scavato nell’acqua, con lo stretto del Bosforo che divide l’Europa dall’Asia, città di confine, di passaggio che fa viaggiare la fantasia in modo unico.

I tre giorni a Istanbul ci vedono alla scoperta della città, io sempre con la macchina fotografica in mano e questa volta anche la videocamera, così interessato questa volta a realizzare anche un reportage video del viaggio.

Le cose da vedere sono tante anche se naturalmente visto il tempo ci concentriamo su quelle più conosciute come la Sultanahmet camii (Moschea Blu), Hagia Sophia (Basilica di Santa Sofia), il Palazzo Topkapi( Porta del Cannone).

Si incontrano più Italiani che Turchi e la cosa scazza un po’, sogniamo già l’Anatolia centrale e la Kappadokia, come si chiama in lingua Turca.

Però ci aspetta un ultima cosa nella città una volta nota come Bisanzio e Costantinopoli, un lungo trattamento all’Haman più antico della metropoli, con quasi 500 anni di storia.

Veniamo accolti nel camekan(ingresso) da grezzi e rudi omoni in asciugamano che ci invitano ad entrare nel bagno Turco attraverso il sogukluk(stanza di transizione) con 50° di temperatura e infine nell’hararet una stanza con pianta circolare e al centro un grosso ripiano di travertino dove una volta sdraiati ti scrostano violentemente e energicamente tutta la rumenta che hai addosso, e dopo una bella secchiata di acqua fredda ti danno pure un paio di schiaffoni ben assestati sulla schiena, roba da uomini duri, forse!

Alla fine come da consueto un bel tè ci aspetta fuori, dove spauriti turisti inglesi e americani stanno per entrare a farsi sbattere per bene , accennano sorrisi di condivisione ma in effetti non sembrano poi così a loro agio.

Se sai osservare scovi in Istanbul i due aspetti di questo paese, se non ti lasci trasportare dell’aspetto turistico e dozzinale, riesci a intravedere piccoli scorci di antiche tradizioni, usanze e abitudine antiche di secoli, in pieno contrasto, ma anche convivenza , con l’era moderna, con una città che oramai ha l’aria Europea ma che racchiude in se storie e leggende uniche.

Il giorno della partenza per l’entroterra Turco è denso di aspettative, special modo per l’aspetto meteorologico che fino ad adesso ci ha un po’ deluso.

Carichiamo le moto a bestia, sembriamo due profughi più che motociclisti, ma sappiamo che tra poco passeremo il ponte di Galata sul Bosforo che ci traghetterà dall’Europa all’Asia, che per me ha un sapore speciale in quanto da quel momento potrò dire di aver toccato tutti e 5 i continenti.

E dopo qualche indecisione nel riuscire a raggiungerlo, trovandoci più volte sotto di esso o alla sua sinistra o alla sua destra , riusciamo a cavalcarlo.

Pensare che fu Leonardo Da Vinci il primo a proporre di costruirne uno sul corno d’oro, mettendo addirittura la sua testa in gioco come garanzia della sua riuscita, ma poi il sultano non accettò credendolo impossibile.

Nel 2002 i Norvegesi invece dimostrarono che sarebbe stato possibile il progetto di Leonardo proprio costruendone uno basandosi sui suoi progetti.

Devo dire che è solamente un ponte probabilmente, ma oltre a rimanere colpiti dalle sue dimensioni ciò che ti emoziona maggiormente è il sentire dentro ciò che il suo attraversamento significa, un passaggio in un altro mondo, in un’altra cultura.

Lo attraverso in piedi sulle pedane della moto, è mattino presto, la luce è perfetta, la vista di Istanbul eccezionale, lo scorrere dell’asfalto veloce ma inesauribile.

Alla fine del ponte però ci scontriamo con la realtà burocratica di tutti i giorni, dobbiamo acquistare una carta ricaricabile per poter prendere l’autostrada del costo di ben 45 euro a testa, e la procedura è stata anche lunga e sicuramente non agevolata da un caldo torrido.

Alla fine si parte, direzione Ankara e poi Kappadokia.

Le strade si srotolano come lunghe lingue nere, con rettilinee di decine di km, lunghe curve e poi ancora rettilinei, la musica nelle nostre cuffie ci aiuta a far passare le ore e ci accompagna nel tragitto, riuscendo in qualche modo a rendere il tutto ancor più piacevole,come se il paesaggio fantastico non lo fosse già abbastanza.

