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Viaggio per mezza Italia

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Di marcodip

 

Cominciamo da lei.
Come molti di voi sanno Baghy è la mia 1200 Sport equipaggiata col bel motore quattrovalvole, quello famoso per il “buco” fino ai 4000 rpm, un paio di scarpe nuove nuove di Michelin Pilot Power, valige originali MG da 40L ciascuna e borsa da serbatoio.

Nelle capienti valige hanno trovato alloggio biancheria ed indumenti in una (comprese scarpe e abito per un matrimonio), materassino, sacchi a pelo, ciabatte e tenuta antipioggia, nell’altra.
Nella borsa da serbatoio tutta la cartografia, un libro, una bottiglia d’acqua, qualche oggettino di prima necessità e la macchina fotografica.
Sopra alle valige, la tenda.

Ecco come si presenta così equipaggiata:

AnimaGuzzista Racconti Viaggio per mezza Italia044_006
La prima parte del viaggio è stata dedicata alla Toscana dove mi sono fermato a visitare San Giminiano, Monteriggioni e Montalcino.
Senza ombra di dubbio posso definire questa parte del viaggio, quella meditativa e sentimentale.
Dolci curve e colline dorate percorse in 4° marcia a 60km/h con solo il “punf, punf, punf” del motore a scandire il tempo, hanno lasciato molto spazio alla mente di divagare.

La zona delle Crete Senesi, tra Siena e Asciano. Più volte mi sono fermato in posti come questi per una quantità di tempo indefinita, anche solo per ammirare le spighe flettersi insieme mostrando il fronte della massa d’aria in movimento.
Mi sono commosso da tanta bellezza.


La Toscana mi ha anche regalato una nuova esperienza: un bel fuoristrada tutto curve e tornanti di 30km tra Asciano e Montalcino, il primo della mia carriera motociclistica.

Alla fine era conciata così. Io mi riproponevo in vivaci scale di rossi e bianchi.
Nei Pressi di Montalcino, ma proprio alle porte del Comune, ricomincia l’asfalto.

Da qui ho preso la cassia e sono arrivato fino a Roma, dove ho pernottato per 3 notti e ne ho approfittato per il 12° Raduno di AG “Aquile in Ciociaria”. Bello!
La seconda giornata Romana è andata dedicata ad un matrimonio, la terza al giro dei castelli Romani.
Il giorno successivo ripartenza, destinazione Norcia (o dintorni) via Gran Sasso con soste qua e la dove meritava.
Questa parte del viaggio è stata quella che definirei “avventurosa”: sempre, sempre, spemre, lungo strade meno che secondarie, nel bel mezzo del nulla. In questi giorni ho incontrato più mucche, cavalli e asini che macchine e esseri umani.
Le Cascate delle Marmore, davvero impressionanti per portata d’acqua e bellezza.
Grisciano, lungo una delle vie d’accesso principali al paesino. Una vecchia panda ci sarebbe passata a stento tanto era stretto questo passaggio.
Forca Canapine, con altro sterrato (questa volta non tortuoso e lungo come quello in Toscana ma meno compatto più difficile)
Qui comincia la parte del viaggio da “Smanettone”. Del resto punto alla Terra dei Mutùr.
Ancora stradine sperdute nel mezzo del nulla.

Punto al Passo della Calla e al Casentino.
Mai vista natura tanto verde (ma un verde esplosivo, energico), rigogliosa e fitta, mai sentito un fresco profumo di bosco tanto intenso.
Qui la strada era troppo bella per fermarsi a fare foto.
Doverosa la limata alle pedane e agli stivali.
Sorriso da ebete sotto il casco.
Ora si punta verso Comacchio per un giro nel delta del Po.
Per fortuna il tempo è clemente e mi regala un’intera giornata a 28°C secchi mitigati da una splendida brezza di mare.
Rettilineo di 5km (non finiva mai!) in mezzo a campi di girasole.
Uno degli ultimi ponti in legno sul delta del Po.

Qualche tratto di sterrato molto compatto e pianeggiante. In un punto informazioni c’è un ampio spiazzo e una scolaresca (Al 22 giugno?!? Bah, erano bambini in giro con lo scuolabus) sta aspettando di poter salire sul pullman.
Tutti i bambini udendo il rombo del possente bicilindrico e vedendo una così bella Guzzi in assetto da viaggio mi guardano affascinati.
Mi sento in dovere di dare un po’ di spettacolo: giù una marcia, in piedi sulle pedane, gas spalancato e via la frizione di botto, curvone a sinistra in piena derapata e uscita dal piazzale spazzolando a destra e sinistra col posteriore.
Sparisco in una nuvola di polvere.
Altro che Ducati Diavel!

Ok, ora posso anche dire che il tutto mi è riuscito a caso, io volevo solo fare un po’ di polvere, i numeri sono usciti nel tentativo di non cadere come un pirla.Bene, ora mancano 2 giorni al mio rientro e sono a Comacchio, il giro che avevo abbozzato prevedeva un diretto Cortina d’Ampezzo, percorrere tutto l’arco Alpino fino al P.sso del Maloja per poi rientrare su Milano.
Sono le 7.30, sto finendo di impacchettare tutto, butto un’occhio sulla tuta antipioggia e penso che forse è il caso di tenerla a portata di mano.
Do’ unocchiata alle previsioni meteo lassù e… bollino nero: diluvia a Cortina, sul passo Pordoi, ovunque. E non accenna a smettere almeno fino al giorno del mio rientro.
Che palle, dovrò inventarmi qualcosa.
Tempo 10 minuti, chiamo una mia cara amica che studia a Pisa per sapere cosa ha in programma nei prossimi giorni.
“Vieni a stare da me” è la sua risposta. E così è stato.

AnimaGuzzista Racconti Viaggio per mezza Italia044_016

Da Ravenna a Pisa è un vero inferno: 34°C dalle 10 in poi, praticamente ho un phon gigante puntato addosso.

Solo il passo del Muraglione mi da una tregua dal caldo.

Tregua che decido di prolungare facendo su e giù per quella strada 3 volte: la prima in scioltezza (bello, ma chissà com’è a risalire dal lato toscano verso quello Romagnolo, proviamolo), la seconda volta tiracchiando e forzando un po’ le staccate (hummm, slurp! Ma che figata), la terza volta con orecchie a terra e motore mai sotto i 5000 rpm, ogni uscita di curva lo faccio ruggire bene fino agli 8000 rpm, una volta interviene anche il limitatore. Grattato il grattabile. Bei virgoloni neri sull’asfalto. Mi sono dovuto fermare tanto ridevo.

I giorni Pisani sono trascorsi faticosamente tra una sveglia tardi al mattino, colazioni in vicoli improbabili, pranzetti in piazza, aperitivi a gogo, cenette ignoranti sul lungo Arno e vagonate d’alchool a feste e festini universitari.

Triste, rientro a Milano ieri sera.

La moto si è comportata in maniera davvero ineccepibile, sempre. Anche con le gomme ora ho miglior feeling e riesco a fidarmi di più, ma ancora non siamo ai livellli delle metzeler M3.
Il consumo medio è stato di 20.3 km/l, ottimo direi.
Del motore non posso lamentarmi, va benone e più passano km, meglio va.
Quel “buco” non è malvaggio e onestamente mi piace: come diceva qualcuno poco fa non invita a tirare fin dalla minima rotazione del gas ma la coppia dsponibile in basso resta comunque tanta fin dai 2000 rpm, insomma il giusto per un’andatura turistica.
Oltre i 5000 è un’altra moto: pura libidine.
Le sospensioni vanno bene, specie il posteriore. Vorrei solo una forcella più frenata davanti.
Ciclisticamente è perfetta: non tradisce neanche nelle situazioni più estreme.

Il viaggio è andato stra-bene: al di là dei bei posti che ho scoprto e visitato, ovunque mi sono fermato ho conosciuto qualcuno con cui ho condviso una birra la sera, una colazione al mattino o anche solo una chiacchierata (tutta gente straniera).
C’è stato chi mi ha raccontato la sua vita e chi solo un episodio, ma ognuno mi ha raccontato una sua storia, ed io la mia

Sono propio contento!

Saluti a tutti,
Marco e Bagheera

Ogni cosa ha il suo perché, sempre.

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di Backstreets

 

Prologo

Millecinquanta chilometri da casa. Sono arrivato. Accosto il furgone al lato della strada e scendo.
I cartelli non parlano. Almeno, non dovrebbero. Però questo ha deciso di fare un’eccezione. Io guardo lui, lui guarda me, e so che mi sta chiedendo: ma tu, cosa ci fai qui?
Bella domanda. Mi ha letto nel pensiero, è la stessa che mi sto facendo io. Vorrei sapere se c’è un senso in tutto questo, o se mi sono semplicemente fumato quel poco di cervello che mi era rimasto.
Dubbi, ovvio che qualcuno ce l’abbia. Sono giorni che ronzano in un angolo della testa. Si può dire che siano iniziati nel momento stesso in cui ho chiuso quella telefonata quasi surreale nel mio stentato francese. Finora non erano riusciti a manifestarsi con chiarezza perché tenuti a bada da una robusta dose di incoscienza; ma ora non ci sono più né spazio né tempo per tergiversare, sono arrivato al dunque.
Fisso il cartello e sto per rispondere. Gli direi di avere un po’ di pazienza: tra poco scoprirò perché sono qui e tornerò per farlo sapere anche a lui. Però sto zitto. Ma non perché i cartelli non parlano, e quindi non fanno domande. Perché se anche glielo spiegassi, non mi capirebbe. E poi perché non sono affari suoi.
Risalgo, ingrano la prima ed entro in paese.

 

Sono in viaggio. Un viaggio tranquillo e senza intoppi. Vero che una pioggia battente di cui avrei sinceramente fatto volentieri a meno mi ha fatto compagnia mentre attraversavo la Svizzera nella notte, però stamattina ha lasciato il posto prima a un timido sole velato, poi a una bella giornata serena.

Ci vuol niente a prenderlo come un presagio.

Conosco la strada come le mie tasche, almeno fino a un certo punto, e conosco il paesaggio che mi aspetta. L’autunno con i suoi colori sta prepotentemente prendendo possesso della vegetazione: finite le montagne, la superstrada prima e la Route Nationale poi danno la sensazione di muoversi in mezzo al nulla. Lungo il percorso le città sono rare; a farla da padrone sono piccoli borghi, sperduti tra distese di campi coltivati e qualche bosco. Da queste parti cinque case, due cascine, una officina per mezzi agricoli e una chiesetta fanno Comune: basta aggiungere un Municipio poco più grande di una delle case, in cui una stanza sia anche asilo e/o scuola elementare, un cartello di inizio e uno di fine del territorio sulla statale e il gioco è fatto. Si rallenta ai 50, più come silenzioso omaggio verso chi a vivere qui ci si è ritrovato (l’idea che qualcuno sia venuto a seppellircisi per libera scelta non è nemmeno da prendere in considerazione) che per reali esigenze di traffico, e in meno di un minuto si è di nuovo nel nulla.

 

Flashback:

Battito cardiaco accelerato, nodo allo stomaco e salivazione azzerata. Li conosco questi sintomi, so cosa significa quando si presentano. Mi sa tanto che anche stavolta sono bello e che fregato, e la cosa pazzesca è che fino a una settimana fa o poco più, di lei non sapevo un bel niente…neppure che esistesse. E neppure sapevo che esistesse questo sito, io che ormai credevo di conoscerli praticamente tutti. Ci sono arrivato assolutamente per caso, leggendo il post di un forumista transalpino in un topic che di solito non guardo neppure. Tutto questo è accaduto nell’arco di due, forse tre giorni. Col tempo ho imparato che bisogna stare attenti alle coincidenze. Non dico di crederci ciecamente e subito, ma almeno di non ignorarle a priori. A volte hanno un perché, e questa ha tutta l’aria di essere una di quelle volte.

Sguardo inebetito da perfetto idiota, fisso sullo schermo del pc. Scorro su e giù la pagina con le foto. Quelle foto. Non può essere vero, eppure… Chi si sarebbe aspettato, conoscendomi, che avrebbero potuto farmi questo effetto?

Chiamo a raccolta tutte le mie limitate conoscenze di francese, preparo mentalmente un abbozzo di conversazione e compongo il numero.

– Hallo?

– Bonjour…… a propos de votre annonce…..

Strade e autostrade della periferia parigina oggi sono quasi deserte, ma per certi versi ancora più infernali del solito. E’ domenica e i mezzi pesanti non circolano, ma lo sciopero generale sta mettendo il Paese quasi in ginocchio e i notiziari sul traffico -invece che segnalare incidenti e ingorghi come d’abitudine- sono bollettini di guerra che raccontano di stazioni di servizio a secco un po’ dovunque. Mi immagino come si presenterebbe la scena se si potesse vederla dal cielo. Sul reticolo d’asfalto, sciami di vetture si spostano come api impazzite sulla base di quelle indicazioni. Lì no, non c’è benzina. Lì no, non c’è gasolio. Lì no, non ci sono né l’una né l’altro. Là pare che qualcosa abbiano ancora…e tutti via a razzo prima che sia troppo tardi.

Sarebbe persino divertente se in uno sprazzo di lucidità non ricordassi che anche il mio furgone non va ad aria, e il sorrisetto ironico che si stava formando si incrina in una smorfia. Spero che le taniche di scorta che ho riempito mi evitino di restare bloccato qui, non sarebbe nei programmi. Come se non fosse già tutto abbastanza folle di suo, mi sono pure trovato proprio un bel momento per fare questa pazzia. Del resto non avevo molta scelta. Se non fossi corso subito da lei, non credo che mi avrebbe aspettato.

 

Flashback:

Tra le mail di oggi ricevo l’informazione che ancora mancava. Si è fatta attendere per qualche giorno, e mi stavo giusto domandando se alla base ci fosse qualche motivo poco chiaro. Magari uno dei sempre possibili inganni di Internet, sirena ammaliante che talvolta si rivela una strega malefica. Però la sensazione ” a pelle” è un’altra. Fin da subito, il cuore mi ha fatto pensare che questa sia una cosa seria. In questi ultimi giorni ci siamo scritti spesso, e in effetti non ho mai avuto sospetti che qualcosa non andasse per il verso giusto. Però…va bene essere folli, ma mi serve una conferma. Non posso partire così, alla ventura: c’è da farsi male per davvero.

La mia amica si è “gentilmente offerta” (per così dire… povera, quanto le sto rompendo le scatole con questa storia) di darmi una mano, quando fosse arrivato il momento. E il momento è adesso. Prendo il telefono e le riferisco quello che ho saputo.

– Ok..sono un po’ incasinata in questo momento, ma dammi dieci minuti che ti richiamo.

Mi ricordo un vecchio spot pubblicitario. Colonna sonora, “Breathe” di Midge Ure. Chiedeva “How long is a Swatch minute?”. A scorrere, immagini di frammenti di vita: istanti che sembravano ore e ore che sembravano istanti. Dieci minuti sono solo dieci minuti. Ma a volte, accidenti a loro, non passano mai. Quando il display del cellulare si illumina indicando la chiamata entrante, gli salto addosso senza dargli neppure il tempo di iniziare il primo squillo e mi sembra di essere invecchiato di dieci anni.

– Allora?

– Allora è tutto ok.

– Tu cosa mi consigli?

– Un’altra come lei non la trovi più. Non fartela scappare.

Mi allontano dalla metropoli e in breve il paesaggio torna quello di prima. Il mio lavoro mi ha fatto girare mezza Europa e anche un po’ di più, ma non sono mai stato in questa regione in passato; da qui in avanti la strada non la conosco, quindi una vale l’altra. Allora abbandono l’autostrada e lascio che il navigatore mi conduca per l’ultimo centinaio di chilometri che ancora mi separano dal traguardo e dalla possibile materializzazione di un sogno, guidando su strade secondarie geograficamente così distanti eppure emotivamente così simili a quelle americane che hanno ispirato libri, film e soprattutto canzoni.

