Home Blog Pagina 31

Hazim

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Paolo Miolo

 

LA STRADA DELL’INFERNO

“Ma guarda che sfiga parto insieme a un Ducati e a un Guzzi e si va a rompere l’Honda”
Appena ascoltata la frase un pensiero un po’ maligno mi si ferma tra i denti un attimo prima di diventare parola.
Stronzo. Adesso però chi ti sta trainando e un Guzzi. Anzi il mio Guzzi.
Se non fosse per le ingenerose parole probabilmente avrei la luna meno di traverso. I guasti si sa che capitano.
E’ quasi mezzanotte, un buio pesto, il T5 è stracarico, tra le strade turche e la ruota da 16’ non c’è amicizia, le cinghie che fissavano tenda e i sacchi a pelo adesso trainano un XL 600 muto ma in garanzia. Suole vicino all’asfalto, gas pelato e trent’allora, meglio meno. La Robi fa contorsioni per tenere fermo il bagaglio ormai legato con approssimazione. Un viaggio bellissimo e senza inconvenienti si sta lentamente trasformando in una medioevale tortura. Ripenso al dopo cena di un paio d’ore fa.
“Dai è presto facciamo ancora un po’ di strada…”
il palestrato ondista ordina un altro giro di roba forte, sottolineando così la sua sfida a chi molla per ultimo. Tutti abboccano. Me compreso. Chiaramente anche il mio buonsenso è in vacanza.
E il Guzzi adesso traina…
Io dò la colpa all’ultimo bicchierino di raki, alla Honda, alla stupidità umana (in particolare alla mia) e in fondo in fondo sogghigno. Lo so, il paradiso dei motociclisti a me sarà precluso. Troppi peccati d’opinione. Mi consolo pensando a quello dei Guzzisti.
Lì sono certo che mi rimedieranno un posto, magari mi metteranno solo a lucidare bilanceri o ad alleggerire volani. Nulla di più, ma andrebbe bene comunque…
Dopo un’ora di strappi e contorsioni, conditi da aroma di frizione cotta, gli orribili ma efficaci proiettori supplementari del T5 illuminano un cartello. A questa folle velocità sarebbero bastate anche le sole luci di posizione…

KAMAN
nufus: 1200

Beh, milleduecento anime non sono già più solitudine. L’odore di questo paese è buono, sa di paglia di frumento bruciata dal sole e di diesel stanchi. Su ambo i lati dell’unica strada grossi cubi in blocchi di cemento che pretendono di essere case. Aria di miseria e fatica che rompe le ossa, poche macchine agricole e luce fioca. Nulla di esotico che possa ricordarci le porte dell’oriente. Piuttosto qualcosa tipo bassa padana o agropontino anni ‘50.
“Spero che questa non sia la piazza principale, in genere c’è un monumento qui invece c’è una pompa di benzina”
Nonostante il guasto al suo mezzo il palestrato non perde il sarcasmo. La sua tipa invece sta cedendo e con lei anche i suoi poco motociclistici fuseaux, che tanto appagavano l’occhio. Adesso non fasciano più tonici glutei, c’è un effetto pigiamone di flanella. Spero di cuore che non siano stati i suoi glutei a cedere.
“Non è benzina, è gasolio.” Il ducatista, che in realtà guida un Elefant 750 ma ama definirsi ducatista, precisa con puntualità il macroscopico errore. E’ un tipo da occhialino rotondo, insomma aria intellettuale, toscano ma di modi raffinati.
“Vabbè sai che differenza” il palestrato risponde con tono irritato.
“Beh oddio se proprio vogliamo qualche differenza tra gasolio e benzina ci sarebbe…” Anche se è tardi il Tosco-Ducati non ci sta. Penso che sarebbe disponibile a scatenare una dialettica interminabile sull’argomento. Si guarda intorno e continua:
“A vedere dalla quantità di fusti da 2 quintali che ci sono in giro, qui c’ è un’officina”
“Non penserai mica che faccia ripare qui la moto?” il palestrato cambia umore, è indignato che una simile idea abbia solo sfiorato la sua muta Honda.
“E’ ancora in garanzia, Io domattina chiamo la Europe Assistance e sistemo tutto”
“Guarda che puoi fare ciò che vuoi, dicevo semplicemente che se c’è un’officina possiamo dare un’occhiata magari è una pirlata, poi decidi”
Mi intrometto tra i due perché lo scambio stava diventando serrato e forse è meglio smetterla.
Il Tosco-Ducati continua: “Non ti fare illusioni: la Europe Assistance non può fare miracoli; anche se individuassimo il guasto qualcuno che ti dia un aiuto e un recapito ci serve comunque”
Nella semi oscurità si sta avvicinando una persona. Tuta blu sporca come un cencio di mille anni, entrambe le mani occupate: sigaretta e gelato. Il gelato si sta copiosamente sciogliendo e dal cono finisce su dita dove le linee sono evidenziate da sporco mal tolto. Lecca gelato, dita e fuma. Farfuglia un saluto, gesticola e dice qualcosa in simil-tedesco che nessuno di noi capisce.
Indichiamo la honda e diciamo “Kaputt”
pigiamone chede “Hotel”
Tuta blu è strabico da un’occhio, quindi niente sguardo intelligente, inoltre odore di giornata lavorata fino in fondo e alito da senza filtro raccomandano distanze di sicurezza. Il gelato mezzo sciolto tra le dita e i denti così bianchi da sembrare finti rendono la figura un pò ridicola.
Mimando teatralmente il gesto dello svitare con una chiave ci fa capire che lui è meccanico e abita lì sopra, alla moto ci penserà lui domani. Il Tosco-Ducati ci aveva visto giusto.
Hotel, Hotel, gut Hotel. Tuta blu si sbraccia e ci fa segno di seguirlo.
A cinquanta metri scorgiamo una vetrina d’angolo verniciata di bianco dall’interno. Oddio Hotel è una parola grossa, diciamo che l’alternativa era la strada…
Roberta dopo il primo sguardo al giaciglio decide di dormire con la tuta di pelle. Io pure.
I diesel, solo odorati la sera precedente, ci svegliano molto presto o meglio lo fa il loro minimo bradicardico. Un paio di vecchissimi Dodge col muso e qualche trattore attendono di fare colazione alla pompa. Niente ressa invece intorno all’unico bagno dell’Hotel. Anche i più duri rinunciano.
Guardando il viso di Roberta scoppio in una risata alle lacrime.
“Perché mi quardi e ridi?” Mi chiede acida intuendo che il motivo di tanta ilarità è lei:
“Eh allora cos’ho che non va?”
“Dai, non fare così si vede che hai dormito non solo con la tuta ma anche anche con il sottocasco! Hai i segni delle cuciture stampati sul viso!”
“Si è vero, però tu hai dormito con gli stivali”
Confesso e ridiamo di cuore entrambi. E’ già una bella giornata.
Tuta Blu è nel bar dell’albergo che ci aspetta così come un’infinità di bicchierini di çai bollente che offre a tutti. Stamane ha un’andatura e un portamento migliori. Forse ieri non ero l’unico ad averci dato dentro con il raki.
Con gesti inequivocabili i presenti ci propongono di fare colazione. Formaggio di capra, pomodori, olive e cipolle in insalata. Ci sono anche delle piccole salsicce a forma di granata a frammentazione ma il colore rosso violento induce tutti ad un atteggiamento prudente. Visto il menu a molti il coraggio viene meno, altri ci provano. Così, almeno per l’alito, combatteremo ad armi quasi pari con i nativi.
Tutto sommato una Marlboro secca sarebbe stato un modo peggiore di iniziare la giornata.
Nel bar c’è aria di festa, non si può non apprezzare ciò che fanno e la carica di umana dignità che ci mettono. Hanno poco ma ce lo offrono tutto.
Tuta Blu freme: sta attendendo con impazienza che finiamo di fare colazione, si vede lontano un chilometro che ha voglia di darsi da fare nel suo ambito e il suo ambito sono i motori. E noi abbiamo un motore che non va.
A me Tuta Blu piace. La figura sa di nottate fumose passate a bestemmiare cercando una soluzione a problemi più grandi di lui, con l’imbuto dell’olio in una mano, lo spessimetro nell’altra e come colonna sonora un tornio che gira.“Honda, Honda, Honda” ripete e mima continuamente il gesto di avvitare e svitare con la chiave inglese. Punta a metterci le mani al più presto.
“Noo, non se ne parla neppure: quello la mia moto non la tocca, voi siete fuori come delle biglie, state scherzando: ho su meno di 10 000 chilometri, ma l’avete visto? Avete visto che razza di personaggio è?” Il palestrato è fuori, quasi incazzato.
“Senti, gli chiediamo solo in prestito l’officina, controlliamo noi l’impianto elettrico, guardiamo se arriva benza, insomma proviamo a capire cosa c’è che non va” propongo.
Anche le ragazze stanno facendo squadra, ormai siamo cinque contro uno ma il palestrato non molla.
“Senti, la moto è tua: dicci cosa vuoi che facciamo, ma sbrigati! Non possiamo stare qui tutta la vacanza”. Pigiamone, ritemprata dalla dormita, ha ripreso la sua solita verve e lo incalza.
“Vabbè, adesso telefono in Italia e sento cosa mi dicono. Ma che nessuno si azzardi a sfiorare la mia moto. Non vi voglio vedere vicini. Soprattutto quell’essere lì!”
Così il palestrato e pigiamone si avviano verso l’ufficio postale. Nel 1989 telefonare in Italia dalla dall’Anatolia non era impossibile: bastava avere tempo a disposizione. A noi non mancava.
“I go”
Purtroppo Tuta Blu ha capito di non essere gradito e con molta sobrietà si ritira. Ai più dispiace, proviamo a trattenerlo ma capiamo che talvolta gli atteggiamenti sono più esplicativi delle parole e lui di atteggiamenti ne ha già sopportati fin troppi. Se ne va salutando con un cenno del capo e dice qualcosa al barista.
Il conto per sei persone lo ha pagato lui.
La faccia di un Hondista in panne è uno spettacolo che vale la pena di essere vissuto.
E’ una maschera di disperazione ed impotenza, è l’espressione del tradimento subìto e consumato sotto i propri occhi. E’ l’impossibile che si materializza. Sono le chiacchere e la supponenza di un marchio, “del marchio”, che rimangono tali davanti all’evidenza dei fatti.
La voce di un Hondista in panne invece è una litania di:
“Io gli faccio causa, vedranno il mio legale…, scrivo a tutti i giornali, faccio un casino che…” con un crescendo che culmina con minacce incendiarie e assalti all’arma bianca alla povera incolpevole concessionaria. Al termine della telefonata scopriamo che la Europe Assistance in agosto effettivamente non può fare miracoli. Il tutto, sotto il sole turco, ha un che di comico.
Il Tosco-Ducati inizia a tranciare: “Siamo fermi, inchiodati qui da dalla tua moto… l’aiuto ti è stato offerto… adesso tocca a te. Spicciati perchè a me stanno iniziando a girare e ho una gran voglia di andarmene.”
“Ok diamogli un’occhiata.” Lo dice più per farci un piacere che altro. Ma ciò che infastidisce è l’aria di compatimento che mette nei nostri confronti.
I palestrato monta in sella. Una pressione al tasto Start fa girare il motorino d’avviamento ma il motore non parte. I soliti controlli di rito testimoniano che la benza arriva dove deve arrivare e la candela fa le sue brave scintille.
Togliamo i primi 2 tappi del coperchio valvole e riproviamo. Il motorino gira ma non succede nulla. Riproviamo e non succede nulla, ma proprio nulla. Io e il Tosco-Ducati ci guardiamo con gli occhi sfanalati fuori dalle orbite. Le valvole di scarico non si muovono! Tiriamo giù anche i tappi dietro e lì qualcosa di animato sembra esserci. Almeno abbiamo escluso che la distribuzione sia completamente andata.
“Allora cosa c’è?” Ci chiede con molta meno tracotanza di 5 minuti prima.
“C’è che siamo nella merda”, rispondo.
“Perchè?” Chiede decisamente incuriosito.
“Perchè i tuoi bei mazzi di valvole non valvolano più. Hai tritato il cammes. Qui non è più questione di ricambi o Europe Assistance: qui serve un meccanico coi maroni. Oppure un passaggio di sola andata fino all‘aeroporto di Ankara.” Rispondo così e il palestrato dà subito in escandescenze. Non lo reggo più.
“Non è possibile: è nuova! La dò dentro! Io il prossimo anno mi prendo il GS… appena arrivo a casa la vendo! Troverò pure un pirletta che vuole l’XL per fare le penne!” Il palestrato ha nuovamente cambiato atteggiamento.
Sembra che il suo culo immaginario sia già sul nuovo BMW e lo sfoggia con orgoglio. Io mi domando come ho fatto a partire con un personaggio così. L’Hondista deluso è solo un ricordo:è lanciato nei proclami di futura rivincita. E’ già un gran tifoso BMW.
Tosco-Ducati intanto ha fatto quattro passi verso l’officina. Tuta Blu è chino su un enorme diesel, è preso, sta lavorando e lo ignora. Lui rispettosamente staziona zitto sul portone e aspetta. Talvolta gli atteggiamenti valgono più di mille parole.
Ogni meccanico che si rispetti ha uno straccio in tasca, adesso Tuta Blu se lo passa sulle mani in modo ritmico, prima l’una poi l’altra, in piedi sotto il sole guarda muto l’Honda muta. Non capisco cosa stia pensando. Ho come il sospetto che l’occhio strabico sia dotato di strani poteri e che stia facendo una metallografia al motore.
Il suo pollice mima una nuova accensione, e il suo indice ne chiede una sola.
E’ serio, immobile, distaccato, labbra serrate che celano denti che non si vedono più. Non incrocia i nostri sguardi. Guarda solo dove c’è da guardare.
Lui sa
Lui ha capito
Lui sa fare
Nell’aria calda e immobile non dice nulla, l’imbarazzo nostro è palpabile. Abbiamo molto da farci perdonare. Spingiamo la moto nell’antro buio della sua officina e ci fa cenno di uscire. Lo lasciamo così accosciato di fianco alla moto, con lo straccio in mano. Non ci guarda, non ci vede, è già da un’altra parte.