Dopo aver passato Ankara, la cui periferia è uno dei paesaggi più tristi, alienanti e demoralizzanti che abbia mai visto.

Una serie di case e palazzi impilati come lego a gruppi definiti e standardizzati, tali da far pensare più a un ghetto che a un quartiere per persone libere.

La attraversiamo velocemente puntando le forcelle verso l’Anatolia centrale, verso verdi pascoli e i laghi centrali.

Il lago Tuz Golu alla nostra destra ci cattura gli occhi che ad una prima rapida occhiata sembrano colti da qualche strana allucinazione, mentre poi quando la strada si fa più radente ai suoi bordi ci rende possibile capire che il lago e di un bianco/rosa scintillante.

E’ un lago salato, dalla superficie enorme lungo 80km e largo 50km, profondo pochi metri sul quale non vi è nulla se non qualche cicogna a sorvolarlo o qualche pecora o vacca a lambirlo in cerca di erba verde.

La luce radente del tramonto in arrivo contribuisce a dargli un aspetto alieno e lontano, per decine di km non facciamo che osservarne la superficie piatta e quasi miracolosamente riflettente, purtroppo si sta facendo buio e il tempo ci traina in avanti verso la nostra destinazione, Goreme, nella Cappadocia.

In diversi momenti avrei voluto/dovuto fermarmi a realizzare qualche scatto, delle donne sedute a terra vicine un carretto di legno a mangiare dei meloni verdi mentre osservavano il tramonto, e un pastore anziano che accompagnava il suo gregge proprio in riva al lago, avrebbero meritato una pausa, un approfondito studio sulle lunghe ombre che la nostra stella proiettava a terra, ma viaggiare in moto vuol dire anche questo, quindi va bene così, porterò certe immagini dentro di me per sempre.

La Cappadocia e alle porte, una regione nel cuore dell’Anatolia centrale dall’aspetto lunare, nella quale una piccola cittadina dal nome di Goreme ci aspetta con le sue case ricavate nella roccia, dallo strano nome di Camini delle Fate.

Oramai è buio, curva dopo curva cerchiamo di non perderci ,anche perché oramai stanchi e sporchi agogniamo il letto e soprattutto una lunga doccia, dopo qualche cartello e qualche deviazioni all’uscita di una curva ci troviamo davanti uno spettacolo unico al mondo, estremo, singolare, inimmaginabile, nessuna foto, nessun racconto può mai rendere l’idea dell’emozione che la città di Goreme può darti alla sua visione.

Le luci calde sparse per la città e puntate verso le rocce adibite a case addirittura dal IV secolo a.C. ti lasciano inebetito, l’intera regione si è tramutata in un incredibile universo rupestre con centinaia e centinaia di costruzioni adibite a chiese, cappelle, monasteri.

Non possiamo far altro che trovare un albergo e riposarci per affrontare al meglio questo nuovo mondo a noi sconosciuto.

La mattinata è fresca e densa di idee su cosa fare e vedere, ma come questo viaggio ci ha insegnato fino ad ora, non puoi mai sapere cosa ti aspetta dietro a una curva e così è stata anche questa volta.

Mentre girovaghiamo in giro per trovare un buon posto dove lasciare le moto per andar a visitare il museo a cielo aperto di Goreme ecco che un ragazzo ci indica uno spiazzo, ma lo fa in italiano.

Tom si era allontanato e nel fra tempo io mi intrattengo a parlare con lui, si chiama Sinan, parla un ottimo italiano ed è una persona affabile e gentile.

Scopro che è la guida turistica dei giri in moto che organizzano le conosciute agenzia di viaggio on line per motociclisti Raid Inside e Moto Orizzonti., non poteva quindi andarci meglio.

Si offre di portarci a fare un giroingiro, tralasciando le turistiche e affollate mete delle decine di pullman che vediamo in giro, ma al contrario di mostrarci siti interessantissimi e unici.

La prima meta è la più antica chiesa scavata nella roccia di tutta la Cappadocia, risalente al XII secolo, priva di decorazioni ma incredibilmente affascinante e raggiungibile in moto attraverso passaggi su sabbia e arbusti taglienti.

La seconda invece è davvero qualcosa di unico, una piccolissima chiesa scavata in un camino delle fate, chiusa al pubblico poiché non ancora restaurata e quindi ancora originale nella sua veridicità, dobbiamo chiedere le chiave del cancello ad una famiglia che vive li vicino e che ne custodisce gelosamente l’ingresso.