Ecco, visto che mi sono scelto un certo nick per venire a fare il minchione in questo forum, questa è senza dubbio una delle occasioni migliori per onorarlo. Ora mi ci vorrebbe proprio una bella Backstreets sparata a tutto volume. Peccato che il CD di Born to Run sia rimasto a casa a prendere polvere sullo scaffale. Pure Badlands ci starebbe bene, ma anche Darkness risulta disperso. Roba degna di un Rincoboy certificato. Ohibò, ma io sono un Rincoboy certificato. Tutto regolare.

Vorrei tanto sapere invece chi abbia lasciato nel cassettino una compilation di Celine Dion; la tentazione di farne un frisbee e vedere quanto lontano può arrivare è forte, ma il senso civico prevale. Non posso comportarmi come il classico turista becero che butta l’immondizia dal finestrino. Però al primo cassonetto ne riparliamo.

Mi rassegno all’idea di continuare a viaggiare nel silenzio, ma in fin dei conti non è poi così grave: certa musica fa parte della mia vita da così tanto tempo, che la sento suonare nella testa senza più bisogno dei dischi.

Il paese non è molto diverso da quei villaggi attraversati nel viaggio…se arriva alle cinquecento anime è tanto. Piccole case tutte simili, addossate le une alle altre nelle strade strette. Appena fuori, i soliti campi e boschi, piena campagna francese. Non un’anima in giro. Non fosse per le fioriere sparse qua e là e curatissime, immancabili in qualsiasi borgo francese grande o piccolo che sia, e per le tendine pulite alle finestre che raccontano di esistenze che scorrono quietamente, penserei di essere finito in un villaggio fantasma. Trovo la via e svolto. Non so ancora cosa dirle quando la vedrò, ma penso che prima di tutto vorrò chiederle:

E tu, come ci sei arrivata qui?

L’uomo mi ha sentito arrivare ed è uscito dalla porta. Sorride, fa segno di parcheggiare proprio davanti a casa che tanto di lì passano in pochi. Una stretta di mano e mi invita a entrare. Conversare non è un problema, quindi o il mio francese non fa poi così schifo oppure lui è molto gentile nel far finta di niente. Probabilmente una via di mezzo tra le due cose. Davanti a una tazza di caffè ci raccontiamo per un po’ della nostra comune passione. Nel suo passato ha avuto delle esperienze decisamente interessanti, non posso negare che abbia buon gusto e provo anche una leggera, sana invidia.

Poi dice “Andiamo da lei”.

 

Poche settimane prima ho conosciuto una sua sorella; l’ho guardata per bene, ho sentito la sua storia, le ho girato attorno, l’ho accarezzata. Quell’imprevisto faccia a faccia ha liberato la scimmia dalla gabbia ed è alla base della mia follia: ma almeno mi ha -per così dire- preparato, quindi oggi riesco a guardare la sua bellezza senza sentire le ginocchia piegarsi. Non più di tanto, almeno.

Sarà stato un segno del destino inciampare in lei così, casualmente? Tempi giusti, modi giusti. Ma da lì a concepire anche solo lontanamente l’idea di arrivare a questo punto, ce ne correva ancora, e parecchio. Eppure sono qui. Lei mi sta di fronte e si lascia ammirare in silenzio.

Probabilmente è un insieme di fattori; da che mi ricordi, fin da bambino ho avuto la passione per il collezionismo… automobiline, figurine, fumetti, schede telefoniche…qualsiasi cosa. Ma in particolare mi sono sempre piaciute le cose rare, difficili da trovare. Preziose, anche. Ma non tanto per il prezzo (anzi, per dirla tutta: meglio se non per il prezzo, che non sono mai stato, non sono e temo non sarò mai un magnate che nuota nell’oro) quanto per il loro significato. Lei tutte queste caratteristiche ce le ha. Ah, se ce le ha.

Certo non si può paragonarla a una figurina rara o a un albo originale di Tex. C’è una bella differenza, sotto ogni profilo. E’ un giocattolo per bambini troppo cresciuti -o forse per adulti rimasti troppo bambini.

Ce ne sono in tutto diciotto, non una di più. Sparse chissà dove… Già solo l’averla scoperta è stato un po’ come vincere al Superenalotto. E il suo richiamo era irresistibile.

Lei è una V11 Scura “R”.

Il tempo delle parole e dei convenevoli è finito. Ora devo dare risposta alla domanda. Sì, va bene, d’accordo la buona volontà, d’accordo l’amore per il marchio, d’accordo il piacere del collezionismo, d’accordo tutte le altre minchiate che ho raccontato finora per allungare il brodo, ma è concepibile che un fermone come il qui presente -sempre e solo avuto moto di impostazione prettamente turistica- si porti a casa una specie di belva con la quale non sa neppure da che parte cominciare? Lo scopriremo solo vivendo, si usa dire: cioè con il classico giro di prova.

Lui la porta fuori dal garage, spenta, e mi dà le chiavi in mano lasciando che sia io ad accenderla. Mi fa notare gli scarichi Mistral dedicati. Annuisco convinto con la testa, lasciandogli immaginare una competenza che sono ben lungi dall’avere.

Salgo in sella, la accarezzo per un istante, provo la posizione, regolo gli specchietti. Giro la chiave, un leggero ronzio dalla pompa della benzina mentre il quadro si illumina.

Poi do’ contatto, e sembra che il mondo non sia più lo stesso.

So una cippa delle strade dei dintorni: mi fido del proprietario che dice che posso girare come mi pare che di traffico non ce n’è. Oddio, proprietario…parola grossa. Diciamo ex. Lui non sa ancora di esserlo, ma io sì. Faccio un paio di conti: reni ne ho due, e si sa che uno basta e avanza. L’altro occupa spazio e nient’altro, quindi me lo vendo e amen. Ma a casa senza di lei non ci torno.

Fermi all’incrocio, lei borbotta tranquilla. Tiro un bel respiro, innesto la prima con uno scatto secco e signori, si va in scena.

Ovvio che non posso azzardare niente di che, ma quel poco già mi basta per intuire i motivi per i quali chi ha un V11 se lo tiene, chi l’ha dato via se lo riprende e chi non l’ha mai avuto lo cerca. Dopo un paio di rettilinei trovo un invitante tratto tortuoso in aperta campagna, e ci arrivo bello spedito e sull’allegrotto andante. Per un attimo mi viene da fare lo sborone e dico “Vediamo cosa sai fare…”.

Ecco, a quanto pare anche se è stata tutta la vita in Francia lei l’italiano lo capisce oppure se lo ricorda benissimo. Apro ancora e lei risponde con un ruggito di piacere, stabile come un Freccia Rossa ma mille volte più goduriosa (e senza zecche). Ne vorrebbe di più, forse si sta chiedendo la stessa cosa di me…cosa sai fare? Poi mi casca l’occhio sul tachimetro: senza che me ne fossi accorto sono tra i 130 e i 140, in leggera piega, su una moto che non conosco, su una strada che non conosco, vestito con jeans piumino scarpe da passeggio e casco jet. E quelli che si stanno avvicinando molto (troppo) in fretta non sono più le serpentine di prima ma curvoni in un bosco, con la strada in ombra e l’asfalto sinistramente scuro a chiazze per la pioggia terminata da poco. Vedo in anteprima l’edizione di domani del quotidiano locale: un bell’articolo in cronaca sul pirla che è venuto apposta dall’Italia a spalmarsi su un platano, che a casa sua non ce n’erano abbastanza. Però se già sono poco fotogenico da vivo, figuriamoci da morto. Poi sono anche schivo di carattere, non mi va tutta quella pubblicità…è così poco fine. Il neurone che fino a un attimo prima era rimasto beato in ferie rientra precipitosamente in sede e si consulta con l’istinto di sopravvivenza, e la conclusione unanime è: non è proprio il caso. Due dita leggere sulla leva e lascio che i Brembo Serie Oro facciano il loro lavoro.

Ritorno col gas al minimo provando la maneggevolezza, zigzagando tra i tratteggi della linea di mezzeria. Non potrei giurarci, ma credo di averla sentita ridacchiare. Ho capito, ho capito… tranquilla, avremo tempo per conoscerci meglio. Tanto tempo.

Come sono finito qui?

Semplice. Ho seguito il cuore, che a volte sulle persone s’è ingannato ma finora sulle Guzzi mai.

E lei? Beh, prima bisogna dire qualcosa degli uomini della sua vita. Ha girato un po’, ne ha avuti altri due oltre a quello che ora me la sta affidando e che me ne parla.

Del primo non sa nulla. Del secondo, quello da cui l’ha comprata, sa che l’ha venduta per prendere un Rosso Corsa o un Rosso Mandello, non ricorda.

Lui invece ha avuto tra l’altro un LeMans I e un LeMans II, e non ho capito bene quante altre Guzzi prima e dopo di loro. E’ iscritto a un forum di appassionati simile ad AnimaGuzzista (simile ho detto: come Anima c’è solo Anima). In garage ha una BMW R850RT; la terrà, ma tra poco il posto della V11 che viene via con me verrà occupato da una Norge 8V nuova.

Credo sia stata in buone mani.

Se non dappertutto, almeno in una certa zona della Francia i cartelli sono particolari. Parlano.
Mentre venivo qua non ci avevo fatto caso e non li ho ascoltati con attenzione. Ma adesso che me ne sto andando a ogni incrocio, a ogni rotatoria, a ogni bivio trovo la risposta che avevo avuto sotto il naso da subito, a saperla cogliere. Lei non poteva finire altrove che qui. Ogni cosa ha il suo perché, sempre.
Se non dappertutto, almeno in una certa zona della Francia i cartelli sono particolari. Parlano.

Sono sicuro che si parlino anche tra di loro. Forse sono tutti parenti. In fondo è probabile, vivendo tutti così vicini. Allora a questi chiedo un favore: ora che l’ho capito anch’io, glielo spiegate voi al vostro fratello curioso cosa ero venuto a fare?

Epilogo

Sarò sbadato…non ho ancora detto come si chiama.
Prendete l’accenno che ho fatto a una ormai sopita passione giovanile per Tex Willer.
Aggiungete che è l’ultima della sua specie. In quel senso definirla “crepuscolare” non è fuori luogo: dopo di lei, il buio.
Infine ricordate che è nera, ma nera tanto.

Shakerate il tutto con cura e servite:

Aquila della Notte è una AnimaGuzzista.

Sempre Sia Lodata

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Samside

Anche con le date sono un disastro.
Sarà stato il 2000, al massimo il 2001. Ricordo che era caldo, probabilmente estate. Era sera ed ero in macchina con un amico, ascoltando musica dopo una canna. In silenzio. Quel silenzio che non infastidisce solo quando sei con un amico vero o con la donna che ami.
Decido che mi devo comperare una moto. A dire il vero mi rendo conto di essere un perfetto imbecille per non averlo già fatto. Ripenso ai posti visitati e a quanto sarebbe stato più bello visitarli in moto, ripenso ai soldi buttati in synth mai accesi o in dischi mai ascoltati, con i quali ne avrei fatte 10, di moto.
Ripenso al fatto che la prima trombata della vita l’ho fatta durante l’unico viaggio in moto con mio padre, e che solo per questo sarebbe stato un atto dovuto comperarne una non appena avuta la possibilità economica.
E invece ne sono passati di anni da quando ho la possibilità economica, ma che fossi un motociclista me ne rendo conto solo quella sera.

L’indomani mattina sono da Lazzarini. E’ la famiglia dell’attuale campione del mondo di motocross, mi pare. A Pesaro rappresentano “le moto” da non so quanti anni. Io sinceramente non so neppure che marche vendano, ma del resto a me importa sega. So che è gente seria e a me tanto basta.

“Salve, desidera ?”
“Volevo una moto”
“Noi le vendiamo, è nel posto giusto. Su che moto è orientato ?”
“Sinceramente non ne ho idea, pensavo di dare un’occhiata e vedere cosa mi piace”
“Prego, faccia pure. Se ha bisogno io sono qui”

Comincio a girare tra le moto, i serbatoi mi dicono che qui vendono BMW e Honda.
Boh, a parte che quasi tutte sono cifre ben più alte di quella che ho in mente, soprattutto non ce n’è una che mi piaccia davvero. Il GS non mi dispiace, ma appunto non andiamo oltre il “non mi dispiace”, tutte le carenate mi sembrano fatte con lo stampo, le nude invece sono proprio brutte. Passo nell’area degli usati.
E mi innamoro.
Cazzo quanto è bella questa moto.
Di un verde strano, con il telaio rosso e il motore che viene fuori. Ma non come quello delle BMW che sembra una pedana per riscaldare i piedi. Questo è bello.
C’è una macchia nera a terra, sotto al motore. Ma anche di quella a me importa sega: questa è proprio bella.

Faccio un cenno al venditore che mi raggiunge e gli chiedo il prezzo.
“Questa però è una moto impegnativa come prima moto, perché mi sembra di capire che lei stia cercando la sua prima moto. E’ pesante, ha bisogno di manutenzione …” [“ma io cazzo ti ho chiesto quanto costa, non quanto è pesante o di quanta manutenzione ha bisogno”]
“Non si preoccupi, io sono una persona impegnativa. Quindi costa ?”
Era, boh, qualcosa intorno ai 10 milioni, ora non ricordo. Ricordo la macchia sotto al motore, ricordo che questo me la sconsigliava e che io ne volevo spendere 5 al massimo 6.
Vacillo, desisto, e vado da quello dall’altra parte della strada.

Queste invece mi fanno proprio tutte cagare. Kawasaki e Suzuki, mi sembra di essere in un negozio di giocattoli. Davvero, non ce n’è una che mi faccia soffermare lo sguardo. Queste altre invece non sono male, anzi. Sarà perché hanno il motore fatto come quello della moto verde di prima. Queste rosse, lunghissime, sono proprio belle. Ma anzi, che roba è questa ? Che prima non ci ho neppure pensato alla marca.

Moto Guzzi.

La stessa marca della moto che mi fece correre dal terrazzo in strada, quando da ragazzino sentii che mio padre stava rientrando con qualcosa di diverso dal giorno prima. Quella moto gigantesca e che faceva il rumore più bello di tutte le moto che sentivo in strada.
Quella moto con la quale mio padre mi portò all’Isola d’Elba dove mi adescò la strafighissima sposa insoddisfatta che abusò di me per due notti intere. Sempre sia lodata.

Voglio una Guzzi.

Di queste rosse non domando neppure il prezzo, e comunque mi fanno paura. Vado dietro nell’usato, di Guzzi neanche l’ombra a parte una che non mi piace. Poi … booom ! Come quella verde, ma grigio opaco con le forcelle oro. Bellissima. A pelle costa di più della verde, io ci provo ed effettivamente costa di più. Sto lì a guardarla e a rosicare. Sfoglio una rivista di moto per vedere cosa ha Guzzi a catalogo.
Quella che piace a me, ed è l’unica che mi piace, si chiama V11.

Esco sconsolato perchè non ci sono cazzi: a me piace quella moto lì, ma quella moto lì, nuova o usata, io cash non me la posso permettere.
Vado a prendere un caffè nel bar in mezzo alle due concessionarie, dove praticamente sono di casa e dove incontro Marco che sta andando a lavoro. Il suo titolare ha una moto che non usa da almeno un anno, un TDM che tiene sotto le coperte in attesa di ricordarsi di venderlo. Ci ha fatto casa/lavoro per un po’ e poi si è stufato, mai un problema, il TDM insieme al Monster è l’unica moto che mi piace di quelle che vedo per strada, ne ha uno un amico e me ne ha sempre parlato bene … insomma, tanto lui lì deve andare, lo accompagno così la vedo.
Ha 12k chilometri e dire che sembra nuova non rende l’idea. Ne chiede 5, ci accordiamo per 4 e mezzo.
Sono diventato motociclista. Non ho la patente, ma sono diventato motociclista.