Diligentemente uno alla volta riprendiamo le nostre posizioni al bar. Un nuovo giro di çai non richiesto è lì che ci aspetta, tanti altri ne seguiranno. Abbiamo tempo, tempo di imparare il backgammon e di insegnare il tresette, di parlare di Italia e di ascoltare di Turchia. Tempo, abbiamo tempo, non da far passare ma tempo per provare a conoscere.
E’ di nuovo mattina, ma stavolta non è il minimo cardiaco dei diesel Dodge che ci sveglia e nemmeno lo sferragliare di vecchi trattori.
Nell’aria solo sgasate lente e piene di un mono di grossa cubatura.
E trentadue denti che brillano in un antro buio.

Grazie Hazim.

Una mattina da guzzista

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Fabio ‘Nemokid’ Salvatori
Da dove si comincia quando si deve raccontare una storia? Beh dall’inizio direi, ma mica è facile scrivere una storia per Anima Guzzista, un sito fatto di poeti con i cilindri a V. Vabbè ci provo, dài.

C’era una volta un ragazzo come tanti, proprio uno qualunque, capelli normali, occhiali, insomma uno di quelli che quando si presenta ti dimentichi il suo nome mentre lo dice. Questo ragazzo dopo 28 anni di vita e uno di matrimonio decide di comprarsi una moto. Cerca che ti cerca, soppesa il portafoglio (piuttosto leggero) e alla fine se n’esce con una moto economica e onesta: una Kawasaki ER-5, la prima usata è stata una sfiga terribile, al secondo tentativo dopo pochi mesi con una nuova invece è andata bene.
Come dicevo questo ragazzo un giorno, parlando di motori diesel su un forum ti finisce su un sito, tal “Anima Guzzista” a leggere l’intervista di un certo Carcano che parlava di motori diesel e di Moto Guzzi. Moto Guzzi … mah, cosa saranno mai ‘ste Moto Guzzi che hanno perfino un’anima, come possono due ruote e un po’ d’acciaio avere un’anima? Spinto dalla curiosità, gira di qui naviga di là, comincia a scoprire un mondo sconosciuto, fatto di uomini e moto con una lunga storia tanto che ad un certo punto decide pure di aggiungerci la sua di storia anche se di Guzzi in vita sua non ne aveva toccata nemmeno una.

Fu così che dopo mesi passati a leggere le innumerevoli storie dei prodi guzzisti, i racconti delle leggendarie gesta di questi centauri e aver riempito l’hard disk di foto il nostro giovane capitò ad una fiera in una grande città. Dovete sapere cari bambini (ehm, mi sono fatto prendere un attimo la mano) che questo ragazzo da sempre ama le moto nude, spoglie, essenziali, leggere e cattive, pure un po’ sportive magari anche se lui non le sa guidare sul serio.

Beh come vi dicevo a questa fiera il nostro eroe si avvicina per la prima volta dal vero a queste leggendarie moto; ne aveva già incontrata qualcuna di sfuggita e, grazie ad internet, ormai conosceva tutti i dettagli di ogni moto quasi a memoria però, purtroppo, non le aveva mai toccate, non le aveva mai abbracciate. Così, con fare timoroso, comincia ad avvicinarsi prima a quelle più sportive, quelle nude e cattive con quei cilindroni a V, il serbatoio lungo e le marmitte grosse.
Cercando di nascondere l’emozione, sale in sella, allunga le mani sul manubrio … eeeee…

… strano, qualcosa non va!
Non capisce bene cosa ma qualcosa proprio non va; è la stessa sensazione che si prova ad indossare una di quelle giacche che proprio non ti stanno, e per quanto le giri e le tiri non c’è niente da fare, ti guardi e sembri un pirla. Ecco lui si sente così; le gambe che non sanno dove stare, il busto che soffre, insomma si sente fuori posto.

Triste il nostro ragazzo scende da quegli animali possenti, sentendosi respinto e quasi per dispetto, per ripicca nei loro confronti si avvicina all’altra (in quel momento era ancora l’altra), una moto strana, più lunga, più comoda, con quel color argento satinato ed un nome che evoca spiagge lontane e metalli leggeri. Si siede quasi con sufficienza gettando sguardi nervosi alla sportiva che non lo voleva e, come per magia, si sente assorbire, rapire da un mondo che non conosceva, e le gambe trovano il loro posto da sole, le mani cercano il manubrio e d’improvviso sente il rumore dell’asfalto che scorre veloce e tramonti che ti aspettano ad un orizzonte che si sposta sempre più in là.

E questi moscerini che ti colpiscono, sempre più grossi … ma che moscerini sono per dare botte del genere …
ahi …

… è solo un sogno, altro che tramonti e moscerini, è il suo compare che lo schiaffeggia allegramente per farlo scendere, che non si può stare tutto il giorno seduti li, non sta bene …

Che fatica scendere e tornare a casa dalla sua Kawa gialla, certo lei lo aveva sempre trattato con rispetto, mai un problema o una lamentela e in fondo era anche bella nella sua semplicità, ma l’altra, l’altra gli fa battere il cuore.