Al contrario delle chiese del museo questa non ha colori sgargianti e artificiosi ma sbiaditi e anche danneggiati dagli autoctoni nel tempo, in quanto qui hanno vissuto molte famiglie che l’hanno adibita a loro dimora abituale, tagliando le colonne che limitavano lo spazio e cancellando le immagini degli occhi dai volti di Gesù, apostoli e santi in quando nella religione mussulmana tale rappresentazione non è permessa.

Siamo solo noi seduti dentro questa chiesa, in un silenzio surreale, provando a immaginare chi è passato attraverso queste piccole mura, dai primi Cristiani che le hanno scavate con attrezzi rudimentali con chissà quali fatiche, hai pittori che le hanno decorate con colori così vivi ma così naturali o biologici come si direbbe oggi, ed infine a chi l’ha abitata fino a pochi anni fa, vivendo e convivendo quotidianamente con secoli di storia.

Ci avviamo verso le scalette dell’uscita voltandoci ancora una volta ad osservare qualcosa che probabilmente non vedremo mai più ma che ci ha così affascinato che non scorderemo mai.

Un giro fra i camini delle fate in una zona isolata e sorprendente ci permette di rinfrescarci un attimo ad un improvvisato e inaspettato chiosco di spremute di arance tenuto da un ragazzo e dai suoi due figli che ci guardano un po’ stralunati con le nostre moto.

Dopo tutto questo ci aspetta una bella mangiata in un posto a prima vista tutt’altro che tipico, sembra un autogrill, ma che poi si rivela essere frequentato solo dal gente del posto in pausa pranzo e non da turisti in cerca di “cose tipiche”, e in effetti mangiamo cose squisite.

Sinan è una persona eccezionale, ci racconta con veemenza della bellezza della sua terra, della voglia di costruire un albergo usando solo risorse del luogo, della forza del suo popolo e della voglia di far conoscere la sua cultura a tutto il mondo, e noi non possiamo che condividere tutto questo.

Nel pomeriggio realizzo un sogno forse covato da bambino leggendo tanti libri, percorrere la via della seta in moto, una piccola porzione certamente ma pur sempre rievocativa di storie e racconti leggendari.

Proprio su questo tragitto abbiamo l’occasione di assistere, in un antico rifugio per viaggiatori del 1492 interamente in pietra, una danza mistica e antica di 800 anni eseguita da discepoli di alcune confraternite islamiche sufi, i Dervisci.

Il rituale prevede una danza rotatoria dove la mano sinistra è abbassata verso la terra mentre la mano destra è girata verso il cielo. Il danzatore diviene così il medium tra la terra ed il cielo. Queste danze, secondo i Dervisci Rotanti, sono il loro modo per allontanare la mente da ogni contatto con le cose terrene e per far si che le loro anime si allontanino dai corpi così da potersi riunire a Dio.

E’ un rituale che colpisce molto, la musica in special modo ti porta in uno stato di pace, di tranquillità, la rotazione di queste ampie vesti bianche ti spingono a riflettere su un concetto molto semplice e caro a tutti i popoli del mondo,cioè che tutto gira.

Non è una rappresentazione per turisti come quelle che hanno cercato di venderci nei ristoranti di Istanbul e un po’ ovunque, è reale, infatti ci proibiscono qualsiasi rumore, applauso, fotografia o filmato, questo un po’ mi dispiace ma è giusto così.

Il ritorno in albergo di notte in mezzo alla desolata Cappadocia con piccole luci a illuminare i minuscoli villaggi è anche esso qualcosa di mistico per noi, andiamo a dormire arricchiti sicuramente di qualcosa di speciale e soprattutto com la consapevolezza che l’indomani mattina sarà il momento di portare a termine la meta che ci eravamo prefissati, La Mongolfiera!

La sveglia è alle quattro e trenta, un orario a me sconosciuto normalmente, anche se poi ringrazierò me stesso per lo sforzo fatto.

Ci vengono a prendere i ragazzi della compagnia delle mongolfiere e ci portano sul posto.

Proprio quando arriviamo stanno gonfiando con l’aria calda del bruciatore la mongolfiera, e con nostro immenso stupore notiamo che di mongolfiere ce ne sono a decine, sparse in tutta la vallata, un immagine a dir poco surreale.