A questo punto mi dimentico del V11, di Moto Guzzi ma soprattutto di tutto il resto della mia vita: la moto mi assorbe qualsiasi istante libero. Macino chilometri su chilometri, mi informo, i frazionamenti, le alimentazioni, scopro che la mia moto va a carburatori, ha due cilindri ed è raffreddata ad aria. Macino chilometri. Mi dimentico di non avere la patente nel vero senso della parola, guido in ogni condizione/luogo/circostanza. Il giorno in cui mi scade il foglio rosa, non so chi mi domanda quando avrei preso la patente. Riesco ad iscrivermi all’ultimo esame utile entrando negli uffici chiusi della Motorizzazione grazie ad una telefonata ad un altro, di amico.

Poi succede che un giorno vado nell’officina di Giacomo, vicino Tavullia. Ci conosciamo da una vita, i motori sono la sua passione e il suo lavoro. Ama le competizioni, ha lavorato e lavora nel motomondiale, ma soprattutto ama le moto d’epoca. Vado da lui come è successo mille altre volte, e tutte le volte ho sempre visto delle moto, d’epoca e non, bellissime. Ma questa sulla quale lavora ora mi colpisce particolarmente.
E’ grigia con la sella rossa, ha quel motore che piace a me, ma io una uguale non l’ho mai vista prima.
No, perché io del TDM sono contentissimo, ma intanto le Guzzi ho continuato a tenerle d’occhio. Ho visto che il V11 ancora è fuori portata, che quelle alla portata non mi piacciono, ma questa qui mi piace da matti e non l’ho mai vista prima.

“Jack, questa che Guzzi è ?”
“E’ una special su base 1000 SP”
“E che cazzo è una special ?”
“E’ una moto non di serie. Prendi una moto e la fai come ti piace”
“Insomma una roba illegale”
“Illegale nella misura che vuoi tu. Di solito le più belle sono le più illegali”.

Cazzo, mi piace. Prendo una Guzzi vecchia e la faccio come mi piace. Non è un V11, ma questa ad esempio è proprio bella.

“E quanto si spende per fare una roba tipo questa ?”
“Tipo questa più che comperarne una nuova, ma esce una gran moto anche spendendo molto meno”

Bon, obiettivo individuato. Costo spalmato nel tempo e quando è finita vendo il TDM. Ora mi manca solo sapere dove cominciare, come proseguire e in che modo terminare.
Insomma, ma dove cazzo vado io che guido la moto da ieri e più che mettere la benzina e ingrassare la catena non ho mai fatto ?
E mentre vedo la mia special (cazzo, già uso ‘sto termine con una nonscialans della madonna) dissolversi nel nulla, entra il proprietario di questa Guzzi grigia. Si chiama Mauro, è un polentone che da qualche tempo si è trasferito per lavoro nella zona. Gli è andata bene, insomma.
Gli faccio i complimenti per la moto. Lui capisce subito che io di moto, specie di queste, non ci capisco una fava, ma nonostante ciò (o forse proprio per questo) mi sfrangica i coglioni per non so quanto tempo con nomi, date, numeri, modelli, cazzi e mazzi. Io vorrei prendere quella biella e dargli un colpo secco alla base del collo, ma resisto sino a che non se ne va, e Giacomo:
“Questo ci corre con le Guzzi, e tra un po’ sono a Vallelunga. Io volevo andare a vedere, vieni con me ? Guarda che è figo, ci divertiamo, e poi di queste moto ce ne sono a pacchi”.
Accetto con riserva: se non posso portarmi la biella, sto a casa.

Belle le moto a Vallelunga. Quelle dei visitatori e quelle dei primi box che visitiamo, amici di Giacomo tutti hondisti o ducatisti. Belle, ma che due coglioni di gente: distaccati, assorti, timidi. Il programma prevede gara e poi cena e dopocena con questi di questa “Anima Guzzista” e notte in tenda insieme a loro: se sono come questi qua, la biella me la do io tra le gambe.
Arriviamo da questi di questa “Anima Guzzista”.
E’ il box …. si, vabbè, il tendone più grande di tutti. C’è un banner gigantesco con il nome del gruppo, un sacco di Guzzi parcheggiate di fronte. E’ pieno di gente in mezzo alle moto che correranno, e la maggior parte sono visitatori. Insomma, “è qui la festa” [op. cit.].
Boh, sono qui in mezzo da cinque minutii, a casa ho lasciato una Yamaha ma sembra che ci conosciamo tutti da una vita. Mauro già lo conosco. Conosco Paolo, che scopro abitare a Fano, a 10 km da me. Quello che corre con Paolo, Roberto di Macerata. Conosco Andrea con il logo sulla schiena, Filippo che di lavoro fa le special, un uomo immenso di nome Vladimiro, un uomo grasso di nome Fange, il logorroico Alberto, un altro Mauro, italiano a Madrid. Per tutta la cena parlo con quello alla mia sinistra, il meccanico di Mauro. Simpaticissimo e disponibilissimo. Troppo disponibile.
Anche lui mi spacca le palle per tutta la cena con tutta una serie di informazioni delle quali a me, in quel momento, non me ne può fregare di meno. Ma sono stato io ad attaccargli bottone, quindi mi tocca.
Giacomo col caffè in mano:
“Sam, ma sai chi è quello lì ?”
“Il meccanico di Mauro ?”
“Si”
“Si chiama Bruno, perché ?”
“Quello è Bruno Scola e io non c’ho mai parlato”
“Ah. E chi cazzo è Bruno Scola ?!”.
Giacomo mi volta le spalle e mi manda a fanculo.

E’ mezzanotte, l’euforia è tanta, tanto che io ho le lacrime agli occhi. Si verifica infatti un evento che di qui in avanti si ripeterà ad ogni incontro con questo pennellone pelato che si chiama Goffredo, italiano a Parigi: oltrepassata la soglia della sobrietà, mi fa ridere sino a farmi piangere e tanto da togliermi il respiro.

Non sono più un motociclista, sono un’anima guzzista. Un minchia, insomma.

Scopro cos’è un forum, cos’è un topic e cos’è un emoticon. Scopro un mondo che mi affascina e mi attrae, questo marchio e tutto ciò che rappresenta e che ci ruota attorno. Ed il tutto ha un che di magico.
Dentro di me lo sapevo, non so se da quando un V35 II mi sembrava gigantesco o se dalla strafighissima sposa insoddisfatta. Ma lo scopro realmente solo ora.
Leggo molto ma resto fuori. Un po’ perché sono guzzista solo nell’anima, un po’ per quello sciocco timore di mettere i piedi in una comunità affiatata, un po’ perché non so proprio come si faccia tecnicamente.
Ne resto fuori, ma lo assorbo tutto. Il forum e le sezioni statiche.
Accumulo informazioni, foto, contatti.
Ma soprattutto emozioni.
Frequento l’officina di Macerata. Quella di Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo.
E senza rendermene conto sono dentro Anima Guzzista, ho dato un volto a parecchi avatar, ho restaurato il V35 del babbo e mi ritrovo con un T5.

La special in pdf è bella che pronta da un pezzo e con la moto non ci percorro nemmeno un metro: originale non mi piace e non mi serve, a me serve finita.
Scarichi, carburatori, pistoni e cilindri, sovrastrutture, cerchi a raggi…un lavoro appassionante per quanto estenuante, dopo un anno dal quale mi ritrovo il garage che sembra un’officina dopo un bombardamento.
Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo, stava misurando le tolleranze dei pistoni quando gli dico:
“Robi, non se ne fa più niente”
“Come non se ne fa più niente ?”
“Ci fermiamo qui Robi. Perché ti ridò il T5 e mi dici cosa vuoi di differenza per ‘sto V11”

E’ da qualche tempo che ci parliamo mente Roberto lavora.
Lui è lì sconsolato che vuole ringhiare e io tutte le volte che lo vedo vorrei tornarci a casa.
Ci parliamo dicevo, ma è una mezza verità. Io gli parlo, lui fa l’indifferente.
Gli dico che a me quel grigio metalizzato fa cagare e che il cupolone è bello, ma glielo toglierò. Lui fa il finto tonto, ma lo capisco che tra stare lì fermo e galoppare con degli altri vestiti, preferisce la seconda. E me lo trasmette chiaramente quando ci salgo sopra, un secondo prima di rivolgermi a Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo.
La trattativa dura non meno di quattro minuti e non più di sei. Il doppio di quanto era durata quella per il T5 insomma.

Sono passati dei begl’anni da quella moto di un verde strano col telaio rosso e il motore che viene fuori.
E questa volta non mi faccio inculare. Ci faccio più di un metro prima di cominciare a metterci le mani: il giorno dopo averlo portato a casa sono in Provenza insieme ad un’allegra brigata di minchioni. E mi si apre un mondo.
“E’ impegnativa” diceva il tipo di Lazzarini. E’ impegnativa questo paio di coglioni (appoggia i dorsi delle mani sugli inguini).
E’ pesante, è faticosa, è difficile in tutto. E’ rognosa. Cazzo che gran moto.
Hai portato un aggeggio con più o meno gli stessi numeri fino al giorno prima, ma è come ricominciare da capo. E’ bellissimo, è come uscire da una storia d’amore ed innamorarsi di una donna molto più difficile da conquistare della precedente. Ed è giusto che questa sia molto più difficile, perché ora che ne sei fuori ti rendi conto che quella di prima era una ragazza intelligente, questa è una gran donna.

Non ti basta mai.
L’hai portato in lungo e in largo, l’hai portato a Mandello a rivedere casa, ci sei andato in giro per un anno circa e da almeno altrettanto è più largo che alto.
Ora il garage sembra come il “Museo V11” dopo un bombardamento. Hai 3 di tutto: serbatoi, scarichi, codoni, coprivalvole, pinze, pompe e centraline.
E in mezzo a tutto questo c’è anche un T3 California. Perché hai scoperto cosa vuol dire motociclare col telaio Tonti e la frenata integrale. Perché è una delle Guzzi d’epoca più affascinanti e perché una volta che ti sei abituato agli sguardi della gente quando giri o quando scendi dalla moto, ti tira il culo farne a meno. Perché senza una Guzzi non puoi stare. Perché sei un minchia, insomma.

Non so bene quanti anni siano passati da quella moto di un verde strano col telaio rosso e il motore che viene fuori. Era il 2000, al massimo il 2001.
E non so bene neppure perché abbia scritto questa cosa, non ho neanche bevuto.

E’ bello pensare che avrò un figlio al quale un giorno darò le mie moto e queste righe, ma più probabilmente è stato per fare lo sborone con la storia della strafighissima sposa insoddisfatta.
Sempre sia lodata.

Porte Aperte

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Di Giuliano Arcinotti

Domenica mattina sono le 05 e 20 del mattino e pare assurdo (almeno per chi mi conosce) ma sono sveglio e mi rigiro nel letto senza pace incredibile 35 anni fatti e mi comporto ancora come un ragazzino … dopo 40 minuti suona la sveglia, ci si alza oggi si va a Mandello per provare il Griso.

Partiamo e in poco tempo grazie alla quasi totale assenza di traffico siamo a Mandello del Lario.

Arriviamo e troviamo tutto fatto i potenti mezzi di Anima Guzzista erano già stati allestiti (un gazebo con un tavolo e una panca).

L’abbondante merchandising consegnato da Alberto alias Totogigi è tantissimo e consta in ben 1 (diconsi UNA) polo e qualche maglietta di taglie minime (di quelle che io e MarcoB ci mettiamo giusto un braccino e basta se no si sforma) spille, toppe (con due P sporcaccioni) adesivi, cappellini (belli mi son dimenticato di comprarne uno, stupido che non sono altro) e foulard.

Insomma c’era tutto anche se in quantità troppo risicate magari (ma va bene istess infondo contava partecipare).

Faccio la conoscienza del buon Leolito che aveva preso in carico lo stand e incontro il buon Enrico, poco dopo vedo una specie di troll che si aggira per l’area in uso per la manifestazione e lo riconosco è MIR (scherzo Fabrizio è che un po’ l’aria da troll ce l’hai eh), che ovviamente brandisce un bicchiere di vino (sono le 10 di mattina per la cronaca, e quello non era il primo bicchiere).

Saluto anche il Krime e dopo aver dato una rapida occhiata in giro mi metto a far finta di dare una mano allo stand di Anima.

Poco dopo, o subito prima non ricordo, nel chioschetto immediatamente di fianco al nostro gazebo iniziano a suonare buona musica, tanta musica, troppa musica… lo capiremo durante le loro pause, perchè la gola farà male e non servirà urlare per poter chiaccherare… mannaggia mannaggia.

La giornata si trasforma presto siamo partiti con l’idea di provare semplicemente una moto o due e ci rendiamo invece conto che stiamo partecipando ad un vero e proprio raduno, sono tantissimi i motociclanti accorsi, proprio tanti tanti e cosa ancor più importante sono tantissimi i non guzzisti direi in rapporto 1 a 1, buon segno anche questo direi.

Il Griso è presente in tutte le sue varianti e non è più un oggetto statico e fermo come quello visto tante volte sui siti internet o sulle riviste, ma si muovono vanno e vengono sono qui in mezzo a noi come le Breva 750 e le 1100 insomma c’è (un flop come direbbe Motociclismo), c’è Bimbomix con il suo Griso Azzurro che è estremamente elegante, c’è un Griso Giallo che aspetta solo di esser provato e che sprizza rabbia da tutti i bulloni, ovviamente non manca la versione Nera che piace ai più e poi passa anche lui sua maestà il Griso Rosso mi ha lasciato tanto imbambolato che non ho nemmeno pensato di fare una foto… ragazzi è bellissimo rosso non ci sono storie è proprio un altro pianeta (se poi avesse il gruppo motore/catena cinematica verniciato come il 1° prototipo presentato sarebbe proprio fantastico!!!).

Presente all’appello anche la nuova California Classic nella colorazione Rossa, ora io ho un adorazione per questo colore però sarà stata l’aria fresca del lago, sarà stato quel di più che solo posti magici come Mandello del Lario sanno dare, fatto sta che mi sembrava obbiettivamente bellissima, si certo magari una colorazione un po’ pesante e non per tutti ma comunque bella, presenti all’appello anche una Nevada e una Breva con le nuove livree, poi disponibili per la prova c’erano anche un California EV, una Breva 1100 e una 750 e un’altra Nevada 750 (modello dell’anno scorso) completa di borse e parabrezza che è stata un po’ il brutto anatroccolo delle prove, eran più le volte che era ferma che quelle che girava e quando era in prova stava sicuramente ferma la versione nuova rossa spoglia di accessori, mi facevano quasi tenerezza, son stato tentato di farci un giro io pur di vederle camminare.

È il momento di prenotare il giro ma voglio davvero provare il Griso? all’ultimo minuto e dopo aver sentito che avrei dovuto aspettare più di un ora, mi vien voglia di provare il nuovo California e mi prenoto quindi per il prossimo giro sul Cali con Nadia che mi guarda come se fossi un alieno; in effetti son strano: sono due o tre giorni che la sfinisco su come sarà bello da provare il Griso e ora anche se c’è da aspettare un poco mi butto sul California… che vuoi amore il sangue è sangue, poi vedo la Brevona e mi passa per la testa il dott. Zaius e mi vien voglia di provare anche quella…. però tocca aspettare di aver finito il giro con la Cali per prenotarsi nuovamente vabbè ormai è andata vediamo come finisce (il dott. Zaius è la scimmia che ho da un po’ per la Brevona ormai dargli un nome era il minimo, è così tanto che ci conosciamo).