Così che per la prima volta in vita sua (beh forse non proprio la prima, dai) il nostro ragazzo fa una follia, si registra per una prova su strada della moto dei suoi sogni. Cioè mica bruscolini, mai guidato niente fino a 28 anni salvo il Garelli del nonno per qualche mese e così all’improvviso decide di provare una cavalcatura di acciaio di 250 kg. Ci vuole coraggio, mica cazzi.

Il giorno della prova si alza presto. E’ nervoso, sente nella pancia quella sensazione come quando stava per baciare per la prima volta la sua ragazza (poi fidanzata e quindi moglie, in continua evoluzione). Porta la moglie al lavoro, sbriga qualche faccenda domestica ma la sua mente è già altrove, è già per strada, sta già correndo verso i monti.
Finalmente è il momento; giubbotto, caschi, guanti.
La fida cavalcatura con cui divide gioie e paure da un po’ si accende subito, senza problemi. Lei sa dove sta andando ma capisce, non si lamenta, sa che al cuore non si comanda.

Partenza! Il ragazzo parte felice, passa a prendere prima un amico con una vecchia cugina del suo sogno, un V35 piccolo ma con un rumore che al confronto la sua parla sottovoce, poi un altro amico con una cosa giapponese che fischia dalla marmitta e via. Sbagliano strada e fanno 20 km in più ma non importa, è bello correre fra le montagne e quando finalmente trovano la strada giusta si lanciano decisi verso la meta. Terza, seconda e via tutte le curve a salire (la sua fedele cavalcatura ha bisogno di cantare sempre a voce alta per dare il meglio) fino in cima.

Finalmente si arriva, il primo turno è perso ma nel secondo turno lei è libera.
“Dove devo firmare?”
“Qui, sì sì, firmo tutto quello che vuoi!”
Via tutte le formalità lei deve essere sua.

Arrivano le moto e lei è li, grande, muscolosa, sinuosa, dolce e cattiva allo stesso tempo, tenera e bastarda come solo una donna può essere. Il nostro prode eroe (ehm, licenza poetica …) ci sale sopra, con calma, cerca e trova la giusta posizione, la pancia trema sempre di più eppure la moto è ancora spenta.
Inforca il casco, gira la chiave con un po’ di fatica, l’emozione fa tremare le mani, e lei si accende con un tremito e comincia a pulsare, lenta e costante, e il tuo cuore si adegua perché è lei che da il ritmo.
Le manopole sono un po’ grosse, le leve dure ma non importa: si parte. All’inizio è spaventato, chissà come sarà pesante!
“E questo cambio, come si usa questa leva così strana?”
Le prime curve, le prime accelerate e subito senti che spinge, non importa in che marcia sei, cosa stai facendo: tu chiedi e lei risponde, sempre generosa, forte. E il peso lentamente scompare, la strada diventa facile, le curve si fanno mangiare, si raddrizzano al suo cospetto e quando la strada si allarga e giri la manopola dell’acceleratore l’asfalto comincia a scorrere veloce, l’aria ti accarezza, anche troppo, meglio non esagerare, l’esperienza è poca e non vuoi farle del male.

Il tempo, i km, i paesi, le curve … tutto passa veloce!

“quanto tempo è passato?”
“Già, così tanto?”
“Come ora potete scambiarvi le moto?”
“Ma lei è mia, e di nessun altro, me lo ha detto lei. ”
“Non mi credete? Devo salire su quell’altra? Sicuri?”

La accarezza mentre scende, la guarda come a dire “non ti preoccupare, non potranno dividerci” mentre sale su una cugina più piccola, più sbarazzina.
Lei soffre, gli manca già il suo cavaliere infatti con il nuovo ospite si rifiuta di accendersi, ma dopo un po’ deve cedere, è li per quello.
E allora il nostro amico riparte, con una nuova cavalcatura più agile, con meno motore, meno vibrazioni ma divertente, si beve le curve, il motore sale bene, pulito, regolare. Si lascia buttare a destra e a sinistra ubbedendo fedele, l’ultima salita, dove la sua fedele compagna di tutti i giorni doveva usare tante marce, la fa tutta con la stessa marcia, dai 2000 ai 6000 giri senza paura e via su fino in cima.

E’ finita, lo sapeva che sarebbe finita. Era solo una prova, un assaggio, niente di più. Lei è li per questo, altri saliranno, altri rimarranno stregati, qualcuno non la capirà ma lei lo sa, è qui per questo per insegnare che ci sono tanti modi di andare in moto e il suo è fatto di cuore, di ritmo, di sensazioni forti ma dolci.

Il ragazzo deve andare: la vita, quella vera lo aspetta ai piedi del monte, dall’altra parte del fiume sacro alla patria. Ci torna con la sua moto, che non è come lei, non corre come lei, non ha un cuore che batte come il suo ma che in fondo gli vuole bene e lo porta in giro fedele e anche se a volte fa fatica va avanti lo stesso.

Chissà se il ragazzo potrà realizzare il suo sogno un giorno; come tutti i sogni di questo mondo anche questo ha il suo prezzo. Per ora si tiene il suo sogno ed una foto che conserverà, come si conservano le foto di quegli amori estivi che durano poco forse ma che non si scordano mai.

 

Con tutti questi inconvenienti, alla fine di questa prima giornata nel Sahara abbiamo percorso solo un terzo del tragitto. Mangiamo qualcosa e ci sdraiamo sfiniti dentro ai sacchi a pelo, addormentandoci sotto il chiarore delle stelle.
E’ mattino, ci svegliamo coperti dallandello”. A questo punto bisognava festeggiare, e così, insieme alla gente che ci ha soccorso, siamo andati al vicino villaggio di Seyumojock ed abbiamo offerto loro da bere.
Le mie impressioni

California Aluminium

Poichè non ho mai scritto la recensione di una moto improvviserò, abbiate quindi un po’ di pazienza se il mio approcio risulterà un po’ confuso e poco razionale.
Dal punto di vista estetico la California mi piace troppo, le linee sinuose e allo stesso tempo muscolose, il mix fra la forza espressa dal motore e la tranquillità espressa dalla linea cruiser.
Poichè però a me piacciono le moto nude, essenziali e sportive non tutte le California mi piaciono allo stesso modo. La EV non mi piace, troppo americana, troppe cromature, troppo insomma.
La Aluminium/Titanium mi piace molto: in particolare per il manubrio dritto, per il colore satinato, per il cupolino della Titanium, apprezzo il doppio disco anteriore e la frenata integrale. Non mi piacciono invece i comandi a pedale troppo da custom (troppo grossi), il parafango posteriore troppo avvolgente, le teste dorate.
La Stone è la più essenziale e per questo è forse quella che preferisco, mi piace la pulizia delle linee, la mancanza di orpelli, la grafica del serbatoio (amo il grigio con la banda nera centrale).
Ci farei però alcune modifiche: manubrio e cupolino stile Titanium, doppio freno a disco e accorcerei il parafango posteriore rendendola un po’ più cattiva, e ci monterei la strumentazione della Titanium che mi piace di più.
Diciamo che (a parte il monosella che non mi piace) la farei assomigliare un po’ alla Todd’s Jackal di questo sito (soprattutto l’anteriore) Ma torniamo alla mia prova.
Per quanto riguarda la guida inizialmente ho avuto un po’ di problemi con le leve a pedale e con le manopole.
Le manopole le ho trovate grosse e con i guanti facevo un po’ fatica a gestire in scioltezza i pulsanti delle frecce, mi dava la sensazione di non avere la presa salda; col tempo la sensazione è diminuita ma le trovo comunque un po’ grosse.
Le leve di freno e frizione non mi sono piaciute, quella del freno è grossa e scomoda, dovevo alzare il piede ogni volta che dovevo frenare e abituato al minuscolo pedale della mia ogni tanto mi sono trovato in difficoltà. Per quanto riguarda il cambio non avevo mai provato una moto (d’altronde ho praticamente guidato solo la mia) con il cambio a bilanciere, all’inizio cercavo di fare tutto con la punta del piede e mi sono incasinato un po’ di volte, poi ho cominciato ad usare il tallone e la situazione è decisamente migliorata anche se ho fatto troppo poca strada per prenderci mano, anzi piede.
Ho trovato scomodo da alzare e abbassare il cavalletto laterale ma forse è solo questione di abitudine.
Il motore è fantastico, in qualunque marcia fossi bastava accelerare e lui andava, non ho mai girato completamente la leva dell’acceleratore perchè, essendo la prima volta che salivo su una moto di questa cilindrata, ero un po’ timoroso; comunque la spinta è notevole ma mai incontrollabile (per un neofita come me intendo).
Le vibrazione ci sono, inutile negarlo, ma ho fatto troppo poca strada per valutare se sono fastidiose, sicuramente diminuiscono l’efficienza degli specchietti retrovisori.
La posizione in sella è buona anche se all’inizio ho fatto un po’ fatica a capire come tenere le gambe, ho avuto la sensazione che le pedane fossero troppo centrali, cioè le avrei preferite o più indietro (infatti ho guidato tenendo quasi sempre le punte dei piedi sulle pedane) o al limite più avanti, con gambe più distese. Nessun problema di interferenza coi cilindri.
Le cose che più mi spaventavano erano peso e dimensioni, si tratta comunque di una moto che pesa 70kg più della mia, nemmeno con il passeggero arrivo al peso di quella moto da sola e a serbatoio vuoto. E’ stata quindi una sorpresa scoprire dopo pochi metri che superati i 5 km/h (in pratica appena la moto è in movimento) la moto sembra perdere peso, diventa molto maneggevole, certo non si può buttare qui e là come la mia, però non oppone resistenza nei cambi di direzione e riuscivo a stare dietro (fatti salvi i miei limiti di guida) al resto del gruppo con le varie V11. Inoltre la frenata integrale, che comunque ho sfruttato poco essendo abituato a frenare molto di più con l’anteriore, ha fatto si che nonostante la mole per me non abituale, non mi sia mai trovato in difficoltà su nessuna curva (vero è che non abbiamo fatto tornanti particolarmente stretti).
La cosa più bella però è la sensazione che da correre con una moto così (qui entriamo naturalmente in opinioni ancora più personali delle precedenti, poichè immagino che ogni tipo di moto dia un’emozione particolare ma unica), la posizione seduta, col busto eretto, la sensazione di avere sempre motore da spendere e andare sentendosi l’aria addosso mentre il paesaggio (bellissima la zona del Monte Grappa) ti scorre attorno.
Quando ho visto un lungo pezzo di rettilineo leggermente in discesa in mezzo agli alberi e ho girato l’acceleratore con un po’ più di tranquillità mi è sembrato di trovarmi in una delle highway che portano a verso le cascate del Niagara. Insomma la California ha un forte potere evocativo su chi guida.
Concludendo la moto mi è piaciuta un sacco, nella mia breve carriera motociclistica ho capito che il motore giusto per me (ribadisco: per me, onde evitare diatribe) ha le caratteristiche di questi due cilindri a V (mi riferisco a cavalli, coppia e regime) e con mio grande stupore mi sono reso conto di apprezzare questo tipo di moto (custom/cruiser) che fino ad oggi avevo sempre scartato a priori (al salone di Milano ho persino provato a salire su tutte le Harley).
Non so se la comprerò, sicuramente non ora, le mie finanze non mi permettono di spendere tali cifre per una moto, e quando avrò i soldi magari qualche altra moto mi avrà conquistato, però per ora rimane la moto che sogno, soprattutto con le modifiche di cui parlavo prima.
Breva