Saltiamo dentro il cesto e con pochi gesti degli addetti ci ritroviamo a qualche metro da terra liberi di sorvolare la Cappadocia.

L’emozione è enorme, per tanti anni ho visto documentari su tizi che giravano il mondo in mongolfiera, che attraversavano l’Africa o l’Australia, immaginando quando e se un giorno sarebbe toccato a me, e ora stava succedendo.

Non è facile descrivere le sensazioni in quando è diverso da tutto ciò che uno possa immaginare, poiché la salita è lenta, non adrenalinica come con un aereo, o la discesa come con un paracadute.

Tocchiamo le rocce con le mani e sfioriamo le cime degli alberi con la cesta, per poi salire sempre più su a centinaia di metri di altezza, il posto ideale per scattare centinaia di foto naturalmente.

Dopo qualche ora comincia la discesa e devo dire che non vedo l’ora di avere di nuovo la possibilità di salire sopra una mongolfiera, ovunque ce ne sia una.

La mattina parte bene, almeno meteorologicamente parlano poiché per una volta minacciose nuvole non ci aspettano al risveglio.

La direzione è quella dei laghi centrali per poi arrivare fino alla famosa località di Pammukkale e della città romana di Hierapolis.

Il tragitto è uno dei più belli che abbiamo percorso, per circa la metà del tempo.

Attraversati i laghi le nuvole si fanno minacciose e preventivamente indossiamo le tutte antipioggia, all’inizio è una pioggia indifferente ma poi su una lunga strada che costeggiava vasti terreni coltivati si fa dura e intransigente.

Notiamo piccoli carretti trainati da asini indistruttibili con a bordo agricoltori e le loro mogli che cercano di ripararsi sotto un telo di plastica, anche noi cerchiamo riparo in uno dei rari benzinai che incontriamo che molto gentilmente ci offre tè caldo e dei panni per asciugare moto e parabrezza, davvero gente ospitale e disponibile i Turchi.

Si riparte, l’acqua si calma e il sole fa timidamente capolino, arriviamo in serata a Pammukkale e troviamo un albergo con un simpatico tipo che cerca di parlare uno stentato e incomprensibile Italiano, dopo che un altro soggetto in moto aveva cercato di venderci una stanza per 10 euro chissà dove e soprattutto chissà in quali condizioni, ma da buoni Italiani ci abbiamo messo poco a mandarlo via.

In effetti abbiamo notato per tutto il viaggio che i venditori, i mercanti e tutti coloro che cercano di venderti qualcosa con noi Italiano insistono poco, comunque molto meno che con gli stranieri.

L’albergatore ci fa entrare le moto praticamente dentro il ristorante, passando in mezzo a gente che cenava, fantastico per noi che non vogliamo mai lasciarle sole in strada.

Entriamo in stanza, poggiamo tutto e apriamo la finestra, non ci eravamo resi contro che eravamo proprio avanti alle famose cave di travertino di Pammukkale(dal latino Castello di Cotone), qualcosa di indescrivibile, una sorta di cascata bianca come la neve, dalle dimensioni inverosimili, nel bel mezzo della cittadina.

Si va a dormire che domani ci aspetta una fantastica giornata.

Sveglia presto per arrivare prima delle decine di autobus turistici che invadono la città a metà mattinata.

Paghiamo l’ingresso al sito e ci dirigiamo verso la città di Hierapolis, una delle meglio conservate del mediterraneo con un teatro romano enorme e ben conservato anche esso.

Le immagini della città ricostruita ti lasciano a bocca aperta, deve essere stata qualcosa di spettacolare, posata su un altopiano che dominava su tutto praticamente, con un lunghissimo viale che la attraversava, con diversi teatri, monasteri, colonnati e splendide dimore.

E’ un sito enorme, talmente vasto da perdercisi dentro, ovunque si inciampa in colonne, capitelli e rovine sparse ovunque per migliaia di metri quadrati, l’indifferenza con cui spesso le si scavalca, nonostante i 2000 anni di storia, da l’idea della loro vastità.

Ci avviamo verso il bordo dell’altopiano e qui la cava di travertino come le sue acque termali ti colpiscono come un pugno in faccia, un po’ come attraversare il centro storico di Roma, girare dietro il Colosseo in piena estate e trovarsi davanti una distesa di ghiaccio e acqua interminabile.