Torno allo stand e mi rimetto a far finta di dare una mano, e intanto si fan due chiacchere con Leo e quelli che passano, non manca ad esempio Vanni che passa e che quasi quasi voleva far la tessera ma non si ricordava nemmeno bene se per caso l’avesse già fatta o meno alchè gli dico che non era certo un problema avrei riferito ad Alberto e se è il caso avrebbe provveduto lui (ma davvero deve pagare Vanni per fare la tessera ad Anima Guzzista?).

Arrivano altri amici (tutti quelli che non cito c’erano lo stesso è che la mia memoria è decisamente inaffidabile tanto che alcune cose me le sono segnate nel dubbio), saluto Handbrake & HandWife, Pietro, MarcoB (che praticamente è arrivato ha acceso la sigaretta e con la stessa ancora accesa è ripartito, ma tanto te ripijo domenica :D), Euebre, Marmo e tutti quelli che non mi ricordo che sono autorizzati a picchiarmi a sangue alla prima occasione utile.

Arriva il momento della prova e partiamo per provare il California Classic Rosso, mi siedo comodo e mi sento ovviamente a casa, partiamo piano e il manubrio diverso e il predellino del freno posteriore si fanno sentire subito mettendomi in difficoltà (sai che sforzo eh) mentre usciamo dalla piazza di partenza, un paio di kilometri orari oltre la velocità di manovra e arriva la magia del miglior telaio mai utilizzato per una cruiser, il peso sparisce e mi diverto a cercare la posizione migliore per il piede destro con il Cali che sta in piedi da sola.

Ci avviamo verso il semaforo che immette sulla statale e al verde scatta la sirena del Carabiniere SPIII munito (mi pare) che si spara un prima, seconda e terza da paura (ma chi le prepara le Guzzi dei Caramba, Ube???), visto l’andazzo ravano un paio di marce anche io e godo come un riccio nel liberare dai vincoli del CDS il Cali (si lo so che non si fa … ma provate voi a star dietro a quel Brigadiere).

Arrivano le prime curve e cerco di capire meglio il manubrione e le pedane che mi portano a impostare decisamente meglio le traiettorie, il California viaggia sui binari peccato non avessi le pedane come sul mio Stone sarebbe stato perfetto altrimenti.

La velocità da codice è solo un vago ricordo per tutto il tragitto e una volta riavvicinatomi alla testa del gruppo mi accorgo che ovviamente il Carabiniere sta viaggiando come se stesse passeggiando peccato che la velocità non sia esattamente da crocera … vabbè se lo fa lui 😛

Al rientro mi adeguo meglio alla postura del cali e tenendo il piede destro sul predellino riesco a mantenere una migliore andatura (se fa per dì per star dietro a quel fulmine in divisa ci voleva un R1), il Cali con il nuovo motore mi sembra vibri decisamente di meno, mi sembra anche più rotondo presumo possa essere merito della doppia candela, la frenata integrale non mi ha convinto però anche il freno anteriore mi sembrava necessitasse di un maggiore sforzo rispetto all’impianto del mio Stone probabilmente erano le pastiglie nuove che si dovevano un po’ “fare” come si suol dire; insomma voto più che buono decisamente diverso il motore non differenze stravolgenti ma comunque mi è parso migliore, e le punterie non si sentivano nonostante l’assenza del sistema idraulico e tenete conto che su di giri la ragazza c’è andata, certo una Cali qualunque sotto cura Ube sarebbe stata perfetta però dai per un bestio nuovo decisamente un bel 10 e lode :D.

Si rientra e si ritorna allo stand dopo aver consegnato la moto e il parere sulla moto provata, parere ovviamente poco obbiettivo ma non mi riesce di esserlo quando si parla di Guzzi.

Durante la mattina mentre eravamo soli io e Nadia arriva anche un signore che prima ci squadra un po’ circospetto e poi si fa avanti facendoci i complimenti per il sito e ringraziando perchè gli abbiamo dato 5 stelle e si presenta alla fine come tale Stucchi al quale ho subitaneamente contraccambiato i complimenti per il lavoro fatto fino ad oggi, abbiamo poi chiaccherato amabilmente un paio di minuti (non di più anche perchè con i musicanti a un metro dalle nostre orecchie era dura fare discorsi troppo lunghi) e ci siamo congedati, ora io non vorrei dire ma penso che si sia confuso con altri siti ma forse mi sbaglio io.

Nel corso della giornata poi è anche passata la Alis Agostini a salutarci o meglio a salutare Anima Guzzista e nel corso della giornata ci ha portato in visita anche il Neo Sindaco Mariani che ho ovviamente invitato a venirci a trovare sul forum, a questa Donna ad Alis va il mio più sentito Grazie e deve andare anche quello di tutti noi, perchè è l’artefice di questa manifestazione è lei infatti che ha organizzato quello che abbiamo vissuto io e gli altri guzzisti/e e motociclisti/e (e relative mogli/mariti al seguito :D) domenica scorsa ed è grazie a lei e a tutti quelli che hanno dato una mano facendo avanti e indietro con la propria moto lungo il lago guidando e chiudendo i gruppi di prova, a quelli che si sono tirati su le maniche è hanno cercato di mettere una pezza ai Griso danneggiati, a quelli seduti a organizzare i turni insomma a quelli che hanno contribuito a rendere unica questa domenica rimettendoci del tempo libero senza ricavarne una lira, anzi, un Euro deve andare il nostro GRAZIE RAGAZZI.

Verso l’una visto anche il cambio dell’ora avvenuto la notte, decidiamo di andare a mangiare un boccone in un ristorante dove uno splendido Loris Capirossi mi serve uno splendido dessert in una coppa d’oro, fantastica gara tirata dall’inizio alla fine splendida cornice di una splendida giornata.

Torno al gazebo con evidente ritardo ma con un sorriso a 74 denti e dopo aver salutato Arnamolder che è rientrato (minkia com’è massiccio il ragassuolo) scopro che anche a Misano le cose sono andate bene con uno splendido 1° e 3° classificato per le due MGS-01 ma che bella domenica… 😀

Ritorniamo a vendere (capirai … eh eh eh) e nel pomeriggio scopriamo che tutta la fortuna di cui sopra è costata in sfiga a qualcuno e difatti Marmo è finito in terra con il Griso che stava provando proprio alla fine del turno di prova mentre stava rientrando tanto per cambiare per colpa del solito pirla in sardomobile… ma perchè non le vietano?

Vabbè alla fine la storia già la conoscete Marmo per fortuna (e per intelligenza, dato che aveva abbigliamento tecnico) non si è fatto nulla se non giusto una botta in terra che si è fatta sentire dopo un po’, il Griso non ha subito danni enormi solo che è caduto sulla destra dove c’è il radiatore dell’olio che si è danneggiato ovviamente, e subito la guzzite che ci contraddistingue si è fatta sentire

Marmo: “certo che però in quella posizione se anche te la toccano appena si rompe subito il radiatore basta che te l’appoggiano in terra e tac”

Io: “eh si e inoltre non ci puoi certo mettere il paramotore come al Cali”

Marmo: “ci vorrebbe qualche cosa di fatt’apposta ma come?”

Io: “beh potrebbero fare la mascherina anziché in plastica in bel ferraccio dovrebbe reggere no?” ecc. ecc.

Ma perchè ogni guzzista deve sempre pensare a modificare, cambiare, smontare, migliorare ? Siamo un’eterno lavoro in corso come le autostrade italiane.

Lasciamo Marmo è il suo bellissimo V11 senza collettori di aspirazione in corrugato e mi avvicino al parco moto per capire quando tocca a me per provare il Griso prenotato e scopriamo che toccherà aspettare le 17.00 perchè la moto incidentata ha fatto slittare alcuni test per l’appunto.

Mi rimetto a cercare di vendere qualcosa ma è dura se le figlie di chi vuole prendere toppa, berretto e bandana gli dicono “ma che te ne fai della bandana che ne hai mille” e io “ah regazzì famme lavorà che altrimenti che je porto ad Alberto eh…” e cerco di far due discorsi anzi due urli con Arnamolder perchè bella la musica ma dopo un po’ di ore c’hai due tonsille rosse come il Griso che ho visto la mattina.

Comunque tocca provare anche il Griso finalmente e ci avviciniamo, Nadia sempre più intimorita e dubbiosa della scelta fatta poco prima (si perchè se fosse stato per me avrei provato la Brevona invece lei ha insistito tanto) ci accomodiamo sul Griso bello raccolto cattivo e pronto e Nadia ride nervosamente io invece sotto il casco già pregusto il giretto che ci faremo dietro al Krime che fa da apri pista (Krime apripista è sinomo de genuità e de garanzia del consumatore!).

Partiamo e subito iniziano le prime difficoltà il gioco nell’apri e chiudi si fa sentire e in due è decisamente più fastidioso, durante la guida un po’ sportiva che impone lo stare al passo del Krime poi l’assenza di maniglie per il passeggero si fa sentire ancora di più, io ho goduto come un riccio ovviamente anche se avevo il limitatore di velocità installato sul sellino posteriore che interveniva non appena si superavano i 110 incominciando a picchiettare sulla schiena (forse era morse… punto punto punto linea linea linea punto punto punto cos’avrà voluto dire????).

La guida del Griso non ha risentito troppo della presenza del passeggero come ogni Guzzi non accusa troppo il peso, certo non guidi come se fossi da solo però insomma non accusa così tanto, ho potuto finalmente capire quanti dicono che manca un pelo di spunto, in un paio di rettilinei infatti uscito da una curva lento dietro a una vettura ho riaperto bene e avrei apprezzato quel poco di potenza in più ma non tantissima eh, sia chiaro che nell’uso normale è più che abbondante quanto offerto dal Griso ma ogni tanto posso capire che si voglia di più; non come i due pirla passati in direzione opposta con due CBR e ginocchio a terra che erano decisamente eccessivi (capisco fare la tirata e camminare, soprattutto dietro ad un apripista o meglio ad un Carabiniere a sirena spiegata) ma così da soli lungo il lago con tutti gli incroci a raso … mah… contenti loro…

Appena arrivati dietro al Krime, che ovviamente stava passeggiando mentre noi fativamo non poco per tenere il suo ritmo (almeno io, il tipo con il Brevone si stava divertendo anche lui), Nadia ha ringraziato il cielo di essere tornata sana e salva (non capisco perchè ?) e io ho provveduto a compilare la scheda di gradimento con molta obbiettività (la mia ovviamente) e mi sono goduto il momento, si perchè mi è passata una scimmia grossa così, il Griso Rosso è forse la più bella motocicletta che ci sia in vendita secondo il mio gusto ma non potrei mai comprarla oggi come oggi anche avendo i soldi (dettaglio ormai secondario :P) perchè io la moto non la vivo da solo ma insieme alla mia compagna (compagna non solo di vita ma anche di motociclismo, la passione non l’arrivista) ergo non potrei mai pretendere di usare tutte le domeniche una moto che risulta scomodissima sia a me che a lei… (magari un domani con un figlio e la moglie a casina … no dai Nadia metti giù quel cardano …dai che poi ti fai male … AHIAAAA sfi amorfe scfufa non lo facfcio più).

Torno allo stand per salutare, per noi la giornata Lariana finisce qui, ci aspettano almeno tre ore di viaggio (considerato l’attraversamento del Milanese) e quindi saluto tutti, ringrazio nuovamente Alis e partiamo.

Domenica è stata una splendida giornata, ho provato il nuovo California (nuovo non tanto ma insomma me la son goduta) su un percorso splendido, ho provato il Griso e nonostante lo s-confort mi son divertito come un bimbo lo stesso, ho visto splendidi esemplari di Guzzi, la Ducati ha vinto in MotoGP, due MGS-01 sono andate a podio una prima l’altra terza a Misano, ma soprattutto ho respirato un aria che ormai mi è familiare come quella di casa mia, ho incontrato persone che non conoscevo di vista ma che conosco da una vita ormai, e sono stato bene, ma proprio bene bene.

Se si replica son qui, magari con qualche maglietta in più da vendere, e magari vengo su in moto e mi mangio un panino allo stand così mi diverto ancora di più e aiuto anche di più.

Un saluto a tutti e un grazie da Giuliano e Nadia.

 

 

Il Settimo Sigillo

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

di NonnoEnio
Sabato 30 Giugno, ore 6,30: di sicuro qualche vicino mi manderà qualche accidente nel momento in cui il bicilindrico della mia Guzzi prende vita e mi avvio, per la settima volta, in direzione di Wilsingen. Questa volta scelgo l’itinerario più veloce, passando da Chiasso per poi proseguire per il tunnel del San Bernardino e quindi puntare verso il lago di Costanza. Già pochi minuti dopo essere entrato in autostrada capisco quanto sono fortunato ad andare verso nord: in direzione opposta tre lunghi serpentoni di auto si muovono a velocità ridotta e sarà così quasi fino a Modena. Le previsioni non erano proprio rassicuranti ma, grazie al cielo, i meteorologi si sono sbagliati. Attraverso la Svizzera sotto un sole splendente che mi fa godere ancor meglio il paesaggio che mi circonda. Attraverso il confine fra la Svizzera e la Germania e, dopo Ravensburg, uscito
dall’autostrada, comincia il divertimento vero: strade dal fondo perfetto che si snodano nella incantevole campagna del Baden Wurttemberg con curve morbide e dolci saliscendi che attraversano campi verdissimi e piccoli boschi. Di tanto in tanto attraverso un paesino con le case mai più alte di due piani e giardini fioriti e le fattorie tutto intorno. Arrivo a destinazione e non faccio neppure in tempo a scendere di sella che già le pacche sulle spalle si sprecano. Quest’anno siamo cinque italiani: oltre a me ci sono due “smanettoni” da Acqui Terme e due harleysti da Reggio Emilia. Loro sono arrivati il venerdì ed hanno passato la serata con un altro italiano che ha fatto tappa a Wilsingen prima di ripartire in direzione Capo Nord. Come al solito bisognerà aspettare le prime ombre della sera perché l’atmosfera si scaldi. Nel frattempo posso ammirare alcune “nonne” superbamente restaurate parcheggiate vicino ad un paio di streetfighters. E’ il bello di raduni come questi dove la moto non fa alcuna differenza. Verso le 20 partono i giochi, divertenti come al solito e poi tutti al banco a mettere qualcosa sotto i denti ma
soprattutto a dare inizio alle bevute. Con il bicchiere da mezzo litro di birra a due euro e venti, le premesse per un incremento tosto del tasso alcolico nel sangue è garantito. Verso le dieci salgono sul palco i Woodpeckers, una cover band che, da sempre, fornisce la base musicale a questo raduno. Gente tosta che suona Steppenwolf e AC/DC, ma anche Evanescence e Rammstein e non si sta a preoccupare di quante ore sta sul palco: infatti smetteranno di suonare alle tre del mattino concedendosi solo un paio di soste di una ventina i minuti. Dal momento in cui è cominciata la musica il numero dei partecipanti è andato crescendo in continuazione e verso la mezzanotte il tendone, che pure è bello grande, è strapieno e c’è altrettanta gente fuori, attorno al classico falò, una caratteristica di tutti i raduni tedeschi. Attorno a quel falò, i più resistenti continueranno a chiacchierare e bere fino alle otto o le nove del mattino successivo. Ma c’è chi crolla prima: alle due e mezzo un biker è steso su una panca e dorme della grossa ad una decina di metri dalle casse acustiche da cui i Woodpeckers stanno sparando un brano degli Iron Maiden. Il tempo regge anche se l’umidità e la temperatura piuttosto bassa consigliano di chiudere bene la zip del sacco a pelo. Però c’è anche chi non arriva alla tenda e crolla sull’erba protetto solo dal calore dell’alcol. Come sempre dormo pochissimo ma svegliarmi alle cinque e dare un’occhiata fuori dalla tenda significa godersi uno spettacolo da fiaba. Il sole non è ancora salito sopra l’orizzonte ma la luce è già forte. Sulla zona del raduno è scesa una coltre di nebbia bianchissima che non va oltre il metro da terra. Le case, le piante, le cime delle tende sbucano al disopra di questa specie di materasso come piccole isole. Siamo in pochi a goderci questa vista: io ed il gruppetto degli irriducibili bevitori ancora seduti col bicchiere in mano attorno al falò che ancora viene alimentato. Verso le nove, con il sole che splende nel cielo, siamo pronti a ripartire con un itinerario diverso: strade secondarie fino a Sciaffusa in Svizzera e poi autostrada fino a Zurigo. Attraversiamo il centro città e ci dirigiamo verso Chur ed il San Bernardino. Come per l’andata, in territorio italiano il traffico intenso è tutto nella direzione opposta e fra le auto costrette in lunghe code gli unici veicoli che ancora riescono a procedere sono le moto fra cui spiccano per numero le Ducati di ritorno dal raduno mondiale di Misano. Arrivo a casa in tempo per la cena: in 36 ore ho fatto 1.650 km, dormito tre ore, goduto quasi cinque ore di puro rock e soprattutto ritrovato vecchi amici e fatti alcuni nuovi che vorrei ritrovare il prossimo anno. Età permettendo, naturalmente…

