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Terzo incontro Guzzifoggiano

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Terzo incontro Guzzifoggiano

di Enzo Nasto enas84

 

E’ un caldo pomeriggio di maggio, un’altra monotona giornata è ormai alle spalle. Il treno corre veloce sui soliti binari, ad un tratto una scintilla: Stasera, costi quel che costi, devo raccontare la mia ultima avventura guzzistica.

Le passioni fanno vivere l’uomo, la saggezza lo fa soltanto vivere a lungo.
Nicolas de Chamfort.

     Chi appartiene alla costellazione dell’Aquila di sicuro vive, dando alla sua esistenza un senso particolare, inspiegabile ai più. I guzzisti… che banda di matti! Gente disposta a trascorrere più tempo con i piedi sulle pedane del proprio destriero d’acciaio che per terra, magari per passare solo qualche ora insieme ai suoi fratelli e per condividere insieme passione e asfalto. Forse hanno più follia che saggezza, ma è meglio così, credetemi. Ne sono convinto.

Nel giro di qualche mese, la Puglia, terra meravigliosa e accogliente, è  diventata il palcoscenico di esperienze indimenticabili, momenti scolpiti nel cuore di ognuno, di cui ognuno è stato protagonista imprescindibile, avendo scelto di essere parte di uno spettacolo fatto appunto di pane, passione e asfalto.

Buona la prima, ma anche la seconda.

Terzo incontro Guzzifoggiano

Il primo novembre 2008 abbiamo assistito al I Incontro Guzzifoggiano, una vera e propria fantastica giornata pugliese. Quando al teatro la prima riesce così bene, gli spettatori chiedono, anzi pretendono, una replica altrettanto trionfale. E così è stato anche per il guzzifoggiano. Il 18 e 19 aprile 2009 c’è stato un degno bis, che è costato non poco sudore agli organizzatori, Carmine, Salvatore, Fabio e Francesco, che forse sarebbe meglio chiamare registi.

Ma si sa, non c’è due senza tre. E così, un bel giorno mi arriva la soffiata: “Leggi su anima, è in cantiere il III Incontro Guzzifoggiano”.

“Senatò, cascasse il mondo, io ci sarò.”

La vita umana non è altro che un gioco della follia, il cuore ha sempre ragione
Erasmo da Rotterdam

Senza esagerare, posso davvero dire che il mondo stava per cascare. Infatti, a poche ore dalla partenza, ero alle prese con impellenti scadenze lavorative, e, udite udite, ero anche senza moto. Si, la mia compagna di viaggio era ancora dal dott., ops, meccanico.

Ora che ci penso, tutti e tre i guzzifoggiani hanno avuto a che fare con interventi di manutenzione alla mia moto.

“Antò, la moto la ritirò venerdì mattina, giusto in tempo per la nostra partenza. Speriamo funzioni tutto…”.

In pratica, io e lei siamo tornati a casa due ore prima di partire. Giusto il tempo di caricare le valigie, prepararmi, e mangiare qualcosa. La mia vita ormai è fatta solo di follie, per di più frenetiche.

L’amico AntonioG, uno dei primi guzzisti partenopei che io ho conosciuto ormai cinque anni fa (mamma mia, sono guzzista già da cinque anni, come vola il tempo!!!),  alle 13.30 è a casa mia. Mentre la mia California scalda i muscoli per qualche minuto, sistemiamo il tappo dell’olio della sua Nevada.

Io devo essere proprio matto. L’avviamento della mia moto e di tutte le altre che incontro per strada l’avrò fatto, visto e sentito milioni di volte. Ma ogni volta che il pollice destro preme quel bottone… se lo spiegassi non mi capirei.

Rotta per casa di Dio, stiamo volando alla festa…
M. Pezzali

Tiro la frizione, tocco della punta del piede sinistro, e la prima è dentro. Poi seconda, terza e su fino alla quinta, in un crescendo entusiasmante di giri motore e battiti del cuore, che in quei momenti sembrano andare all’unisono.

Una volta abbassata la visiera, come mio solito, comincio a cantare. E stavolta il compito di farmi da colonna sonora spetta ad Eugenio Finardi e alla sua Extraterrestre, che martella la mia mente da parecchi giorni. Perché proprio questa? Forse perché è davvero tanta la voglia di avere una stella che sia tutta mia…

Il casello di Candela arriva presto. Questi primi 140 chilometri sono un ottimo collaudo, la moto va veramente bene, forse come non mai. Breve sosta tecnico-fisiologica, e poi ripartiamo alla volta di Foggia, dove arriviamo alle 16.00. Qualcuno dei partecipanti all’incontro potrebbe dire: “e che siete andati a fare a Foggia?”. Siamo andati la “solo” per salutare un amico.

 Per un amico in più…
R. Cocciante.

Terzo incontro Guzzifoggiano

Certo, forse nemmeno io e Antonio saremmo andati a piedi fino a Bologna, ma di sicuro, per un amico, una deviazione si può fare. Senza pensarci su due volte.

Soprattutto quando l’amico in questione, Michele (di Bari), si è sciroppato una trasferta automobilistica pur di rivederci. Caro Michele, dopo la Notte dei Falchi, e quella Altamurana dello scorso anno, rivederti, anche se per poco, è stato un vero piacere. Ricordi che tu e Laura mi volevate “ammogliare” a tutti i costi?

Il momento di salutarci però arriva presto, altrimenti corriamo il rischio di arrivare troppo tardi all’Hotel Pietre Nere di Rodi Garganico, campo base di questo III Guzzifoggiano.

Avanti tutta…

Terzo incontro Guzzifoggiano

Autostrada Adriatica da Foggia a Poggio Imperiale. Seguo la sagoma rassicurante di Antonio e della sua Nevadina. Le nostre Aquile vanno senza incertezze, anzi volano, spinte dai loro cuori a V, incuranti del vento forte che raramente ci da tregua in queste trasferte pugliesi. Di tanto in tanto alzo la visiera del casco, ho bisogno di sentire meglio il canto del motore.

Ad un tratto s’inserisce tra noi un auto, con una tranquilla famiglia a bordo. Ci sono due bimbi, credo intorno ai 5 – 6 anni, che quasi si fanno venire il torcicollo per vedere una volta Antonio che li predece, e poi me che li seguo. Incurante del vento forte stacco la mano sinistra dal manubrio per salutare i miei due piccoli ammiratori. E loro ricambiano. Non potete immaginare la gioia che mi ha dato questo apparentemente piccolo episodio. Come recita la Poesia del Motociclista, chi non sa cosa sia questa passione, rinunci a capire noi centauri e quei piccoli che mi salutavano. Tra angeli in terra ci si saluta sempre, è “semplice”.

Loro si allontanano, noi piantiamo il gas intorno ai 110/120 orari, il tratto autostradale e la successiva statale scorrono in fretta ma in tutta sicurezza sotto alle nostre ruote, e arriviamo a Rodi. Intravediamo le prime indicazioni dell’Hotel, che raggiungiamo dopo qualche altro chilometro.

Fuoco alle polveri…

Terzo incontro Guzzifoggiano

Verso le 18 di venerdì comincia ufficialmente la festa. Siamo accolti dal cerimoniere ufficiale, il mitico Carmine, ormai il Senatore per tutti noi, e da gli altri partecipanti che già erano li, qualcuno da così tanto tempo che il sole gli aveva lasciato un colorato e scottante ricordino, vero Stefano?

Ci sono, tra gli altri, anche Fabio, il “Califoggiano” emigrante ed eroico macinatore di chilometri, il romano Toni, che io avevo già conosciuto quasi due anni a Morino, e i pescaresi Massimo e Federica. Come non nominare Filomena, compagna di vita e di avventure motociclistiche del Senatore.

Gli abbracci e i brividi cominciano a non contarsi più. Carmine, rivederti è stata una gioia enorme, un momento desiderato da tanto, troppo tempo e finalmente arrivato! E pensare che tutto questo è nato sul web, in maniera virtuale. “Virtualmente”. Usare questa parola è sempre riduttivo, perché se è vero che nell’era di internet spesso ci conosciamo e siamo in contatto attraverso un freddo monitor e una tastiera, è anche vero che nonostante queste barriere e le distanze che ci dividono, l’amicizia e l’affetto possono esplodere e ti coinvolgono come se stessi guardando negli occhi la persona con cui sei in contatto.

Senatò, ricordo come se fosse ieri quel caldo e indelebile giorno di novembre, quando tu e gli altri non mi deste nemmeno il tempo di togliermi il casco e mi abbracciaste come se ci conoscessimo da una vita! Ora che ci penso, all’epoca ancora non potevi fregiarti di tale titolo onorificio!

Terzo incontro Guzzifoggiano

Sistemate le moto, io e il mio compagno di viaggio e di stanza (Stefano piano con i pensieri…), prendiamo possesso della stanza, appunto, e ci sistemiamo. Un’oretta scarsa e siamo nella hall, dove troviamo anche gli altri. L’albergo è davvero bello e dalle terrazze si gode di una vista mozzafiato.

Appena sbrigate le pratiche burocratiche che un intransigente Carmine non risparmia (giustamente) a nessuno, parte il primo aperitivo, ovviamente alcolico, giusto per ricordare a tutti che siamo motociclisti, e come tali odiamo l’acqua. Di brindisi ne vedremo parecchi!

La cena si fa attendere, anzi si fanno attendere altri due componenti indispensabili di questi raduni pugliesi, il cui arrivo è ampiamente anticipato da una coppia di scarichi molto rombanti! Mi riferisco a Francesco, il nostro bravissimo artista, accompagnato da Antonella, e il grandissimo Enzo Sardano, che per la cronaca nota subito che sono diventato abbastanza grande anche io, e parlo di linea (curva…).

Terzo incontro Guzzifoggiano“Enzo, ma come hai fatto ad accorgerti della mia zavorra nel buio?” “Enzino, è molto semplice, quando ci siamo abbracciati ho sentito una sorta di volume che l’ultima volta che ci siamo visti non c’era.”

Maledizione, forse è davvero giunto il momento di mettermi a dieta. Quando torno a casa però, perché qui, di mangiare poco, non se ne parla proprio. Infatti la cena sarà molto ricca, il tavolo più che allegro e le risate indimenticabili, anche grazie ad una fuhrer-cameriera che ci tiene sotto controllo. Ma ci metterà poco per capire che siamo senza speranza.

Il dopo cena sarà abbastanza veloce, i chilometri si sentono è  il giorno dopo ci aspetta una lunga giornata, meglio non fare le ore piccole.

Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.
John Steinbeck

Il sabato mattina è senza dubbio il giorno meno motociclistico tra quelli finora vissuti in terra puglise. Qualche cultore del “culo sempre in sella” forse avrà storto il naso leggendo il programma, visto che le moto non le abbiamo proprio toccate. Questa giornata infatti è dedicata ad una escursione in jeep nei posti più nascosti e incontaminati della bellissima Foresta Umbra. Fuori dall’albergo troviamo quattro Land Rover, una delle quali è scoperta. Io e Antonio la guardiamo, ci guardiamo (Stefano non pensar male): “E’ nostra”. In questa scelta ci seguiranno Michele, il nostro fotoreporter ufficiale, Francesco e Antonella, Massimo e Federica, e Toni. Ah, ovviamente c’è anche l’autista, che al primo colpo d’occhio sembrava un tranquillo signore sulla sessantina, rivelandosi poi una sorta di Colin McRae nostrano. Una volta sopraggiunti il gruppo dei “M.I.G.”, partito alle 5 del mattino da Galatina e capitanato da Fabrizio “Nguzz”, Michele “Geomik” e Mariangela, e gli altri che non erano arrivati a Rodi la sera prima, siamo pronti per partire.

I primi chilometri, su asfalto, passano tranquilli. Appena però  prendiamo il primo sentiero sterrato, viene fuori la vera natura di Nello, il nostro pilota (autista è riduttivo). Basti pensare che di tanto in tanto si fermava per far allontanare gli altri fuoristrada, e poi all’improvviso partiva a razzo senza dirci nulla, infatti qualcuno di noi ha rischiato più volte di cadere.

Raccontare tutte le emozioni provate, le risate, ma anche le urla, e le bellezze ammirate in questa giornata sarebbe per me quasi impossibile. A dire il vero, in qualche momento abbiamo pure temuto di non ritornare sulle nostre gambe in albergo, e la faccia di Toni a tal proposito era tutto un programma! Specie quando, nel pomeriggio, e in un posto che forse non c’è nemmeno sulle cartine geografiche, la nostra jeep ha deciso di fermarsi, facendo calare su di noi l’ombra de “L’isola dei guzzisti”. Alla fine di questa giornata spericolata abbiamo ancora il tempo di una “gustosa” fermata nel centro di Vico del Gargano.

Terzo incontro GuzzifoggianoPoi si torna alla base, anche se tutti noi occupanti della “scoperta” avremmo imboccato volentieri un altro sentiero sterrato. Sono quasi le 19. Una doccia e un po’ di relax sul letto ci volevano proprio! Anche per rivivere a caldo tutti i fotogrammi di questa giornata eccezionale, che rifarei subito. Queste cose ti rimangono dentro e non le potrai mai dimenticare, perché ormai fanno parte di te e fanno di te una persona sicuramente migliore.

Il Senatore non sbaglia mai un colpo!

Sorpresa!!!

In serata arriva a Rodi un’altra colonna portante di questo gruppo, Salvatore Accardo, che non vedevo dalla “Midsummer Night’s Guzzist Dream” dello scorso luglio.

E’ ora di cena ormai, e siamo in numero nettamente maggiore alla sera prima. La fame e le risate non mancano, la teutonica cameriera mi guarda e fa: “A te porzione più crante, ja”, avendomi inquadrato per bene la sera prima.

Terzo incontro GuzzifoggianoDopo le tante delizie culinarie e i tanti brindisi, allietati da un po’ di musica leggera (fin troppo), arriva il momento di fare una bella sorpresa a Fabio, che il giorno dopo compie gli anni. A mezzanotte arriva la torta, con tanto di mega candeline, fatta preparare da Carmine (sempre lui).

E un emozionato Fabio rimane senza parole…

Voglio proprio vedere la tua faccia…
Carmine A.

La notte passa tranquilla e veloce. Dopo la colazione e il saldo con il titolare dell’albergo, lasciamo le stanze e carichiamo le moto. Ritrovo un altro caro amico, di quelli che senti “veri” pur vedendoli una volta all’anno, Peppe66, compaesano di Carmine.

Siamo in sella, pochi minuti ancora e si parte. Sento una sensazione particolare addosso, il luogo che ci apprestiamo a raggiungere con le nostre amate moto non è non può essere normale. Siamo infatti diretti a San Giovanni Rotondo, terra di San Pio da Pietralcina. Forse solo Carmine sa da quanto tempo io desiderassi andare la con la moto, ne avevamo parlato tante volte. “Architè, voglio proprio vedere la tua faccia quando metterai le ruote a San Giovanni!!”

E finalmente il sogno si è avverato. Pur amando scrivere, ed essendo (come dicono) una buona “penna”, raccontare determinati sentimenti, raccontarsi, è sempre impresa ardua. Lo scorrere della Waterman si fa meno sicuro, la schiena è attraversata da quel brivido che provi quando stai per donare agli altri qualcosa di tuo. Le emozioni sono davvero tante. Penso anche alla mia sorellina che porta il nome di questo Santo, il mio cuore è in subbuglio.

Terzo incontro GuzzifoggianoPer fortuna noi motociclisti, quando scendiamo dalla moto con le lacrime che ci rigano il viso, e vogliamo “nasconderle”, abbiamo sempre pronta la scusa di aver camminato con la visiera alzata.

Grazie al supporto di Antonio D’Ambrosio, parcheggiamo niente meno che nel piazzale d’ingresso dell’ospedale fondato dal Frate con le stimmate, con tanto di foto di gruppo sotto la Sua gigantografia. Che altro chiedere ad una giornata come questa? Niente…

Il tuo cuore è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita.
Lascialo andare senza paura, ti saprà condurre alla felicità.
Sergio Bambaren.

Non potevamo non visitare i due Santuari, il più antico e quello nuovo progettato dal mio collega (mi inchino) Renzo Piano. E al di la degli aspetti più mistici e religiosi, per me questa visita ha anche un altro significato, un altro sapore, in quanto ho sempre definito la mia vita come un treno in corsa, che ha per rotaie l’Architettura, mia scelta di vita, e la Moto Guzzi, mio stile di vita. E stare in quel luogo, opera di un grande maestro, in tenuta motociclistica, è stato un po’ come il fondersi di questi due mondi per me tanto importati. L’Architettura e la Guzzi sono, per ora, gli unici cieli “buoni” che riescono a far volare libero e felice il mio cuore.

Terzo incontro GuzzifoggianoLascio San Giovanni Rotondo a fatica, con la speranza di ritornarci presto, in moto ovviamente!

The end…

Ultima tappa di questo magnifico raduno è la cittadina di Torremaggiore, dove ci attende un lungo tavolo all’ombra della pineta. Dopo l’ennesima abbuffata, ci sono le classiche premiazioni. E qui va detto che a riprova del fatto che gli anni passano anche per me, sono stato esautorato del titolo di più giovane partecipante da Michele “Geomik”!!!

Nessuno lo vorrebbe, ma si avvicina il momento dei saluti. Quando si raccontano istanti come questi, è facile fare retorica. Mentre mi preparo sento che un pizzico di malinconia mi assale. Non vorrei andarmene, non vorrei lasciare tutte quelle splendide persone.

Cerco di memorizzare ogni loro espressione, di immagazzinare in me tutto ciò che potrà farmi ricordare di loro.

Penso anche a chi questa volta non c’è potuto essere. Spero che mi perdoni per questa citazione non autorizzata, ma voglio raccontare di Alfredo, mio compagno di stanza a Vieste, lo scorso anno, e delle sue lacrime. Sentire quest’omone di quasi due metri dire, con la voce rotta dall’emozione, “grazie di tutto” e vederlo piangere perché non vorrebbe andare via, la dice tutta sull’aria che si respira in queste occasioni.

Così  come penso che a questo punto sia inutile dilungarmi in maniera smielata su ciò che vorrei dire a Carmine, che altrimenti si abitua troppo bene e poi tutto questo zucchero gli potrebbe far male, non sia mai! Senatò, ti voglio bene! E te ne vorrò sempre anche se al prossimo incontro la tua moto avrà le tette mosce!!!

Si, la festa sta davvero finendo. Io e Antonio siamo scortati da Peppe, che ci mette sulla strada buona per andare da San Severo a Candela. Il viaggio di ritorno è tranquillo, senza intoppi. Ad una ventina di chilometri da casa mia prendiamo strade diverse. Non ho più lui e la sua moto davanti a me. Alzo la mano con le dita a V per salutare il pilota, ma anche la sua moto, che mi lascio alle spalle. Un urlo mio e del mio motore mi danno la scarica di adrenalina necessaria per affrontare quest’ultimo, breve, tratto in solitaria.