Al nostro arrivo non c’è quasi nessuno per fortuna e dopo un iniziale sbigottimento in due minuti siamo già in mutande immersi dentro i fiumi di acqua calda che scavano la roccia bianca come il latte, in effetti la città era stata costruita qui proprio per la presenza di queste cave.

Da esse i Romani potevano trarre il travertino per costruire, ma soprattutto benefici dalle acque termali.

Rimarremmo lì tutto il giorno, anche se l’arrivo dei turisti rende tutto meno confortevole e rilassante, tutti ci imitano infilandosi nei corsi d’acqua, così dopo un paio di ore decidiamo di avviarci verso l’albergo e ripartire, dopo uno delle esperienze più assurde e strane della nostra vita.

Fa caldo, molto caldo, e la nostra destinazione è la città di mare Selcuk, ai cui piedi c’è Efeso, capitale della provincia romana in Asia agli inizi del primo millennio, una delle città commerciali romane più importanti.

Il viaggio inizia bene , i km per una volta sono pochi e la strada e noiosamente dritta per lunghi tratti, anche se attraversiamo sempre posti incredibili dai colori unici che cambiano in continuazione.

Incontriamo anche due motociclisti Tedeschi, ma Turchi di origine, che sono venuti qui per trovare le proprie famiglia.

Viaggiano su due sportive carenate giapponesi, solo a vederli soffriamo per loro, completamente intutati con completi in pelle neri e casci integrali anch’essi neri, una follia.

Facciamo due chiacchiere e ci offrono un’immancabile tè, loro hanno spedito le moto in treno a Istanbul e ora torneranno in Germania piano piano dopo essere stati al mare sulla costa sud.

Ci salutiamo e si riparte, la strada sale e infine avanti a noi si apre un paesaggio marino immenso, la città di Selcuk è una rinomata località di villeggiatura sul mar Egeo.

In lontananza vediamo navi da crociera attraccate al porto praticamente dentro la città, navi enormi, alte 20 piani che così grandi noi non le avevamo mai viste.

In effetti la città è invasa dai turisti, qui si attracca, si scende, si spende e si mangia e poi si riparte.

Dopo giorni di isolamento dal mondo non ci dispiace un po’ di vita e di sano casino.

Troviamo un albergo ricavato un Caravan Serrajo del 1500, cioè una struttura adibita a dare ricovero ai carri durante i loro lunghi tragitti verso o di ritorno dall’oriente, molto bella e ben tenuta , dove la sera preparano spettacoli alla Turkish Night, un po’ troppo turistici e kitsch per noi che preferiamo girare la città alla ricerca di qualcosa di più semplice e casereccio, che puntualmente, e non so se a fortuna o merito, troviamo sempre.

La mattina seguente percorriamo qualche km per arrivare alla città Romana di Efeso.

Arriviamo presto, e questo è un consiglio per chiunque visiti siti archeologici e di interesse in Turchia poiché spesso fra un posto e l’altro non c’è molto da vedere per il turista medio, quindi qui i pullman viaggiano tutta notte per arrivare a destinazione, scaricare centinaia di assordanti e recalcitranti turisti e poi ripartire per la prossima meta.

Arrivano presto abbiamo qualche ora di tregua, possiamo ammirare il teatro romano e soprattutto la biblioteca di Efeso in tutto il suo splendore, percorrere le vie della città tra colonnati e antiche dimore di 2000 anni fa.

Sicuramente per noi Italiani l’effetto è diverso forse perché abituati a tanta storia e a tante rovine, ma qui se ci si ferma a riflettere la cosa sta proprio nella lontananza in cui queste costruzioni erano poste, se ci si ferma a immaginare gli sforzi per costruirle in mezzo al nulla, e soprattutto se si immagina il via vai di genti di tutte le razze che dovevano solcare le vie lastricate di questa città commerciale.

L’arrivo dei turisti, con tutti i loro lati negativi allo stesso tempo ti fa rivivere forse quelle situazioni, migliaia di persone che vanno su e giù per la via principale della città, si ferma, chiacchiera, rumoreggia e discute, un po’ come accadeva appunto secoli e secoli fa.

Il sole sale alto e il caldo comincia a stonarci, ci avviamo verso le moto e imbocchiamo le vai del ritorno in direzione Cannakkale, una città portuale dove un traghetto ci riporterà dall’Asia all’Europa.