Reportage dal Biafra

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Un meccanico per motociclette. Come Crea, come Pellegrini, come Tecnomoto, come Scola. Ma tu lasceresti a un meccanico nigeriano fare un intervento sulla tua amata?

di Gazzettiere

 

Nigeria, Biafra

In Nigeria tutto è rugginoso ed entròpico. Sulle linee ferroviarie (abbandonate) cresce l’erba. Rugginosa e rumorosa e approssimativa perfino la piattaforma Ima Frel 1 dalla quale si estrae il gas che poi va a liquefarsi Bonny Island. Nella polverosa sala mensa, a dispetto dell’immagine degradata della piattaforma, c’è una sequenza di diplomi per i successi conseguiti nella sicurezza del lavoro dalla squadra di tecnici africani. Rugginosi ma efficienti.
Andiamo a vedere l’ospedale di Obizie – anzi, Obizi, si scrive in nigeriano. Per arrivare a Obizi servono alcune ore per uscire dai sobborghi polverosi di Port Harcourt e per traversare la campagna fangosa. Dovunque è pieno di gente, di persone. I nigeriani sono almeno 130 milioni, la popolazione più numerosa dell’Africa, ma si stima che possano essere almeno 150-180 milioni. Ogni famiglia — anche quelle ricche e urbanizzate — ha almeno cinque o sei figli.
I nigeriani guidano nel traffico pazzesco e polveroso delle città, o lungo le strade statali perse nella giungla, quattro tipologie di veicoli.

Il traffico
Ci sono le auto nuove: poche e rare.
Poi le strade sono intasate da una massa di vecchi catorci, in gran parte Peugeot o vecchissime Mercedes, piene di botte e buchi di ruggine.
Le ambulanze si usano per tutti i servizi, compreso il trasporto delle casse da morto con corteo al sèguito.
I poveri nelle campagne e i bambini usano la bicicletta. Sono grandi biciclette nere con i freni a bacchetta, come quelle che si usavano in Italia fino agli anni 50.
I giovani e chi ha pochi soldi usa la moto. Tantissime moto. Molte sono customizzate, lavorate, decorate e riempite di cromature e grossi paragambe. Nessuno usa il casco. E tutti vanno piano sulle dissestate strade che attraversano la giungla o nel traffico pazzo della città.

 

La cilindrata massima delle moto è 250 e le marche sono diversissime dalle nostre: moltissime Kymco e molte giapponesi (Suzuki e Honda, sempre 250 cc), ma non si contano le Nanfang, le Jingcheng, le Sinoki “Supra”, le Pogco, le Chanlin e le Qlink. Notata una moto con la scritta Jesus sul serbatoio, e non sembrava una personalizzazione ma una vera marca. Jesus non è solamente la marca della moto: la religione è molto sentita, in Nigeria.

Il nord è soprattutto musulmano, l’interno è animista, il resto è cristiano in tutte le declinazioni in cui si può adeguare il cristianesimo.

Chiese e distributori
Lungo le strade ci sono insegne polverose e rugginose con scritto: “Diocesis of Jesus King of All Heavens”, oppure “Church of Good Sheperd” o ancora “Joint to Archbishop for Freedom of Your Soul”.

 

Più sul cartello è lungo e articolato il nome della chiesa, e più è piccolo, rugginoso e povero l’edificio sacro alle spalle del cartello, in genere una catapecchia.
Lo stesso fenomeno curioso di proporzione inversa c’è alle stazioni di servizio. Più lungo, articolato e magnificente è il nome dipinto sull’insegna, più misero il distributore.

Nel Paese dominato dalle società petrolifere, sono una rarità le stazioni di servizio delle compagnie: ho individuato un Texaco e un distributore Total. Avvicinabili (ma sempre polverosi e rugginosi) ai distributori europei. Malconci quelli con insegne come Mbono Oil, cioè con un nome già più articolato. Catapecchie rose dal clima umido, abbandonate, con le colonnine dal vetro sfondato sono quelle dei distributori con le insegne più sontuose, come International Global Energy Services Ltd oppure Global Interworld Oil Co.
In ogni caso, le pompe sono ingabbiate dentro solide sbarre d’acciaio verniciato (e in genere anche scrostato e rugginoso).
Obizi (o Obizie all’inglese) è una borgata in mezzo alla giungla di palme nello Stato di Imo, uno degli stati federati della Nigeria che quarant’anni fa erano parte del Biafra. Qui è nato l’ospedale del dottor Nnadozie. Tornato in Nigeria dopo un master in biochimica negli Usa, Nnadozie aprì per la gente del suo paese una baracca-ospedale. In queste condizioni Nnadozie conobbe Arnd Klinge, il pilota tedesco. Il quale cominciò a raccogliere collette in germania e a promuovere in azienda il progetto dell’ospedale di Obizi.

Vivere poveri
Nel 2001 era stato costruito il primo piano, ora l’edificio è formato da tre piani. Per lo standard europeo, sarebbe un ospedale illegale. La camera operatoria, al pian terreno, ha le finestre aperte sul giardino, protette da tende azzurre, ed è piastrellata di bianco. Al centro c’è un lettino da studio medico foderato di scai polveroso. Non ha attrezzature, se non l’armadietto per i medicinali, la sterilizzatrice per i ferri e alcuni ventilatori a soffitto, unico sollievo nel clima equatoriale.

Un altro meccanico. Bastano una tettoia di lamiera ondulata e pochi attrezzi per creare una nuova microazienda.
Un altro meccanico.
Bastano una tettoia di lamiera
ondulata e pochi attrezzi per
creare una nuova microazienda.

L’illuminazione della sala operatoria viene dalla finestra spalancata e da alcuni tubi di neon: una lampada operatoria non reggerebbe la tensione incerta erogata da una delle compagnie elettriche più disastrate, la società statale Nepa (National electric power authority). In Nigeria anche le grandi città restano spesso al buio per minuti, per ore: in qualche caso per giorni interi. «L’elettronica non funziona con questi continui cali di tensione», aggiunge sua altezza reale Igwe Obi, a capo di una comunità di 14mila biafrani a Nkpologwu nello Stato di Anambra.
A Obizi è ancora peggio. «Abbiamo la macchina per le radiografie, ma non possiamo usarla perché questa corrente ce la spaccherebbe subito», spiega Nnadozie. Come non funzionano le altre apparecchiature donate alla casa di cura di Obizi dagli ospedali tedeschi tramite il pilota volontario.
Così per far funzionare la piccola sala operatoria (il dottor Nnadozie mostra soddisfatto un vaso di plastica che una volta conteneva mostarda e oggi conserva, nella formalina, un fibroma grande come un pollo da due chili) si usano alcuni pannelli solari che caricano le batterie e un generatore a gasolio. Ma il gasolio costa troppo, nel Paese dove basta fare un buco per terra per trovare greggio.
Benzina, cherosene e gasolio costano fra le 50 e le 60 naira al litro, pari a circa mezzo euro. In Italia sarebbe una pacchia, in Nigeria, dove il Pil pro capite è 800 dollari l’anno contro i circa 20mila dollari dell’Italia. Solo pochi fra gli oltre 150 milioni di nigeriani si possono permettere di usare l’auto tutti i giorni. E così, il generatore dell’ospedale di Obizi funziona solo quando arrivano soldi.
La gente viene all’ospedale del dottor Nnadozie da tutto il circondario di Obizi, 25mila abitanti, e qualcuno anche dal vicino Stato di Abia, anch’esso biafrano. Ne verrebbero molti di più, perché in quella zona dell’Abia non c’è ospedale. Montano sulla bici o sulla moto e arrivano fino al ponte sul fiume Imo, che divide la regione Abia da quella dell’Imo.

Un meccanico per motociclette. Come Crea, come Pellegrini, come Tecnomoto, come Scola. Ma tu lasceresti a un meccanico nigeriano fare un intervento sulla tua amata?
Un meccanico per motociclette.
Come Crea, come Pellegrini,
come Tecnomoto, come Scola.
Ma tu lasceresti a un meccanico
nigeriano fare un intervento
sulla tua amata?

Il fiume è limaccioso e di color ruggine come il resto del Paese. Lo attraversa un vecchio ponte di ferro; il tavolato del ponte è di legno, e gli assi sono rotti e sbilenchi. Può essere attraversato a piedi soltanto con la luce, pena il piombare nel fiume attraverso i buchi, oppure in bicicletta o in moto lungo passerelle di assi che sono state gettate lungo il paiolato del ponte. In automobile, impossibile.
Così la gente dello Stato di Abia raramente riesce a raggiungere l’ospedale.
Ed è così da quarant’anni, dai tempi della guerra del Biafra, quella che fu accompagnata da una tragica carestia che aggiunse ai morti altri morti. Distrutto dalla guerra, il ponte. Per il pilota tedesco Klinge e per i suoi amici è questo il prossimo progetto, ricostruire il ponte sul fiume Imo.
Il fratello del medico di Obizi si chiama Victor Nnadozie, è un operatore umanitario, ha una moglie bellissima — come sono altere le donne nigeriane — ed è un indipendentista biafrano. «Non ha senso che il nostro Paese venga sfruttato dalla Nigeria. Qui, lo Stato di Imo, e quello di Abia e gli altri Stati che compongono il Biafra hanno un’altra cultura, un altro modo di pensare. Il Biafra dev’essere indipendente. Ma il Governo non concederà mai l’autonomia perché qui c’è il petrolio e vogliono tenerselo bene stretto», dice.

Pensando a lui
Un biafrano, questo Victor. Grosso, alto quanto me. Forte. Con la camicia di taglio inglese fradicia sulle spalle per il sudore equatoriale. Mi vengono in mente ricordi infantili, e per accertarmene gli chiedo quanti anni abbia. «Quaranta», risponde. Faccio due conti a mente, e quindi nel 1968 aveva tre anni. Quando c’era la guerra. Quando sul telegiornale del canale nazionale (non si chiamava RaiUno) Tito Stagno in bianco-e-nero illustrava i servizi con i bambini africani dalla pancia orribilmente gonfiata dalla fame.
Posso dire che l’ho conosciuto, il bambino pensando al quale durante l’infanzia ho dovuto mangiare tante minestrine. «Mangia e pensa ai bambini del Biafra». È lui, è Victor, il bambino del Biafra.

Alaska

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Di Adriano Mollica

 

1) Partire o non partire?
Sono mesi ormai che dico a me stesso che mi merito una vacanza… che anno bestiale è stato questo! Lontano da casa, dall’affetto di mia madre, dal calore dei miei amici, dal mio lavoro, dal mio mondo. Eppure non tutto è negativo, piano piano ci si abitua a un nuovo posto e a nuove facce, e in un certo senso ci si affeziona anche a posti che non ci sono piaciuti da subito. Tucson è dove vivo ora, sede della “prestigiosa” università dell’Arizona, patria del cactus tipo Saguaro, e del caldo tutto l’anno. E’ qui, confinato in questa cittadina nel deserto arizoniano, che la mente inizia a sognare. In principio è solo un’ idea vaga, un pensiero, poi le cose si fanno più serie, e le serate passate davanti alla cartina si fanno più frequenti… si, ma dove andare? Macchina, moto, aereo? Un Viaggio, sì, certo me lo merito, ma che tipo di viaggio?
La mia vita e i miei ricordi sono stati segnati anni fa da un viaggio in moto fatto a Caponord. Il viaggio di una vita. Per anni il ricordo di quei posti, di quell cielo, di quell’asfalto duro, è rimasto impresso nella mia mente. E’ forse ora di fare un altro viaggio di quel genere? I dubbi sono tanti, siamo già ai primi di novembre, e sebbene a Tucson non se ne sia accorto nessuno, l’inverno si fa avanti nel nord del paese, e le temperature si abbassano velocemente. Ma c’è ancora quel tarlo in me, che mi dice, ok, doppio giaccone, stivali impermeabili, guanti di gomma, sottocasco di lana, che saranno mai 10 gradi sotto zero se ti copri bene?
10 magari si, ma 20 o trenta? E se la moto si rompe “in the middle of the fuckin’ nowhere”? Sono tutte cose sensatissime, che a chiunque sano di mente farebbero da deterrente assoluto a qualsiasi pensiero. Ma io sono come gli altri? Ma a Caponord chi c’è andato? Io o il ricordo di me stesso? E poi vuoi mettere andarci d’estate o andarci d’inverno? E’ tutta un’altra cosa. E allora ecco la scusa, perchè anche io ho bisogno di scusarmi con me stesso a volte. Sì ecco la scappatoia, ok, si parte, ma si arriva solo dove si può, senza fare l’eroe, se la strada si fa brutta, si gira la moto e si torna indietro, e sarà stata lo stesso una bellissima vacanza!
Beh, non è una cosa del tutto sbagliata, in fondo mi è sempre andato di girare un pò l’America on the road… e allora eccomi qua a fare i preparativi. Primo: sistemare la moto, secondo: sistemare il sostegno per le borse e la tanica di benzina, terzo: escogitare un sistema per andare sul ghiaccio senza ropersi l’osso del collo. Scatta il piano equipaggiamento. Fortunatamente in America, anche se molti non sono d’accordo, esistono i grandi magazzini Wallmart Supercenter, che praticamente sono dei grossi discount dove dentro ci trovi di tutto. La gente dice che hanno rovinato tutti gli altri piccoli negozianti. Concordo, non c’è concorrenza coi loro prezzi, e si trova davvero di tutto, la roba è fatta in Cina e rivenduta qua. Io ci ho trovato magliette di lana pesante, calzini grossi, stivali di cuoio, felpone, pantaloni jeans militari, mutandoni di lana, sottocasco di lana, 2 borse, che diventeranno le mie 2 borse laterali, 2 teli cerati per coprirle. Che dire di più? L’avventura non è ancora iniziata, e io mi sento carico… e spaventato allo stesso tempo, le 4-5 ore di luce su nello Yukon (Canada del nord) mi spaventano un pò, la strada è ancora in buone condizioni ma la temperatura sale e scende… e quanto scende son dolori!
Non ho ancora detto dove sto andando? Beh, dove arriverò non lo so, ma la destinazione è Anchorage, Alaska!