Terzo incontro GuzzifoggianoAntò sei un grande compagno di avventura, viaggiare con te è per me un onore!
31 – V – 2010

Ducati Speed Week

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E' fatta

Cronaca di una vittoria annunciata
di Beppe Braga

 

Eccomi rientrato dal lungo fine settimana atteso, già dai primi di dicembre dello scorso anno quando è arrivata la mail di apertura delle iscrizioni al Ducati Speed Week con all’interno la manifestazione dedicata alle moto classiche con almeno 20 anni (Classic Speed Week).
Nel corso dei mesi trascorsi ho cercato di convincere molti altri amici guzzisti, pistaioli o meno, a partecipare a questa manifestazione che, a un prezzo veramente irrisorio di iscrizione (certo poi vanno aggiunte le spese di trasferta molto più elevate), consente di divertirsi su una pista molto gustosa. Tutti i miei appelli però sono andati in fumo e così mi sono ritrovato solo a dover tenere alto il nome della Moto Guzzi e di Anima Guzzista in una terra così lontana.
Ma veniamo ai giorni appena trascorsi.
Martedì, complice una minchitudo che può anche andare oltre all’essere guzzista, mi viene a trovare in ufficio un compaesano di lungo corso che, durante la classica discussione sulle ferie, si vede piombare addosso la fatidica domanda: “ma questo fine settimana perché non mi accompagni in Ungheria?”
Una domanda buttata lì, senza speranza, complice il fatto che Ezio non capisca nulla di moto, non gli importa nulla di moto, non sa andare in moto, non va in moto, non è mai andato a vedere nessuna gara di moto, ma l’Ungheria, con la sua storia e le sue … acque termali, ha il suo fascino e colpisce nel segno. Una rapida telefonata alla moglie per la necessaria “autorizzazione” e ci si accorda sull’orario di partenza.
È un gran sollievo, anche ripensando al viaggio solitario dello scorso anno, che attizza la miccia e sprona il cavaliere solitario all’avventura.
Giovedì si parte, alle 7.00 è tutto pronto, arriva Ezio e in un tempo irrisorio si sposta il suo materiale sul furgone e alle 8.00 si parte. Ma non era un tempo irrisorio?? Ma Ezio amante delle uscite e dei campeggi ha pensato bene di portare alcune cose necessarie per due persone che devono stare via 4 giorni: fornelletto piccolo, fornello grande, pentolame da reggimento, 12 kg. di pasta, 4 scatole di pelati da 800 gr., basilico, aglio, prezzemolo, e un’altra quantità di odori e sapori, due lettini pieghevoli, cuscino stile Linus da cui non si separa mai, una bottiglia d’olio (e si è chiesto se sarebbe bastata), 6 bottiglie di vino rosso Lambrusco e 6 di vino bianco, una valigia con dentro tanta roba che a un vero motociclista basterebbe per 8 mesi di ferie, attrezzatura fotografica (totalmente incompatibile con la pista, ma utile per le foto al paddock e per i paesaggi) e tanta altra roba che non ricordo e che … non abbiamo usato.
Il furgone è pronto, il navigatore-passeggero pure, il pilota si mette alla guida … viaaaaaaa
Verso Verona si fa sentire lo stomaco che chiede di essere riempito, così prima sosta e … insalata di riso preparata la sera prima.


I km passano, ma il traguardo sembra non arrivare mai, Sarvar, dove abbiamo prenotato una camera dista quasi 900 km. da Pavia e il Pannoniaring è lì vicino.
Siamo preoccupati perché il sito dove abbiamo prenotato dava come orario di chiusura delle accettazioni le 19.00; ecco che allora il furgone nuovo fiammante (nuovo di acquisto, fiammante perché pare avere un falò sotto al sedere) viene spinto fino ai 120 km./h, ma stoicamente resiste e ci fa arrivare alle 18.45 (la prima cosa che notiamo è il cartello fuori dal Thermal Pension che comunica che l’ufficio è aperto fino alle 22.00).
Scaricati i bagagli da camera, si va subito al circuito dove si deve montare (questa sì nuova e fiammante) la tenda chiesta al Moto Guzzi World Club la settimana prima ad Adria e che il presidente mi ha gentilmente concesso in comodato d’uso per l’occasione (sai che bello una tenda rossa marchiata Moto Guzzi al Ducati Speed Week … fa proprio una bella figura!!).
Questo è il risultato di 11 ore di furgone, dello scaricamento bagagli e del montaggio tenda:

AnimaGuzzista Eventi Ducati Speed Week __002
…dopo aver montato la tenda

 

Ezio esprime il desiderio di andare immediatamente alle terme per dei bagni ristoratori, ma io preferisco una doccia tonificante, così lo lascio alle terme (aperte fino alle 22.00), mi doccio, faccio la spesa, lo riprendo e via ancora al circuito per la cena notturna: due belle bistecche di maiale (unico animale oltre all’oca che viene venduto, ma di vacche ne abbiamo viste, che l’Ungheria sia affiliata all’India ??).
Ma ecco che il venerdì mattina arriva presto, verifiche e primi turni di prove libere, una delle cose molto belle di questa manifestazione è che, nel basso costo di iscrizione, sono inclusi 4 turni di prove libere da 20 min., due turni di prove cronometrate da 25 min., un turno di warmup da 15 minuti e la gara di 8 giri del circuito da 4740 metri.

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Circuito

La giornata trascorre così in pista, senza peraltro sapere i tempi di percorrenza, perché tra tutto quello che ci siamo portati dietro NON c’è un cronometro, ma domani con il transponder sarà un’altra cosa.
La sveglia suona alle 7.30 e si passa prima a fare colazione: cornetti alla Nutella, caffè e cappuccino con uno strato di panna che (a ripensarci con il senno di poi ……) durante il tragitto esplica i suoi effetti deleteri, meno male che all’ingresso del paddock ci sono i servizi igienici e che uno era libero!
Tutto è pronto per cercare di migliorare i tempi dello scorso anno, ma la Titanium (nome in codice del V35 I serie, studiato appositamente per non cambiare il nickname) fa ancora un po’ di capricci come ad Adria. Al mattino si gira in 2.54, quattro secondi più alto delle prove dell’anno passato, nel pomeriggio si migliora di un paio di secondi. Quello che è importante è che l’avversario diretto è dietro di oltre 8 secondi.
L’avversario diretto! Purtroppo la partecipazioni dei guzzisti si fa desiderare, lo scorso anno eravamo in tre: due super bombardoni con il Le Mans 850 ben settato che girava una decina di secondi più lento delle Ducati che fanno il Desmo Challenge, ma irraggiungibili perché mi davano 30 sec. a giro, … e arrivai 3° delle Guzzi con tanto di coppa, quest’anno gli organizzatori hanno deciso di premiare solo il primo classificato, per cui essendo in due se volevo la coppa dovevo stare davanti, e nelle prove l’obiettivo è raggiunto.
Nel pomeriggio è programmato il warmup, ma voglio vedere un po’ di Ungheria e gli amici ducatisti vorrebbero provare la mia motina. Beh che c’è di male, almeno ho un confronto diretto con chi, in pista, ci va da almeno 10 anni e con moto super potenti e preparate. Non li rivedo fino al mattino.
Piccola parentesi, il giovedì il viaggio è stato accompagnato da temperature tropicali, anche sui passi alpini, il venerdì in pista c’erano 38°, il sabato 36 ma incominciava ad alzarsi il vento (chissà perché c’è l’installazione di una pala eolica a 200 mt. dal circuito!!) e si affacciano le prime nubi che pian piano, mentre siamo immersi nei bagni termali, incominciano a rovesciare un po’ di pioggia che si trasforma ben presto in un diluvio che pare voglia far nascere un nuovo Noè. Tra vento e pioggia la nostra sosta per la cena sotto la tenda si trasforma in un incubo: cucinare e mangiare sotto la tenda delle braciole di maiale che impestano tutto ciò che è sotto la tenda (tuta compresa, tanto che l’indomani sembravo, da quanto puzzavo, un maialino arrostito) mentre le pareti laterali della tenda sembrano impazzite tanta la voglia di staccarsi e volare via (staremo lì a controllare fin oltre l’una passata). Fatto sta che tutte le prove, le regolazioni (quelle degli altri, non le mie) sono fatte con temperature tropicali e invece la domenica mattina ci ritroviamo a 15°!!
Il mattino mi informo dei tempi fatti dall’unico ducatista che ha avuto il coraggio di salire sulla Titanium, mi dicono che ha girato in 2.30 !! come 2.30 sono proprio una mezza sega che si prende oltre 20” a giro!! Ma subito dopo arriva la conferma che in realtà il giro migliore è in 2.58 … e il morale si risolleva!
Vista l’esperienza della mattina precedente si opta per la colazione in circuito.

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un meritato caffè

Una foto panoramica del paddock se sembra più vuoto delle scorso anno nonostante il numero complessivo di partecipanti praticamente uguale.

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il paddock

Ma il tempo vola: è ora di prepararsi.

Nel frattempo alcuni, viste le condizioni, la possibilità di pioggia, il freddo, le esperienze negative precedenti, decide che è meglio abbandonare.

l'abbandono
l’abbandono

 

Ma no posso farmi distrarre, io la gara la voglio fare.
Sono pronto. E mi concentro ripensando al circuito.

Per me è un bel circuito, uno di quelli che si odiano o si amano, con dei difetti: innanzitutto è piatto, non c’è il minimo dislivello, e poi con il V35 i due curvoni che immettono nel rettilineo si fanno in IV e il rettilineo, pur non essendo lungo per gli altri, per me è infinito, ma ci sono soprattutto dei pregi: bei curvoni che ti lasciano con il fiato sospeso, parte guidata impegnativa, molti punti dove si può sorpassare (… ad avere motore …).
Dopo le qualifiche son 25imo su 30 in griglia, ma la mia “Lalla partenza” certamente mi potrà aiutare.
Si entra in pista, sono il primo perché Livio non mi ha dato le termocoperte (ma a che mi servono!!), a proposito ma quanto fa freddo stamattina con la tuta umida??, giro di allineamento, il rombo dei motori sale alto (tutti in piedi sul divano!! Mi sembra di sentire i commentatori della SBK), la bandiera rossa si allontana, semaforo rosso e viaaaaaaaaaaaaa
Non avrei mai immaginato che il mio V35 con tutti i problemi che ha dimostrato, con gli oltre km. 140.000 del motore lasciato originale, potesse alzare il davanti, ma mi fa sorridere sotto il casco. La “Lalla partenza” ha funzionato, ne ho bruciati diversi nei primi metri, ma ‘sto rettilineo favorisce i motori più potenti e molti mi ripassano.
Devo stare concentrato e fare in modo soprattutto che il mio avversario diretto non mi sorpassi e che nessun altro mi sorpassi e, possibilmente, provare a passare qualcuno.
Due di quelli bruciati in partenza, alla fine del rettilineo mi avevano già dato una decina di metri, nel misto mi riavvicino un po’, ma dove si può aprire il gas … si fa un po’ l’elastico.
Il primo giro è concluso, non mi guardo indietro, ma tengo gli occhi puntati sui due diretti avversari, uno gira con una Yamaha TZ 350 (e nelle prove mi dava 10” a giro) e l’altro è Bartoli, l’organizzatore, con un Ducati Pantah 650 che quest’anno è molto migliorato e mi dava 6” a giro mentre lo scorso anno me lo ero tenuto dietro. Forse partecipare al raduno di AG in Sardegna ha consentito a Bartoli di modificare lo stile di guida.
Al termine del 2° giro riesco ancora a sfruttare un po’ di scia dei due, ma gli allunghi sono troppi, mi miglioro girando in 2.48.735, ma nonostante tutti gli avversari peggiorano a causa delle mutate condizioni climatiche, questo non è sufficiente.
Al 4° giro sono già molto lontani, mi giro e vedo il vuoto, mi rilasso un po’ e penso al fatto che ancora non mi hanno doppiato, se i primi avessero mantenuto i tempi delle qualifiche avrei dovuto subire un doppio doppiaggio da parte dei primi, ma non manca molto e al 5° giro incominciano a doppiarmi, alla fine saranno però solo in 8 a farlo.
Manca poco alla fine e scorgo il mio diretto avversario davanti a me, sta fumando e me ne dispiace, ma … sarebbe potuto capire anche alla mia Titanium!!
Finalmente la bandiera a scacchi, il saluto a tutti gli addetti alla pista e una parata tra due ali di persone tra organizzatori, visitatori, meccanici e altri piloti corona la fine della gara.
Grazie agli amici ducatisti che mi hanno supportato.

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X-Team Ducati

Resta solo da attendere il podio, mentre si smonta tutto e si carica il furgone. Tante le persone che si sono fermate ad ammirare il V35, tutti sgranano gli occhi quando dico il chilometraggio del motore non truccato, alcuni si informano sui Trofei Guzzi e, forse, qualcuno si unirà al gruppo.
È ora del podio, all’annuncio del mio nome, da buon Pirlota urlo e salto a piedi uniti i gradini per salire su quello più alto … e quasi casco giù come avrebbe potuto fare il miglior Tatuato ai tempi d’oro, ma vacillo e resisto e sono felice!!


Con un sorriso ebete, saluto tutti quelli che riesco a salutare, mi stupisco di essermi ricordato del transponder che lo scorso anno avevo portato in giro per l’Ungheria, e si parte per il ritorno. Sono già le 15.00, spezzeremo il viaggio in due tappe e, per mantenermi in allenamento meccanico, trovo anche le forze per aiutare una nonna con nipotino…

Meccanico
Meccanico

Il prossimo anno non vorrei arrivare primo, cercate di darvi una mossa tutti, è un ottimo banco di prova per le moto e per i pirloti!!

P.S.
Per la cronaca nella generale sono partito 25° arrivato 18° (lo scorso anno ero partito 24° arrivato 19°)

Ciao e lampeggi a tutti
BeppeTitanium

Prima esperienza Agonistica

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La brochure pubblicitaria della S-twin mostra la moto campione mentre si lascia dietro un'orda di Ducati WOW!!!!!

Trofeo Guzzi – Regolarità Moderne

di Federico “Toscano” Filandri

 