Nello stesso giorno ho provato pure la Breva (troppa grazia signore).
Altro mondo rispetto alla California, sicuramente molto più vicino alle mie abitudini provenendo io da una ER-5, moto quindi simile per dimensioni e prestazioni.
La moto mi è sembrata piccolissima e leggerissima, persino più della mia anche se la sensazione credo fosse dovuta al fatto che ero appena sceso dal California. Le manopole mi sembravano perfino troppo piccole.
La posizione di sella è molto buona, la sella forse è leggermente più stretta della mia quindi agevola l’appoggio a terra dei piedi. La distanza sella/manubrio consente una postura molto naturale che da la sensazione di controllare bene la moto, le pedane sono ben distanziate ed i cilindri che sporgono sono affascinanti ma non interferiscono in alcun modo con le gambe che si inseriscono bene nei fianchi del serbatoio (io sono 1.80).
La moto è rossa ed è molto bella, ha una linea molto snella ma allo stesso tempo personale, personalmente mi ricorda un po’ la Bulldog (infatti entrambe le trovo stilisticamente ben riuscite) ma è decisamente più snella.
Di negativo noto la mancanza del cavalletto centrale, dell’indicatore della benzina e delle leve non regolabili; tutte cose a cui sono abituato e che, in una moto che costa 3000 euro in più, onestamente mi sarei aspettato (a dire il vero, le leve regolabili la Kawasaki è una delle poche a metterle su quasi tutte le moto).
Anche il cruscotto poteva essere più bello secondo me, così è un po’ plasticoso. In compenso tutto il resto trasmette un’eleganza e una sensazione di “buona progettazione” superiore alla mia (che comunque secondo me del lotto delle 500 economiche è ancora la più bella), e poi si nota che è un progetto stilisticamente 15 anni più giovane.
Ma veniamo alla guida che parlando di mezzi di trasporto è forse l’aspetto che più ci interessa, ero molto curioso di scoprire l’effetto di 250cc in più su una moto leggera come la mia. Beh la differenza si sente, eccome, non tanto in termini di prestazioni che sono praticamente uguali ma in termini di facilità di guida, dove la mia deve scalare con la Breva non serve.
Il motore è reattivo da subito, si può salire tranquillamente in quarta passando dai 2000 ai 7000 giri senza problemi senza andare mai in crisi di motore (la stessa salita con la mia per tenere il ritmo l’ho dovuta fare passando continuamente da terza a quarta). Inoltre per chi come me non è molto pratico un motore del genere risulta molto più intuitivo, infatti, pur avendo una potenza simile, per avere la stessa spinta il motore della Kawasaki va tenuto sopra i 5000 giri che, quando sei concentrato nel fare tornanti (e magari hai pure il passeggero), può diventare un problema se non sei esperto poichè quando rallenti prima del tornante non hai la prontezza di spirito di tenere sempre il motore su di giri così ti pianti a 2/3000 giri con la moto che non vuol saperne di salire. Con la Breva invece tenere il ritmo è più facile, si cambia meno e si può sfruttare meglio il motore concentrandosi di più sulla traiettoria da seguire che sul regime del motore, tanto la moto risponde sempre.
Per quanto riguarda la guidabilità effettivamente sembra più maneggevole della mia, credo dipenda da un telaio più bilanciato e da una migliore distribuzione dei pesi per cui la Breva sembra più facile da far piegare (forse dipende anche dal fatto che la moto non era mia quindi qualche rischio in più potevo prendermelo), nei limiti delle mie capacità si intende.
Mi ha un po’ deluso il reparto freni. Frena come la mia che in quanto a freni sulla carta non può certo essere giudicata un esempio da seguire (disco piccolo davanti e tamburo dietro), gli spazi e la potenza dei freni sembrano gli stessi (almeno alla velocità a cui andavo), l’unica differenza l’ho notata nella resistenza alla sollecitazione; nella mia il tamburo dietro dopo un po’ si stanca di lavorare e l’escursione della leva si allunga sensibilmente.
Il cambio funziona bene anche se in questo particolare devo dire che la Kawa è un po’ migliore, l’escursione delle leva della Breva è più lunga ed gli innesti un po’ più rumorosi. La precisione invece è buona anche se qualche volta mi sono ritrovato in folle senza volerlo (è proprio necessario avere la folle in mezzo a ogni marcia?).
Concludendo si tratta di una moto molto godibible e usabile soprattutto per chi come me non è ancora un motociclista provetto, questo grazie alle notevole elasticità del motore e alla quantità di cavalli; sufficienti per divertirsi e troppo pochi per metterti in crisi. L’ottimo telaio e la distribuzione dei pesi fa sì che la moto sia molto intuitiva da guidare.
Personalmente la trovo molto bella, nettamente superiore alla media delle moto nude di media cilindrata (i gusti si sa sono sempre personali comunque).
Onestamente però a fronte della differenza di prezzo rispetto alla mia moto (per alcune cose comprensibile: telaio, linea, iniezione, catalizzatore) mi sarei aspettato un po’ di più soprattutto dall’impianto frenante e da alcuni dettagli (cavalletto centrale, indicatore benzina, leve regolabili), stiamo sempre parlando di quasi 300 euro di listino di differenza.
In ogni caso avendo i soldi io l’avrei presa a prescindere dal discorso prezzo/prestazioni/dotazione, solo che non avendo proprio i soldi il discorso non si pone. Comunque visto gli obiettivi di vendita (sia quelli previsti che quelli raggiunti) non credo che la mancanza degli acquirenti come me sia un gran problema.

Un Viaggio Odissea

0

Traversata delle tre Americhe in moto

di Claudio Giovenzana

 