Il tragitto è breve ma di qualità, anche se come oramai siamo abituati dall’inizio del viaggio, su un passo di montagna un acquazzone di quelli rapidi e veloci non ci da il tempo neanche di infilarci le tute antipioggia.

Pazienza, ci asciughiamo andando in moto e raggiungiamo proprio al tramonto la città di Troia.

L’emozione è forte, nel sito archeologico praticamente non c’è quasi più nulla, ma la rievocazione di antichi fasti, battaglie, storie e leggende è talmente forte che ci sediamo un attimo ad ammirare il sole che scende sul mare proprio alle spalle della città.

Percorriamo gli ultimi km e dopo aver trovato un albergo proprio sul lungomare affollato e turistico di Cannakkale e andiamo a dormire.

Il giorno dopo saliamo sul traghetto che sembra più un piccolo cargo con gente di ogni genere e dove, una volta sulla costa Europea puntiamo verso la frontiera Turca.

Ci guardiamo indietro mentre ci allontaniamo, vediamo le grosse bandiere Turche sventolare a distanza mentre puntiamo verso le autostrade dannatamente prive di benzinai della Grecia.

Ora capiamo perché abbiamo incontrato diversa gente che era la seconda volta che tornava in Turchia, è un posto meraviglioso, a cavallo tra modernità e tradizione, le persone ci hanno accolto come non pensavamo, e anche noi un giorno riattraverseremo questi posti sicuri al 100%!

Sulla strada di ritorno facciamo ancora piacevoli incontri e dormiamo in una vitalissima e incredibilmente giovane città Greca, Salonicco.

Sulla strada per Igoumenitsa ci dobbiamo fermare sotto un ponte per la quantità di pioggia che sta scendendo, a memoria d’uomo non ricordo di essermi mai fermato in moto per la troppa pioggia che scendeva, comunque sotto il ponte incontriamo anche altri motociclisti un po’ indecisi sul da farsi e molto piacevolmente un furgone del servizio stradale Greco ci si mette dietro e con i lampeggianti accessi non va via fino a quando non smette di piovere e noi non ripartiamo.

Arriviamo a Igoumenitsa e scopriamo che il traghetto è stato cancellato ma ci è andata anche meglio poiché ci trasferiscono su di un altro più moderno, con grandi stanze e soprattutto che invece di attraccare a Brindisi ci lascerà a Bari.

Il viaggio oramai è finito.

Ci portiamo dentro e ci porteremo per sempre un esperienza unica.

Molte persone prima della nostra partenza ma anche al ritorno ci chiedevano perché andavamo in Turchia, con espressione come “ma non è pericoloso?”o cosse del genere se non peggiori e quasi sempre mosse da grande ignoranza sui mussulmani.

Io invece dico che probabilmente è proprio per merito della loro religione che questo popolo è incredibilmente ospitale, disponibile e soprattutto semplice d’animo.

Più viaggio in effetti e più mi rendo conto che la gente più ha e più è saccente e gelosa della propria vita, al contrario chi meno possiede è aperta e disposta e condividere anche cose semplici o quel poco che può offrirti, senza secondi fini.

Ed ora la mente vola già verso altre mete, sicuri di una cosa, che per capirlo il mondo e soprattutto ciò che esso contiene lo si deve vedere con i propri occhi e assaporare con i propri sensi.

Alla prossima.

Blog: http://ruotequadrate.blogspot.com

TrePerTre

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TRE LAGHI per TRE GOLE nel cuore del Parco Nazionale dell’Abruzzo
di Umberto “@ngelspike”

 

La premessa
@ngelspike ha scritto:
martedì 6 luglio a Latina è festa patronale
un amico mi vorrebbe coinvolgere per un giro sul monte sirente con punto al cratere sulla piana a est del monte (che visto da google sembra un atollo lago meteoritico di Secinaro) …
sto studiando l’itinerario da fare per il giro che tra andata e ritorno a Latina vorrei contenere sui 500km …
mi aggraderebbe fare le gole di S. Venanzio – ricordo che la subequana scendendo da L’Aquila era mooolto goduriosa … lo è altrettanto a salire?
qualcuno ha qualche suggerimento e/o si trova da quelle parti per una birretta martedì?