Avevo finito il mio quarto turno notturno al lavoro ma non ero assolutamente stanco. Era venerdi mattina e da li a poche ore sarei partito per intraprendere la mia prima avventura “agonistica”nel mondo dei motori come attore e non solo come spettatore.
La tappa di Adria di metà luglio sarebbe stata teatro del mio battesimo del fuoco. Non ero teso.
Sinceramente! Avevo solo tanta energia positiva che mi dava una carica incredibile.
Arrivo a casa e termino la preparazione dei bagagli ricontrollando per l’ennesima volta la lista delle cose da portare con me: casco, tuta, guanti, paraschiena, stivali (queste sono le cose fondamentali! ) ma anche vari ricambi di intimo (non si sa mai che faccia qualche lungo ed occorra cambiare le mutande) t-shirt, pantaloncini corti e tutto l’occorrente per l’igiene personale. Pronto anche il compressore, gli attrezzi (non serviranno certo i miei in quanto abbiamo meccanici veri nei box – a
proposito Enrico “meccanico Stagi” sei un grande!) tenda, materassino…e poi… e poi basta! Sono stufo e voglio partire!
Verso le 12:00 arriva Albylemans con il furgone affittato per l’occasione, carichiamo la moto vicino alla sua e tutto il resto dei bagagli. Nuovo rapido riassunto del materiale ed ovviamente avevamo dimenticato qualcosa: il paraschiena di Alberto. Andiamo a recuperarlo e siamo pronti per il viaggio.
Davidesport ci sta precedendo in autostrada, in quanto viaggiando con il carrello deve mantenere un’andatura più lenta rispetto alla nostra. Durante il viaggio si parla quasi esclusivamente del weekend che ci aspetta, e se anche ogni tanto cambiamo discorso, presto ritorniamo a riempire l’aria con le nostre aspettative ed i nostri propositi di ben figurare nella competizione.
Il viaggio è più lungo del previsto in quanto troviamo coda durante il tragitto milanese e bresciano, ma l’ottima compagnia mi permette di non accusare il fastidio ed anzi ne approfitto per tediare ulteriormente Albylemans con tutti i miei dubbi e curiosità. (forse il fastidio del viaggio lungo lo ha accusato più lui…) Giunti a Verona ci ricongiungiamo con chi ci precedeva ed io mosso da pietà lascio riposare un po’ il mio compagno di viaggio fino a quel punto per andare ad assillare il più
fresco e riposato Davide, che con rassegnazione soddisfa tutte le mie domande.
Poco prima del circuito Davide riceve la telefonata di Licio che lo informa dell’infortunio patito dal fratello (mi raccomando riprenditi in fretta!!!) e lo invita a sostenere con lui la gara di endurancecon il Bombardino 233! La risposta affermativa non tarda ad arrivare in quanto è per Davide fonte di un nuovo sprone a far bene (il terzo posto nonostante i problemi avuti durante la gara è più che meritato!). Sono contento per lui! Gli sforzi che deve sostenere tutte le volte che si allontana da casa
è giusto che vengano ricompensati!
Alla fine sono le 20 quando attraversiamo i cancelli del circuito. Mi sento un figo in quanto entrando comunichiamo al personale di servizio all’ingresso che siamo i piloti che dovranno gareggiare nel weekend. Probabilmente mi accontento di poco, ma io ho acquistato la mia prima moto solo sei anni fa e mai avrei pensato che un giorno anch’io avrei gareggiato in un circuito.
Arriviamo al box n°11 prenotato dai sempre efficienti Motoeuropa. Ad attenderci troviamo un nuovo amico Alessandro (ribisso, a cui và un grazie particolare per tutto l’aiuto che ci ha fornito nel box durante il weekend!) che con il suo 1100 sport corsa ci ha raggiunto per trascorrere con noi le prossime giornate. Scarichiamo il furgone e l’auto e ci sistemiamo nell’ampio box aspettando l’arrivo del resto del Trottalemme Team.
Piccola digressione. Prima di scrivere che faccio parte del Trottalemme ho ponderato molto la cosa. Poi però ho pensato alle parole di incoraggiamento ed ai consigli che Piero (Gasgas) mi ha elargito nei giorni scorsi, all’esperienze condivise nelle precedenti tappe di endurance con i Piloti ed il Meccanico Enrico (le maiuscole non sono messe per errore), con gli amici e le compagne del team ed allora anche se dalla porta di servizio mi sento di essere entrato a far parte di questo grande Gruppo. Chiusa la digressione.
Dicevamo…a si! Aspettavamo il resto del Team. Nel frattempo ci siamo dedicati alla cena ristoratrice e tra una parola e l’altra le zanzare che da quelle parti sono organizzate in stormi da caccia si cibavano tranquillamente della nostra linfa vitale ed anche litri di Autan spruzzati sui corpi non impedivano a quei simpaticissimi insetti di godere del loro pasto.
Alla spicciolata, in fine, sono giunti i restanti occupanti del box, che portandosi appresso una carica di simpatia considerevole ci hanno riconsegnato un po’ di energia che era venuta meno nel tempo.
Il caldo afoso faceva da contorno a tutto questo per cui si decise di dormire sulla pitlane del box, unica zona ventilata di tutto il circuito. Ci preparammo per il meritato riposo ed io non mi feci mancare un bel rimprovero da Davide (e per rimprovero vi garantisco che non ha detto “accipufperbaccolina che cosa sciocchina che hai fatto”) circa la rifinitura del mio numero di gara. (in effetti era veramente patetico ed inguardabile!).
Sveglia al mattino presto. Più che altro il Monza ed i Motoeuropa quando si muovono non sono propriamente silenziosi per cui la loro sveglia è coincisa con la mia.
Dovevamo ancora fare l’iscrizione alla gara, passare le verifiche tecniche ed io dovevo aspettare che aprisse lo stand di europlastucci per acquistare dei numeri per la gara degni di questo nome…
Verso le 7:30 eravamo già in coda davanti al box dove i commissari di gara avrebbero dato il nulla osta alle moto per gareggiare nelle varie categorie. Alle 9:00 sarei sceso in pista per il primo turno di prove libere e mi sembrava che il tempo fosse poco per fare ancora tutte quelle cose.
Alle 8 puntuale come un orlogio svizzero Antonio Idà (complimenti per tutto quello che fai per organizzare questi eventi) apre lo stand del MGWC e mi permette di iniziare la trafila burocratica che mi porterà all’autorizzazione a scendere in pista. Continuavo a non essere teso in ogni caso.
La moto era pronta. Io avevo infilato la mia tuta acquistata per l’occasione ed ero pronto a disegnare traiettorie degne di un Giotto. Sapevo che non dovevo esagerare all’inizio. Non conoscevo la pista, le gomme erano fredde ma quel che più contava non avevo esperienza! In ogni caso iniziate le
prove feci quel che potevo tra i cordoli, e non avendo un riferimento cronometrico mi ero convinto di aver girato in maniera sufficiente per i miei canoni.
Mi dava fastidio il non riuscire a toccare con le saponette per terra! Mi sforzavo di piegare portando il mio corpo fuori dalla sella ma non ci riuscivo. Nel secondo turno di prove libere riuscii a toccare con la punta degli stivali ma Davide mi fece notare che era per il semplice fatto che tenevo i piedi a papera! Tra l’altro non lesinò apprezzamenti sul mio impeccabile stile di guida: “sembri un legno sulla sella! Ti hanno messo un bastone su per il culo?” ma non lesinò neanche preziosissimi
consigli: “devi rilassarti maggiormente, scioglierti e pensare a divertirti” e “porta tutto quel culo fuori dalla sella che non è incollato li sopra! Non è possibile che guidi meglio in strada che in pista!”. Ad essere sincero trovo il modo burbero di Davide uno sprone continuo a migliorarmi. Sarà per il fatto che è stato lui ad insegnarmi ad andare in moto e non voglio deluderlo o per il fatto che se non do il massimo di me stesso nel fare le cose non trovo soddisfazione, ma cerco di ascoltare le parole di chi ha più esperienza di me.
La mattinata era ormai quasi passata ed ora mi aspettava il riscontro cronometrico delle prove del pomeriggio.
Il sole era alto nel cielo. La morsa del caldo torrido non allentava la sua presa e l’umidità nell’aria bagnava i corpi degli astanti. Si cercava negl’angoli ombrosi del box un refrigerio che non arrivava e le bottiglie d’acqua uscite dal frigorifero pochi minuti prima non contrastavano efficacemente l’arsura. In questa situazione surreale avrebbero avuto luogo le prime prove cronometrate. E pensare che dopo di noi avrebbero corso i piloti dell’endurance!
Si sono fatte le 14:10 ed io ero nuovamente pronto a scendere in pista. Dovevo fare bene. Ero in grado di farlo e maledetto me se non dimostravo a me stesso ed agli altri che potevo stare li a correre con loro!
Rettilinei affrontati a manetta, staccate al limite e curve tagliate con il bisturi… non toccavo ancora le saponette della tuta ma mi stavo impegnando. I piloti più veloci mi doppiavano ma non tutti e questo fatto mi rincuorava circa la bontà della mia prestazione.
Finito il turno esco dalla pista e dopo essermi tolto la tuta ormai pregna di sudore mi dirigo verso la direzione gara per visionare il mio risultato.
1’52.361 Ma vi rendete conto?!? Mi sono preso 19 secondi di distacco da Paolino Stagi che ha girato in 1’33.246 Ho fatto registrare il terzultimo tempo (e sarebbe il meno questo fatto) ma con un distacco siderale in una pista di 2,7 km! Mi sono reso conto di essere un chiodo piantato in una quercia! Se avessi preso una bicicletta sarei stato forse più veloce! Il caldo ormai non era più un problema. Un velo di depressione mi aveva avvolto e mi aveva fatto alienare dal contesto in cui mi trovavo. I rumori mi giungevano ovattati e le forze che fino a quel punto mi sostenevano avevano lasciato repentinamente le fibre del mio corpo. 1’52.361! Mamma mia che pena! E come ciliegina sulla torta la moto aveva iniziato a perdere olio. Che bel momento! La mia giornata di pista era finita e dopo una doccia ristoratrice tornavo alla mia solita veste di supporter.
La notte fù foriera di cambiamenti. Il caldo africano fu sostituito da più miti temperature createsi grazie ad un temporale sceso poco prima dell’alba. La pista in ogni caso non avrebbe avuto problemi nel garantire il grip in quanto l’asfalto aveva drenato bene l’acqua. La giornata si presentava serena ed era presente una leggera brezza che rinfrescava il corpo.
Gasgas mi aveva elargito, dall’alto della sua esperienza e bravura, alcuni consigli su come migliorare la guida e Davide insieme ad Alberto avevano completato l’opera di “indottrinamento”.
Ero carico per il secondo turno di prove cronometrate delle 11:05. Eccomi nuovamente sulla pitlane pronto ad entrare in pista. Bello carico e convinto dei miei mezzi cerco subito di mettere in atto i consigli ricevuti. Le pieghe tardano ancora ad arrivare ma mi sembra di essere più fluido e morbido nella percorrenza delle curve. Ad un certo punto sento il ginocchio sinistro sfiorare l’asfalto e l’istinto mi fa raddrizzare la moto. Ma ho toccato? Si! Ho toccato! Sono ancora più carico e alla curva successiva cerco nuovamente l’asfalto con il ginocchio. Lo trovo! Diavolo sto strisciando la saponetta lungo l’asfalto di una pista!!! Datemi del minchione ma devo confessarvi che sul rettilineo successivo ho urlato dentro il casco:” Siiiii!!!!! Sono un grande!!!!! Sono il miglioreeeeeee!!!!!” Mi rendo conto di essere un caso clinico da psichiatria ma vi garantisco che in quel momento mi sentivo un vero pilota al pari di Rossi. Terminai qualche minuto prima le prove in quanto non volevo sforzare troppo il motore e rientrai nel box.
Li feci la conoscenza di Daniele (SinSp ecc ecc) e al di la del fatto che dobbiamo ancora appurare chi dei due è affetto da Alzheimer giovanile devo dire che è una persona con un’empatia fuori dal comune! Sono molto felice di averlo incontrato (se per la prima volta o la seconda dipende da chi di noi due ha la patologia).
Dicevamo che rientrato ai box ero esaltato! Dissi e feci vedere a tutti che avevo strisciato con le saponette, sia destra che sinistra, e che ero andato molto bene! E tutti i presenti mi guardarono come si guarda un cerebroleso che è riuscito a mangiare da solo… Ma al di là di quello ero certo che il tempo si era abbassato. Alla fine il cronometro si fermò su 1’50.446 e quindicesimo posto in griglia di partenza. Si, ero migliorato, ma non come volevo. Sapevo che potevo fare meglio ed il fatto di
aver toccato le saponette mi aveva dato la sensazione di aver rotto un muro, di essere passato di categoria! E poi non potevo sfigurare con gli altri guzzisti del forum. E non con quelli di Torino.
Sai che palle sentire i loro sfottò ogni volta… Comunque, nonostante la delusione portata dall’impietoso riscontro cronometrico ero gasato e sicuro di me tanto che lanciai pubblicamente la sfida a Mauro (dido76) dicendogli che avrei fatto la gara su di lui e lo avrei passato! Lui si preoccupò solo del fatto che lo tamponassi a dire il vero… Certo che me lo sono andato a scegliere con il lanternino il mio obiettivo. Dido viaggiava con un tempo di ben 5’’ più veloce del mio! Guida preciso e costante e si vede bene quando è in pista; ma oramai era fatta e non potevo rimangiarmi tutto!
Arrivò finalmente il pomeriggio. A pranzo un panino veloce e poi a metter gli adesivi di Anima Guzzista sulla moto. Questa non perdeva più olio ed io lo presi come un segno del destino favorevole. Mancavano un paio d’ore alla partenza ed ora io sentivo la tensione. Mi ero chiuso in me stesso ed abbozzavo mezzi sorrisi a chi mi rivolgeva la parola. Controllavo i serraggi delle viti e dei bulloni e come una tigre in gabbia mi rigiravo dentro il box. Mentalmente cercavo di ripercorrere la pista e ricordavo dove passavano i piloti dell’endurance e della Griso cup in maniera tale da ricreare le loro traiettorie.
La vestizione fu più lunga del solito. Ogni cosa doveva essere perfetta in maniera tale da non dare fastidio alla guida ed ai movimenti. Stivali, paraschiena, guanti, casco, tutto controllato ed aggiustato alla perfezione. Un saluto di incoraggiamento con gli altri componenti del Team e poi salii sulla mia moto dentro il box e l’accesi. Ci eravamo già parlati nelle ore precedenti, e quindi non dovetti ripetere tutto quanto. Bastava solo prometterle che non l’avrei fatta cadere e che lei
sarebbe stata fiera di me. Abbassai la visiera e mi diressi verso la pista.
Giro di allineamento. Riguardavo le traiettorie e cercavo di scaldare un po’ le gomme come mi aveva insegnato Davide. Arrivai sulla griglia e cercai la mia casella. Eccola li la numero 15. Misi la mia moto dietro quella riga e mi guardai intorno. Vidi Dido76 e Chiaucese con i quali ci indirizzammo un in bocca al lupo. E poi a guardare i commisari di gara che stavano per dare il via al giro di warm-up. Ecco la bandiera sventolare e le moto partire ma con una velocità superiore al giro
precedente. Cavoli riuscirò a stargli dietro? Questi viaggiano come degli indemoniati. Due minuti scarsi ed ero di nuovo sulla griglia di partenza. La visiera era abbassata ed i rumori mi giungevano ovattati. La manopola dell’acceleratore girava facendo affluire benzina ai cilindri ed il battito cardiaco sembrava essersi adeguato a quel ritmo dei motori su di giri che precede le partenze. Ecco che si accende il semaforo rosso. “Dio mio sto per partire”. Si spegne! Via! Do gas a manetta e la moto mi sembra si alzi in prima marcia. Prima, seconda, terza e sono alla staccata in fondo al rettilineo. Siamo tutti li. Ho paura di far danno e tamponare qualcuno quindi cerco di tenermi dentro un margine di sicurezza. Dido mi è davanti. Non sono riuscito a passarlo alla partenza come volevo.
Devo stargli dietro e non mollarlo. Non so in che posizione sono ma vedo davanti a me altre quattro moto che lottano insieme per guadagnare posizioni. Il gruppetto è capitanato da un centauro giallo (complimenti per aver poi vinto la regolarità!). Ci sono Dido76, una breva 750 ed un V11 cafè sport.
Sono li davanti a me e Dio mio riesco a star con loro! Credo che il ritmo non sia altissimo, infatti non sto guidando benissimo ma tengo. Non mi interessa devo correre! Seconda, terza, quarta, quinta poi si deve staccare. Quarta, terza e via impostare la curva! Devo mettere il culo fuori dalla sella e trovare l’asfalto con il ginocchio. Lo trovo. Ecco ora sto guidando meglio. Devo ricordarmi mentalmente le marce per non sbagliare la percorrenza di curva. Riesco a passare la breva in uscita di curva ma l’ottimo pilota mi ripassa alla staccata succesiva. Non importa ora sto guidando bene ed è nuovamente il mio turno passare ma questa volta in staccata. Poi il motore con più cavalli mi da una mano a prendere un po’ di distanza. Almeno credo sia così in quanto non sono certo in grado di girarmi e vedere cosa è successo. Intanto il pilota con il V11 cafè è passato in testa al gruppetto e sembra prendere un po’ di vantaggio. Mauro battaglia con il centauro ma questi chiude bene le porte ed è difficile passare. In staccata mi rendo conto di chiudere il gas un po’ dopo i miei avversari, ma ho paura di tamponarli e quindi sono sempre titubante nelle entrate. Nonostante questo al tornantino che immette nella parte di pista non visibile dalle tribune riesco ad infilarmi all’interno del V11 di
Mauro ed a passarlo. Gli sono davanti devo spingere perché altrimenti mi ripassa subito! Ho il centauro nel mirino ma sento ancora il fiato sul collo di Dido che non mi molla un attimo! All’uscita dell’ultima curva prima del rettifilo finale riesco ad affiancarmi al centauro ma questi riesce a ripartire prima e rimane davanti a me. Con la coda dell’occhio vedo anche il V11 di Dido. “Gira questo cavolo di polso destro che non si rompe” mi dico e mentalmente riconto le marce. Terza, quarta, quinta, ecco la riga bianca dove staccare, quarta, “tienti lungo per prendere la corda meglio”, terza; il centauro ha staccato prima ora sono solo ad affrontare la curva, culo in fuori, ginocchio a terra e spingere con il braccio sinistro per evitare che si chiuda lo sterzo. Sono all’uscita dalla curva,
raddrizzo un po’ la moto e splanco il gas! Passato! Ora mi rimane il V11 cafè sport davanti e mancano solo 3 giri alla fine. Devo riprenderlo! Sembro riuscirci e nelle staccate mi avvicino a lui.
Siamo nella parte finale del circuito. Due curve a sinistra ed un ultima a destra che immette nel rettilineo del traguardo. L’altro pilota disegna molto bene le traiettorie delle curve a sinistra e non mi lascia davvero spiraglio. Ma devo passarlo. Non so cosa mi sia preso ma decisi di passarlo all’esterno dell’ultima curva. Si, io che al mattino avevo toccato le saponette per la prima volta avevo deciso di passare un pilota all’esterno di una curva. Un pazzo! Comunque lui come da copione disegna la sua traiettoria come da manuale mentre io allungo un po’ la staccata per avere poi una traiettoria “parallela” alla sua. Sono in terza. Devo far scorrere la moto. La saponetta di destra accarezza l’asfalto e la moto non si muove minimamente. Accelero deciso e Dio mio santissimo riesco a stare dentro la curva, a non cadere ed all’uscita di curva ad essere più veloce e passarlo! Ragazzi miei. Volevo quasi fermarmi per catturare in maniera indelebile quel momento nella mia testa. Ma la gara era ancora da finire e mancavano solamente 2 giri. “Tira Federico Tira” mi ripetevo. Ad un certo momento sul finire del 7 giro vedo la bandiera blu. Arrivano i primi. Non voglio disturbarli ma non voglio neanche che mi raggiungano gli altri piloti con i quali sono stato in bagarre fino a quel momento. Non è un problema Bonifacio e Paolino mi passano senza colpo ferire prima della penultima curva. Quando arrivo sul traguardo c’è la bandiera a scacchi che sventola! Certo che cavoli! Mi hanno doppiato e loro hanno fatto tutti e 8 i giri!!! Ma non importa. Sto provando una sensazione indescrivibile che mi fa volare. Lascio la moto con gambe e braccia e quasi perdo l’equilibrio come un pollo. Pensate se cadevo in quel momento…
Che emozioni! I commissari che sventolano le bandiere, il pubblico che applaude sugli spalti, le congratulazioni fra i piloti… meraviglioso!!!! Dovete provarlo per apire quello che sto cercando di trasmettervi. Alla fine nel parco chiuso ancora a congratularci l’un l’altro e a parlare degli episodi più salienti della gara. Saremmo solo dei dilettanti allo sbaraglio ma ci abbiamo messo la medesima intensità agonistica che ci mettono i professionisti. Tutti quanti!!!!!!! Dal primo all’ultimo siamo stati bravissimi!!!!!!!!!
Ringrazio con il più profondo del cuore tutti quanti! Tutto (e proprio tutto) il Trottalemme Team per quello che hanno fatto, Alessandro (ribisso) e Daniele (sinsp) per l’aiuto tecnico e di supporto, Mauro (Dido76) per essere stato mio complice nella gara (la rifacciamo a Magione vero?) e poi tutti gli altri che non nomino ma che sanno essere protagonisti di questo meraviglioso weekend!!!

GRAZIE DI CUORE

Le Aquile invadono Spa

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La bella Guzzi dei francesi della Scuderia Guzzi...

Testo, foto e astuto filmino di Goffredo Puccetti e Francesca Bizzarri

 

“Ammmmoooore ma sei un tesoro!!! Che splendida idea! bravo! Bravo!!”

Parliamoci chiaro: che mia moglie Francesca sia un mito lo si sapeva, ma una reazione del genere alla mia proposta di passare un Weekend alla Bikers’ Classics di Spa-Francorchamps proprio non me l’aspettavo. Tutto mi si sarebbe chiarito il venerdì mattina, al momento di partire, vedendola fare i bagagli:

“Olii essenziali, Estratti di jojoba, Aloe Vera, asciugamanino in lino, accappatoio con pratica tasca portacostume… E poi vediamo… Ah già le ciabattine, fondamentali! Servirà anche una cuffietta, no?”
Resto leggermente interdetto dalle modalità con cui Fra si sta apprestando a preparare il bagaglio… Anni di Guzzismo-zavorrismo l’hanno temprata a dovere, sono stupito da quella lista di oggetti:
“Scusa ma che ci fai con tutta questa roba?”
“Eh eh, ho visto su wikipedia! Spa! La città delle terme! Il paese delle Sorgenti!! Le terme più famose del mondo!! Terme calde, fredde, saune, fanghi, jacuzzi, aromaterapia, massaggi… Ah, quante ore passeremo a mollo alle terme?!”
“Nemmeno un secondo, immagino…”
“Prego?”
“Andiamo a Spa-Francorchamps, circuito automobilistico mitico. In occasione del più grande raduno di moto classiche d’Europa, c’è la 4 ore di Endurance, la Guzzi è ospite d’onore e Anima Guzz.. No, dai, no, no… La ciabatta noooo. Ahia ahia ahia!….”
Sorvolando sull’equivoco, il dinamico duo abbandona i vaporosi orizzonti in ammollo e si setta sul motociclistico andante: l’unica acqua di cui ci occuperemo sarà la mitica salita dell’Eau Rouge; i massaggi ce li fornirà il bicilindrico, pronti, via si parte!

The Long and winding roads
La strada da Parigi a Spa può essere più o meno noiosa e più o meno lunga a seconda di quanto si ceda al richiamo dell’autostrada. Decido di fare tutta autostrada fino a Reims, superstrada fino a Charleville Meziers e poi solo stradine per attraversare le Ardenne. La tratta autostradale è una goduria: i tre caselli sono infatti impavesati da grandi cartelli “EN GREVE” “sciopero”! Yuppie!!! Esprimendo solidarietà ai lavoratori attraversiamo garruli i caselli. Sono tempi duri e ogni euro risparmiato è una festa, signora mia. Saltiamo la sosta a Reims molto bella ma già vista in precedenza ed eccoci pronti ad uscire a Charleville Meziers. Mi sono stampato la lista dei paesini che attraverseremo. Inizia la goduria. La Foresta delle Ardenne – apri bene le orecchie o tu motociclista in cerca del bello – è uno spettacolo e le sue strade semplicemente perfette. A cinque giorni dall’Incontro in Sardegna, con l’asfalto perfetto e le sequenze inenarrabili di curve delle statali sarde ancora vivide nella memoria dovrei essere difficile da accontentare ma qui c’è poco da dire: strade perfette, sinuose, con tratti larghissimi, curve e controcurve favolose tra canyon, boschi, fiumi e paesini pittoreschi. E pochissimo traffico! Favoloso. Attraversiamo un bosco preceduto dal cartello “obbligo di fari accesi”: le chiome degli alberi sono così fitte che si viaggia in un lungo tunnel naturale, poi dei tratti su dei costoni da cui si aprono panorami a perdita d’occhio. Meravglioso, davvero un posto incredibile. Attraversate le Ardenne, la campagna belga non è meno suggestiva e l’avvicinamento a Spa è emozionante. Stavelot, Masta, Francorchamps… I nomi dei paesi e delle frazioni intorno al circuito evocano emozioni d’altri tempi. Gli ultimi chilomentri della strada che gira intorno alla pista, da Stavelot all’ingresso sono semplicemente favolosi: un tempo la pista passava di qui e si ha l’impressione che la strada nuova sia fatta apposta per ricordarlo a chi la percorre offrendo una sequenza di curvoni e saliscendi da orgasmo.

Spa-Francorchamps
Ci siamo. O meglio ci eravamo già, ma mi ero perso la deviazione. Il circuito è letteralmente nel mezzo di una fitta foresta. Nonostante sia immenso, con due pit lane e box, un area Paddock su tre livelli grande quanto le Marche, il circuito risulta pressoché invisibile fino a che non ci si è dentro. Seguiamo il cartello Moto Guzzi Bikers Classic di rotonda in rotonda ed ecco che finalmente ci siamo: uno stradone diventa un piazzale immenso nel bosco e in fondo i gonfiabili
della Bikers Classic e quello gigantesco della Moto Guzzi segnalano l’ingresso nel parco giochi di ogni motociclista. E possibile? Sì! Si! Eccola lì! Incorniciata dalle bandiere dei gazebo del parcheggio, eccola lì: una striscia di asfalto che scollina nel bosco preceduta da una chicane alla fine di una discesa folle: la Radillon – Eau Rouge. Provo la stessa sensazione che provai quando scesi dal traghetto all’isola di Man e dirigendomi verso il Bed & Breakfast, riconobbi i
guardrail di Quarterbridge… O quando alle GMG del 2003 ci fecero girare a Monza… Ecco la seconda di Lesmo… Ed ora eccola lì:
la ’esse’ Radillon-Eau Rouge, sublime, incredibile. Vedere le teste dei motociclisti sparire all’orizzonte mentre scollinano tenendo tutto aperto è da brividi. Come potrà essere farla davvero, da pilota? Ne avrò un assaggio (solo un piccolo, piccolissimo assaggio) partecipando alla parata della domenica, ma adesso siamo solo a Venerdì, riprendiamo in ordine.