UN VIAGGIO ODISSEA

Il punto della situazione, quasi due anni di viaggio e 40.000 km di strade che hanno offerto molto più di curve e panorami. Lungo la strada che conduce alle coste dove le tartarughe depongono le uova racconto le emozioni e i cambiamenti di una vita si rinnova km per km a cavallo della mia inseparabile Guzzi.
Certi viaggi cambiano la vita, è un fatto, posso con certezza dire che è il fatto degli ultimi due anni della mia vita. John Steinbeck diceva che non è l’uomo a fare il viaggio ma il viaggio a fare l’uomo. Mai più che ora capisco il senso di questa frase. Dopo una lunga collaborazione con Euromoto ci siamo sentiti di condividere con voi lettori alcuni aspetti più intimi e avventurosi di questo viaggio che continuo e sperimento nelle sue mille trasformazioni. Se lo volessi quantificare in un modo spartano potrei dire che dura da 40.000 km ma questa volta voglio abbandonare le tabelle di marcia e parlarvi invece di alcune delle 40.000 esperienze vissute e delle 40.000 storie di persone incontrate, amate, perdute o ritrovate.
In un viaggio di lungo raggio il “km” perde di efficacia come unità di misura. Le esperienze e le persone incontrate diventano il nuovo sistema metrico per raccontare, condividere e ripercorrere la storia e la strada fatta. Sono il sale del viaggio e questo viaggio è come fosse mio figlio. Come tale non posso parlarvi di lui solo in km di paesaggi e città, c’è un amore nascosto che scappa dalle tabelle chilometriche e che per forza devo raccontarvi.
Noi viaggiatori motociclisti abbiamo il privilegio di cavalcare un mezzo costituzionalmente aperto al mondo, esposto all’aria, al sole e purtroppo anche alla pioggia. Abbiamo scelto un mezzo che si infila in ogni dove, quasi come una bicicletta, un mezzo che poco ingombra il paesaggio, che appare costruito per l’avventura e che ricorda lontanamente quell’andare fiero e avventuroso dei cavalieri medievali. Usare una moto per andare solo dal punto A al punto B vuole dire viaggiare per il mero gusto di arrivare. Invece proprio tra due punti geografici, la partenza e l’arrivo, noi motociclisti e viaggiatori viviamo la nostra quinta essenza: il piacere legato alla guida, il godimento del paesaggio, la sensazione di sentire sulla pelle i cinque elementi della madre natura e l’entusiasmo dell’incontro, quell’incontro magico con persone e culture che può scardinare i pilastri che reggono il modo di concepire la vita. Quando il viaggio diventa lo stile del vivere, come nel mio caso, nel proprio itinerario arrivano curve improvvise da affrontare. Queste curve inaspettate sono innamoramenti, fughe e ritorni, lavori provvisori, espedienti per sopravvivere, volontariato e nuovi tentativi di costruirsi una professione.
Un giorno un famoso giornalista e scrittore, Paolo Rumiz, mi ha detto: “i luoghi sono sempre quelli per tutti i turisti ma le persone no, quelle le incontri solo tu nel tuo cammino”. Così km dopo km in motocicletta ho raccolto le storie di alcune di questi viandanti che ho avuto la fortuna di incontrare. Storie intense piene di lezioni di vita, piene di una meravigliosa forza lanciate all’ inseguimento della felicità, dell’amore, dell’amicizia o della saggezza. Storie che mi sono appuntato in una rubrica che ho chiamato “L’anima del mondo”.
Con la penna, la macchina fotografica e la videocamera ho tessuto una rete per catturare la bellezza delle storie delle genti e dei loro luoghi per poterle poi raccontare su internet e sulle riviste. Ho realizzato una serie fotografica chiamata “i sogni del mondo” che presto esporrò in alcune città del Messico. Trattasi di fotografie di persone che abbracciano quell’orsacchiotto che spesso avete visto nei miei articoli apparsi su Euromoto. Orso che è simbolo dell’innocenza e della forza che appartiene all’atto di sognare, quel compagno di quando eravamo bambini, custode dei segreti e testimone dei desideri. Accanto a ogni foto viene scritto il più grande desiderio che la persona fotografata ha avuto nella sua vita. Il Governo dello Stato messicano di San Luis Potosì ha notato il mio lavoro e mi ha proposto di collaborare con un team che aiuta comunità indigene di Trikis e Mixtecos a integrarsi alla popolazione superando barriere culturali. Lavorerò prima come psicologo di gruppo (questa è la mia prima professione) e poi come fotografo immortalando sogni e desideri per avvicinare queste culture indigene alle città di cui sono satellite.
Un branca della National Geographic, la NatGeoAdventure al contempo mi ha riconosciuto come reporter e grazie a questa credenziale posso presentarmi con tutti gli onori di un fotografo di livello facilitandomi così il lavoro, l’accesso a siti ristretti e l’accoglienza di certe istituzioni.

Quante strade deve percorrere un uomo prima che possa chiamarsi uomo? Questa è la domanda che Bob Dylan cantava in Blowing in the Wind. Per lui la risposta era “soffiata nel vento” per me invece la risposta è proprio nelle mille strade che sto percorrendo con la mia moto per potermi un giorno chiamare Uomo nel suo senso più completo e meraviglioso. Vorrei condividere con voi questo esubero di intimità, di avventura e di esperienza unica che, anche se non appartiene all’itinerario geografico in senso stretto, sta segnando l’itinerario nuovo della mia vita e il mio stile di andare in motocicletta.

VERSO LE TARTARUGHE
Iguala – Chilpancingo 160 km

Tanto vi ho raccontato del Messico e tanto ancora vi racconterò perché sembra che con questa terra non abbia chiuso affatto nonostante sia passato più di un anno esplorandola.
Se togliessimo dalla mappa l’enorme Città del Messico avremmo davanti agli occhi un paese con lo stesso numero di cittadini dell’Italia ma in uno spazio 5 volte più grande. Il paese con il più alto grado di biodiversità del pianeta. L’ho vissuto nelle case della gente e nelle fragili tele della mia tenda. Dopo notti nelle montagne, nei vulcani, nella giungla e nel deserto ho voluto spingermi questa volta verso le coste dello stato di Oaxaca. Coste misconosciute dagli italiani che visitano il 99% delle volte quelle dello Yucatan più a Nord.
Ho preso la moto e viaggiato cercando le spiagge vicino alla famosa Puerto Escondido e cercando di raggiungere la mia bella messicana che stava facendo volontariato al Centro Messicano della Tartaruga in uno di questi angoli di paradiso. Questo centro è una importante istituzione per salvaguardare una delle più antiche creature del mondo che fino agli anni 90 è stata massacrata talvolta persino in 3000 esemplari al giorno ed oggi è invece protetta con grandi sforzi contro il contrabbando e contro la ignoranza culturale in materia ecologica che affligge il Paese.

600 km da Iguala a Pinotepa Nacional su strade tortuose da percorrere con il coltello tra i denti e l’occhio vigile sugli asfalti ingloriosi e bastardi che in alcune tratte diventano trappole o pessime sorprese.
Parto da Iguala nello Stato di Guerrero, una area geografica che di giorno diventa fornace, qui i venti non riescono a spingere via la calura della terra secchissima. Questo è un anticipo dello scotto che avrò da pagare sulla costa con i suoi 35 38 gradi all’ombra. Sono in una specie di valle desertica circondata da montagne che scorre lenta per 120 km sino a toccare le pendici della Sierra. La moto sembra non soffrire come me il caldo cocente, forse perché a 100 all’ora il motore riposa sornione sui suoi 3000 giri al minuto, 3000 sbadigli contro i miei 3000 sospiri di fatica. Alla fine della piana la strada inizia a curvare e innalzarsi sulle alture della Sierra Madre.

CAVALCANDO LA SIERRA
Chilpancingo – Tierra Colorada 120 km

Raggiungo le montagne che sono la salvezza da quel torrido clima che affligge gli abitanti degli altipiani centrali. Mi preparo a un giostra di curve che mi portano in vetta a quasi 2800 metri sul livello del mare. Il Guzzi procede bene e il Toporso, l’orsacchiotto, è legato al posto del passeggero con indosso il casco che userà la mia compagna dopo il mio arrivo. L’arido deserto ormai è un ricordo dimenticato nei retrovisori, le nuove stradine scappano come fuggiasche tra i tronchi resinosi dei pini. Le narici succhiano più aria dei pistoni, la guzzi carica di brio la marcia ma nelle curve a medio raggio si scompone come un cane che sbanda con il sedere. Mi fermo e precarico le molle afflosciate sotto il peso del tempo e dei bagagli. Riprendo come un fulmine, sono felice, apro la bocca e sento l’aria fresca gonfiarmela come un paracadute, sto cavalcando la Sierra Madre. Mi lancio sull’altro versante, quello che discende verso il mare.
Direzione Acapulco ma prenderò prima possibile la deviazione verso Pinotepa Nacional, a suo tempo conoscerò anche la famosa Acapulco ma per adesso non sono attratto da una città scoppiata di turismo e traffico.

IL RESPIRO DEL MARE
Tierra Colorada – Pinotepa Nacional 290 km

I gradi aumentano, ritorna la fornace e mi inghiotte un calore che non mi toglierò più di dosso nelle varie settimane in cui vivrò sulla costa. Divento un gavettone di sudore alla guida di un ferro da stiro bollente, l’erogazione della moto cambia di nuovo. Spalancando inizio a sentire i colpetti in testa che un bicilindrico raffreddato ad aria non può non fare in certe condizioni atmosferiche. Ingrasso la carburazione perchè la vecchia centralina modello “Fiat punto” che monta questo modello mi offre una graditissima vite per ingrassare e smagrire. Le Guzzi moderne qui sarebbero castrate dalle norme Euro 4 che esigono miscele asciutte le quali scaldano i cilindri come tizzoni ardenti.
E’ sera, il caldo da tregua, raggiungo la strada costiera fastidiosamente scomposta che però porta il nobile nome di Panamericana, qui in Messico contrassegnata come la numero 200. La Panamericana è una enorme via di transito lunga tutto il continente che corre a lato delle dorsali montuose che assieme fanno la “colonna vertebrale” del continente Americano.
Mi si stringe lo stomaco pensando che oltre il mio orizzonte, più in là del cielo che vedo la terra continua per decine di migliaia di km sino a sparire negli abissi dopo l’ Argentina. Provo la stessa sensazione di infinito di quando iniziai il viaggio, il senso del movimento perpetuo e la percezione di una terra che ha sempre da offrirti distanze da percorrere. Fa notte, mi fermo a una Taqueria dove una signora dai tratti mascolini con la spossatezza del calore diurno mi recita il menu. Scelgo uno yogurt e la colgo di sorpresa, non ne ha più così manda la figlia che corre a comprarlo. Finisco di mangiare ed avanzo umilmente la richiesta di poter piantare la tenda dentro il recinto polveroso che delimita la sua proprietà separandola dalla strada.
Sono poche le luci delle case che sfidano il brillare delle stelle, la natura intorno a me, le palme lontane e le vicine spiagge sono amiche della volta celeste e lasciano la via latea esprimersi sopra la mia testa. La luna fa giochi di luce con l’esigua carrozzeria della guzzi, i miei occhi si coricano infilandosi sotto le palpebre e sento ancora i ticchettii dei cilindri che si raffreddano.
Domani arriverò nel paradiso delle tartarughe: spiagge chilometriche create ed erose dalle acque del pacifico, battute dai venti tropicali ed abitate da iguana, granchi, cani selvatici e qualche uomo nella sua capanna dal tetto di paglia. Conoscerò un italiano-sciamano e un pittore famoso ritirati nei loro piccoli paradisi discreti e nascosti. Diventerò il fotografo ufficiale del Centro Messicano della Tartaruga, in prima linea per riprendere la vita delle creature marine più antiche e indifese del pianeta. Questo e altro nel prossimo numero.