2) On the road again
eccomi qui sfrecciare sulla highway. Percorrere queste strade interminabili in mezzo al deserto di Sonora in Arizona e California mi dà sempre un certo brivido. Non perchè le velocità siano alte, anzi al contrario, 65 miglia per ora, e 75 in alcuni tratti. Il panorama scorre lento, ed è tutto uguale, però… cavolo, ripeto a me stesso, sto viaggiando in America, in mezzo al deserto con la moto carica per un’altra avventura, iniziano le mie vacanze!
Mi accorgo presto che la moto viaggia molto bene, è leggera e maneggevole, il motore frulla tranquillo… eh, ma cosa succede???… la spia dell’ olio… ah ecco una stazione di servizio… scopro ora, e sarà così per tutto il viaggio che la moto “beve” 1 litro d’olio ogni 500km. Poco male, qua l’olio migliore che hanno costa 2.50 dollari, un affare!
Ok, riprendo il viaggio, la spia dell’olio spenta, ma la moto non va bene come prima. Non ha spunto, è come se mancasse la benzina… oh cavolo… il tubetto s’è staccato dal rubinetto… accosto, si è solo sfilata la gomma… questione di 5 minuti e sono di nuovo in sella!
Arrivo la sera a Los Angeles, 700 miglia hanno fatto il loro dovere, non mi fermo nella città, mi cerco un motel poco fuori, sono stanco, non sono neanche le 9 di sera e crollo.
Ok, secondo giorno, oggi non ho meta: la strada mi chiama, e la California è lunga… ho 2 opzioni, la freeway costiera o l’ interstate 5 che passa per i monti.

Scelgo quest’ultima, anche perchè in ogni caso più a nord avrei dovuto ricongiungermici. Tiratina e oliata alla catena! Ebbene si, non sono su una Guzzi, ma su una Yamaha del ’87 che però mi sta facendo una buona impressione. Ha un motore 4 cilindri in linea raffeddato ad aria, è di vecchia concezione e non è molto potente, una sessantina di cavalli. Parto, è fresco, la strada sale subito e mi ritrovo per colline e valli, non piove, ma il termometro che ho montato sul serbatoio mi dice che ci sono 10 gradi, ieri erano 20 in Arizona!
I km filano lisci, oggi nessun problema, solo il freddo, ho le mani intirizzite, e anche un pò le gambe, ma la roba invernale sta tutta nelle valigie e non ho voglia di smontare tutto per mettermela, decido di resistere. Anche oggi mi sono fatto i miei bei 700 km. Mi fermo in un piccolo paesino, neanche mi ricordo il nome, ma la cucina è buona, e la bistecca me la sono proprio meritata!!!!
Il giorno seguente inizia con la pioggia, sono già nel nord della California ed è freddo, 5 gradi! Metto la tutta antipioggia e un pantalone di tuta felpata sotto il jeans, sopra ho una felpa, il giacchettone della moto Bieffe e una camicia. Altra tiratina alla catena, mi accorgo che la catena reggerà si e no altri mille km, perchè ho finito lo spazio per tirarla, e la strada è tanta di più. La farò cambiare a Seattle!
Sono in strada di nuovo, che tempo da lupi! Pioviccica e fa freddo, 5-6 gradi… e cavolo, banchi di nebbia frequenti! Quando sono nella nebbia mi accodo alle luci della vettura che mi precede, la nebbia prima mi appanna il casco e poi gli occhiali, questo mi costringe a alzare la visiera e togliermi gli occhiali. Non è che sono proprio cecato senza, però sto meglio quando ce li ho! E ancora sono solo in California… ah no, ora passo in Oregon… Più su c’è Portland, mi ricordo che in queste zone c’era ambientato Rambo 1. Infatti i paesaggi sono quelli, montani, umidi, quella luce lì… mi sa che anche il periodo dell’anno era questo! La giornata passa veloce, la moto non mi dà più problemi, supero Portland. Credevo fosse molto più piccola, invece mi appare come una grande città, priena di ponti, gru e nuove costruzioni. Guardo e passo, la mia meta è un’altra.

Un altro giorno e finalmente sono a Seattle. La mattina di buon ora mi presento dal concessionario Yamaha di Seattle a far visionare la moto, sento un rumorino dalla frizione… ma lo sentivo anche prima di partire e non mi dà problemi, poi la catena è arrivata. Ho la mattinata libera per fare il turista, visito un pò la città, anche se ci sono già stato un paio di anni fa… ma non me la ricordo molto. Faccio un giro al mercato, per le stradine intorno, è una bella città! In 3-4 ore sono di nuovo in strada, catena nuova fiammante, 180 dollari, lavoro compreso (1 ora 60 dollari di manodopera!). Il rumorino, mi confermano che viene dalla frizione, ma senza aprire non mi possono dire cosa sia. Lasciamo stare la moto va, la frizione friziona. La vita è bella!
In un batter d’occhio passo la frontiera col Canada, mi chiedono un po’ di cose, ma è parecchio più semplice che attraversarla dalla parte opposta. Dico che sono diretto a Vancouver, ma in realtà non è così, e Vancouver non mi piace neanche. Il finanziere storce un pò la bocca, sa che è una balla e fa finta di crederci… eccomi per le strade del Canada, corsia singola da adesso in poi, e un certo traffico. Mi fermo a Hope, un paesino tra i monti, piove,e non ho neanche nulla da mangiare, il motel non ha il ristorante e attorno non c’è nulla aperto, ho pochi soldi canadesi presi a un bancomat dal benzinaio, mangio un sandwich, fa quasi zero gradi! Il freddo ora si fa sentire!!!
Il mattino dopo verifico la catena, è perfetta… non ha sentito I 200 km che ho fatto la sera prima. Fa un freddo cane, ma mi voglio tenere per dopo un altro paio di pantaloni e la maglietta doppio strato di lana che mi sono comprato. Però cambio guanti, anche questi nuovi sono più imbottiti. Piove di nuovo, e si inizia a vedere la neve. La strada è un pò sporca, ma non mi lamento, solo il freddo! Fa 2-3 gradi e le mani non le sento più… prima solo le punte delle dita, ora tutte le dita mi pizzicano e mi fanno male… le fermate a far benzina si fanno più frequenti… e anche la percorrenza giornaliera ne risente. Più vado verso nord e più mi lascio alle spalle la civiltà… I paesaggi non sono male, però neanche straordinari. Monti e boschi, ogni tanto qualche laghetto. Inizia anche a far buio prima, più si va a nord e più le ore di luce si riducono, anche la mattina se non sono le 8 non c’è luce. Ma la strada è pulita, qua la neve non è arrivata! La gente per strada mi guarda un pò sbalordita, siamo comunque vicini ai zero gradi. Al benzinaio mi chiedono dove sono diretto, a nord dico!, non c’è in effetti un punto preciso, soprattutto non riesco a pianificare con troppa precisione dove arriverò, il freddo che sento mi fa presagire che più a nord ci sarà parecchia neve. In un paio di giorni arrivo a Prince George, sono praticamente a metà della British Columbia, fa sempre 1-2 gradi. Io credevo che in Canada parlassero francese, invece qua in British Columbia parlano inglese, e si capisce anche meglio di quello americano! I paesaggi sempre gli stessi, però ora vedo la neve al lato della strada… e ne vedo sempre di più… ma la carreggiata è perfettamente pulita. Penso tra me e me, che se continua così in Alaska ci arriverò in 3-4 giorni… L’altezza in longitudine di Prince Georce è più o meno la stessa dell’Alaska del sud. L’iside passageè praticamente una lingua di terra costiera, sul pacifico, che sta tutta al di sotto dell’Alaska e che non è percorribile su strada, ma solo tramite traghetti. Tra l’altro il traghetto c’era pure, ma solo una volta al mese d’inverno, quindi ho rinunciato. Calcolo che con altri 200 km starò poco al di sotto di Anchorage, come longitudine, e quindi penso che anche il clima sarà circa lo stesso, per cui quello che troverò da ora in poi sarà più o meno lo stesso per tutto il viaggio, essendo ora la strada tutta verso ovest e non più verso nord. Naturalmente mi sbagliavo!

Arrivo facilmente a Dawson Creek, qui inizia ufficialmente l’Alaska highway! Sono molto contento perchè questo in effetti era uno dei miei goal! Mi sono più volte ripetuto per strada: se arrivi a Dawson Creek tutto d’un pezzo è già molto! In effetti credevo che la strada fosse già innevata e non si potesse andare avanti invece sento l’Alaska sempre più vicina, e fino a qua a parte il freddo, tutto va alla grandissima! Mi fermo a un centinaio di km dall’inizio dell’Alaska highway, fa parecchio freddo, siamo sotto lo zero, ma la senzazione che percepisco non è molto differente da quella del giorno prima, sarà l’emozione. Però i piazzali dei benzinai sono pieni di ghiaccio e qualsiasi cosa al di fuori della carreggiata è coperta da 30-40 cm di neve.
Oggi, mi dico tra me e me, vedremo se si può andare avanti o se tocca tornare indietro. Tornare indietro ora però sarebbe un colpo troppo grosso! Dopo tutta questa strada! Da qui in poi, il traffico si dirada, anche i grossi Tir che i giorni precedenti mi avevano accompagnato sulla strada non ci sono più, solo uno o 2 ogni mezz’ora. Siamo 5-6 gradi sotto lo zero, ma la voglia di continuare fa più del freddo, e poi, la strada è pulita!!!

Mi sono preparato delle corde in caso ci fosse stata neve, e delle fascette da applicare alle ruote della moto, giusto in caso… anche i benzinai si diradano e ad un certo punto finisco la benza! Niente di grave avevo una tanica con me, tempo di fare il pieno e sono di nuovo operativo. Questi posti mi ricordano un pò la Norvegia, ma ad essere onesto la Norvegia mi è piaciuta parecchio di più. Non vedo un’anima da parecchi chilometri, e penso che se non avessi portato la tanica ora starei nei guai. Inizia a esserci un pò di neve sulla strada… ma raramente, e la schivo con estrema facilità… poi c’è questo dannato brecciolino… va beh, ma, penso tra me e me, se la strada è così, tra 2 giorni sono in Alaska. E invece no! il buon Dio ha deciso di farmi arrivare fino a qui, per poi mettermi davanti, improvvisamente, neve e ghiaccio sulla strada… la moto traballa, scodinzola un po’, c’è anche terra e ghiaia… la tengo in piedi… mi fermo.
Davanti a me la strada è cambiata improvvisamente… da qui in poi sarà tutta così: ghiaccio e neve! Guardo la carta, sono in mezzo ai monti in un parco. Forse nel parco la strada non la puliscono, penso… forse tra una 50ina di km, fuori dal parco, la strada è pulita come prima! Tento il tutto per tutto e applico le fascette alle ruote, ci metto una mezzora, ma se funziona ho svoltato… intanto fa –10, nevica, e io invece sotto la copertura sto sudando! Faccio qualche metro e mi pare che la fascette funzionino, la moto va dritta e non scivola, e ho anche un pò di grip… ma il gioco dura poco, le fascette ad una ad una saltano via, capisco che il sistema non funziona e sono sempre più in mezzo alla merda… inizia anche a fare buio! Mi faccio coraggio e continuo ad andare avanti, piedi per terra 10 all’ora… e sono in mezzo al nulla! In una mezz’ora in queste condizioni realizzo… in Alaska cosi non ci arriverò mai ! Il morale è un pò a terra, mancano ancora 1800 km ad Anchorage, e a 10 all’ora è davvero troppo… I sistemi anti neve che mi ero portato non servono a un cavolo, penso che ho ancora le corde… ma sotto la neve c’è il ghiaccio: insomma, inutile, non ho neanche voglia di provare. Dopo un po’ arrivo a un motel, decido di fermarmi… voglio chiedere se più avanti la strada è pulita o no… ho ancora un pò di speranza!!! Al motel mi dicono che passano a pulire la strada ogni mattina, prima dell’alba! Mi rincuoro un po’, penso che la neve che c’è ora deve essere quella che ha fatto oggi dopo che hanno pulito… Insomma, mi convinco a stare lì per la notte a aspettare la pulizia della strada,e poi l’atmosfera è carina, e il cibo abondante!

3) la zampata
La mattina dopo è il giorno della verità… mi vesto di tutto punto, ma la moto non parte! Sarà un segno? No! a meno 10 per tutta la notte… Ho con me uno spray, del tipo fast start… a base di etere. Va spruzzato nel filtro della moto, ed essendo un liquido molto infiammabile dovrebbe aiutare un pò la partenza… in effetti la moto parte subito! Mi metto in strada e scopro che è vero, lo spazzaneve è passato, vedo i segni, ma ha tolto la neve superficiale e ha lasciato la terra e il ghiaccio e la ghiaia… decido di provare ad uscire dal parco, piano piano, e vedere se la strada migliora… in fondo siamo in mezzo ai monti… e insomma, trovo mille scuse con me stesso per continuare…
Dopo mezz’ora di 10 all’ora e piedi a terra, passo a 20 all’ora, poi 30, il brecciolino sul ghiaccio aiuta un pò il grip, ma… eh, che succede…oooooooohhhhhhhhh! Bum!!… In un secondo mi ritrovo per terra… la moto mi scappa letteralmente da sotto il culo, la zampata per mantenerla in equilibrio mi provoca una distorsione a livello del ginocchio… e l’atterraggio non troppo morbido mi incrina 2 costole…
Il sogno è finito, sono nel mezzo del nulla, nevica, la moto a terra, un ginocchio e il torace doloranti… mi rendo conto che poteva andare peggio! Non passa nessuno da ambo le parti per una mezz’ora, poi arriva un Tir da nord. A guidarlo è una donna! Si preoccupa per me, mi aiuta a tirare su la moto, ma scopriamo che ha la leva frizione spezzata, e la moto è inutilizzabile. Mi offre un passaggio verso sud, ma dico che sto andando a nord… aspetterò il tir successivo verso nord. Ci salutiamo… sono di nuovo sotto la tormenta, da solo, ginocchio dolorante e torace pure, ma la moto è in piedi. Penso che sono stato uno stupido a non accettare il passaggio. Dopo un’altra mezzora arriva un tir dalla parte giusta!, non ha carico dietro, è un camionista che torna a casa, mi tira su, accostiamo la moto furi dalla carreggiata e si va. 200 km fino a Fort Nelson, qui il camionista è a casa, io invece sono sempre più lontano dalla cività… ci sono 3-4 case, un benzinaio e nient’altro. Nevica, fa freddo e la strada è ufficialmente chiusa.
Scopro ora che per radio avevano detto che la strada non era percorribile, e questo spiega perchè infatti per strada non c’è nessuno. Sono di fronte a un grande dilemma… andare avanti, con l’autostop, o con ogni altro mezzo disponibile, oppure tornare indietro e prendere un aereo per tornare a casa? L’opzione moto ormai non la considero neanche. Onestamente la cosa più saggia da fare era tornare indietro subito, ma in finale… perchè? Io l’Alaska la voglio vedere! Mi metto per strada e faccio l’autostop. Un minivan si ferma e mi raccoglie, è un ragazzo, ha la mia stessa età, si chiama Sid e va proprio nella mia direzione! 600 km verso Whitehorse. Smezziamo la benza e a sera sono a White Horse.
Il viaggio in minivan con lui passa in fretta, però c’e sempre quella mezza paura di incappare in uno squilibrato o chissà… che un pò mi rovina l’ atmosfera. Qui, c’è la chicca… a 10 km da White Horse, mi chede se mi dispiace fare una piccola deviazione, lui vorrebbe andare a salutare il padre che vive appena fuori dal paese. Ovviamente dico di sì, e lui subito prende la prima stradina innevata e ci infiliamo in mezzo al bosco. Non vi dico le cose che mi sono passate per la mente in quell’attimo. Stavo in mezzo al bosco, di notte, con uno sconosciuto, chi mi avrebbe salvato se qualcosa fosse andato storto? Mi faccio coraggio… sto zitto e aspetto… Oh! Il padre era un nativo della zona e viveva in un cottage in mezzo al bosco! Non mi si voleva inculare! Meno male :)))))!!!
White Horse è un bel paese, intorno tutto ghiacciato, fa –10, e dicono che non si sta ancora troppo male! Concordo, sono i –10 gradi meno freddi che abbia mai sentito. Sid mi da delle dritte su come andare in Alaska, mancano non più di 500 km alla frontiera e altri 500 per anchorage, da qui c’è un autobus 2 volte la settimana o anche l’aereo. Scelgo il bus, e con 220 dollari canadesi e 12 ore di viaggio sono ad Ancorage!