Moto Guzzi à l’honneur
Non capitava spesso ultimamente. E per ultimamente intendo negli ultimi decenni. Sentirsi ammirati e invidiati. Coccolati e riveriti. Per via del marchio sul serbatoio delle nostre moto. In un paddock, intendo… Più di frequente capitava l’occhiata sbilenca, la bocca di traverso: ’ah e questi sono i guzzisti…”. Stavolta non è così. Stavolta Mamma Guzzi ci si è messa di buzzo buono: sponsor ufficiale della manifestazione, la marca Moto Guzzi domina ovunque si guardi. Sulle tribune, nell’area parcheggio riservata, al Villaggio Paddock con il suo tendone con le moto da GP in esposizione…
Faccio brutta figura nel dire che si gode come criceti quando si arriva in fila al parcheggio e si scopre che una gentilissima hostess è incaricata di riconoscere le Moto Guzzi e farle passare davanti a tutti gli altri, indicando il cammino, transennato fino all’area parcheggio riservata? E quanto è bello il braccialetto Moto Guzzi che permette accesso a tutto il paddock? Brava Guzzi! Ecco quello che serve! tappezzare Milano di cartelloni serve a qualcosa? Non saprei. Quello che è sicuro è che imporre per due giorni una marca come è stato fatto a Spa, associare indissolubilmente il nome Guzzi al bello, alle corse, alle prestazioni, alla vittoria persino (Grazie Segarra!) è sicuramente fondamentale e assai redditizio. Non avevo mai visto così tanto interesse di fronte ai modelli in esposizione e per far tacere il triste ritornello “ah ma le fanno ancora le Guzzi?” non c’è di meglio che farle vedere, nelle cornici più belle possibile. Al sabato faccio in tempo a fare due chiacchiere con diversi manager del gruppo Piaggio italiani e francesi: la soddisfazione per la risposta del pubblico all’iniziativa è palpabile. Il “ritorno” di immagine dell’investimento è evidente sin da subito, non c’è bisogno di aspettare di vedere youtube e le comunità online di tutta Europa popolarsi di video dove il marchio Guzzi è onnipresente.
I Grandi Paddock di Anima Guzzista…
Parcheggiata la moto sotto il gazebo riservato, pappappero, andiamo a farci consegnare braccialetti, magliette, cappellini, toppe e quant’altro. Mamma Guzzi ha fatto le cose in grande: prego ecco anche i buoni per i drinks al Barbecue Guzzista di domani… Minchia, disse il duca conte Rospigliosi! Veleggiando orgoglioni ad un palmo dal suolo ci apprestiamo a raggiungere il paddock e a scoprire il Primo Mistero di Spa o Santa Rivelazione della Madonna della Salita. Ho accennato al fatto che il circuito di Spa è contraddistinto da dei dislivelli senza uguali nel mondo? No? Allora lo faccio adesso: il circuito di Spa è contraddistinto da dei dislivelli senza uguali nel mondo. Segnatevi questa frase, anche voi agli ultimi banchi, perché è importante. È importante perché sostanzialmente quelli che in tutti i circuiti del mondo sono “quattro passi al Paddock, prima di rientrare ai box” a Spa sono…. una via ferrata fantozziana!!! Si inizia da una piccola parete scivolosa lungo un piccolo sentiero, si scende un costone e ci si immette in un tunnel da dove poi si risale sempre serpeggiando lungo una scarpata prima di affrontare la terribile scala metallica della parete nord con i suoi gradini ad alzata mozzafiato. Arrivati in cima, posate pure le bombole di ossigeno: siete arrivati al paddock de La Source. Ovviamente c’è anche la più dolce salita, partendo dal tunnel dell’Eau Rouge per poi salire lungo la strada che porta alla linea di partenza, all’altezza della creperie; ma in questo caso dovrete preventivare due giorni di cammino almeno e allestire un campo base all’altezza del Villagio Vip.
Ecco, questo è il Paddock di Spa, senza esagerare, giurin giurello! Dicevamo dunque che io e Fra arriviamo alla Pit Lane, dove iniziamo la caccia ai tanti volti amici che sappiamo essere lì. E sì perché al richiamo di Spa, della Guzzi ospite d’onore, hanno risposto in tantissimi e dopo la straordinaria vittoria della Guzzi di Moto Bel l’anno scorso, le bicilindriche di Mandello in pista sono aumentate e sono una più bella dell’altra! In ordine sparso, negli immensi box- cattedrale di Spa, incontriamo e salutiamo il Team Moto Bel, i baschi del GG Team, i francesi della Scuderia, diversi team tedeschi tra cui spicca una bestiale Guzzi Dynotech e poi… i nostri!!!! I nostri amici spagnoli: i Segarra, Alberto ’Teto’ e Mauro Abbadini. Ma… Ma chi si è portato appresso Mauro come meccanico? È lui o non è lui? Ma certo che è lui! La leggenda vivente delle Moto Guzzi da corsa, ze uan en onli Bruno… anzi lo dico alla francese: Brunò Scolà! Berrettino di Anima Guzzista e felpa del leggendario Minchion Team, il nostro Bruno Internazionale è di casa al Paddock di Spa. Si stupirà qualcuno se dico che la moto di Mauro Abbadini farà una gara fantastica?

E già che approcciamo l’argomento del fantastico, del sovrannaturale, ecco la notizia che grandi e piccini aspettavano; le belle favole di una volta! Il figliol prodigo di Anima Guzzista! Il profeta delle corse! Colui che vide nella sua mente torme di Moto Guzzi in pista e si immaginò un campionanto europeo, il tutto mentre il Dalai Lama non si decideva se prendere un caffé macchiato oppure no. Colui che poi tutto abbandonò per reguire il richiamo delle due ruote non motorizzate, sculettando su strade sterrate per un paio d’anni. Colui che per mezzo lustro ebbe orecchi ed occhi solo per Campagnolo, Shimano e altre cazzatelle. Ebbene, egli è tornato. A pilotare la Guzzi 53 del Classic Co, accanto a Mauro Abbadini, ecco che vediamo rifulgere nella sua tutina sgargiante il nostro Dr. Iosk, Mauro Iosca! Così, tra il serio e il criceto, il giovane si presenta in pista. E farà una signora gara perché la classe non è acqua e quando si è Minchion nell’animo non c’è Shimano che tenga. Proseguiamo lieti respirando l’adrenalina che si spande in pista ed eccole lì, sotto il bannerone col toro, ecco le splendide moto del Taurus Team. Bruno Garella, Antonio, Sam, Oreste, Andrea… e Bucodimemoria1 e Bucodimemoria2 e Bucodimemoria3 (scusate è l’età….)….Grandi abbracci e salutazioni varie ma…. (musica crepuscolare, please…) i miei occhi incontrano quelli del nostro Sam Sardi e… c’è una strana espressione nei tuoi occhi, amore, dimmi cosa c’èeeee… Samuele non raccoglie l’invito a duettare ma preferisce enumerare alcune virtù precipue a San Crispino. Si sofferma poi ad esprimere alcune curiose metafore che efficacemente mescolano la zootecnica con il monoteismo di radice abramica ed infine esplica: “cazzo, ratta! ’Sta moto ”
Ah! A quanto pare c’è un problema: la moto va, ma poi “ratta”. Ratta! Ratta! Lo ripetono più volte. Il fatto di sentirlo ripetere più volte non cambia di una virgola il fatto che io, dall’alto della mia sapienza motoristica, non sappia minimamente di cosa stiano parlando. Azzardo la battuta: “probabilmente è l’antarallo sminchiato…” e impongo le mani sul motore e sul cupolino in corrispondenza della foto-santino di Omobono. Battuta rischiosissima, gesto inconsulto: in caso di defaillance, complice la nota scaramanzia dei piloti, potrei essere bannato dal paddock… Ma la moto smette di “rattare” (boh!) e il Taurus Team si trasforma nella fiera del sorriso.
Gli amici del Gerry Team, ed il loro alfiere, il grande Graziano, colleghi di paddock, impressionati dall’evento mi invitano ad imporre le mani sulla loro Moto diversamente bicilidrica italiana: una Bimotona motorizzata Kawasaki di quelle che le vedi e fai gulp… Viene anche applicato il sacro adesivo ma ovviamente gli effetti taumaturgici non sono gli stessi su una Guzzi e su una Bimota!!! La Bimota dopo essere stata velocissima per metà gara sarà fermata da una bobina in panne… Ooops!!! Ma torniamo al sabato. Nel frattempo il sole che ci ha accompagnato da Parigi sta cedendo il posto a nuvoloni vari che veloci come Nuvolari preannunciano casi amari. Chi può immaginarsi la 4 ore domani sotto la pioggia? Di notte??? Brrr… Panico, terrore, raccapriccio… Con cotanti pensieri in testa, ci diamo appuntamento a domani e ci rechiamo garrulissimi e lietissimi nel nostro bell’albergo, a una decina di km dal circuito. Cena con l’immancabile hot dog e patatine, riflessione sul fatto che le patatine fritte in Belgio sono effettivamente ottime e a nanna! Un’altra riflessione, più articolata, concerne invece le mamme dei baristi del circuito che ti vendono 25cl di acqua a 2.5 euro. Va bene tutto, ma questo si chiama furto e la professione delle loro mamme è antica e nota.

Guzzi e Canguri (pochissimi i canguri)

Ci svegliamo il sabato mattina e sembra non piovere… Il cielo è brutto e nuvoloso ma ancora non piove. Apro le finestre e un pensiero mi assale: era solo coca cola quella che ho bevuto ieri oppure??… Il pensiero è causato dal vedere una coppia di canguri che saltellano lieti nel giardino. Vado in bagno a lavarmi il viso, torno alla finestra e i canguri sono sempre lì. Ci sono anche dei pony, dei mufloni, dei cerbiatti e dei pavoni. Ah, giusto, ora ricordo. Ora capisco il depliant “Hotel avec parc animalier dans le jardin”. Non ne avevo colto il senso esatto ieri. Archiviamo i canguri belgi e come dicevo, il tempo fa schifo ma ancora non piove. Per evitare di dover di nuovo commentare i lavori delle mamme dei gestori dei chioschi al circuito dove per un panino ti impegni un rene e per una coca cola devi fare cose innominabili nel retrobottega, puntiamo al ridente paesello di Spa. Bello e pittoresco con i suoi stabilimenti termali, il Casinò e soprattutto un bel supermercato: paninoes, prosciuttoes, caciottes und bananoes. Acquation and cocacolation. C’è tutto, si va! Ma prima passiamo in albergo va, che qui c’è la Duvel a meno di un euro a bottiglia, quasi quasi ce ne portiamo a casa una cassetta… Il Belgio non ha dato grandi personaggi al mondo. Il loro eroi nazionali sono Gugliemo Tell e Hercule Poirot, che sono entrambi personaggi di fantasia, rendiamoci conto. Però il Belgio ha dato al mondo le patatine fritte e le birre d’abbazia. E in Belgio hanno costruito il circuito di Spa. Siano rese grazie al Belgio.

Il tempo di poggiare le birrozze in albergo ed ecco che piove mannaggia mannaggia. Piove prima stile “uh piove”, poi stile “cazzo, piove!”. Piove proprio di brutto. Il mio primo pensiero è a quanta gente in meno può significare in termini di afflusso: con un tempo del genere, ti alzi con la mezza idea di farti un weekend alla Bikers Classic, guardi fuori dalla finestra e pensi: “Ma anche no” e torni a dormire…. Ma evidentemente io ho sottovalutato i motocisliti europei visto che di gente alla fine ce ne sarà un botto! Impermeabilizzati come si deve (Fra) e come non si deve (io, con la mia giacca Quecha ormai non più impermeabile) ci rechiamo al circuito. In programma una serie impressionanante di parate in pista tra sidecar, classiche e le prove libere prima della gara e una sessione di autografi di campioni del mondo all tendone Guzzi. Arriviamo al paddock e notiamo che nella magia di Spa manca l’ingrediente clou: “Antonio, ma non avete ancora messo lo striscione di Anima Guzzista?” Antonio, ovvero Antonio Tentorio Muretto Manager del Taurus Team sfoggia invero la felpa di Anima Guzzista portafortuna ma non ha ancora ottemperato al rito della Santa Ostentazione del Sacro Lenzuolo. Provvediamo io e Fra ed Omobono raccolti i nostri auspici, fa smettere di piovere nel momento esatto in cui stringiamo l’ultima fascetta. Ci sono i testimoni. Anima Guzzista tutto può. Abbiate paura. Abbiate molta paura.
Antonio ha pronta per me una sorpesina casual non da poco; come molti di voi non sanno, io non ero mica lì per pettinare le bambole. Eh no! Altro che divertimento… Io ero a Spa in qualità di Spengitor Manager per il Taurus Team! Ovvero: Addetto all’estintore. Dell’importanza di questo ruolo nella vita di un team (ma anche nella vita in generale) ho già detto nel report su Magny Cours e qui non dirò oltre limitandomi a dirvi che la sopresa per me era una tuta ignifuga vintage! Provvedo ad allertavi che le foto in calce del sottoscritto inguainato in una tutina jeans, omologazione 1975, modello Cicciobello Meccanico©, potrebbe causare reazione allergiche ed eruzioni cutanee nei soggetti più sensibili.

Phil, Ago, Jim e gli altri
Eccoli, lì! Le vecchie glorie del Motociclismo mondiale si prendono a sportellate a colpi di autografi, seduti uno a fianco all’altro nel tendone Guzzi. Mi sono portato una copia del cubotto argentato Guzzi da farmi autografare: Phil Read vede la firma di Redman e commenta sarcastico “ma guarda quanto spazio ha preso?! Peggio che in pista, eh! E io lo passo! ” E fa in modo che mezza firma sua vada su quella di Redman! Immensi!

Guzzi Guzzi Guzzi!
Che annata, ragazzi, che annata!!! Speriamo che non si arresti questa onda di successi per la Moto Guzzi! Dopo i fasti di Magny Cours con un Bol d’Or Classic dominato dalle Aquile in lungo e in largo, ecco che la Guzzi torna ad imporsi a Spa. L’anno scorso era toccato alla Guzzi del team Moto Bel, quest’anno ci pensano i Segarra! Come dite da lì in fondo? Andiamo in ordine? La fredda cronaca della gara?? Ma no, vi prego, ma non me la chiedete! Se provassi a ricordarmi tutto, ad elencarvi tutto, sarebbe ugualmente incompleto. Mi spiace giovanotti ma Spa, e la sua 4 ore con arrivo in notturna, rientra nel novero di quelle cose che non si spiegano. Le vieni a vedere e poi dici: “ah, capisco”.
Su altri siti troverete la fredda cronaca, io provo a farvi rivivere un po di emozioni del weekend… vai con le immagini!

Foto Gallery Bikers’ Classic 2010

Ecco la gara è finita! Grandi Segarra!! Trionfo Guzzista!! Torniamo in albergo e faccio in tempo a fare due chiacchiere con Antonio Idà, a cui si deve moltissimo della riuscita dell’evento. Una botta di sfiga a suo papà lo ha costretto a rivedere i suoi piani e non è salito in moto insieme al gruppo da Mandello, ma in macchina pur di vedere di persona, sia pure per sole poche ore, il risultato dell’investimento della Moto Guzzi e la risposta dei Guzzisti all’invito del Moto Guzzi World Club. Insieme a lui, prima della partenza ci siamo fatti il giro del paddock per premiare i team Guzzi e poi, durante il Barbecue Guzzista (che mi sono perso stando al paddock ma che mi dicono essere stato una figata pazzesca), ha premiato a nome del MGWC diversi club europei. Ci salutiamo che è l’una di notte passata perché Antonio mi fa: “domani parto alle 4, così faccio in tempo a ripassare in ospedale”. Massimo rispetto! Con persone con una passione e un cuore così tutto diventa possibile! Finisco la birretta della staffa chiaccherando con i giornalisti di Motociclismo a seguito del gruppo e con un paio di guzzisti francesi che minacciano pesanti ritorsioni contro il presidente del Moto Guzzi Club de France reo di essersi presentato a Spa in sella ad una Harley!!! La conversazione è accesa e variopinta ma i dettagli non possono essere trascritti perché, hai visto mai ci leggono anche i bambini…

Domenica. I have a dream…
Sole stupendo! Mo vieni! Si torna al circuito per la parata. Prima io e Fra ci facciamo il giro completo del villaggio: il paddock delle moto Classiche è tirato a lucido e la sequenza di moto è mozzafiato. Pensate alla vostra moto mitica, quale che sia. l’Honda di Freddie Spencer, la Yamaha di Sarron, ma pure la Bicilindrica di Tenni… Sono tutte qui! Di tanto in tanto si formano dei capannelli di persone: il campione di turno di passaggio tra le sue moto e subito spuntano telecamere, macchine fotografiche, pennarelli, caschi e giubotti da autografare. Intantoil parcheggio moto si è riempito all’inverosimile… Le moto poi continuano fuori, lungo la strada del campeggio, di fronte ad ogni pensione, brasserie, ristorante per tutta la strada fino a Spa… È un invasione motociclistica a tutti gli effetti. Se il tempo schifo di ieri ha avuto qualche effetto, beh, oggi a guardare le migliaia di moto presenti non ci se ne accorge proprio. Continuano le siringate all’ego dei Guzzisti che gongolano nell’area parcheggio riservata e impavesata. Quando poi ci si avvicina alle 13, motori accesi ed ecco che si forma il serpentone. Centotrenta Moto Guzzi, se ho ben contato, si schierano per entrare in pista per la parata riservata ai proprietari di Moto Guzzi.. Le consegne sono semplici: due giri, guai a chi supera la safety car. Via, si entra! Dal rettilineo dopo la Source, subito l’incontro col mito: Radillon – Eau Rouge. Marooooo che roba… la sto facendo a passo d’uomo e sono emozionato… A seguire un rettilineo nel bosco che al confronto Monza è in una spiaggia… E sali, sali, sali e poi… Poi il nirvana: Les Combes, pif paf e aaaargh discesone e Bruxelles, sì se non freni lì forse a Bruxelles ci arrivi con l’eliambulanza…Ooooo a sinistra e di nuovo giùuuuuuuuuuu ed eccoci: la risposta di Spa alla Rivazza: doppia a sinistra, gira gira gira, raccorda e gira gira gira… E rialzati che siamo tra le trottole tra Fagnes e le curve Paul Frere e poi apri, apri apri che a Blanchimont quelli veri fanno finta che sia ancora un rettilineo… Staccatona alla chicane, indispensabile per impedire passaggi sul traguardo sugli 800Kmh circa, e via lungo il traguardo per poi staccare alla curva a gomito della Source e via! Si riparte!! La Safety car mantiene un ritmo intelligente con un paio di puntatine “ad elastico” che permettono di divertirsi quando c’è da divertirsi e di rallentare a salutare lungo gli interminabili rettilinei. Bandiera rossa, il sogno è finito. Sia pure solamente da spettatore, ho girato a Spa! La Guzzi ha vinto, i team di Anima Guzzista sono andati alla grande e, dopo la beffa della cancellazione degli eventi dell’anno scorso, finalmente un grande evento internazionale firmato Moto Guzzi World Club!  Decisamente il sogno si è realizzato. Ma un altro è appena nato. Il sogno di aver vissuto a Spa non un episodio isolato ma il primo di una serie; l’inizio di una nuova epoca d’oro per la nostra marca preferita. Se serviva una dimostrazione dell’affetto inossidabile dei motociclisti di tutta Europa per l’Aquila di Mandello, la tre giorni di Spa l’ha fornita senza ombra di dubbio. La ressa intorno ai prototipi e alle moto in esposizione, il numero di partecipanti e la simpatia degli spettatori verso la Guzzi sono stati incredibili. E i piloti degli equipaggi Guzzi in gara ci hanno messo il sigillo. Continuamo così, forza Grande Moto Guzzi!