Lo spirito di Mandello

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Paolo Miolo

 

“Si va bene, partiamo alle 8 domattina, mi faccio trovare pronta non ti preoccupare. Si lo so l’Irlanda è lontana e il traghetto non ci aspetta”

 

Sono le 3 del pomeriggio, partiti da mezz’ora e il Le Mans va a uno.

 

Adesso siamo all’Autogrill: tutto il bagaglio sparso in giro, la pelle della tuta tutt’uno con le palle. Ci saranno 40 gradi, ho voglia di bestemmiare, Roberta rompe e insinua qualcosa sulle Guzzi (a lei sono sempre piaciute le BMW) capisce che è meglio squagliarsi e coglie il latrato che le suggerisce di andare a cercarsi aria condizionata e Fattoria e di farsi vedere solo quando sentirà il 2 in 1. Si perché lo sentirà a costo di scardinare tutti i cofani delle auto per trovare ciò che mi serve.

 

C’è una rabbia sorda, qualcosa di davvero cattivo che sta montando. Devo stare da solo. Al massimo accetto la compagnia di un sigaro. Accendo e i primi puff mi fanno bene.

 

Dopo il pieno si avvicinano 4 enduromontati del tipo “quest’anno mi faccio le vacanze in moto” si vede da come avevano piazzato il bagaglio e, con sorridente gentilezza, uno di loro chiede:

“Ehi serve aiuto?“

“No, grazie è tutto a posto” rispondo, per la verità forse in modo un po’ troppo asciutto.

Ecco adesso lo dice, lo so che lo dice, non farlo tipo, non oggi, oggi non è aria. Oggi non voglio motociclistica solidarietà, non voglio commenti, per piacere non dirlo. Taci se puoi.

 

“Certo che le Guzzi ne hanno sempre una.”

 

L’ha detto.

Parte il primo morso al sigaro che prende anche il labbro inferiore.

Hai sentito che lo ha detto? lo sapevi che lo diceva, adesso cosa gli facciamo? Lo sodomizziamo davanti ai suoi amici? Gli buttiamo in faccia il serbatoio aperto e appena smontato e gli spegniamo in mezzo alla fronte il Davidoff mezzo fumato e mezzo masticato?

Troppo semplice, decidiamo di ignorarlo. Abbiamo un problema da risolvere.

Cavalletto, scende dalla moto, si avvicina, si accende una sigaretta.

Attento amico, il serbatoio è sempre aperto e smontato e, se sei tu a fumare, non sarebbe nemmeno omicidio colposo. Sarebbe solo un incidente. Grave, ma solo un incidente.

 

“Hai visto perde olio da dietro.”

 

E’ sempre più difficile ignorarti, io non ti conosco, non voglio parlare con te, io e il mio Le Mans vogliamo solo risolvere il nostro problema e ripartire. Abbiamo bisogno di calma, non è il mio lavoro, devo ragionare e fumare, fumare e masticare. Maledizione a me non resisto e rispondo.

“Non è nulla è un piccolo trafilaggio dal paraolio della coppia conica”

Cretino! Te le vai a cercare, prima i bagagli sparsi nel parcheggio, chiaro indizio che qualcosa non va, adesso gli hai anche risposto. Lo sai che non aspettava altro. Adesso chiamerà gli amici, fino a quel momento defilati, per dare inizio al teatrino…

“ Eh sì! Tutte le Guzzi perdono olio, a un mio amico che ne aveva una gli è successo che…”

 

Io lo strangolo con il ricambio della frizione, Dio del cielo chiama a raccolta tutti i Santi e Beati del Paradiso mettetemi una mano sulla testa e l’altra sul cacciavite, fate in modo che risolva questo problema e possa ripartire. Date a questo essere la possibilità di salvarsi, ditegli che se ne deve andare. Mandategli un segno.

Ma il nostro problema rimane lì.

Allora mumble mumble… ricapitoliamo la benza arriva, la corrente no. O meglio alla candela destra non arriva. A sinistra tutto bene. Abbiamo fatto un passo avanti. Inizio a vedere un po’ di luce. La speranza di venirne fuori si sta facendo strada.

“Dove state andando?”

“Irlanda. Abbiamo il traghetto domattina presto”

“E come fate? Avete un sacco di strada da fare, se la moto non va non farete mai in tempo”

Lo odio e lo guardo per la prima volta. E’ giovane, lo guardo con attenzione e ci vedo una faccia da pirla niente male.

Due strade: gli pianto il cacciavite nel cuore e contemporaneamente applico una torsione al polso in modo da provocare una ferita definitiva o impartisco le prime lezioni di Guzzismo.

Come prima optiamo per la soluzione più complicata.

 

“Le Guzzi hanno tanti difetti ma con un po’ di passione e pazienza ti portano ovunque. Questi motori parlano italiano. Quando c’è qualcosa che non va è più facile capirsi.”

 

Intanto monto la candela di scorta sulla pipetta …

“Ma ti sei portato anche la candela di scorta?”

“Due.”

Avvicino la candela al coperchio delle valvole, mi raccomando a San Cristoforo e… accensione! Niente scintilla. Groppo in gola e un sapore davvero cattivo in bocca. Fumo e mastico.

“Perché due?”

“Non si sa mai…”

Forse è il cavo o la pipetta. In effetti verso l’interno è un po’ screpolato. Nuova accensione, ma non vedo scintille a zonzo. Comunque sia srotolo la custodia dei ferri e dei ricambi, taglio a misura il cavo di scorta e monto la pipetta nuova in silicone. Mi guarda incuriosito mentre armeggio e scruta attentamente ferri e i ricambi.

“Hai davvero un’officina al seguito…”

Inizio a notare un cambio di atteggiamento. E’ qualcosa di impercettibile forse è una punta di rispetto. Oppure i miei giocattoli sono più belli dei suoi. O forse lui non li ha. O non sapeva di desiderarli, almeno fino a oggi.

Carica, carica, carico da undici subito. Senza aspettare un attimo. Caro vecchio Le Mans questa mano è nostra. E’ solo questione di tempo.

Ripenso alle parole dell’Ercole “portati bobina, condensatore e puntine tanto prima o poi uno dei tre ti frega”. Bastardi è 10 anni che vi porto in giro dappertutto, ho cambiato tre Guzzi e voi sempre dietro. Adesso è venuto il vostro momento. Facciamola fuori ‘sta storia.

Sfilo la bobina dalla custodia in panno rosso con movimenti volutamente studiati più o meno come se fosse una Colt 45 cromata del 1911. Il tipo non capisce più niente, ora si avvicina di più e non è solo curiosità. Lui giocattoli così non li ha mai visti e non ci sa giocare. Però gli piacerebbe. Ormai è nostro.

“Che cos’è?” Chiede indicando la bobina.

“E’ per la corrente. Per cortesia passami il cacciavite.” E il cacciavite arriva immediatamente. E’ nostro schiavo.

Ma il problema rimane, è solo cambiata l’aria intorno, c’è qualcosa di vivo che inizia a sentirsi. Stavolta niente San Cristoforo, l’antico Spirito di Mandello è già qui intorno e si sente.

Due puff ben fatti creano una fumosa atmosfera, lo Spirito gradisce, non mastico più.

Via la vecchia bobina dentro la nuova.

 

Accensione, il motorino di avviamento ingrana e gira. Avvicino la candela al coperchio delle valvole. Il tempo di scorgere tre-quattro scintille e io penso a quanto è grande la Guzzi.

Il tipo non nota nulla. Io non dico nulla. D’accordo con il Le Mans decidiamo per un’uscita di scena alla grande.

Inizio con studiata calma a rimontare i fianchetti, il serbatoio, le borse laterali. Il tipo è sempre lì. Ripongo i quattro attrezzi usati nella custodia di panno rosso. La riavvolgo come si fa con il tappeto di preghiera.

“Rimonti tutto? Chiami il carro attrezzi?”

“E’ a posto.”

“Come è a posto?”

“E’ a posto.”

“Ma non la provi prima di caricare?”

“E’ a posto”

Mi rimetto la giacca della tuta, foulard, casco e guanti.

Il tipo non accenna a muoversi: è lì impalato che mi guarda. Se adesso se ne andasse ci rimarrei male. Salgo in moto, apro i rubinetti e attendo immobile che le vaschette si riempiano bene.

Giro la chiave, quadro, accensione. Gas!

Non so se è stato il riverbero dei muri o delle superfici vetrate verso i quali era puntato lo scarico, o perché era un’ora che la sentivo andare a uno, o forse solo la mia immaginazione, ma di colpo è stato come quando un temporale ti sorprende in montagna, ci sei giusto dentro, non sopra o sotto ma dentro e non puoi farci nulla, è così e basta.

Roberta arriva subito, sale e si sistema. Tiro le prime marce un po’ di più del solito poi la quinta. Centotrenta.

“Allora tutto a posto?”

“Si. Tutto a posto.”

“Com’erano i ragazzi che hai conosciuto?”

“Simpatici.”