4) Epilogo
Il viaggio in pulman, che poi era un minivan, tipo Ducato, non è esaltante, anzi un pò noioso. I paesaggi sono molto belli, intorno è tutto ghiacciato, ma il tempo è nuvoloso e ho perso la mia chance di vedere l’aurora boreale. Ad Anchorage affitto una macchina per girare un pò le strade sono pulite e un pò rosico che non ci sono arrivato in moto. Però va bene così, il dolore al ginocchio mi è quasi passato, le costole invece mi danno fastidio, specialmente di notte… Anchorage, onestamente, da sola non vale il viaggio in Alaska, la città è moderna e non c’e nulla di caratteristico o particolare, non fa neanche freddo !!! zero gradi la minima, e prima di partire il termometro è salito a 6 gradi! Riesco ad arrivare anche a Seward, un paese sul mare a 200 km da Anchorage. I paesaggi innevati sono molto belli, penso che l’Alaska del nord valga sicuramente la pena, ma il tempo stringe, e poi le spese iniziano a farsi sentire! Passo 2 giorni e mezzo ad Anchorage e poi torno in Arizona con l’aereo.
L’ impresa è compiuta, l’Alaska è stata conquistata! La moto l’ho persa tra i ghiacci, e mi dispiace, s’era comportata bene e meritava una fine migliore… qualcuno probabilmente ne avrà miglior cura di me.

Mi dispiace solo di non aver visto l’aurora boreale, a Whitehorse, tutti mi hanno detto che praticamente ogni notte era visibile, ma il cielo coperto me l’ha impedito, ad Anchorage invece è scarsamente visibile in ogni caso e poi le luci della città e una serie di cose hanno fatto il resto… sarà per la prossima volta!

Gli aforismi del giovane guzzista

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

Cosa succede ad un guzzista nel rileggere Karl Kraus
di Paolo Gambarelli

 

 

Spesso con il grasso mi sporco la mano e soltanto allora so che ho vissuto ciò che ho immaginato.
L’educazione stradale, così come quella sessuale, è quel crudele procedimento attraverso il quale viene proibito ai giovani per ragioni igieniche di soddifsare da soli la propria curiosità.
Il guzzismo fa di un nonostante un perché.
Il vero rapporto di un guzzista con la propria moto è quando egli confessa: ”Non ho altro pensiero che te e perciò ne ho sempre di nuovi”.
Cosa un motociclista pensa della propria moto: per essere perfetta le mancava solo un difetto.
Un guzzista è un motociclista che porta una tuta senza che nessuno se ne accorga. Per contro ci sono dei motociclisti che hanno l’aspetto di guzzisti appena si mettono una tuta. Così in ambedue i casi la tuta non ha nessun valore.
La motocicletta non ama essere protetta se non da chi allo stesso tempo è un pericolo.
L’uomo e la donna sono il pretesto del piacere, la motocicletta la causa dello spirito.
La sua guida offriva una visione centauresca: sotto era il piacere di uno stallone, che proseguiva poi nello spirito di un uomo.
Le Moto Guzzi e le altre moto: le prime ingannano per il piacere, le altre cercano il piacere per ingannare.
L’andare in moto è uno sforzo che sarebbe degno di miglior causa.
Io e la mia moto Guzzi Carbonia Corsa: il mio rispetto per le sue cose irrilevanti sta assumendo proporzioni gigantesche.
Quando cerco di accomodare la mia moto mi nutro di scrupoli che mi cucino io stesso.
Io parlo di me e intendo la mia moto. Loro parlano della loro moto e intendono se stessi.
La mia moto è la puttana di tutti che io rendo vergine.
Chiedi al tuo meccanico soltanto cose che tu sai meglio di lui. Allora il suo consiglio potrà essere prezioso.
Il debole dubita prima della frenata. Il forte dopo.
La capacità di dubitare dopo una rapida decisione è la più alta e la più virile.
Di fronte alla propria moto è bene ritenere insignificanti tante cose e significante tutto.
Le nozioni della vita motociclistica appartengono all’arte non alla cultura. Ma a volte bisogna compitarle agli analfabeti. Di fatto, la cosa più importante è appunto persuadere gli analfabeti. Perché sono loro che fanno il codice stradale.
Il guzzista prima e dopo la visita al suo meccanico. Prima Narcosi: ferite senza dolori, poi Nevrastenia: dolori senza ferite.
Quanto più da vicino si osserva una motocicletta, tanto più lontano essa rimanda lo sguardo.
Il motociclismo è ciò che diventa mondo, non ciò che è mondo.
Cosa succede quando accendo una moto: ciò che io sento entra da un’orecchio ed esce dall’altro e la mia testa è comunque una stazione di transito.
Cosa succede quando accendo la mia Guzzi Carbonia Corsa: ciò che io sento entra e se ne esce dallo stesso orecchio.
A volte il progresso motociclistico fa portamonete di pelle umana.
Molte delle moderne motociclette sono una superfluità creata sulla base del giusto riconoscimento di una mancanza di necessità.
I teoremi tautologici del giovane guzzista apprendista.
Il pilota e il giornalista:
Il giornalista è stimolato dalla scadenza. Scrive peggio se ha tempo.
Il pilota è stimolato dalla scadenza. Guida peggio se ha tempo.
Il motociclista e il letterato:
Il letterato è stimolato dalla perdita del tempo. Scrive peggio se ha poco tempo.
Il motociclista è stimolato dalla perdita del tempo. Guida peggio se ha poco tempo.
Il guidare è la madre, non l’ancella di una moto.
I guzzisti creativi possono chiudersi completamente di fronte alla creazione altrui. Perciò mostrano spesso un atteggiamento di rifiuto verso il mondo, anche se non di rado avvertono la sua imperfezione.
I motociclisti che si ubriacano della sete del sapere motociclistico sono un flagello sociale.
Ci sono due specie di motociclisti. Quelli che lo sono e quelli che non lo sono. Nei primi forma e contenuto stanno insieme come anima e corpo, negli altri forma e contenuto vanno insieme come corpo e vestito.
Un guzzista creativo dice per conto suo ciò che un altro ha già detto prima di lui. Per contro, un altro può imitare dei pensieri che devono ancora venire in mente a un guzzista creativo.
Poesia del guzzista:
Io non domino la mia moto. Per me lei non è la servitrice dei miei pensieri. Io vivo con lei in una relazione che mi fa concepire dei pensieri. Essa è spesso sovrana dei pensieri, e con chi riesce a capovolgere il rapporto lei si renderà utile in strada ma gli sbarrerà il suo grembo.
Per andare in moto bisogna non imparare più cose di quante sono strettamente necessarie contro la vita.
Meccanica motociclistica è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi sanno.
La raccomandazione del centauro guzzista. Imbriglia la tua passione, ma guardati dall’allentare le redini della tua ragione.
I guzzisti hanno il diritto di essere modesti e il dovere di essere vanitosi.
Il motociclista moderno non sempre sa che sulla strada bisogna vedere il buio.
Si deve distinguere fra quelli che si tolgono in primavera il giubbotto invernale e quelli che considerano il fatto di togliersi la giacca invernale come infallibile mezzo per suscitare la primavera. Saranno piuttosto i primi a prendersi il raffreddore.
Cosa impara subito il giovane guzzista.
Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. I carrozzieri e i meccanici.
C sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. I chirughi plastici e i chirurghi cardiovascolari.
Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi.
Ci sono anche i guzzisti.
Il motociclista prende la moto. Il guzzista viene preso dalla moto.
La somma delle idee di una special dovrebbe essere il risultato di una moltiplicazione, non di una addizione.
Non è vero che non si possa vivere senza una moto. E’ vero soltanto che senza una moto non si può aver vissuto.
Il Guzzismo è quella malattia mentale di cui ritiene di essere terapia.
Per il guzzista le vere verità motociclistiche sono solo quelle che si possono inventare.
Gli uomini guzzisti sono pur sempre i migliori selvaggi.
Spesso capita anche al guzzista: nell’inautentico l’autentico si esalta.
I motociclisti con le moto ultrapotenti: il centauro si immagina di colmare la donna. Ma è soltanto un riempitivo.
Se andare in moto serve solo a percorrere allora riparare serve solo a far funzionare. Questa è la doppia giustificazione teleologica dell’esistenza dei meccanici.
La moto prende uno per tutti, il motociclista tutte per una.
Per l’uomo sano basta la donna. Per l’uomo erotico basta la calza per giungere alla donna. Per il motociclista incallito basta la calza.
Il vero preparatore è soltanto colui che sa fare della soluzione un enigma.
Il giovane guzzista e il suo primo motore smontato: un coniglio che viene inghiottito da un Boa Constrictor. Voleva semplicemente indagare com’era fatto dentro.
Se è vero che il respiro più lungo è dell’aforisma, allora il giro di pista è una sua rappresentazione.
Con le motociclette monologo volentieri. Ma il dialogo con me stesso è più stimolante.
Talvolta la motocicletta è un utile surrogato dell’onanismo. Naturalmente ci vuole un sovrappiù di fantasia.
L’uomo politico è conficcato nella vita, non si sa dove. Il motociclista fugge dalla vita, non si sa dove.
I guzzisti e la loro Casa Madre: ciò che li tortura sono le possibilità perdute. Essere sicuri di una impossibilità sarebbe già un guadagno.
I guzzisti e la loro Casa Madre II: se bisogna proprio credere in qualcosa che non si vede, allora preferisco comunque credere ai miracoli che ai bacilli.
La motocicletta è il giocattolo degli adulti. Solo che non la si può paragonare a quegli oggetti tanto ricchi di significato che riempiono le stanze dei bambini.
Effetto della motocicletta è una cosa che è senza inizio e perciò senza fine.
L’aforisma del pilota guzzista.
Dove osano le aquile: chi vola vale e chi non vola è un vile.
Mi ricordo di essere guzzista solo quando ho bevuto il caffè nella mia unica tazza Moto Guzzi.
Elogio all’Anima Guzzista. No, sull’anima non restano cicatrici. All’umanità la pallottola entrerà da un’orecchio e uscirà dall’altro.

 

Sulla strada è padrone di casa chi cede il passo all’altro. In pista si è solo ospiti.
Ci sono motociclisti talmente orgogliosi che non si sentono attratti da un’altra moto neppure per disprezzo.
Il viaggiare e la motocicletta non abbracciano ciò che è bello, ma ciò che proprio grazie al loro abbraccio diventa bello.
Per vedere se l’uomo motociclista sa andare in strada ci vuole una prova. La donna motociclista è sempre in prova e sa andare in strada per natura. Vive davanti a spettatori.
Con i motociclisti amanti delle prestazioni tecnologiche è difficile arrivare ad un risultato. O temono che uno più uno faccia zero o sperano che uno più uno faccia tre.
Fra i cordoli può nascondersi al massimo un significato. Fra una carreggiata c’è posto per qualcosa di più: il pensiero.
Molte delle riviste motociclistiche di oggi sono ricette scritte dai malati.
Da quando l’umanità si è legata davanti un propulsore, si va indietro. L’elica fa poi in modo che si vada anche giù.
L’evoluzione della tecnologia motociclistica è arrivata al punto di produrre l’inermità di fronte alla tecnica.
A volte il motociclista non ha tanta dignità nel portare la dignità quanto la sua moto nel portare l’ignonimia.
Del viaggiare in motocicletta: di molte cose che vivo la prima volta ho già dei ricordi.
Il migliorarsi in pista è un po’ come dire: “La vita va avanti”. Più del lecito.
A volte la vita motociclistica è un’interferenza nella vita privata.
La nostra civiltà è costituita di tre cassetti, di cui due si chiudono quando il terzo è aperto: lavoro, motociclismo e istruzione.
E’ sempre bene pensare che la motocicletta debba essere il farsi corpo di un pensiero secondo la necessità naturale e non l’involucro di un’opinione secondo l’opportunità sociale.
Il motociclista prende una strada perchè vede, l’automobilista perchè sente dire.
Ad un certo punto anche il guzzista dovrà chiedersi: “Ma dove troverò mai il tempo per non percorrere tante strade”?
Perchè va in moto certa gente? Perchè non ha abbastanza carattere per non andarci.
In motocicletta può capitare che ci voglia più coraggio e temperamento per sorpassare un carrettiere che una Ferrari.
Temi guzzistici: ciò che importa non è la grandezza della meta, ma la distanza.
L’andare in moto è sempre come farlo per la prima e per l’ultima volta. Fare tutto quello che sarebbe giusto per un congedo e farlo così bene come per un debutto.
Preghiera per i guzzisti: “Signore perdona loro, perchè sanno ciò che fanno!”
In pista mi intaglio l’avversario sulla misura delle mie frecce.
Per andare in moto ci vuole quella fantasia che ha il diritto di gozzovigliare all’ombra dell’albero di cui essa fa bosco.
Ci sono tre stadi del progresso. Il primo: quando in una strada non c’è nessun cartello. Il secondo: quando compare un cartello con una scritta che prescrive di non emettere rumori molesti. Il terzo: quando alla fine della scritta, si spiega che la cosa è giustificata da preoccupazioni di quiete pubblica. Noi ci troviamo in questo stadio supremo del progresso.
Non si è ancora arrivati alla solitudine giusta, quando ci si occupa di se stessi. Ma occupandosi della propria motocicletta ci si può arrivare più in fretta.
Stare seduti accanto alla propria moto è un po’ come volgere il proprio pensiero dall’eternità al giorno. Stare seduti sopra la propria moto è invece volgere il pensiero dal giorno verso l’eternità.

 

Spesso è necessario riflettere sul perchè siamo allegri; ma sappiamo sempre perchè siamo tristi. Sicuramente quei giorni non andremo in moto.

 

La gelosia motociclistica è un abbaiare di cani che attira i ladri.

 

L’umanità istupidisce per favorire il progresso meccanico e noi non dovremmo almeno trarne vantaggio? Dovremmo dialogare con la stupidità, quando è possibile sfuggirle con una motocicletta?

 

L’andare in moto e in macchina. Il primo: libertà di domicilio con museruola, il secondo: cella di isolamento dove è permesso gridare.

 

Il motociclista borghese, sulla sua moto non tollera nulla di incomprensibile.

 

In motocicletta, la fantasia non fa castelli in aria, ma trasforma le baracche in castelli in aria.

 

Le donne e le motociclette vogliono apparire vestite ed essere guardate svestite.

 

I bambini giocano a fare i soldati. Ma perchè i motociclisti giocano a fare i bambini?

 

La nuova Griso: era bella come il peccato, ma aveva le gambe corte come le bugie.