© Anima Guzzista 2010

Hizzy & Foggy

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AnimaGuzzista Piloti The Steve Hislop Memorial
The Steve Hislop Memorial Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27” e Gabriele Orsini “Tacchino”

 

 

Quando Steve Hislop sali’ sul podio del Senior TT 1987, era semplicemente in estasi. Sul gradino piu’ alto, vicino a lui, c’era King of the Roads, Joey Dunlop. Certo, lui era arrivato secondo grazie ad un paio di rotture altrui, ma aveva messo comunque in mostra grande talento. In fondo,quella era pur sempre la sua prima volta al TT. Correva il Manxgp da 5 anni, ma il TT, quello vero, era un’ altra cosa. Specialmente se nell’anno del debutto fai a pezzi il record della junior e vinci la F2 . Bravo Steve.
L’anno successivo il giovane Steve “Hizzy” Hislop si ripete e vince la production B e fa secondo nel Senior, dimostrando che anche con una Superbike ci sa fare. Nel nostro eroe cresceva cosi’ la consapevolezza nei suoi mezzi e si presentava carico come una molla, alla vigilia del TT1989.
Non vedeva l’ora di fare un bel testa a testa con Dunlop, il suo idolo. Era convinto di poterlo battere, anche con le moto “grosse”
Ma a maggio del 1989 Dunlop si ruppe molte ossa a Brands Hatch,e dopo quell’episodio,forse non tornò più ad essere il rullo compressore degli anni 80. Di fatto diede Il via libera all’inizio di una nuova era,segnata da due titani della Road Race per eccellenza. Steve Hislop e Carl Fogarty.
Come tutti gli antagonisti che si rispettino, i due sono profondamente diversi.
Figlio di un pilota che ottenne buoni risultati sull’isola di Man,Carl Fogarty seguì le orme paterne e nel 1985 vinse la Newcomer 250 al Manxgp.Nell’88 e nell’89 fu campione del mondo della F1TT, che si disputava su stradali come la NW200 e l’Ulster gp, oltre ovviamente il TT stesso.
Gli mancava ancora proprio una vittoria sull’Isola di Man,per consacrarsi definitivamente come uno dei futuri Golden Boy del motociclismo britannico.
Hislop era invece di origini piu’ umili, e visse una giovinezza piu’ travagliata. Di carattere solitario e introverso, era molto legato alla famiglia, specie al fratello. Fu il padre ad inviare i due figli Garry e Steve sulla via delle piste.
Purtoppo Hislop senior mori’ di infarto nel 1979, ma il dado era tratto e Garry vinse la 250 Newcomer al ManxGp1982. La sfortuna ed il destino, che spesso ci mettono lo zampino, quando si parla di grandi personaggi, fecero si che Garry morisse lo stesso anno in un incidente di gara. E Steve,come in un romanzo d’appendice,soffocò il dolore della perdita del fratello, nonché suo unico amico, nel modo piu’ semplice e assurdo: Alcool ed autodistruzione,cercando chissà cosa,rischiando la pelle in una sequela di incidenti stradali in auto.
Furono le corse a salvarlo. In un estremo tentativo di proseguire quanto iniziato da Garry, nel 1983 vinse la stessa gara che il fratello scomparso fece sua un anno prima: la Newcomer 250 al manx gp. Si dovette iscrivere di nascosto da sua madre, cui Steve era l’ultimo uomo della famiglia rimasto.
Nel 1988 si accesero le prime polveri del duello che sarebbe stato il leit motiv degli anni successivi.
Come detto,Hislop vinse la production B e fece secondo nel senior. Fogarty, che più tardi quell’anno vinse il campionato TT F1, fece 4° nella F1 e 7° nel senior. La rivalita’ non era ancora esplosa, ma era questione di poco.
L’anno dopo senza Joey Dunlop, la scena era tutta per loro. Da un lato Hizzy, animo turbolento e manico incredibile sull’isola, dall’altro Foggy, re senza corona della F1 TT. Perché vincere il titolo, senza vincere un TT, cosa può valere?
Hizzy fa tripletta, F1,600,Senior,stabilendo il record sul giro assoluto e di categoria in tutte le gare mentre il futuro King Carl si aggiudica la production 750. Hislop scampa ad una caduta a 240 orari a Quarry Bends, che costera’ a Eddie Laycock la vittoria. Lo sfortunato Eddie farà un intero giro credendo di aver visto in diretta la morte del collega. Quando il giro dopo realizzerà, vedendolo , che Steve è vivo, sarà troppo tardi per recuperare. Secondo per soli 2,8″.
Rotture e gare storte impediscono lo scontro vero e proprio,ma non possono oscurare il talento messo in mostra dai due piloti.Cresce quindi l’attesa per il TT1990.Quell’anno i due sono compagni all’Honda Britain ufficiale, in un clima surreale. Sono amici da anni, ma Foggy si rifiuta di parlare a Hislop, che disse in seguito “Fu ridicolo, perché eravamo e rimanemmo buoni amici. Ma Carl è cosi’.Per batterti ti deve odiare letteralmente, è il suo modo di fare”. Fu forse la prima volta che Foggy tento’ di schiacciare psicologicamente un avversario e gli ando’ bene. Vinse la F1 ed un tremendo Senior partito col bagnato e poi via via sempre piu’ asciutto, dimostrando di essere veloce sul mountain con qualsiasi tempo.
Ma la tanto attesa sfida tra i due salta ancora,a causa della sfortuna accanitasi su Hislop,protagonista di una settimana di gare pessima, costellata di rotture.
Per rifarsi doveva aspettare un’ altro anno,il 1991,e l’attesa era ormai spasmodica.
Hislop e Fogarty, erano ancora compagni di squadra.Essendo il 30° anniversario di gare della Yamaha, la Honda, per contrastare la casa rivale inviò per le gare principali, la F1TT ed il Senior, uno dei suoi mezzi piu’ straordinari mai costruiti: la Rvf750.
Era una moto costruita in Hrc japan al 100%,in due soli esemplari,ed era, rispetto alle altre moto, una belva selvaggia.
Il miglior strumento da gara per i due migliori interpreti del TT in quel momento.
Dopo il primo giro di prova,entrambi i riders tornarono ai box terrorizzati. La moto era un proiettile. A Sulby Straight superarono entrambi i 300 orari,velocità stratosferica,per l’epoca, ed un limite che tuttora in pochi riescono a infrangere . Ma non c’era tempo per avere paura ed a dispetto di tutto i due iniziarono sin dai primi giri di prova a confrontarsi. Il record crollo’ piu’ volte, battuto prima da l’uno e poi dall’altro. Finchè Hislop arrivo’ alla soglia di 124,36 miglia di media.. Pur se “ufficioso” ,al TT i record sono tali se fatti in gara, questo tempo era incredibile e non sarà battuto sino al 1999! Ed ebbe il potere di far spaventare a morte Koichi Oguma, boss del team Honda Hrc in cui militavano i due. Oguma temeva seriamente che i due si uccidessero in gara a vicenda, nell’impeto della sfida sul mostro Rvf, pertanto li prese sottobraccio, si misero a tavolino e volle provare a stabilire una tregua,cercando di convincerli a stabilire in anticipo il vincitore.
I due piloti cercarono di essere accomodanti, ma un accordo non poteva essere trovato. Il colpo in canna era uno solo,ed era la gara di F1 TT. Poichè Fogarty avrebbe dovuto correre una gara di SBK nel giorno del Senior, venne infatti deciso che nell’ultima gara la sua moto sarebbe stata guidata da Joey Dunlop.
Fortunatamente, le paure di Oguma si dissolsero già dopo il primo giro. Foggy ebbe noie tecniche e Steve vinse agevolmente, facendo si il record , ma senza spingere troppo a fondo. Carl pote’ solo arrivare secondo, con una moto che con diversi problemi andava comunque piu’ forte di tutte le altre.
La sfida,il testa a testa,era rinviato un’altra volta,così come quello tra Hislop e Dunlop del Senior. Joey conosceva troppo poco quel mostro di moto per poterne trarre il meglio e Hislop fece un’altra tripletta.
Sia lui che Fogarty, al termine del TT dissero che non sapevano se sarebbero tornati, e che avrebbero lasciato il team per concentrarsi sulla carriera dei circuiti tradizionali.
Alla vigilia del TT 1992,però,le cose per entrambi non giravano al meglio,e decisero così di andare a prendersi un po’ di gloria sulle strade di Man.
Questa volta non c’erano moto esotiche come la RVF, ne un dream-team dal Giappone.
Per Hislop si trovo’ una Norton rotativa, dall’aspetto invero un po’ scassato, con cui fece solo 8 giri ad Oulton Park prima del TT.
Per Fogarty c’era la Loctite Yamaha,mollata dallo stesso Hislop a inizio stagione. Una buona Superbike privata, ma una tristezza rispetto alla RVF dell’anno prima.
Ora erano anche oggetto di scherno da parte degli avversari: “Forza, vediamo cosa sapete fare ora,in sella a moto normali come le nostre”.
Nella F1 gli sfotto’ erano destinati ad aumentare perchè Fogarty ruppe mentre era in testa e Hislop fu secondo con un mucchio di problemi.
La sfida tra i due sembrava non volersi realizzare,ma c’erano tutti i presupposti per un grande Senior, il piu’ eccitante sulla carta dai tempi di Ago e Mike the Bike.
E finalmente fu cosi’.
Al via dell’ultima gara, Fogarty parti’ come un dannato, col numero 4.Hislop aveva il 19, e senza un riferimento preciso spinse forte anche lui, ma era afflitto da grossi problemi di guidabilita’. La moto decollava malamente sui salti, facendo vela col vento e lui pure rischiava di venir proprio buttato giu’ di sella. Nonostante tutto entro’ ai box in vantaggio di quasi 3″ per il primo pit.
Ne usci’ in ritardo di 8″,perchè mentre Foggy fece solo il pieno,lui cambio’ anche la gomma posteriore.
Si doveva rifare tutto daccapo. A testa bassa, sfiorando i muretti e le case, come solo lui poteva, Hizzy recupero’ lo svantaggio, infliggendo altri 9″ a Fogarty, che per altro,aveva il suo bel daffare,con la sua moto che sembrava volesse andare lettaralmente in pezzi.
Tutti i tachimetri si erano rotti, l’ammortizzatore era scoppiato, una forcella perdeva olio, il freno dietro era partito e in più si trovava di nuovo nella condizione di essere costretto a recuperare.
Carl fece quello che gli riusciva meglio. Spense il cervello e si butto’ a vita persa nell’ultimo giro. Hizzy, sapeva che l’avversario ci avrebbe provato sino all’ultimo metro. La Yamaha volo’ giu’ da Bray Hill come un razzo, saltando sul dosso scomposta. Accarezzò i muri dei paesini, con Fogarty che piantava il casco nel cupolino per non perdere nemmeno un centesimo. Uno spettacolo folle per chi potè assistere:con la ciclistica ormai alle corde, la moto ondeggiava sempre piu’ paurosamente in uscita dai curvoni ,e intanto,giusto per non farsi mancare nulla,lo scarico iniziava a dare segni di cedimento.
Ma ormai Carl vedeva solo una cosa:l’arrivo.
Passati i burroni della montagna, la Yamaha latrava ferita, correndo al massimo giu’ verso Brandish Corner, quando finalmente là davanti,ecco le prime case di Douglas.
Foggy uscì rabbiosamente dal tornantino e piombo’ sul traguardo alla velocita’ record di 123.61 mph. Nemmeno con l’Honda Rvf era andato cosi’ forte. Ma non c’era ancora la certezza che ciò sarebbe bastato…
I due erano divisi al via da 150″.
Il cronista inizio’ un estenuante conto alla rovescia… 150-149-148… Hizzy volava al Bungalow… 90-88-87… il pub di Creg ny baa… 60-59-58… la velocissima Curva di Hilberry.
Il countdown si interruppe quando Hislop supero’ il tornantino e fu chiaro che la vittoria sarebbe stata sua.
4 secondi.Questo fu il tempo che sancì la vittoria di Hizzy sull’amico/rivale, al termine di una gara che era stata attesa per anni. Tra l’altro erano vent’anni che una Norton, oltretutto guidata da un inglese,non vinceva sul circuito più famoso del motociclismo. Hislop scrisse un pezzetto di storia.
Dopo questa gara, Fogarty non torno’ piu’ sull’isola per le gare,iniziando a stabilire le nuove gerarchie nel Campionato Mondiale SBK che l’avrebbe visto trionfare per 4 volte su Ducati.
Hizzy sarebbe tornato controvoglia nel 1994,ma senza trovare avversari del suo livello,colse facilmente gli ultimi successi a Man,per poi vincere nel 1995 il Campionato Inglese SBK,anche lui in sella a Ducati. Nonostante i risultati, pero’,la sua fama non miglioro’. La fama dei suoi abusi autodistruttivi, pur essendo una pagina chiusa della sua vita, non lo abbandonava. Persino il suo talento veniva discusso. Quando vinse il titolo 250 nel 1985 dissero che era stato fortunato. Nemmeno il titolo della BSB del 1995 miglioro’ le cose, poiché Jamie Whitam, che era il suo rivale quell’anno, dovette lasciare la stagione per combattere un nemico ben piu’ insidioso, il cancro. Ma questa cosa mise in cattiva luce Steve, aumentando la sua fama di fortunello senza talento. Lui si scherniva: “cosa dovevo fare, mollare tutto per solidarieta’? Stavo facendo solo il mio mestiere, cercare di vincere”. Tutte queste insinuazioni lo accompagnarono durante la sua intera carriera, al punto che lui stesso era il primo a dubitare dei suoi mezzi, ogni volta doveva dimostrare qualcosa di piu’.
Finalmente nel 2002 rivinse il titolo della Superbike Inglese. Nessuno stavolta poteva dire nulla.
Nel 2003, alla vigilia del suo ritiro dalle competizioni, mentre era in volo col suo elicottero, ebbe un incidente non lontano dal suo paese natale. Stava andando a prendere i suoi figli. Il cordoglio che ne segui’ in Inghilterra, dove il pilota era molto popolare, fu l’ultima dimostrazione di chi era Hizzy ai suoi detrattori.
Ma finalmente, non doveva dimostrare piu’ nulla. Il numero 1 che portava sulla sua carena quell’anno, lo doveva solo a se stesso.

Mike Hailwood: Il Ritorno del Re

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TT Assen: Mike Hailwood *21 juni 1967 Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27”

Lui era annoiato, solo per questo.
Se chiedete a Pauline Hailwood per quale ragione suo marito decise di tornare alle gare nel 1978, lei vi risponderà, molto semplicemente, per noia… e magari per dimostrare a se stesso che poteva farcela.
Nel 1977, Mike Hailwood era un tranquillo uomo di 41 anni, che viveva in nuova zelanda. Sposato con una bella donna, moderatamente ricco, leggermente sovrappeso e ancora unanimemente considerato il miglior motociclista del pianeta. Dopo una lunga carriera fatto di titoli e vittorie a grappoli con le moto e qualche bella soddisfazione, pur se ad un livello inferiore, con le auto, Mike poteva considerarsi anche un uomo fortunato. Perchè in quei tempi il motomondiale, la F1 ed altre categorie al limite erano un continuo sfidare la morte, su ogni curva ed ogni rettilineo. Gli amici persi da Mike erano innumerevoli e lui stesso per due volte con le auto aveva rischiato molto, la prima quando estrasse Regazzoni dalla sua BRM in fiamme, subendole poi a sua volta, e nel tremendo incidente al Ring che gli stronco’ la carriera.
Cosa poteva spingere ora un uomo a ritornare alle gare, contro avversari mai visti, ad undici anni dalla sua ultima corsa in moto? Oltretutto scegliendo la corsa piu’ difficile e pericolosa, il Tourist Trophy, dove lui aveva gia’ scritto la sua leggenda. Il tutto condito dal fatto che le moto da gara, che Mike non guidava dal 1967, erano cambiate incredibilmente, le velocita’ molto piu’ alte, gli angoli di piega molto piu’ accentuati, e lo stile col ginocchio fuori totalmente avulso a quello in uso ai suoi tempi.
Chiunque si sarebbe scoraggiato. Chiunque si sarebbe goduto il denaro, la bella moglie ed una vita di certezze e sicurezze. Se non fosse il fatto che qui si parla non di un campione qualsiasi. Ma del piu’ grande.
A completare il quadro di questa, che sarebbe gia’ una grande sfida, ci si puo’ aggiungere che Mike, il buono di questa storia, l’eroe impavido che sfida la morte e se stesso, trova al suo arrivo sull’isola il perfetto alter ego, il “cattivo” della vicenda. E lo trova nella persona di Phil Read. Se sull’isola di Man del 1978 c’è qualcuno che puo’ considerarsi odiato è il vecchio Fil di Ferro. Perché nel 1972, era con Agostini a capo dei piloti insorti contro il TT. Rivolta dettata dai troppi rischi del TT, ma anche dalle paghe ridicole che i piloti ricevevano, per quella che in fondo era una gara che durava due settimane. Ma se Agostini, pur di fronte a laute offerte, si è sempre in seguito rifiutato di tornare a correre davvero sul Mountain, dandosi a vedere agli isolani come uomo di coerenza, Phil Read nel 1977 cedette ai suoi sogni, e torno’ a Douglas. Certo non solo per romanticismo ma anche per i soldi degli organizzatori. E per questo gli isolani, la gente comune, lo odiò, vedendo in lui un traditore, un venduto. L’astio arrivò a tal punto che Read venne preso a sassate in velocita’ durante le prove, i benzinai si rifiutavano di fargli benzina e gli alberghi di ospitarlo. Questo non intaccò il suo rendimento e vinse due gare, venendo premiato tra i fischi. Ma quando Read si presentò nuovamente sull’isola, per affrontare il TT 1978, si trovò da subito applicato un nomigliolo… baddie… cattivo… quello era il suo ruolo.
Inutile dire che per una sfida di questo livello, la cornice era inimitabile. Se chiedete ad un qualsiasi isolano, quand’è stato che si è vista la massima affluenza per un TT? Lui vi rispondera’ nel 1978, quando tornò Mike the Bike. Appena infatti si seppe del come back di Hailwood, gli appassionati prenotarono in massa i voli, i traghetti, gli alberghi… in fondo nessuno se l’aspettava, i piu’ ottimisti potevano sperare in un giro d’onore del Re in esilio dorato, non di certo una lotta per dimostrare che il suo posto era ancora sul trono. I genitori avevano modo di sognare, ed i figli di vedere in azione l’uomo di cui tanto avevano sentito parlare.
Ed Il TT, che solo due anni prima, perdendo il suo status di gara di campionato, sembrava spacciato, era tornato di prepotenza ad essere la gara piu’ importante del mondo.
Per le gare Mike the Bike si assicurò una Ducati per la F1 e delle Yamaha per le altre gare. Soprattutto con la Ducati era sfavorito anche dal mezzo, decisamente a corto di cavalli contro le Honda Ufficiali. Ma se la Honda aveva il motore, il pompone aveva il telaio ed Hailwood in prova, ottenne un ottimo tempo, vicino al record sul giro. Tutte le chiacchere sul troppo vecchio, troppo diverso, troppo tempo fuori dalle gare furono azzerate in 60km di maestria… chi voleva il primo posto doveva fare i conti anche con lui…
Come disse il suo manager e biografo, nonché fautore in gran parte del rientro di Mike, Ted Maculaey, la pressione sulle spalle del pilota era enorme… lui aveva mantenuto con la stampa e gli avversari un profilo basso, al punto di chiedere a Mick Grant, forse il pilota migliore su quelle strade nel 1978, di fargli da traino per un giro, per rinfrescargli la memoria… “fu come se Dio mi chiedesse di spiegargli la Bibbia” disse lui… ma in realta’ Mike era arrivato sull’isola ripulito, motivato ed in forma fisica. E l’idea non era di ben figurare. L’idea era di vincere ed anche con un certo stile.
Per questo, Hailwood, che partiva con il n°12, 50 secondi dopo Read col n°1, aveva un piano. Semplice ed efficace. Andarlo a prendere sulla strada, ancor prima che sul tabellone dei tempi.
Il giorno della gara iniziò malamente… Hailwood cadde con la 250 in prova, al rampino di governor’s bridge. Lui era incolume e si avviò a piedi ai box, per cercare la concentrazione giusta per la sfida.
Parti’ come detto col numero 12. Alla caccia di Phil Read.
Nelle prime fasi della gara fu Tom Herron a condurre brevemente, ma dopo iniziò il lungo solo del virtuoso. Mike semplicemente faceva un altro sport, ed alla fine del 2° giro aveva preso Read, che era partito 50 secondi prima… la gara era finita ma Read segui’ come un ombra il rivale… sembrava che l’orologio fosse tornato indietro di 10 anni, con i due vecchi campioni che si fiancheggiavano come nei tempi d’oro. Durò finchè Read, per tenere il passo di Mike, sbudellò il motore della sua moto. Sporco d’olio, dopo un paio di sbandate pazzesche per il lubrificante finito sulle gomme, Fil di Ferro pote’ solo fermarsi a bordo strada e lasciare al Re quel regno che gli era sempre appartenuto. L’isola di Man era l’isola di Hailwood. E basta.
Quando tagliò il traguardo l’isola esplose come in un boato… e con essa la moto di Mike. 100 metri dopo l’arrivo la Ducati clamorosamente ammutoli’… il destino e la dea bendata fecero un regalo al campione… avrebbero riscosso il loro debito in seguito.
Sua moglie Pauline ricorda che Mike era incredibilmente calmo, quando gli telefonò dopo l’arrivo… disse che non si rendeva ancora conto di quello che aveva ottenuto… ma aveva fatto quello che rende diversa una superstar da un normale campione… reso l’impossibile non una cosa nemmeno concepibile, ma un cosa semplicemente difficile… e fattibilissima.
Phil Read andò a complimentarsi con lui in albergo, senza nemmeno essersi tolto la tuta della Honda Britain, ed a dispetto della pessima nomea che aveva in quei giorni, era sinceramente ammirato. Aveva avuto modo di seguirlo per tre giri e mezzo, tre giri e mezzo col pilota piu’ grande di tutti i tempi, ed era estasiato dalla guida che Hailwood mostrò… il rimpianto era per quella rottura 100 metri dopo l’arrivo. “Forse, disse Read, se la mia Honda non si fosse rotta, avrei potuto pressarlo sin sul traguardo… e magari la sua Ducati sarebbe scoppiata un chilometro prima… ma sarei diventato il piu’ odiato vincitore della storia del TT… e non so se mi avrebbero fatto salire sul podio vivo!”
Dopo questa gara il TT di Mike prosegui’ senza altri acuti, principalmente per le rotture delle Yamaha con cui correva.
Ma l’anno dopo tornò e con la Suzuki RG500 ottenne un’altra vittoria, nella Senior. La n°14. Da li a poco abbandonò l’attività agonistica. Per sempre.
In quel 1979 si chiuse un era, quella dei Read, degli Agostini, degli Hailwood… e si apriva quella di uomo semplice e buono, antidivo per eccellenza e quasi analfabeta. Joey Dunlop. Il primo e per ora unico a superare in numero di vittorie Mike the Bike.
In seguito solo McGuinnes e Molineaux, con le loro 14 vittorie, riusciranno poi a ed elevarsi al livello di Mike.
Nel 1981, un sera, Mike usci’ con i suoi due figli in auto, per andare a prendersi il tipico “fish and chips” britannico. Un autocarro fece un’ irresponsabile, quanto imprevedibile, inversione ad u davanti alla sua auto. Solo David, il figlio minore, sopravvisse al terribile impatto. Ma come disse il dottor Costa, sul volto di Mike era impresso uno strano sorriso. Perché la nera signora,con cui Mike aveva giocato per anni e di cui si era sempre beffato, per prenderlo con se aveva dovuto barare.