 

Paolino

Milano-Mandello: 3522 km

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

Un viaggio un po’ di lavoro, un po’ turistico, molto motociclistico
Di Massimo “ledzep” Viegi

 

La sera prima di partire sto facendo il bagaglio e si presenta il problema di portare qualcosa da leggere. Guardo i miei libri e, un po’ perché a volte è bello rileggersi le cose a distanza di anni, un po’ per una sorta di intuizione, faccio una scelta che condizionerà lo stato d’animo di tutto il viaggio e lo farà diventare un puro vagabondare motociclistico attraverso l’Europa. Decido di portare con me il capolavoro di Robert Pirsig “lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”.
Partiamo dunque da qui:
“ Se viaggi in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto dentro ad una cornice.
In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. E’ incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi.”
…..
L’inizio è stato alquanto sportivo. Io sono partito con le migliori intenzioni: il primo weekend di luglio, il primo con la patente a punti, tutte quelle moto in Valtellina, consigliavano un approccio tranquillo. Attraverso una Milano calda e deserta e prendo la superstrada per Lecco. Monza, Lissone, Desio, ad ogni svincolo il numero di moto sulla strada aumenta e con lui la velocità media. Un flusso costante sul piede dei 150kmh. Superata Lecco iniziano le gallerie, sarà il rumore amplificato, sarà l’assenza di turbolenze, sarà quel K100 là davanti, ad un certo punto guardo il tachimetro: “ !! 190.. Vediamo di calmarci un po’ “ . Rallento, finisce la superstrada, adesso il numero di moto che risale la valle è enorme. Moto di tutti i tipi, un flusso costante fino a Bormio. Un veloce rifornimento ( veloce per modo di dire, c’era una coda di cinquanta moto) e attacco lo Stelvio. Finalmente siamo in salita, il terreno ideale per me e per la mia California. Un po’ troppa gente, persino un paio di ingorghi! Appare alla vista il passo e con lui l’albergo Folgore con l’enorme striscione Moto Guzzi…peccato siamo tutti fermi in fila! Vedo un paio di tornanti più sotto una moto che prende una strada sterrata. Beh, se non avessi indipendenza di giudizio non avrei una Guzzi! Via da questa folla di quattro cilindri! Giro la moto, scendo due tornanti e prendo la via alternativa al raduno. Un minuto di sterrato e sono all’albergo.
Pausa. Iscrizione alle GMG, presentazioni con gli amici del forum che vedo per la prima volta di persona, piacevolissimo pranzo e…partiamo!
La meta finale è Parigi, l’obbiettivo di giornata è arrivare in Francia. Per farlo devo attraversare tre passi: il primo è l’Umbrail, subito sotto lo Stelvio, che ha qualche chilometro di strada sterrata che si fa senza problemi. I paesaggi sono bellissimi, il traffico quasi inesistente. Arrivo nel fondo valle e prendo la strada per Davos. Settanta km attraverso l’Ofenpass e il Fluelapass. Tutta alta montagna, curve e tornanti sulle quali spremo me e la moto, che non si tira certo indietro, il motore canta che è una meraviglia ed in un attimo sono a Davos. Da qui una bella strada di fondovalle porta all’autostrada per Zurigo. Autostrada svizzera… sempre meglio che la pianura padana! Dolci curve in bei paesaggi che mi faccio in pieno relax, intorno ai 150kmh. Vabbè, siamo oltre il limite, ma non sono certo quello che va più forte! Zurigo va attraversata, non c’è modo di evitare di passare dal centro, di superare le macchine in coda ai semafori e di mandare a cagare quelli che ti suonano per dirti che dovresti stare in fila. Riprendo l’autostrada e arrivo a Basilea, la città delle industrie farmaceutiche. Quei furbacchioni di Svizzeri le hanno messe qui così avvelenano il Reno giusto 500 metri prima del confine tedesco. Un nuovo tunnel sotto la città mi porta verso il confine Francese che attraverso in un attimo. Dalla frontiera prendo la D419 fino a Belfort. Strada bellissima. Dolci ondulazioni, boschi, prati, curve quasi mai ceche,asfalto perfetto, la luce del pomeriggio inoltrato, ci fosse un pezzo degli Steppenwolf sarei dentro Easy Rider. E’ il momento di guidare con senso estetico, basta spostare il peso del corpo e la California disegna le curve con la precisione di Giotto: marce lunghe e mi faccio cullare fino a che non entro in città. La stanchezza inizia a farsi sentire. In Francia esiste una catena di alberghi molto spartani ed economici chiamati F1. Sono alla periferia delle città. Venticinque euro una camera con tutto quello che serve.
…..
Mattina, sveglia di buonora, aria frizzante, giornata splendida. Ho tempo, quindi ho deciso di farmi il viaggio tutto fuori dall’autostrada. N19 fino a Langres e poi dipartimentali fino ad Auxerre. Le dipartimentali francesi sono la spiegazione delle soffici sospensioni delle auto francesi. Non hanno buche ma una serie infinita di ondulazioni; comunque sono godibilissime. In questo tratto continua l’alternarsi di boschi e terreni coltivati. La campagna francese è radamente abitata, il paesaggio è ampio e c’è poco traffico se si eccettuano i Mirage a bassa quota che prima li vedi e poi li senti e che se prima non li vedi ti fanno venire un coccolone. Comunque ad Auxerre entro sulla N6 e poi a Fontainebleau in autostrada. La A6 o “autoroute du soleil”, che poi è quella che fa chi viene dall’Italia, è il modo migliore per entrare a Parigi: due corsie, poi tre, poi quattro, poi le autostrade sono due, un continuo saliscendi finchè, dopo uno scollinamento, vedi la città tutta intera, con la Tour Eiffel, il Sacro Cuore, la tour Montparnasse. Una bella discesa, un tunnel, uscita a Porte d’Italie. In zona Place D’Italie è pieno di alberghetti con prezzo sotto i 50 euro che chissà perché hanno sempre posto…
Parigi… che dire di Parigi che non sia già stato detto…. Ok, sparo le tre cose che faccio sempre quando ci capito:
1) prendo il boulevard periferique interno, esco sul quai d’issy, attraverso il pont du Garigliano, prima a destra, ancora prima a destra ed entro sulla via rapida George Pompidou. A questo punto velocità da turismo e mi faccio tutta questa meravigliosa strada che attraversa la citta, senza semafori e stop, a livello del fiume, tranne un paio di tratti in galleria che fanno tanto metropoli. Una cavalcata attraverso tutti i monumenti principali che finisce al palasport di Bercy ( l’unico che abbia mai visto con un tetto d’erba), con un’occhiata d’obbligo alla nuova biblioteca nazionale, un edificio che farebbe venir voglia di studiare anche a Mike Tyson.
2) Visita a L’Astrolabe, un negozio in Rue De Provence dove trovate qualsiasi carta, turistica, militare, topografica, navale, che esista. Volete organizzare un viaggio in moto su Marte? Venite qui a comprare la carta stradale. Una miniera per me che sono appassionato. Stavolta me ne vado con una semplice carta del Benelux visto che ci dovrò viaggiare.
3) Cena in un ristorante turco nella via forse più stretta di Parigi: Passage de la main d’or, una traversa di Rue du Fauburg Saint Antoine. Per intenderci più o meno la zona dove sono ambientati i libri di Pennac. Sembra di essere ad Algeri e si mangia da dio.
Per il resto, in una città dove hanno fatto una nuova linea di metrò nel tempo che a Milano hanno fatto una stazione e dove ci sono il doppio di sale cinematografiche che in tutta Italia, mi affido alla rivista Pariscope ed al caso.
….
Mi faccio la mia giornata lavorativa, non senza allietarla con qualche giro in moto. Guidare a Parigi, soprattutto in moto, non è roba per principianti. Lo stile somiglia molto a quello milanese: se non sono in coda vanno tutti alla massima velocità possibile, nessuno si ferma ai passaggi pedonali, le moto tendono a fare tutte le preferenziali ( almeno a Milano è legale), non sono ammesse incertezze. Divertente, tranne che per gli inglesi: me li immagino, tutto il giorno a girare intorno all’arco di trionfo senza riuscire a beccare una di quelle maledette avenue.
….
Lascio Parigi per Amsterdam. Voglio andarmi a cercare un po’ di belle strade alternative, di quelle che sulla carta Michelin hanno il bordo verde e tante curve. La cosa non è semplice in Belgio ed Olanda. Decido di prendere l’autostrada A4 per Reims. La bellezza delle autostrade francesi è che , rispetto a quelle italiane, sono più larghe e con meno traffico. Complice la leggera discesa e la fresca aria del mattino, parto a razzo tra i campi di grano. Mi metto sui 180 e in cinquanta minuti sono arrivato. A Reims c’è una delle più belle chiese del mondo. Per me vale da sola un viaggio in Francia. Il gotico alla sua massima espressione. Si potrebbero stare ore a guardare le innumerevoli statue sulla facciata, o, una volta entrati, a farsi avvolgere dalla luce colorata che entra dalle immense vetrate dipinte. Esco bello rilassato e noto un gruppo di turisti polacchi che, saranno pure davanti ad una delle più belle chiese del mondo, ma fanno crocchio intorno ad alla moto più bella del mondo. Casualmente la mia. “ eh eh… salve… come?.. vengo dall’Italia… Quanto tempo?…E che ci vuole…con questa?…mi metto a 240…un attimo. Ora devo andare…sapete…Amsterdam, Berlino, Varsavia….Mosca….come?….devo stare attento in Russia? Ok…don’t worry…bye”
Parto verso il Belgio, ancora un po’ di supestrada. Il paesaggio è quello delle zone minerarie del nord. Case di mattoni e molti segni di emigrazione italiana. Pasta pizza e mozzarella. La strada continua a scendere, vabbè che vado verso i paesi bassi ma quanto bassi sono! A Charleville prendo la D988, i campi diventano boschi e una ripida discesa (!!) mi porta fino sulla riva della Mosa. Da qui iniziano un centinaio di km di strada in un paesaggio così perfetto da sembrare irreale. E’ la valle della Mosa. Il fiume scorre attorcigliandosi intorno a colline ripidissime coperte di boschi. Ogni tanto un paese interrompe il bosco e vari sistemi di chiuse scandiscono il corso del fiume, navigato perlopiù da barche di famigliole in vacanza. A volte il bosco è così fitto che cartelli raccomandano di accendere i fari. Un altro tratto da godersi a velocità turistica.
Lascio la parola a Pirsig:
“ Su una moto in corsa passi il tempo a percepire le cose ed a meditarci sopra. Su quello che vedi, su quello che senti, sull’umore del tempo e i ricordi, sulla macchina che cavalchi e la campagna che ti circonda, pensando a tuo piacimento,senza nulla che t’incalzi, senza l’impressione di perdere tempo”
Finita la valle entro in autostrada. Devo superare Bruxelles e arrivare ad Anversa. Un sacco di traffico, un sacco di svincoli. I Belgi, sarà perché sono tanti in un paese piccolo, viaggiano molto più lentamente dei francesi. Mi adeguo e a 130 attraverso tutto lo stato. Appena dopo Anversa entro in Olanda e giro a sinistra verso il mare del nord e le dighe. Un tunnel mi dice che lascio il continente per un’isola: la Zelanda. Le isole sono per gli olandesi terra di frontiera. I villaggi non sono circondati da mura ma da dighe, vedi passare barche molto più in alto della strada che stai facendo. Era una terra che non c’era per cui ogni albero ogni siepe è lì perché doveva essere lì. Aggiungeteci le strade con le curve ad angolo retto e l’impressione è quella di essere in un plastico.
Le enormi dighe mobili che separano il mare dai vari rami del delta del Reno sono veramente impressionanti. Prima di Rotterdam ce ne sono quattro e tra l’una e l’altra mi perdo tra le stradine di campagna tra mucche, oche e fagiani. Una bella passeggiata prima di salire su un altissimo ponte che supera il porto di Rotterdam. O meglio, una parte del porto, che è il più grande del mondo ed è lungo cinquanta km. Rientro in autostrada ed arrivo ad Amsterdam.
Amsterdam….le tre cose che faccio sempre quando sono ad Amsterdam?….eh eh…. Passiamo direttamente alla seconda: il museo Van Gogh, è come un concerto di Springsteen, lo puoi vedere cinquanta volte ed è sempre diverso. E poi un bel ristorante indonesiano. Ce ne sono tantissimi e sono ottimi. Diciamoci la verità…Amsterdam per tutti i mezzi che non abbiano due ruote e due pedali è solo una rottura di palle. Ponti, ponticelli, passaggi pedonali, un sacco di biciclette, pattini, cani, zone con il limite di 30kmh….. grazie alle amicizie altolocate parcheggio la moto nel posto più sicuro della città, il cortile della banca centrale, giusto sopra il caveau, e passo una giornata passeggiando.