@Remogio ha scritto:
Squilla un po’ prima, diciamo da Scanno o fammi sapere se a Scanno ci sei a ora che posso raggiungerti, facciamo qualche miglio insieme….
La strada che fai dell’Altopiano è molto bella,a me piace tanto, cmq…

@ngelspike ha scritto:
niente da fare i sedicenti compagni di gita hanno dato buca all’ultimo e gli arditi di littoria non approfittano della festicciola 😥
vediamo domani come mi sveglio se mi gira mi avventuro solo altrimenti si farà un’altra volta …

l dado è tratto!
La giornata più o meno sono riuscito a prendermela,
la moglie più o meno se ne è fatta una ragione (santa donna),
il meteo più o meno dovrebbe reggere (anche se le previsioni – opportunamente occultate alla consorte – danno pioggia)

È deciso vado SOLO!

Dopo una riposante nottata per nulla disturbata dal grado di eccitazione a mille, dal mite tepore delle temperature estive e dall’abbaiare del cane che aveva ben deciso di far da eco al vicinato la mattina finalmente mi alzo, mi colaziono, colaziono la moglie e la prole, mi bardo e parto.
Pieno di benza e via alla volta di Sora …
Sulla SS156 monti Lepini noto una sagoma su BMW con zavorra che mi torna familiare (no ma domani non posso mia moglie mi ha incastrato facciamo sabato o domenica …) ma vaff… sorpasso saluto a piede e sgaso via (*)

Arrivato a Frosinone proseguo per Veroli e quindi per Sora curandomi, come recentemente sperimentato, di evitare la super strada pennellando la vecchia statale ed apprezzando così anche la tranquillità del paesaggio in particolare nei pressi dell’Abbazia di Casamari.
Giunto a Sora dribblato il traffico cittadino via per …

La seconda legge di Norred o del guzzista pontino recita: l’unico ingresso dal Lazio per l’Abruzzo e il valico di Forca d’Acero

AnimaGuzzista Racconti TrePerTre023

… ovviamente da adepto iniziato non ho potuto esimermi …

strada deserta e ottimo asfalto (neanche le solite vacche al pascolo a farmi compagnia)

Giunto al passo prima mini sosta caffè: da solo è un po’ triste e i turisti avventori son pochi e babbioni; in compenso il clima è fresco e gradevole quindi riparto di slancio …
D’un soffio doppio Opi e Villetta Barrea ritrovandomi a passo Godi dove con la solita e noiosa strada deserta e sgombra ho goduto come un riccio …
Nel mentre sulla montagna inizia ad addensarsi qualche nuvoletta tra il nero il blu ed il violaceo …
Indugio giusto un attimo chiedendomi quale sia la esatta altitudine del valico vista la segnaletica che riporta a pochi metri di distanza 1630m s.m. e 1520m slm

AnimaGuzzista Racconti TrePerTre023_001

E quindi via verso Scanno lasciandomi alle spalle la nuvolaglia e godendomi l’ottimo sole.

1X Lago di Scanno
Sosta d’obbligo. Finalmente il telefono ritrova il segnale.
Contatto Remogio che si trova ancora sulla via del ritorno in autostrada e ci diamo appuntamento di lì a un’ora alla vicina Sulmona per pranzare insieme.
Approfitto per un po’ di slow ride lungo lago e per fare qualche foto …

2X Lago di San Domenico
Poco dopo il lago di Scanno seguendo la statale per Sulmona si incontra la seconda perla paesaggistica.
Di nuovo mi fermo cercando un largo tra le rocce che costeggiano la strada per parcheggiare la moto.
Lo spettacolo è indescrivibile. Tutte le volte che ci sono passato me la sono fatta sempre con passo svelto vista la strada invitante e non mi ero mai soffermato su cotanta bellezza. Le acque trasparenti consentivano di vedere il fondale a oltre 15m di profondità. La pace e la tranquillità dell’eremo di San Domenico cui si accede solo tramite il ponticello pedonale.

 

Scambio due parole con un pescatore occasionale (da qui la certezza delle misure sul fondale) e riparto alla volta de

X1 Le gole del Sagittario
Il paesaggio e la strada continuano ad essere sbalorditivi proseguendo tra le rocce scavate dal fiume Sagittario, qualche curva da impostare ben guardando gli specchi parabolici e via a limar le gomme …
In un attimo sono ad Anversa degli Abruzzi, l’appuntamento con Remogio si avvicina per cui affretto il passo sulla per nulla bella statale che mi porta fino a Sulmona.
All’orizzonte sovrasta il monte Sirente a sua volta sovrastato da vistosi nembi.