Joey Dunlop: King of the Roads

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Joey Dunlop
Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27”

Il TT del 2000, è uno di quelle gare, che se sei un appassionato di motori, devi poter ricordare.
Quando Joey Dunlop taglio’ il traguardo della gara di Formula 1, in sella alla sua Honda VTR rossa, l’intera isola di Man crollo’ dalla gioia, in un trionfo che abbattè le barriere di tifoseria, team, e campanilismi.
Perché?
Cosa aveva di cosi speciale questo ometto dai capelli grigi, schivo e taciturno? Chi era William Joseph Dunlop?
Per capirlo bisogna partire da lontano. Dai tempi di Armoy. Armoy è uno di quei tipici paesini dell’irlanda, persi nel verde. E negli anni 60, in Irlanda era un posto disperso sul serio. In mezzo al nulla o quasi. Ad una manata di acceleratore dal mare. Su quelle strade deserte l’Armoy Armada si allenava. L’Armoy Armada era una specie di team, di sodalizio, piu’ simile ad una compagnia di ragazzi del muretto per dirla tutta, che non ad una squadra. Semplicemente quattro ragazzi delle campagne, buoni amici, che decisero di essere un gruppo… non so trovare altre parole… era composta da Mervin Robinson, Frank Kennedy,Jim Dunlop ed il suo fratello maggiore William Joseph, detto Joey.

I quattro si misero in luce nelle varie corse stradali nazionali che punteggiavano l’Irlanda di quei tempi con buoni risultati,e si prepararono per fare il salto alle gare internazionali, UlsterGp, North West 200 e Tourist Trophy.
Nel 1976, Joey debutto’ sull’Isola di Man. Non vi era mai stato prima e non aveva idea di dove girasse il tracciato, al punto che in certi tratti, di fronte ai bivi, dovette fermarsi ad aspettare il corridore successivo. Nonostante tutto, si comporto’ bene, dimostrando di essere uno che impara alla svelta. Tant’è che l’anno dopo Joey vinse la sua prima gara, la Jubilee, fatta per celebrare il regno di Elisabetta, e strutturata in modo da favorire i privati, gli underdog. Era l’occasione da prendere e Joey la prese. Il tutto con quell’ingenuita’ tipica del ragazzo di campagna, al punto che quando ando’ sul podio, e gli diedero lo champagne, che lui mai nemmeno si era sognato, rimase li’ candido, per un attimo, non sapendo di preciso cosa farci. Lo avrebbe imparato presto, ma sarebbero dovuti passare due anni ancora, sino al 1980. Due anni tremendi, segnati dalle morti dei fraterni amici Kennedy e
Robinson, che era anche suo cognato, ambedue alla NW200, del 1979 e del 1980. Joey penso’ quasi di smettere, ma era nato per correre, era il suo destino, e nel 1980 mise a segno il suo secondo centro al TT. Da li’ fu inarrestabile sino alla fine degli anni 80, mettendo a segno 13 vittorie complessive, di cui 5 consecutive in F1, con due triplette. Sempre in sella a moto Honda ufficiali al 100%, un sodalizio destinato a durare per sempre, caratterizzato da incredibili concessioni della casa madre. In pratica Joey poteva farsi da meccanico, lavorare sulle moto, e pure portarsele in giro per l’Irlanda per le sue amate e sconosciute gare nazionali. Ma a fronte di questo, lui ripagava il favore vincendo a raffica. La Honda vende piu’ moto e ringrazia. Sinchè nel 1989 fu costretto a disertare, per un crash a Brands Hatch. Ritorno’, un po’ in ombra a dire il vero, nel 1990. Ma ormai era iniziata un’altra era, quella degli Hislop, dei Fogarty e dei McCallen, i primi forse a guidare in strada al 100% tanto come in pista. E il nostro eroe aveva ormai 38 anni, non troppi, specie in gare in cui l’esperienza conta molto, ma era ormai l’eta’ in cui anche i fenomeni danno segni di cedimento.

Nonostante tutto Dunlop non mollava , e sebbene fosse meno competitivo con le superbike, continuo’ a mietere successi con le due tempi, di cui era un maestro. E mica solo al TT. La North West, l’UlsterGp, la Mid Antrim, Skerries, non c’è corsa su strada dove Joey non abbia inciso a ripetizione il suo nome nell’albo d’oro. Solo Macao gli sfuggira’ per sempre. Mitiche le affermazioni nella 125 al TT del 1992, quando eguaglio’ Hailwood e quella del 1994, con suo fratello in ospedale con le gambe polverizzate per un crash a Ballaugh Bridge. Joey corre per lui e per lui vince.
Sinchè nel 1995 lascia un’altra zampata nel seniorTT con la Honda RC45, oltre alla “solita” 250. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nel 1998 la sua carriera sembra di nuovo finita: alla Tandragee 100 cade e si spacca il bacino e perde anche un dito. Lui come sempre tiene botta, decide di concentrarsi sulle piu’ facili 125 e 250 e due mesi dopo, sotto un diluvio di tuoni e fulmini, vince ancora al TT, con la Honda 250. E’ la vittoria n°23.

Ma Joey non è solo un gran pilota. E’ un uomo raro nella sua anima. Certo, è praticamente incapace di leggere e scrivere, e parla un inglesaccio incomprensibile, ma sa comunque parlare al cuore della
gente. Non si tira mai indietro per foto sorrisi ed autografi, è disponibile con tutti, e non ha mai mollato il suo lavoro al bar
della ferrovia. Gli è stata conferita l’onorificenza di membro dell’impero e di ufficiale dell’impero. La prima per meriti sportivi, ma la seconda per meriti umani.
A meta’ degli anni 90, carica dei camion di aiuti umanitari, e parte per Bosnia e Romania, piu’ volte, in solitaria, per consegnarli alla popolazione.
Non se ne vedono tanti di piloti del motomondiale fare queste cose.
A chi gli chiede perché , lui sorride, fa spallucce e , e si rintana nella sua timidezza e nella sua vita familiare. E’ sposato da sempre con Linda, ed hanno cinque figli, due maschi e tre femmine. Finchè si arriva al 1999. Sono spariti i vecchi rivali, Hislop e Fogarty.
McCallen, l’uomo del poker di vittorie al TT1996 è ferito e sul viale del tramonto. La morte dell’amico fraterno Simon Beck in prova gli da il colpo definitivo. Ma ora c’è qualcuno forse peggiore di questi tre. E’ un omaccione, dal sorriso gioviale, che sembra guidare come si domerebbe un toro nell’arena.
Il ragazzone è David Jefferies, detto DJ. DJ contro JD. Va come un proiettile e se ne infischia della Honda da 500.000 sterline ufficiale di Dunlop e Moodie. Con una Superbike su base R1 di serie, costata in tutto 20.000 sterline, mette in riga tutti con una tripletta alla NW200 ed una al TT. E non solo. All’UlsterGp vince la prima gara del meeting, distrugge la concorrenza e fa il record sul giro.Nella casa di Joey Dunlop.
Il nostro vecchietto inossidabile non ci sta e nell’ultima corsa del giorno, gara 2 delle Superbike, sfodera il colpo da maestro. Parte male e viene dato per tagliato fuori, ma rimonta come un dannato, si sbarazza degli avversari ed inizia a mordere le calcagna di Duffus il compagno di Jefferies. Lo passa , e poi bastona anche DJ, che risponde con veemenza. Ma Dunlop è indemoniato, ha deciso che si vince e ripassa di nuovo DJ che per tutto un emozionante ultimo giro proverà a rispondere a quel vecchietto di 47 anni, che proprio non ne voleva sapere di perdere. E non perdera’, davanti ad al suo pubblico impazzito dalla gioia. Non lo sanno, ma quella è l’ultimo UlsterGp del loro idolo.
Oramai siamo alle soglie del nuovo millennio e tutti si chiedono cosa fara’ Joey….ha 48 anni. Ha vinto tutto. Forse sarebbe ora di smetterla. Lui risponde lamentandosi a scena aperta della sua moto, la Fireblade900, capendo subito che non basta una replica delle R1 per batterle. Riesce a farsi dare la VTRsp1, come quella di Slight.
O meglio, quasi. E infatti le cose quasi non cambiano. Alla NW200 Joey fa solo quinto, e ci resta male. Sa che la sua carriera al top è agli sgoccioli. Ha smesso di fumare, a fatto palestra ed allenamento. Il suo fisico è tirato come un tamburo, altro che nonnetto. E non si da certo per vinto. E Vuole andare al TT con almeno la possibilita’ di provare di vincere. Coi buoni uffici di Bob MacMillan, boss della Honda UK, Joey riesce ad ottenere un motore di Slight e 4 tecnici direttamente dal giappone per il TT. E la pressione mediatica su di lui aumenta, perché se gli danno certe cose, è perché sanno quel che puo’ ottenere. Ma ancora non basta. Solo dopo che gli avranno portato delle gomme con le specifiche dell’anno prima, Joey iniziera’ a girare su tempi da top 10. Ha anche un nuovo compagno di squadra, un giovanotto di cui si parla bene. Un ragazzotto che quando aveva 10 anni corse sotto il podio di un TT, salto’ in spalla a Joey e gli ringhio’: un giorno staro’ qui sopra con te. Il ragazzotto si chiama John McGuinnes, e nel 1998, da buon profeta sotto il diluvio, è sul podio con Joey. E ne diventa pure il compagno di squadra per il TT2000. Il buon Dio da loro una mano, e la notte prima della gara inaugurale, la F1, viene giu’ il finimondo. Il tracciato si è asciugato per la gara, ma a causa del nubifragio ampi tratti sono umidi, sono cadute molte foglie e solo un esperto del Mountain puo’ sapere dove mettere le ruote senza rischiare troppo. E’ la gara di Joey.
Parte fortissimo, ed al termine del primo giro è in testa. Rutter lo segue vicinissimo. Jefferies è quarto, ha perso stranamente alcuni secondi, forse una sbandata, ma si rimette presto in carreggiata. Ed al primo pit stop, annulla lo svantaggio e si porta in testa. Pochi decimi, ma piu’ la pista si asciuga e piu’ Jefferies fa valere la sua irruenza. Stupendo ancora, Dunlop resta vicino, e tiene Jefferies sotto pressione, finchè a meta’ del 4 giro, la sua Yamaha tira gli ultimi, col cambio rotto.
Per un giro e mezzo l’isola diventa il posto piu’ trepidante del mondo. Tutti, tifosi, squadra, Marshall, team e piloti avversari, se ne fregano di tutte le convenzioni e lo incitano. Lui capisce e si fara’ trascinare da quest’onda fluttuante di entusiasmo sin sul traguardo, dove verra’ portato in trionfo e rompera’, nel tentativo di stapparla, la bottiglia di champagne. Ma non è finita. Il vecchietto a razzo mette in riga di nuovo tutti nella 250, e la mattina dopo sbaraglia la concorrenza nella 125.

Tripletta.

La terza della sua vita.

Quando poche ore dopo la vittoria della 125, al via della Junior600, lo si vedra’ partire come una cannonata,di nuovo, in testa per l’ennesima volta, piu’ di uno si chiedera’ dove voglia arrivare Joey Dunlop. Ma ormai il sogno è finito. Complice l’asfalto pulito, e la freschezza fisica, Jefferies ed Archibald riprendono Dunlop, e si fronteggiano poi in una gara da pazzi furiosi, a suon di record sul giro. Vincera’ Jefferies. Archibald 2°, Dunlop 4°.
L’ultima gara dell’edizione 2000, il seniorTT, sara’ il canto del cigno per Joey. Un buon terzo posto, col suo miglior giro di sempre, nella sua ultima tornata di gara al TT. Quel giorno vedra’ la vittoria di Jefferies, alla sua seconda tripletta, consecutiva per di piu’, glorificata battendo il record di Fogarty che resisteva dal 1992. Se c’è un candidato ad essere l’erede naturale di Joey, quello è Big Dave.

Ma ora cosa fara’ Dunlop? Torna a casa con tutti gli onori a Ballymoney, torna alla sua famiglia ed al suo lavoro al bar della Ferrovia. Bob MacMillan arriva ad offrirgli soldi pur di non farlo piu’ tornare al TT. E’ il momento giusto per chiudere, da vincente. Ma Joey ribatte che spesso non ha preso soldi per correre , nemmeno da campione del mondo, ed ora si pretende che li prenda per non correre? La realta’ è che Joey e le corse sono un’unica cosa. Non saprebbe fare altro, per lui c’è solo quello, sua moglie ed i figli.

E come sempre, ai primi di Luglio, si carica le sue moto sul furgone e se lo guida sino a Tallin, in Estonia. Una garetta sconosciuta, dove immagino che nemmeno lo paghino. Se vince prende il premio di gara, viceversa è uno dei tanti, quello che in fondo ha sempre voluto essere.
La mattinata inizia bene, vince la Superbike, sotto il diluvio e fa doppietta con la 600.

Al pomeriggio parte in testa alla 125, sempre sotto l’acqua. Sinchè per motivi mai chiariti, in una curva vola per la tangente, e prende in pieno un alberello. Sul fusto è incisa una gobba che non lascia dubbi sulla sua origine. E’ dove il casco di Joey ha picchiato. E’ dove Joey se n’è andato. Per sempre. Facendo quello che amava. Il mondo delle gare è costernato. Solo un mese prima erano tutti presi dall’eccitazione per le sue vittorie. Ora sono tutti ritornati alla realta’. E in questa realta’ le corse stradali sono l’incarnazione piu’ pericolosa, di uno sport pericoloso a prescindere. Ma nonostante tutto, succede qualcosa di magico, dopo, che tocca solo ai piu’ grandi. Joey non se ne vola via del tutto.
Rivive nelle miriade di caschi i coi suoi colori sparsi in tutti i ritrovi da centauri in tutto il mondo. Rivive nelle sue statue gemelle orientate l’una verso l’altra, poste sul Mountain ed a Ballymoney. Rivive in quel suo atteggiamento da antidivo, da persona normale, e perbene, che ha vissuto con modestia il suo essere campione del mondo, per 5 volte, 26 volte vincitore al TT. Rivive nelle decine di foto, disegni, perfino canzoni, tatuaggi, che la gente fa pensando a lui, il cui mito, a quasi 10 anni dalla scomparsa, brilla di luce propria.

In 50.000 andranno a salutarlo per il suo ultimo viaggio.

L’ultimo viaggio di King of the Roads.