Corsica e sfiga

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di Tatuato

Scusate se il racconto e’ lungo e mal scritto ma non sono uno scrittore, come la maggior parte di voi. Volevo, comunque farvi partecipi della mia ennesima SFIG… avventura.
Provo a descrivere le vacanze che ho passato e intanto ho già prenotato la prossima per Lourdes (ma come se scrive).
Il 16 Agosto ho il traghetto per la Corsica quindi perchè IO VALGO decido dopo 3 anni di lavare la moto. Vado alla lancia (termica, alla barda spaziale) e lavo la moto. Finito accendo la moto e vado a casa. Arrivato a casa la moto non parte più. Ho fatto fuori il magnete del motorino. Rimedio un motorino di avviamento in sostituzione (per trovarlo). Va da paura fino a Giovedi 12/08 sera, quando tornando da una Fraschettata, a Frascati, con gli amici (c’erano anche 2 milanesi rompi) all’una di notte arrivo a casa di Rosalba, spengo la moto, la faccio scendere e la moto non riparte più. Spingo la moto all’una di notte fino a casa dei miei genitori. Venerdi’ mi sveglio ho il problema da risolvere sulla moto ma ho anche del lavoro urgente da consegnare prima delle vacanze. Faccio i miracoli consegno i lavori e mi metto alla ricerca del magnete per il mio motorino di avviamento. Lo trovo Sabato mattina da autoricambi nuovo.
Monto il tutto comincio a preparare la moto per la partenza con la preoccupazione che succeda ancora qualcosa ma non succede niente(la moto va benissimo). Arriva il giorno dell’ attesa partenza ancora con un po’ di apprensione, ma gia’ gustavo la vacanza:<<Arrivo e che faccio il giro orario o anti orario???? Se lo faccio orario Fange mi fa il culo se lo fancio antiorario il culo me lo faccio da solo. Vedro’ quando saro’ li>>
Accendo la moto e porca la puttana alle 06:00 quella stronza amata di moto guzzi va ad un cilindro solo ed io ho anche smesso di fumare…..cazzo. Panico non posso mettermi a controllare adesso…. decido di guardare le cose piu’ semplici e trovo un filo staccato ad una bobina(mentre rimontavo il motorino avro’ allentato un filo che non si e’ staccato subito no….perche’ io sono guzzista ha deciso di staccarsi il Lunedi alla partenza, ma il problema l’avevo creato io) attacco il filo e gioia nel mio cuore. Partiamo e la moto e’ uno spettacolo, comincio a sentire lo stress che vola via comincia la vacanza. Arrivo a Livorno salgo sul traghetto e decido che e’ giunta l’ora della vacanza. Compro anche il corriere dello sport(che non compro mai) perche’ mi da la sensazione di vacanza. Arrivati finalmente la Corsica. Vado piano a prendere la moto per sbarcarla intanto sono uno degli ultimi e poi sto in vacanza la fretta non esiste piu’. Arrivo accendo la moto e mi metto in fila, la quale viene bloccata da uno che riesce ad incastrarsi sul traghetto. Cazzo dobbiamo far manovra, ho la moto carica, sotto la nave fa un caldo della zozzana ma…… calmi siamo in vacanza. Mentre sterzo mi prende fuoco(cioe’ no scintille ma fiamme) il cruscotto e la moto si spegne(in tutti i sensi). PANICO, CHE CAZZO FACCIO poi dice perche’ uno fuma, ma piu’ che altro PERCHE’ CAZZO UNO SMETTE. Mi fanno aspettare che escano tutti e a spinta faccio uscire la moto dal traghetto. Ore 18:45 sono a Bastia con la moto in panne CAZZO. Comincio a smontare il faro, il serbatoio e la sella per vedere fino dove ho fuso tutto. Mentre taglio i fili bruciati arrivano 2 ragazze con una moto(anche loro erano sul traghetto) e mi chiedono:<<Scusa che sei elettrauto??>> Calmo Andrea sono motocicliste, sei in FERIE ED HAI SMESSO DI FUMARE:<<No ho un problema alla moto>>. Loro:<<No perche’ abbiamo un problema allo stop, ci si ‘e sciolto>> io(perche’ valgo):<<E si ci avete legato sopra lo zaiono>>. loro:<<Che possiamo fare??>>. CAZZO LE UCCIDO:<<Cambiarlo, ma se non lo trovi non succede niente la moto va ancora>> Loro:<<Grazie>> io:<<Di niente e’ stato un PIACERE>>. Intanto scendono dal traghetto Rosalba e la sua Amica. La amica, mentre io sto cercando di capire che CAZZO fare, comincia :<<E ora che facciamo?? come ti possiamo aiutare?? chiamiamo qualcuno?? dici come possiamo essere utili???>> Ora la uccido ma Rosalba(donna stupenda) gli dice:<<Michela andiamo a cercare un campeggio qui vicino e’ lasciamo Andrea DA SOLO a sistemare la moto>> poi si rivolge a me e mi dice:<<Intanto lo so che in un modo o nell’altro la fai ripartire>> Che donna fantastica ma anche troppo ottimista(non trovo il problema sono nel panico). Dopo 1 ora comincio a capire. Sul traghetto mi hanno fatto appoggiare la moto(non me ne sono accorto perche la moto quando l’ho ripresa era dritta), rompendomi la freccia, ad un lastra di ferro, che era vicino alla moto e che faceva parte della parete. Questa lama oltre ad avermi crepato la freccia mi a spellato un pezzo di filo della frizione e il filo del positivo dello strumento per la temperatura dell’olio. Quando ho fatto manovra il filo a fatto contatto con la frizione e spuff a fuso tutto sotto al cruscotto. Neanche se mi ci mettevo di proposito riuscivo a combinare tutto sto casino. Comunque tolgo i fili fusi in piu’ che non servono (su una guzzi ce ne sono una marea sulla mia 2 maree) Tolgo anche il blocchetto fuso e unisco tutti e 4 i fili(come quando prendi in prestito una moto che non e’ tua e il proprietario si e’ scordato di darti le chiavi) la moto parte ma per spengerla devo staccare il negativo dalla batteria(ho usato un trucchetto) ma l’importante è che va. Raggiungo le ragazze al campeggio (un solo WC, una sola doccia e tutte le tende sulla spiaggia, se entravo di fianco al cancello e me mettevo sulla spiaggia non pagavo niente) ma e’ vacanza uno in vacanza e’ rilassato e poi io ho smesso di fumare. Dormo tutta la notte malissimo preoccupato e quando mi sveglio mentre smonto la tenda bestemmiando(e’ un modo di dire non bestemmierei mai) perche’ la moto non parte(ho scaricato la batteria facendo le prove il giorno prima) scopro che quello e’ il campeggio degli sfigati. Chi e’ rimasto a piedi con la vespa chi con il BMW e una confraternita de sfigati. Ripartiamo, finalmente, le curve l’aria sono in vacanza finalmente. La moto anche se sembra appena rubata fa il suo dovere il motore va da favola e il panorama e’ stupendo. Ma io so guzzista io valgo non puo’ essere tutto cosi’ bello……ad una salita la moto si spegne IN MEZZO AL DESERTO SOTTO IL SOLE CUOCENTE CAZZO DATEME UNA SIGARETTA HO DO FOCO ALLA CORSICA. Ma sono in vacanza, la gente e’ calma in vacanza e poi ho smesso di fumare(pirla).
Parcheggio provo a far partire la moto…PARTEEEEEEEEE corri Rosalba metti giubbotto casco che si va. Saliamo e la moto si spegne. Provo a chiedere una sigaretta ad un ciclista, tutto sudato che si sta facendo la salita bestemmiando, ma e’ in vacanza sara’ felice di parlare con me .Penso che fosse Tedesco dalle parolaccie che mi ha detto. Controllo tutto rifaccio partire la moto e dai di corsa a vestirsi che si riparte per questi stupendi paesaggi, ma come saliamo si spegne…..COME SALIAMO SI SPEGNE??????? Riaccendo la moto e chiedo a Rosalba:<<Spingi con le mani la sella???>> La moto si spegne. Alzo la sella e scopro che quando ho aggiustato l’impianto fuori dal traghetto ho tirato troppo un filo. E questo filo, proprio perche’ anche lui e’ guzzista, non mi ha creato problemi subito… NO lui ha atteso un momento random, altrimenti come fa il piccolo guzzista a giocare al piccolo meccanico???(che moto intelligente). Ripartiamo e ci facciamo un bel giro. Alla sera andiamo a cena distrutti ma contenti…la moto va e la nostra vacanza puo’ continuare. Finita la cena decidiamo di fare una passeggiata. Trovo un Bancomat delle Poste della Corsica decido di prelevare dei soldi e porca la PUTTANACCIA ZOZZA LA SBOMBALLATA CADAVERICA mi ritira la carta di credito e bancomat(non sapevo che quando ti cambiano il Bancomat con il Bancomat/CartadiCredito il codice per prelevare e quello della carta. L’avevo da poco).
Ora, esiste ancora la Corsica solo grazie a Rosalba che mi ha calmato(non fate battute) e abbiamo passato, DOPO, una vacanza stupenda, anche perche’ pagava tutto lei.
La Corsica e’ stupenda, anche se continuo a pensare che il mare della Sardegna non abbia paragoni. L’interno e’ stupendo con strade che sembrano delle piste. Costa tanto il cibo e l’acqua ma poi ti fai furbo e l’acqua la riempi alle tante fontanelle in giro o al ristorante chiedi la brocca e per mangiare trovi anche dei locali a poco dove si mangia bene. Igene quasi inesistente dappertutto.
A dimenticavo giro RIGORASAMENTE ANTIORARIO senza nessun problema almeno fino a che Rosalba mi ha detto:<<Guarda che bel mare giu’ in fondo a questo dirupo>> Gli ultimi 25 Km delle famosissime curve l’ho fatto a 10 km/h non perche’ non potessi andare piu’ piano ma perche’ c’era una famiglia di ciclisti che mi spingeva dicendomi delle frasi incomprensibili….ma erano in vacanza, erano felici e per di piu’ avevano smesso di fumare tutti e tre.
COME SEMPRE LA MIA GUZZI MI HA RIPORTATO ANCHE A CASA.

L’onore della Moto Guzzi

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di StepV11

 

 

Sto andando al Mugello, l’occhio sullo specchietto a vigilare i sussulti del mio V11 fissato sul carrello con così tanta preoccupazione che ancora non mi fido di aver fatto un buon lavoro. Ma forse mi preoccupa di più il fatto che domani debutto nel Campionato Naked, e mi ripeto in continuazione: “Ma sei impazzito? Ti massacreranno senza pietà…” Ma indietro non si torna, non è nel mio carattere, e poi è troppo tardi per cambiare idea. Il mio meccanico mi sta aspettando ai box.
Quando arrivo nel paddock riconosco al volo alcuni sguardi di consapevole ammirazione e commiserazione allo stesso tempo, del tipo :”Ecco un’altra vittima di un sogno, strana gente questi guzzisti, strana gente….”
Tutto a posto, ci mettiamo subito a lavorare, verifichiamo un ultima volta tutti i serraggi e la pressione delle gomme. Faccio le verifiche, poi mi vesto, ho una tuta fantastica, residuo degli anni ‘70, nera attillata e senza protezioni omologate, speriamo non mi rompano le scatole, perché io senza quella tuta perdo due secondi al giro. Ma qui mica siamo al TT che verificano anche le tute…
Esco dai box, ed il rombo dei miei Mistral in carbonio è bellissimo. Secondo me come il due a 90 non suona nessun altro. Faccio due giri per scaldare le gomme ed alla fine del secondo esco come un siluro dalla Bucine e mi lancio sul rettilineo: inizia la battaglia, anche se sono prove libere non valide per lo schieramento. Ecco il cartello dei 100 alla S. Donato, pinzata pesante e giù a sagomare lo scarico di destra, poi volo alla Lugo, e mi presento alla Materassi in pieno orgasmo, sto godendo della mia guida. Ora viene il difficile, la Savelli e poi l’Arrabbiata. Esco dalla esse in discesa troppo forte, ma apro di brutto lo stesso, sennò perdo troppi giri e la salita si sa che non è il pane del V11. Sbacchettata furibonda. Non ci siamo. Ed anche al Correntaio allargo troppo e mi presento quasi impiccato alla Biondetti.
Finisco il giro deluso ed entro ai box. Breve conciliabolo e decidiamo di togliere un po’ di precarico di dietro al mio adorato Ohlins. Io indurisco anche l’ammortizzatore di sterzo.
Vado. Giro come un ossesso, ma non sono convinto. Tanto che il mio miglior tempo è ancora lontano, sono troppo teso, guido male. Basta mi fermo, devo riflettere. Penultimo. E’ vero che sono l’unico con il V11, ma quei maledetti con le Tuono mi stanno massacrando, e non solo loro, anche i ducatisti. Non lo posso sopportare, almeno non in questa misura. Sono seduto sulla mia sedia da campo, lo sguardo nel vuoto a pensare che era meglio se stavo a casa.
“Scusi, è lei che guida la Motoguzzi?” Mi scuoto dal mio torpore e scorgo un signore distinto con la giacca in spalla, camicia celeste perfettamente stirata e cravatta. Con lui ci sono due persone, due visi noti, che però fatico a inquadrare. L’uomo in camicia chiede se può darmi una mano, così per passione, “Sa sono un vecchio guzzista, e mi dispiaccio quando vedo una Motoguzzi che prende le paghe”. Come dargli torto?
Evidentemente è un tecnico ed anche autorevole, lo si intuisce da come impartisce gli ordini ad uno dei due, che arrotolatosi le maniche della camicia inizia ad eseguire gli ordini del Capo. “Sfila la forcella, dài più freno davanti, indurisci anche dietro…”. Poi una serie di maledizioni quando osservando il motore non trova i carburatori, ma i corpi farfallati dell’iniezione elettronica. Il capo tuona “Bruno, telefona a Mandello, che cazzo hanno fatto al mio motore?”
Ragazzi, ho l’Ing. Tonti nel mio box e sulla mia moto sta lavorando il grande Bruno Scola, che è uno spettacolo. Ma allora l’altro individuo… Ma si, ora lo riconosco bene, è Vittorio Brambilla, il grande Vittorione. Una fetta della gloriosa storia della Motoguzzi è dentro il mio box.
Stanno iniziando le prove ufficiali e si mette a piovere. Panico. Ecco che mi si accende la lampadina: “Vittorio vai tu al posto mio, io mi nascondo nei box, facciamolo per l’onore della Motoguzzi”.
I tre si appartano a decidere. L’Ing. Tonti sentenzia “Questa cosa la facciamo, ma lei si assume tutte le responsabilità, è chiaro?”.
Chiaramente Vittorio non entra nella mia tuta antidiluviana e devo dargli la Spidi che tengo di riserva, così mentre lo aiuto a entrarci tirando con tutte le mie forze, sento l’Ing. Tonti dire a Scola : “Ma l’Aprilia non fa i ciclomotori? Che è questa Tuono? Ma…”
Iniziano le prove che piove forte. Nascosto in un giaccone impermeabile, con il bavero rialzato e gli occhiali da sole mi apposto sul muretto dei box. Ecco che finito il giro di lancio “mi” vedo sfrecciare, in una scia di spruzzi. Mi vengono i brividi, è passato pieno come sull’asciutto. Vittorione fa quattro giri ed è pole. Non ho parole. Mi metto a ridere come un pazzo. Eccolo rientrare e mentre scorre nella pit lane tutti lo guardano increduli, ha rifilato quasi quattro secondi al secondo.
Entra nel box e si precipita al bagno dove lo sto aspettando già pronto ad indossare la tuta.
E poi viene il godimento: è una processione di appassionati, piloti e meccanici, tutti a battermi pacche sulle spalle ed a farmi complimenti, con uno sguardo di esclusiva ammirazione, si perché stavolta quello di commiserazione lo possono riservare a se stessi. In disparte “il mio team” osserva visibilmente soddisfatto.
L’onore della Motoguzzi è salvo.
Ma domani si corre, ed io come faccio? Li vedo che se ne vanno, li chiamo due, tre volte, ma non mi ascoltano. Tornate qua! Poi una voce nota mi scuote: babbo, forza, svegliati che oggi ci devi portare tu a scuola, tutte le volte arriviamo per ultimi….

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