L’incontro con Remogio è sempre piacevole e la sua ospitalità ineccepibile.
Dopo un ottimo pranzo rifocillatore in trattoria a conduzione familiare andiamo a prendere la Califfa e quindi Franca la compagna di Remo per completare la missione.

X2 Le gole di San Venanzio
Una strada uno spettacolo: nel piccolo tratto di Tiburtina che va da Raiano a Castelvecchio Subequo nella valle scavata nella roccia dal fiume Aterno si trova l’eremo di San Venanzio da cui le gole prendono il nome.
Ricordo di aver percorso questa strada per caso discendendo da Fonte Vetica dopo la copiosa grandinata al raduno di primavera di AnimaGuzzista ormai qualche anno fa e mi ero sempre ripromesso di tornarci.
Proseguiamo per Secinaro e quindi via verso il valico della Forcella e l’Altopiano delle Rocche.
Ovviamente inizia a piovere. Ci fermiamo per intutarci a dovere e via verso la piana alla ricerca de

3X il lago meteoritico di Secinaro
Remo e Franca che fanno spesso questa bella strada (peccato veramente per la pioggia e per il fondo bagnato!) non ne avevano mai sentito parlare né ci avevano mai fatto caso.
Io per contro avevo studiato e ho fatto da guida :LOL

Questo è quello che mi aspettavo

AnimaGuzzista Racconti TrePerTre023_010

E questo è quello che abbiamo trovato

Lo scenario apocalittico e deserto ha contribuito ad alimentare quell’atmosfera magica di un luogo incantato rievocando con i violenti fulmini anche l’immagine di Costantino che nel 312 d.C., accingendosi alla battaglia, vide in cielo il bolide dirigersi verso queste montagne.

Proseguiamo quindi per Rocca di Mezzo e quindi Ovindoli per piacevole(?) sosta caffè sempre sotto la pioggia battente e quindi attraverso

X3 le gole di Celano
Fino a raggiungere la omonima cittadina sovrastata dal caratteristico castello a pianta quadrata.

Le nostre strade si dividono: un fugace ma caloroso saluto con gli amici Remo e Franca con promessa di replicare a breve :volemose: e quindi proseguo alla volta di Avezzano.

Nel mentre sono già le sei passate del pomeriggio e di strada fino a casa ce n’è ancora molta. La pioggia sembra stia smettendo ma comunque opto per la via veloce della superstrada Avezzano Sora.
Dopo neanche un chilometro ha definitivamente smesso di piovere l’antipioggia che si gonfia in velocità è insopportabile il traffico è sostenuto per cui esco alla volta di Capistrello.
Un attimo di indugio per andare secondo la prima legge di Norred verso Filettino Altipiani di Arcinazzo e quindi Carpineto Romano ma è tardi e rischio di ritrovarmi in mezzo ai lupi (le montagne tra l’altro sono anche belle scurette …), prevale la ragione (adrenalina da mattarello) sulla minchitudine e proseguo per la bellissima statale della Val Roveto fino a Sora con fondo quasi asciutto e traffico zero ad eccezione di qualche ciclista.

Giunto a Sora riprende la pioggia per cui con soddisfazione depenno nuovamente l’opzione superstrada optando per la piacevole statale dell’andata pennellato io stavolta da pioggia e grandine con fondo stradale saponato da drift!
A Frosinone finalmente smette di piovere e proseguo spedito sulla 156 verso casa ove giungo alle ore 20.00 nella sauna dell’antipioggia.

La moto segna tot. Km.426,50 percorsi con poco più di un pieno di carburante.

Questa mattina mi sveglio e mi domando dove vado oggi? Poi prendo coscienza e mi rispondo: A LAVORARE …

Ma sto mica lavorando?

TRE LAGHI per TRE GOLE nel cuore del Parco Nazionale dell’Abruzzo (GoogleMaps)

N.B. Gli insegnamenti e l’esperienza del porcherrimo Vladimiro non si discutono: le migliori uscite si fanno nei giorni lavorativi!

(*) più tardi mia arriva SMS dal seguente tenore “A saperlo che andavi da solo ti dicevo di venire a Pietralcina. Ho contrattato: Padre Pio si ma ci vengo in moto!!!”
La naturale risposta sarebbe stata: “Meglio soli che mal accompagnati. Vatti a far benedire”; ma ho preferito non rispondere …

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