Nuvolari contro il terzo Reich

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Nuvolari contro il terzo Reich
Tazio Nuvolari con il suo celebre maglione giallo con le iniziali e con al collo il suo portafortuna regalatogli da Gabriele D'Annunzio, una tartaruga d'oro. Foto Wikipedia

Racconto di Bernini Michele “red27”

 

Nuvolari contro il terzo Reich
Tazio Nuvolari con il suo celebre maglione giallo con le iniziali e con al collo il suo portafortuna regalatogli da Gabriele D’Annunzio, una tartaruga d’oro. Foto Wikipedia

Quando Alfred Neubauer entro’ in autodromo,la mattina del 28 luglio 1935,non pote’ fare a meno di imprecare. Il cielo sul Nurburgring era color piombo, ed una pesante pioggia si era abbattuta sulla pista. Era sicuro che le sue automobili erano le piu’ performanti e di gran lunga. Pure i suoi piloti erano ottimi e ve ne era qualcuno addirittura superlativo sul bagnato. Ma il problema era quel diavolo d’un italiano. Col sole non avrebbe avuto speranza, nemmeno la classe poteva sopperire ai cavalli vapore… ma col bagnato cambiava tutto, la sua macchina meno potente era piu’ docile, il suo stile spericolato perfetto per la situazione. Si ritrovo’ a sorridere sarcasticamente… forse il Furher non sara’ contento.
Gia’, il Furher…
In mezzo al deliro del nazismo, in modo da affermare la superiorita’ germanica anche nelle corse d’auto, Hitler sovvenziono’ la Mercedes e l’Auto Union con 225.000 marchi ciascuna. Poco importa che quel denaro servi’ appena per il progetto delle rispettive auto. Il risultato fu eccezionale, due tra le piu’ belle auto da corsa mai viste. La Mercedes diede alla luce la W25. motore otto cilindri in linea di 3360 cc doppio albero a camme in testa, con quattro valvole per cilindro, 354 CV a 5800 giri/min, fu portata poi fino a 4740 cc a 449 CV a 5800 giri/min. La macchina, color argento, era di una bellezza commovente. E sembrava uscita dieci anni in anticipo. Se la AlfaRomeoP3 del 1934,per quanto bellissima, era nei tratti somatici non molto diversa dalla sua progenitrice p2 del 1925, la Mercedes sembrava in tutto e per tutto una macchina da Gran Premio come quelle che verranno negli anni 50. Il capo squadra Mercedes era il pingue e bisbetico Alfred Neubauer, ex pilota e dittatore del box tedesco, una figura che gia’ ai tempi era leggendaria.
L’Auto Union era da meno, anzi, con la sua Type C era se possibile ancor piu’ stupefacente. Col suo motore centrale v16, 4.358cc con compressore, 375CV, cambio a sbalzo e serbatoio tra motore e posto guida avanzatissimo, sembrava addirittura spostare i riferimenti piu’ in la. Il motore posizionato dietro al pilota la rendeva qualcosa di diverso e moderno che si sarebbe replicato solo negli anni 50, dalla rediviva Bugatti, ma con scarso successo, e poi dalla Cooper. A capo del progetto un uomo che avrebbe fatto strada, Ferdinand Porsche.Quando i bolidi furono pronti per scendere in pista, i migliori piloti tedeschi del periodo vi si cimentaronoi. La Mercedes aveva la sua bandiera in Rudolf Caracciola, mentre la Auto Union poteva annoverare tra i sui piloti lo spericolato Bernd Rosemeyer. Diversi nel carattere e nel modo di essere, stilista sopraffino e mago del bagnato il primo, irruente e volubile il secondo, erano i Varzi e Nuvolari della Germania. E gli unici che potevano ergersi al livello dei nostri campioni.
Il Gp di Germania 1935 si tenne sul tracciato del Nurburgring, forse il piu’ severo banco di prova per gli uomini ed i mezzi mai creato.Ventidue chilometri di salite,curve, picchiate e veri e proprio salti. Un solo lunghissimo rettifilo dava tregua ai piloti, che si dovevano prodigare in uno sforzo non comune, per completare i 20 massacranti giri di gara. All’impegno della pista si aggiungeva quello di pilotare le auto dell’epoca. Con la formula del peso massimo consentito, 750kg, la federazione internazionale, l’A.I.A.C.R., credeva di rallentare le auto. Pensavano ingenuamente che con un limite molto basso, si sarebbero per forza dovute costruire auto con motori piccoli e poco potenti. Ma l’inganno, se cosi’ puo’ essere chiamato, fu presto trovato. Facendo ricorso alla siderurgia piu’ avanzata dell’epoca, e con un largo uso di leghe leggere, Mercedes e Auto Union e poi Alfa Romeo diedero vita ad autentici mostri, in grado di superare agevolmente i 280 orari. Le stesse auto, adeguatamente carenate, superarono addirittura i 400 kmh in vari tentativi di record. Provate a pensare cosa volesse dire, scendere in pista nel 1935 con tali mezzi, su gomme strette di mescola durissima, con freni inesistenti, senza le norme di sicurezza oggi piu’ elementari. E andare a 280 all’ora. Roba da temerari.
Quando le auto furono schierate l’imponenza di mezzi dei tedeschi fu chiara a tutti. La Mercedes schiero’ 5 macchine, per Caracciola, Lang, Fagioli, von Brauchitsch e Geiger, e la Auto Union 4,per Rosemeyer, Varzi, Stuck e Pietsch . L’opposizione ai bolidi d’argento faceva sorridere i gerarchi nazisti sulle tribune. Nuvolari,Brivio Chiron e Balestrero erano lo schieramento dell’Alfa Romeo, ed aggiunta vi erano una Bugatti 59, una Era e un paio di maserati. Tazio Nuvolari era l’ariete di questa debole compagine. Il mantovano volante era rimasto fedele al marchio italiano Alfa Romeo ed al direttore della sua Scuderia, Enzo Ferrari. Ma era un lotta impari, non tanto contro i piloti avversari, ma nei confronti di quella differenza di 100 e piu’ cavalli, tutti a disposizione del pedale dell’acceleratore dei bolidi d’argento. Nemmeno l’asso italiano poteva sopperire a tanto.Il mantovano guidava l’ultimissima evoluzione della Alfa Romeo P3, la meravigliosa creatura di Vittorio Jano. Il motore della sua macchina era stato portato a 3500cc e la potenza aumentata, ma questo causava problemi di affidabilita’, soprattutto alla trasmissione. Pertanto il cambio fu portato da 4 a 3 marce. Questo rendeva l’auto forse piu’ prestazionale nei suoi valori massimi, ma meno flessibile. Nonostante tutto Nuvolari si sarebbe messo al volante di una macchina non italiana solo quando si sarebbe estinta l’ultima possibilita’ di vittoria. Di tutt’altro avviso era Achille Varzi che all’inizio dell’anno firmo’ per l’Auto Union. Sapeva ovviamente che gli italiani l’avrebbe considerato un venduto, ma nella sua mente di calcolatore utilitarista questo contava come il due di picche. E quando le Auto si schierarono, con la griglia di partenza stabilita a sorteggio, i due incrociarono i loro sguardi, e Varzi saluto’ con un cenno l’eterno rivale. La folla di 250.000 anime fece altrettanto, con una ovazione enorme, salutando quella figura claudicante fasciata dall’usuale divisa:aI collo il nastro tricolore, la maglietta gialla, le braghe celesti, e la tartaruga d’oro, l’amuleto donatagli da D’Annunzio. E quel giorno fu fortunato, col sorteggio partiva in prima fila a fianco a Stuck.
Al via su pista umida il piu’ lesto, come da previsione, fu Caracciola. Quello era il bersaglio di Nuvolari, che cerco’ subito di mettersi alla sua ruota, al punto di mettere due ruote sull’erba bagnata verso la curva sud e sopravanzare Fagioli, che lo incalzo’ al via. Per tutto il primo giro i due si misurarono al massimo delle loro possibilita’. Caracciola guadagnava nei tratti veloci, il Fugplatz, i curvoni di Bergwerk e verso il ponte di Brunnchen, ma Nuvolari gli arrivava dietro come un predatore nei tratti piu’ guidati. Solo nel rettilineo lunghissimo prima del traguardo il tedesco stacco’ leggermente il mantovano, forte di una mercedes in grado di toccare i 280 orari, contro i soli 240 dell’alfa. Ma Nuvolari non si preoccupo’, in quel primo giro volle capire se stesso ed il rivale, e ,dopo aver visto quali erano le sue possibilita’, decise di fare una gara di attesa, senza strapazzare la macchina. Pertanto si fece passare sia da Rosemayer che da Von Brauchitsch e si impegno’ solo a contenere il distacco entro i 30-40 secondi, ma guidando a strada libera, senza pressione e senza schizzi in faccia delle auto davanti. Al 4° giro addirittura Chiron passo’ Nuvolari, ma solo per fermarsi ai box con la trasmissione fuori uso. Brivio per lo stesso problema era fermo da un pezzo. Anche Rosemeyer era attardato per un problema, ed alla fine della 4° tornata Caracciola conduceva su Fagioli, Von Brauchitsch e appunto Nuvolari. Sinchè al 6° giro Nivola ruppe gli indugi e lancio’ l’attacco. Il suo stile inimitabile gli dava un vantaggio considerevole. Semplicemente il tutto consisteva nel entrare in curva fortissimo ,frenare bruscamente, e altrettanto bruscamente dare gas, facendo fare all’auto tutta la curva in un unica e controllata sbandata. Era l’unico a riuscirci col gas a tavoletta. Gli altri lo facevano telegrafando sul pedale, ma lui no. Cosi’ facendo si ritrovava col muso che puntava al rettilineo successivo prima degli altri, percorreva meno metri e poteva uscire piu’ forte dalle curve. Con l’avvento delle sospensioni indipendenti un po’ del vantaggio di quella tecnica al limite era andato perso. Ma quando il tracciato era guidato e bagnato come quel giorno sul Ring, non c’era storia. Passo’ il redivivo Rosemeyer e von Brauchitsch, poi al 9° giro la sosta ai box di Fagioli gli diede il 2° posto. Al 10° passaggio, quando tutti si aspettavano Caracciola, fu l’Alfa col cavallino rampante sul cofano a passare per prima sul rettifilo delle tribune, accolta dallo sbigottito silenzio dei tifosi germanici. Il corpsfuher Hunlein ando’ personalmente al box di Neubauer, chiedendogli cosa stesse andando storto, asserendo che Hitler non l’avrebbe presa bene. Neubauer minimizzo’, ma l’italiano non mollava. Sinchè non avvenne il disastro. Nuvolari entro’ ai box all11° giro per il cambio gomme e rifornimento. Normalmente la pompa Alfa Romeo con leva manuale dava un certo vantaggio. Ma l’addetto quella volte ruppe la leva. Dopo un attimo di concitazione i meccanici decisero di travasare il carburante in due taniche piu’ piccole ed seguire il rifornimento per caduta. Il tutto mentre un agitatissimo Nuvolari gesticolava, saltava intorno all’auto e gridava in dialetto a squarciagola di fare presto. 2 minuti e 35 di rifornimento contro i 47 di Von Brauchistch. 87 secondi li dividevano sul tracciato. Lo speaker, tradendo una certa soddisfazione,diede per spacciato l’italiano. Anche perché era 6° dietro a Von Brauchitsch, Caracciola,Rosemayer,Stuck e Fagioli e tutti loro sembravano in grado di competere per la vittoria. Se non che loro erano campioni. Lui era Nuvolari. L’azione del mitico Tazio fu ancora piu’ impetuosa di quella nella prima parte di gara. Furente per il tempo perso decise di mettere da parte ogni prudenza e ripasso’ i bolidi d’argento uno a uno, piombando sugli avversari come un gatto col topo, rodendo nel frattempo il distacco del battistrada Von Brauchitsch, cui la freddezza iniziava a difettare. 2 minuti prima, poi 47 secondi, 43, infine 30 secondi a due giri dalla fine. Il prussiano ebbe anche la forza di rispondere, mettendo altri 3 secondi tra se e l’italiano. Ma dovette portare la macchina all’estremo e quando passo sul traguardo per l’ultimo giro, Neubauer noto ‘ uno strano colore nei pneumatici dell’auto, unito al concitato gesticolare verso le gomme del pilota. Non tutti capirono ma lui si rese conto che erano spacciati. Quei gesti ed il colore significavano che le gomme posteriori dell’auto erano ormai alle tele.
Von Brauchitsch spinse finchè le gomme posteriori esplosero. L’auto si imbarco’ paurosamente e con uno sforzo estremo il pilota la controllo’ sino a fermarsi quasi. Ma l’unica ricompensa che ricevette fu il veder passare e scomparire nelle nebbia Nuvolari a 4 km dall’arrivo.
Il mantovano taglio’ il traguardo in un silenzio irreale, con lo speaker che balbettava frasi sconnesse. Solo dopo un attimo il pubblico gli conferi’ quell’onore che meritava. L’ultima beffa per i tedeschi prima di salire sul podio. Al momento della premiazione, venne riferito che non poteva essere suonato l’inno italiano. Gli organizzatori erano cosi’ certi della vittoria di un loro pilota che non se ne erano procurati una copia. Nuvolari rispose senza scomporsi che non c’era problema, e filo’ personalmente a prendersi il disco con l’inno che portava sempre con se, prima di farsi cingere dalla corona d’alloro

C.P. Racing

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a cura di Fange con la collaborazione di Andrea Bornago

 

In un giorno di giugno di quelli che puoi cuocere le uova sul cofano di una macchina parcheggiata al sole ci presentiamo da Claudio Petrassi, Cippì per gli amici, titolare della CP Racing, un’officina dove c’è la più grande concentrazione di moto da corsa che io abbia mai visto in una sola volta. Purtroppo la maggior parte sono Ducati ma la Guzzi preparata di Cippì spicca fra tutte come una gemma luccicosa tra tante pietre opache. La linea grintosa, il rosso fuoco della vernice e quegli scarichi altissimi la fanno apparire come una belva che se ti prende nel mirino non hai possibilità di salvezza.

 

Fange: Cippì, raccontaci quando sei diventati un guzzista

CP: Probabilmente ci sono nato

F: Allora dicci quando sei diventato meccanico

C: 29 anni fa. Mi sono occupato di auto per 14 anni e poi per passione sono passato alle moto da 15 anni. Sono due anni che lavoro in proprio.

F: Per chi lavoravi prima di metterti in proprio?

C: Per Celani Team. A Roma è un nome piuttosto conosciuto.

F: Celani portava le Guzzi in pista?

C: No. Celani portava in gara solo Ducati.

Andrea: E perchè un meccanico che prepara le Ducati , che sta sempre in mezzo alle Ducati, che le ha provate di tutti i tipi….perchè proprio la Guzzi?

C: Tu che sei un guzzista lo dovresti sapere…….

A: la mia è una scelta dettata dalla passione

C: Anche per me è la stessa cosa. Nel 2001 una Ducati preparata da me ha vinto il titolo esordienti nel Campionato Italiano Supertwin (mi mostra il trofeo n.d.a.) e ho anche posseduto delle Ducati ma mai per più di un mese, l’ultima volta era un 748 e ho resistito una settimana. Il richiamo dell’aquila poi è troppo forte.

A: Ma secondo te le Ducati due valvole oggi sono moto molto superiori alle Guzzi?

C: No, le Guzzi sono moto particolari, vanno guidate in certo modo, se chi le guida le conosce bene può ottenere risultati simili, non dico uguali, alle Ducati.

F: Ma per ottenere i risultati che dici una Guzzi richiede molto lavoro?

C: Io dico di no, magari se senti altri preparatori dicono il contrario. Per me è abbastanza facile ottenere prestazioni accettabili da un Guzzi spendendo anche cifre ragionevoli.

F: E secondo te quali sono le moto che si prestano meglio ad una elaborazione e su quali punti intervieni maggiormente.

C: Parlando di moto sportive io prediligo il 1100 Sport o la Daytona. La parte che necessita maggiore attenzione è senz’altro il telaio. Io intervengo sulle dimensioni del telaio per variare il valore di interasse e di inclinazione del cannotto di sterzo. Sul motore bastano pochi e mirati interventi per ottenere risultati notevoli.

F: Quindi per te la base su cui lavorare è la ciclistica.

C: Senz’altro, il motore viene in seguito, anche perchè un motore preparato senza una adeguata ciclistica serve a poco.

F: E prendendo in considerazione un 1100Sport o una Daytona in versione originale quali sono i loro limiti?

C: La ciclistica innesca delle vibrazioni strane quando si percorrono i curvoni a forte velocità e l’asfalto è sconnesso. Questo fatto non ti permette di andare forte come vorresti. Inoltre non si possono chiudere bene le curve perchè la moto occupa troppa strada. Facendo delle modifiche adeguate al telaio invece la moto diventa “quasi” come un Ducati della serie 748-998. Si riesce ad entrare bene in curva, ad uscire bene pur mantenendo una altissima stabilità.

F: E queste modifiche di cui parli le hai inventate tu?

C: Che io sappia si. Ora non so se sono l’unico che ci è arrivato ma io non ho copiato nessuno.

F: Quindi sono frutto di tuoi ragionamenti…

C: Più che altro della mia fantasia. Il primo esperimento l’ho fatto sulla mia Daytona perchè non volevo creare il benchè minimo problema alle moto dei clienti. L’ho accorciata esagerando un pochino e la moto è risultata 7 cm più corta dell’originale. Pensavo di aver fatto un danno e invece poi provandola in tutte le condizioni, pista compresa, la moto è risultata completamente trasformata, andava benissimo e i clienti mi hanno cominciato a chiedere di fare l’intervento anche sulle loro moto.

A: E come mai sul 1100Sport che hai ora invece “l’accorciamento” è risultato inferiore?

C: Perchè volevo ottenere un effetto più stradale che pistaiolo. Va bene lo stesso anche in pista, chiude bene le curve ma non come il Daytona che occupava ancora meno pista, ma va bene anche così.

F: Quindi l’intervento grosso è tutto sul telaio.

C: Si

F: E ci puoi dire in che consiste questo intervento?

C: Sarebbe più semplice prendere un telaio e fartelo vedere. Per spiegarlo in parole povere taglio un tassello di telaio di forma triangolare lungo il trave, richiudo il telaio e lo risaldo. Modifico i supporti anteriori del motore che risultano più corti e il gioco è fatto. Viene poi limata la semicarena per non farla sbattere sui cilindri e la moto è finita. Se la guardi una volta finita non ti accorgi di nulla. Solo se la vedi vicino ad un’altra originale la differenza è lampante.

F: Scusa Cippì, ma facendo così il motore non risulta più alto di prima?

C: No assolutamente, la luce a terra è esattamente la stessa. Il motore viene rimesso alla stessa altezza sfilando delle forcelle dalle piastre di sterzo.

F: E a quanto ammonta questo sfilamento?

C: Nel caso del Daytona era di 10 cm. Sul 1100 Sport è di 7 cm che non è poco.

F: Ma la moto mantiene la stessa sicurezza in strada? E nel caso di una frenata di emergenza o altre situazioni limiti?

C: La risposta della moto a queste situazioni viene migliorata in maniera esagerata. La dovresti provare per renderti conto del cambiamento, è un discorso di riposizionamento dei pesi. La moto diventa più rigida sulle sconnessioni della strada, è molto più controllabile perchè “comunica” molto di più con il guidatore. Non ci sono più le vibrazioni al retrotreno, la moto era troppo lunga e tendeva a vibrare. Riducendo le leve si riducono le flessioni e le risonanze.

F: Ma le sospensioni lavorano bene?

C: Lavorano molto meglio una volta trovato il setting. Chiaramente io mi riferisco sempre ad un uso sportivo. Se si vuole fare la passeggiata l’assetto va reso più turistico. Comunque io la moto la uso quotidianamente e non ho mai riscontrato nessun tipo di reazione anomala.

 

 


A: Scusa Cippì, ma tutti parlano male del cardano per un uso sportivo invece tu mi dicevi a microfoni spenti che secondo te in pista “il cardano ti da una mano”!

C: Si e ti spiego il perchè. Il cardano ha un momento di forza che quando acceleri tende a sollevare il retrotreno della moto. Questo si rivela utile mentre stai percorrendo una curva perchè nel momento in cui dai gas l’effetto di alleggerimento dell’avantreno tipico delle moto a catena viene contrastato dall’effetto del cardano che invece alza il retrotreno e tende a caricare la moto davanti. Il risultato è che in curva puoi accelerare molto prima di una moto a catena senza rischiare di perdere la traiettoria.

F: In un certo senso quindi il cardano ha qualche vantaggio.

C: Secondo me si. Infatti tante volte ho pensato che sarebbe interessante vedere cosa succede ad una moto a catena se si potesse mettere a punto un dispositivo in grado di far ruotare la catena al contrario rispetto al senso di marcia e simulare così un “effetto cardano” al retrotreno pur non avendo il peso del cardano. Ma è solo una curiosità che penso resterà tale.

F: E’ innegabile però che il cardano pur avendo i vantaggi dinamici di cui ci hai parlato ha un grosso svantaggio rappresentato dal peso.

C: Certo che il peso del cardano è un grosso handicap ma solo se vuoi fare una moto da competizione vera. Per il resto rimane accettabile.

F: Tu prepari diverse moto che partecipano al Campionato Italiano Supertwin e sono tutte Ducati. Queste moto sono fatte prendendo un telaio del tipo usato sulle 748-998 e il motore è un due valvole raffreddato ad aria solitamente di derivazione 900SS. Secondo te, con un motore Guzzi si potrebbero ottenere le stesse prestazioni di quelle moto?

C: Mah! veramente fino a qualche anno fa era l’inverso, parlando del ’95 ’96 le Ducati vedevano solo il codone delle Guzzi.

F: E oggi cosa è cambiato? Le Ducati sono andate avanti?

C: Beh! oggi le Ducati sono avanti ma non perchè sia migliorato il loro motore, è perchè si sono arresi i Guzzisti!!!

F: Anche il peso riveste un ruolo determinante.

C: Certo la differenza è notevole. Ti basti pensare solo che tra un motore Guzzi completo di cambio e un motore Ducati due valvole ci sono 25 kg di differenza ai quali vanno aggiunti altri 8-10 kg di trasmissione cardanica. Oggi una Guzzi preparata per le competizioni può arrivare al massimo a 160kg ma bisogna lavorare su ogni particolare e alleggerire tutto quello che è possibile alleggerire.

F: Che ci dici delle due serie del V11? Potrebbero essere usate come base per una moto da competizione?

C: Si certo, adeguatamente accorciate…

F: Anche quelle non vanno bene così?

C: No, sono troppo lunghe.

F: E dell’allungamento dell’interasse messo in atto sulla seconda serie cosa ne pensi?

C: Per me potevano benissimo risparmiare tutto quel materiale in più. A mio avviso andava fatto l’esatto contrario di quello che è stato poi messo in produzione.

F: Ma la prima serie tutti dicono che era instabile.

C: Invece la seconda? Pensi che in una gara vada meglio? Vedi, a mio avviso c’è un discorso di fondo, il telaio nato sulla Daytona del Dr. John è un telaio di derivazione sportiva. E’ fatto per avere l’avantreno caricato. Su moto come il Centauro o il V11 è la posizione di guida che è troppo arretrata. Se usando quel telaio scarichi l’avantreno la moto diventa instabile. Mi è successo una volta di fare una strada molto veloce e guidata con il Daytona ancora originale che in quei giorni era senza carena. In entrata di curva la moto era inguidabile per effetto dell’aria diretta che faceva alleggerire la moto davanti. Quel telaio è nato per un uso sportivo e poi è stato adattato su una moto turistica nuda con tutto quello che ne consegue. Il V11 Le Mans va molto meglio grazie alla carenatura che evita l’effetto di alleggerimento dell’avantreno. Chiaramente io ragiono sempre in termini di utilizzo al limite della moto che è la circostanza in cui emergono tutti i difetti di un progetto.

A: Però tu non fai solo lavori destinati alle competizioni. Ad esempio mi parlavi dell’installazione di un monoammortizzatore da montare sulle Guzzi con il telaio Tonti, tipo le California.

C: Si, l’ho fatto per la prima volta sulla Le Mans II che avevo anni fa. Si fa una capriata sul forcellone originale che permette di adottare un monoammortizzatore. L’ho fatto recentemente anche su una California Jackal. Volendo poi si può eliminare anche tutto il telaio reggisella visto che non ha più lo scopo di sorreggere gli ammortizzatori originali e montarne uno più leggero.

 

A: So che hai avuto anche una Aprilia RSV1000

C: Si, una ottima moto, ci vai subito forte, basta trovare il giusto setting delle sospensioni e la moto va benissimo. Magari qualche cavallo in più di motore non guasterebbe ma la moto va veramente bene.

A: E perchè poi sei ritornato alla Guzzi?

C. (ride) Sempre per lo stesso richiamo di cui parlavamo prima……la RSV è un’ottima moto……però

F: Però?

C: C’è sempre quel però……c’è sempre quell’aquila che vedo volteggiare lassù…… è un discorso di passione, fortuna che ci sono le passioni…….. altrimenti andremmo tutti in giro con le giapponesi……..

F: Hai preparato questa 1100 Sport con l’obiettivo di farla partecipare al Campionato Italiano Supertwin di quest’anno.

C: Esatto

F: E poi che è successo?

C: E’ successo quello che succede spesso: il budget. Se ci fosse un pilota coraggioso appassionato di Guzzi che fosse in grado di finanziarsi per la stagione gli metterei subito la moto a disposizione.

F: Tante volte hai detto che la guideresti anche tu

C: Senz’altro, se avessi un budget adeguato lo farei subito.

A: Però la moto l’hai provata anche in pista in vista del campionato.

C: Si, la moto l’ho provata in tutte le situazioni, da Cellole al Mugello, dal misto stretto al superveloce.

A: E c’è molta differenza con una Ducati da Supertwin?

C: La differenza ora è solo nel peso. Io ho concentrato i miei sforzi sul telaio. Ora il telaio funziona bene. Da ora in poi bisognerebbe lavorare sul peso, alleggerire molte componenti ma lo sforzo non è da poco.

A: Quindi il motore non è molto pompato

C: Il motore ha solo dei cilindri maggiorati a 94mm di alesaggio e poche altre modifiche ma va benissimo così. Si dovrebbe lavorare sulla ciclistica adottando dei cerchi in magnesio e tutta la bulloneria in titanio. In fabbrica per risparmiare sulle filettature nella moto ci hanno messo moltissimi perni passanti chiusi con i dadi dove invece potevano benissimo essere usate delle semplici viti che alla fine ti fanno risparmiare peso.

F: Parlaci dello scarico

C: Lo scarico l’ho realizzato io in maniera completamente artigianale. Ho fatto diversi esperimenti partendo da due scarichi indipendenti senza compensatore, la moto aveva molta coppia in basso ma oltre i 7000 giri il motore faticava a salire. Poi ho inserito un compensatore e la situazione è molto migliorata.

F: Ma come, il compensatore non serve per migliorare il tiro ai bassi?

C: Non è così semplice, conta molto la lunghezza degli scarichi e questi sono molto lunghi.

F: Ho visto diversi 1100 Sport anche completamente originali con il compensatore che fai tu

C. Si, lo vogliono in molti. Lo faccio artigianalmente. La moto ci guadagna sia nell’estetica che nel tiro del motore con una spesa più che accettabile che va dai 130 ai 150 euro. Non li produco in serie ma ne costruisco uno nuovo ogni volta così lo posso adattare a qualunque terminale monti la moto. Poi volendo si possono fare tante altre cose tipo togliere l’air-box e mettere due filtri direttamente sugli iniettori. Così facendo l’estetica della moto cambia molto e si alleggerisce notevolmente la linea perchè si sfina la parte centrale e il mono posteriore viene messo in vista sotto il codone. Diventa molto bella.

F: E il compensatore si può fare anche per le nuove moto? Tipo il V11?

C: Certo, il principio è lo stesso. Poi si rifà una piccola messa a punto e la moto cambia dalla notte al giorno.

F: Hai lavorato molto anche sul tuo vecchio Le Mans II. Cosa puoi dire ora che hai messo le mani a fondo su due generazioni di Guzzi?

C: Si, sul Le Mans avevo lavorato molto. Telaio alleggerito, monoammortizzatore, forcella rovesciata, cerchi larghi, motore rivisto, scarico artigianale e batteria spostata sotto il cambio. Ma sono epoche troppo diverse, quella moto non può competere con il telaio del 1100 Sport modificato com’è ora. Qui siamo a quota 1430 di interasse rispetto ai 1475 originali. La velocità di percorrenza della curva e le traiettorie che questo telaio ti permette sono molto superiori.

F: Avevo visto anche un cerchio da 5,5 pollici per il posteriore.

C: Si, era l’originale Guzzi montato sui nuovi V11. L’ho montato senza difficoltà sul 1100 Sport. Serve sempre in un’ottica di portare la moto al limite. Ti dona un’impronta a terra leggermente superiore che ti consente di aprire il gas qualche attimo prima mentre sei in piega.

F: Il reparto freni e sospensioni hanno subito modifiche?

C: I freni di serie sono dei Brembo serie oro e vanno benissimo così. Al limite si può intervenire sul tipo di pasticche adottate in base all’uso che si vuole fare della moto. Passando alle sospensioni le WP di serie sono ottime. Sicuramente migliori di quelle montate oggi sui V11 di serie.

F: Chiaramente non stai parlando della V11 Scura

C: La Scura non l’ho ancora provata. Certo le Holins sono sospensioni di un altro livello. Vedrò di provarla.

F: Veramente avevo sentito che volevi comprarne una

C: Era un’idea. Se la dovessi comprare stai pur certo che non la metterei neanche in moto. La metterei subito sotto i ferri.

F: Ma con quel telaio parti da un interasse di 1490mm

C: Vedremo di arrivare comunque ai 1430 del 1100 Sport.

F: Allora non ci resta che aspettare per sapere come andrà dopo la “cura”.

C: Contaci, non mancherò di fartelo sapere.

 

Dopo i saluti e i convenevoli è difficile non provare un certo senso di inferiorità al cospetto delle nostre moto così “normali”. Certo è che le parole di Cippì sono coinvolgenti. Ti fa vedere cose incredibili come se fossero banali al pari di un cambio d’olio e filtro. Telai accorciati di 4 cm e forcelle sfilate di 7 cm sono cose incredibili se ci pensate ma che diventano normali se le vedi dentro l’antro di Cippì.

Persone così pensavo esistessero solo nella terra dei mutùr, in Romagna, dove si trovano artisti capaci di cose incredibili. Invece con mia grande felicità ho scoperto che anche nella Capitale, cercando con attenzione, qualcosa di buono può saltar fuori.

Cippì rappresenta a mio avviso un caso anomalo nello scenario dei meccanici di Roma. E’ un appassionato, e non c’è cosa più bella che vedere un meccanico che lavora sulle moto con passione, vedere che prova piacere in quello che fa, che è in grado di fare le cose più disparate senza conteggiare i minuti che ci vogliono.

Al contrario, non c’è cosa più triste che vedere un meccanico che lavora senza nessuna passione, che entra nella routine e lavorare su una Guzzi o su uno scooter rappresenta esattamente la stessa cosa, tanto l’importante è arrivare all’orario di chiusura. Purtroppo questa scena a Roma si vede molto, anzi, troppo frequentemente.

Per fortuna che c’è Cippì!!

C.P. Racing – V. Giarratana 76a – Roma – Tel. 333.45.22.920

I miei 11km sul Tetto del Mondo

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Di Stefano Bellotti

Helsinki, ore 8 del mattino.
Nel garage dell’hotel ho appena terminato di caricare la moto. Borse, bauletto, borsa da serbatoio, tutto per bene.
Per bene niente.
Ho il cuore in gola.
Premo il grosso pulsante rosso e apro il cancello automatico per la rampa di uscita, inserisco la chiave nel cruscotto.
Scendo dal cavalletto centrale, e quella maledetta voce dentro di me mi stordisce.

“Ma sei sicuro di quello che stai facendo? Ma hai pensato che casino sarebbe se accadesse ancora durante la giornata di oggi? Riflettici bene: ora sei solo! Non puoi contare su nessun aiuto! E hai pensato ad Anna? Dammi retta, riprendi il traghetto finchè sei in tempo e torna a casa…”

Giro la chiave, il cruscotto si illumina….. la pompa della benzina emette il suo magico ronzìo.
Tiro un lungo sospiro…
Maledetto fusibile! Se non si fosse bruciato misteriosamente la pompa della benzina avrebbe continuato a funzionare, io non sarei rimasto a piedi e oggi sarei ancora insieme agli altri!
Il motore parte prontissimo e lo faccio girare un pochino al minimo, mentre continuo a pensare freneticamente…. Ma sarà il caso? Affrontare una tappa veramente lunga, 900 km circa, per saltare Vaasa e raggiungere il resto del gruppo a Rovaniemi, e solo ieri all’assistenza Moto Guzzi di Tallin si sono letteralmente grattati la pera quando la moto, trascorsa la notte e sostituito l’ennesimo fusibile da 20A è improvvisamente ripartita.
Dopo 3.500 km in mezzo alle Repubbliche Baltiche, Praga, Cracovia, Varsavia, Riga…e 4 giorni in mezzo alla pioggia battente e al vento , la Guzzi si è fermata col triangolino rosso acceso fisso ed un ben poco mandelliano SERVICE (alla faccia della Storia tutta Italiana!) che imperava sul computer del cruscotto! Inutili i tentativi di trovare umido nei connettori, inutili i tentativi di cambiare il fusibile che continuava a bruciarsi, inutile il tentativo di trovare un filo a massa: quella era lì sul ciglio della strada con la sua spia rossa accesa e non ne voleva sapere di ripartire! L’unica soluzione era stata quella di aspettare mestamente il furgone scopa…

“Ma ad Anna ci hai pensato? Non sei piu’ soltanto tu a rischiare adesso. Adesso c’è anche lei! E non ce la farai mai!!! mai!!! MAIIIII!!!!!!Ma chi te lo fa fare??”

Già…. La cosa è parecchio azzardata. Il guasto non l’hanno trovato, potrebbe essere umidità, potrebbe essere un filo che fa cortocircuito….
Ma è il nostro viaggio di nozze! È un sogno che culliamo da quando ci siamo conosciuti. Non posso proprio non tentare il tutto per tutto.

“ E poi sono 900 km! E non ci sono autostrade! E tu adesso ne hai 46! E non è il numero di Valentino, ma gli anni che ti porti appresso, assieme alla cervicale, alla schiena, ad un anno di lavoro, te lo ricordi che ti fai 80mila all’anno in macchina, vero?! E gli ultimi mesi hai occupato tutte le tue energie a organizzare il vostro matrimonio! Dammi retta, getta la spugna! Riprendi il traghetto, vai a casa e vendi ‘sto cesso di moto…”

Ma noi dobbiamo vedere il cielo azzurro della Finlandia che si appiattisce e si allunga! E vogliamo vedere quel Mappamondo che si affaccia sul Mare di Barens!
Il Mare di Barens…
Che con la sua maestosa calma e il suo regale silenzio ci dichiara apertamente di essere il padrone incontrastato di quell’infinito, e ti fa sentire un minuscolo ospite, insignificante….
Ore 8.10.
Esco dalla rampa del garage, Anna è la in cima che mi aspetta.
Non mi dimenticherò mai di quel pomeriggio d’agosto quando entrò in chiesa nel suo abito bianco… quando ero io ad aspettarla… semplicemente meravigliosa! Come lo era adesso in tenuta motociclistica!
Si accomoda sulla sella posteriore con quella grazia che solo lei può avere, ingrano la prima e sono in strada. “Come va la moto?” –mi dice – “Ci possiamo fidare?”

“Tranquilla, è un violino! Non la senti? E poi ho guardato bene la cartina: la strada sarà ottima!!”

La strada invece è peggio di quanto immaginassi! Usciti da Helsinki è tutto un limite di velocità e di rilevatori pronti a castagnarmi. Così non può andare, non ce la farò mai a essere a Rovaniemi per le 7 e 30 di stasera, per la cena che Federico e Stefano prepareranno a tutto il gruppo.
Federico e Stefano…
Sono i nostri accompagnatori. Sono loro il marchio “Raid Inside”. Federico ci fa strada in moto, con una pazienza infinita controlla tutto il gruppo. Ci da delle regole da seguire. Ci fa capire quanto sia importante rispettarle.
Stefano segue col furgone. Lo carica e lo scarica dalle nostre valigie, attrezza la cucina da campo quando ceniamo nei campeggi. Fa il lavoro sporco. “Qualcuno dovrà pur farlo”, non lo dice ma lo pensa. Sono due professionisti. E sono in gamba. Il loro lavoro è la loro passione, e spinti da questa energia si fanno veramente in quattro per venire incontro alle tue esigenze e per far sì che la tua sia una meravigliosa vacanza.
Loro il viaggio ce l’hanno dentro veramente, e conoscono alla perfezione gli stati d’animo di chi ha deciso di seguirli nell’ itinerario che hanno preparato. E sanno cosa devono fare.
Anche quando si è trattato di caricare la mia moto su quel furgone e portarla all’assistenza di Tallin, ad un centinaio di km, loro sapevano cosa fare per aiutare me, in totale coma guzzistico, e far continuare la vacanza agli altri componenti del gruppo.
E quel giorno, vedere che tutti gli altri 16 partecipanti erano lì nel parcheggio di quel centro commerciale ad aspettare noi e la moto nel furgone sotto la pioggia invece di essere già comodamente in albergo…. Beh… lì e in quel momento ho capito che Stefano e Federico stavano facendo proprio un buon lavoro: erano riusciti ad amalgamare persone completamente diverse tra loro. E questo è Lo Spirito Motociclistico nella sua pura essenza!
Anche questo mi ha dato la carica necessaria per non abbandonare la partita e tentare il ricongiungimento…
Ma intanto la strada è ancora lunga, non sono neanche a metà percorso ed è già ora di pranzo! Per fortuna la Finlandia ci regala uno splendido cielo azzurro, tutto sembra incoraggiante e promettente… autovelox a parte!
Un po’ di km li abbiamo fatti, Anna ora ha fame anch’io per la verità, e cominciamo a sentire la stanchezza. È ora di fermarsi per un po’ di riposo, cibo e… benzina.
Provo a sentire Federico per telefono. In linea d’aria sono un bel po’ piu avanti di noi. Loro hanno fatto tappa la sera prima a Vaasa e sono su strada costiera, noi su strada interna siamo partiti da Helsinki e abbiamo quasi 500 km di distanza da colmare. È ancora lunga, troppo lunga. Rovaniemi sembra lontanissima. Ripartiamo, ma dopo un oretta di viaggio la schiena e la stanchezza ci chiedono una sosta extra. Altra pausa, questa volta per un caffè e per un po’ di cioccolata energetica. Quando esco dal bar trovo Anna seduta sul muretto in riva al mare che si è addormentata….
Guardo il cellulare, c’è un sms di Bruno che fa il tifo per noi e per la nostra Guzzi! Ci aspettano per cena, non possiamo mancare!
Questo mi da una nuova fiducia, e mi fa riflettere…. Dunque, di telecamere per la rilevazione della velocità ce n’è un vero macello, però sono tutte ben segnalate. E anche il navigatore me le conferma segnalandole con precisione. E di auto della polizia neanche l’ombra. E la mia moto tra i 4.000 e i 6.000 giri c’ha tanta tanta coppia….
Io ci provo!
Daje de tacco e daje de punta! Come dice un amico mio…
La strada si mette a scorrere più velocemente! Gli automobilisti che mi vedono arrivare si spostano! Incredibile….
Ben presto compaiono i primi cartelli di pericolo attraversamento renne! Il traffico si dirada fino quasi a scomparire, Anna sembra molto tranquilla e soprattutto non mi sembra stanca, la lancetta del tachimetro sale di parecchio…. La temperatura scende altrettanto…
I laghi della Finlandia ci accompagnano per tutta la giornata e ci deliziano lo splendido panorama, alternandosi con larici, abeti e betulle in un verde emozionante, che si amalgama nel blu del cielo.
Ore 19.25.
All’entrata del paese scorgo sul ciglio della strada un tipo curioso, un po’ retrò e con una larga coppola in testa che mi guarda e ferma con aria soddisfatta un antico cronometro che sta tenendo in mano. Lo guardo. Mi guarda. Sorride…. Ma dove l’ho già visto?
Oltrepasso il muretto dove se ne stava appoggiato, lo cerco negli specchietti. Ma non c’è piu’….
Entriamo nel campeggio di Rovaniemi accolti da Andrea che ci corre incontro e da un caldissimo applauso da tutti i nostri amici che ci stavano aspettando per la cena, sicuri che saremmo arrivati per tempo. Siamo raggianti e la stanchezza sembra scomparsa. 865 km.
La Norge ha compiuto la sua impresa.
E si è meritata con onore il posto che occupa nel box assieme alla California e all’Idroconvert… e nel mio cuore.
Solo le Moto che hanno un’Anima fanno i capricci! (questa frase non è mia, ma mi piace tanto!)
E da quel momento si toglierà tanti sassolini dalle ruote, accompagnandoci al Mappamondo per poi scendere lungo la E6, la strada dei fiordi, che è un vero e proprio ottovolante, incontrando renne a go go, proseguendo per la Strada piu Bella d’Europa tra, continuando su e giù per i ghiacciai eterni e…. sulla strada dei Troll!
Ma Bergen, le isole Lofoten, Trondheim, Mo I Rana, Tromso, Svolvaer e tutto il circolo polare artico… saranno luoghi che resteranno per sempre chiusi nel nostro cuore, posti che abbiamo scoperto solo grazie a questi meravigliosi 11mila km con cui la Norge ci ha portato fino in cima all’Europa e riportato a casa. Anche in mezzo all’uragano che si scatenò a Cophenaghen la mattina che stavamo correndo a prendere il traghetto per la Germania, incitati anche da Valeria e Roberto che improvvisamente superano tutti facendo cenno con la mano sull’orologio che eravamo in ritardo.
E quando siamo saliti su quel traghetto, anche se bagnati fradici fin nelle mutande (quasi tutte le tute antipioggia del nostro gruppo si sono arrese a quel finimondo d’acqua, grandine, tuoni e fulmini….), ci ha preso un nodo alla gola.
Addio Mappamondo.
Non sappiamo se ci rivedremo mai piu’, ma grazie comunque per le emozioni che ci hai dato!
E nella gallery del sito di Raid Inside si possono vedere un bel po’ di foto di quello che abbiamo vissuto, e di quanta meraviglia il mondo è capace di offrire a quanti fanno del turismo in moto.

P.S. trovato e sostituito il cavo che faceva i capricci…..

 

 

 

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