Venerdi. Sveglia presto che domattina devo essere a Mandello e oggi ho da fare tutta la Germania.
Autostrada, buon passo, supero strombazzando una California II, chissà se è diretto a Mandello, e arrivo al confine tedesco. Germania limite in città 60kmh, limite su strade extraurbane 100kmh, limite in autostrada “consigliato” 130kmh. Grande! La regina del trasporto individuale! Mi piacciono i tedeschi al volante perché sono corretti, prudenti ma vanno forte. Per spiegare quanto vadano forte facciamo un salto in avanti di qualche ora: autostrada da Stoccarda ad Augsburg. 140 chilometri contrassegnati, forse perché ondulati e con leggeri curvoni, dal limite di 120kmh, non consigliato ma effettivo. Venerdì pomeriggio, traffico sostenuto di famigliole dirette a sud. Mi metto sulla corsia di destra, il mio tachimetro (nuovo) segna 150kmh, in centoquaranta chilometri non supero una, a ribadisco una, macchina. Qualche camion, per il resto mi sembrava di essere fermo. Torniamo indietro. Faccio l’autostrada fino a Colonia. Dopo quella di Reims anche qui faccio una sosta cattedrale. Un’altra chiesa di quelle impressionanti e con uno strano destino. Ci sono foto di colonia nel 1945 in cui si vede una distesa di macerie con in mezzo una cattedrale. Probabilmente in tutta la città non c’è una pietra che risale a prima della seconda guerra mondiale, e la cattedrale credo che sia l’unica al mondo che sbuca dal tetto di un parcheggio sotterraneo. L’effetto è un po’ paradossale ma comunque merita la visita. Riparto e a Bad Godesberg scendo sulla riva del Reno. Da qui a Wiesbaden sono 140 km di valle del Reno, ed è una strada che vale la pena percorrere. Decido di farlo sul lato sinistro e vado… vigneti, castelli e il grande fiume solcato da chiatte di ogni tipo. Poi di nuovo autostrada, dopo Francoforte taglio per le dolci ondulazioni della foresta nera, ancora autostrada fino ad Augsburg, e svolta decisamente a sud fino a Garmisch-Panterkirchen. Mi riavvicino finalmente alle alpi, appena le vedo tutta la stanchezza dei 950 km fatti oggi mi passa e mi godo gli ultimi chilometri di curve. Le alpi Bavaresi non arrivano a 3000 metri ma sono impressionanti per le pareti di roccia nuda altissime e verticali. Trovo da dormire in una casa e faccio un giretto. Sono contento di essere qui perché per un appassionato di sci, oltre che di moto, se Kitzbuhel in Austria e l’isola di Man, Garmisch è Assen ( vabbè… allora Wengen è Laguna Seca, la Val Gardena è il Mugello…. e la Val D’Isere? … ? ‘azz…mi manca la Val D’Isere!). Peccato non ci sia neve.
….
Mattina di sabato…partenza per Mandello. Mi aspettano tre passi, il Fern, il Resia e lo Stelvio.
Entro in Austria e son subito bestemmie perché gli autoctoni hanno pensato bene di mettere indicazioni stradali che ti portano sempre ad imboccare autostrade. Perdite di tempo ad ogni incrocio, magari tre giri di rotonda per capire qual è la mia strada , alla fine imbocco la salita del passo Resia. L’andatura è allegra e supero due moto con targa tedesca. Una curva, due, sento un rumoraccio che viene da dietro e due presunti missili che mi superano con fare intimidatorio. Sono i tedeschi di prima. La salita si fa più seria e si avvicinano i tornanti che non sono molti e sono abbastanza larghi. Riconosco davanti a me una Suzuki GSX R 750. Dunque, oggi ci sono le prove a Donington ergo quello davanti a me non può essere Rossi e neanche quel flaccidone di Roberts Jr quindi vale la prima legge della Guzzi in montagna: dato che escludo che i miei freni siano peggiori dei tuoi posso frenare dopo di te. Dal che deriva la seconda legge della Guzzi in montagna: non mi stacchi, è inutile…non mi stacchi. Primo tornante, il crucco frena, come volevasi dimostrare gli sono dietro, apro il gas in uscita di curva ma devo richiuderlo un po’ per non tamponarlo (!). “azz…ma non c’hai 120 cavalli? E dove sono, da tuo zio stalliere?”. Breve rettilineo, si allontana ma mi avvicino in frenata “guarda che io c’ho l’integrale e posso frenare ben dentro la curva neh!”…stavolta incrocio la traettoria e apro il gas, lo supero di una buona mezza moto fino a che lui non arriva ai suoi quattrocentomila giri e mi passa con tutto quel rumoraccio di cilindretti. Ma, poveraccio, deve mettere la seconda, io no, io tiro la prima ancora un po’così mi avvicino. Faccio appena in tempo a mettere la seconda -immagino che lui sarà in quinta- che arriva l’altro tornante, stavolta a sinistra. Stavolta sto all’interno, lui frena, io(dopo) freno, gli sono di fianco, sono a cento curva e apro tutto il gas, sento la mia ruotona che addenta l’asfalto, i cilindri che riprendono a più non posso, faccio in tempo a vederlo nello specchietto prima che mi ripassi sul rettilineo. Così per tutti i tornanti, ci tengo a dire che, salendo la strada per degli enormi pratoni non c’era neanche una curva cieca e non c’era traffico. Una strombazzata ed un saluto reciproco una volta arrivati in vetta mette fine alla contesa mentre lui si ferma a far benzina. In fondo siamo rimasti tutti e due contenti, il crucco perché è arrivato davanti, io perché con una moto con cinquanta cavalli in meno (ma con 2kgm di coppia in più alla metà dei giri) gli sono stato dietro. Una bella pacca sul serbatoio della cali e via per la discesa tra i prati della val venosta. Spettacolari! Fine della discesa e bivio per lo Stelvio. Il passo preso dalla parte Trentina è mostruoso. Si capisce perché è il mito di ogni ciclista quando ai piedi della salita si vede il cartello “tornante n°48”. Sarà per la recente battaglia col crucco suzukato, sarà per la strada in sé, mi butto per la salita come un assatanato, prima-seconda, prima-seconda, tutte le marce tirate a non meno di 6000 giri, supero tutti. Moto, bici, macchine,pedoni, mi avranno preso per scemo ma chi se ne frega, mi godo i miei dieci minuti di irrazionalità e sono in cima. Pausa sigaretta e coca cola e in discesa verso Mandello.
Con calma la Valtellina e il lungo lago e il mio Milano-Mandello finisce allo stand di Anima Guzzista.
Sono contento di aver fatto questo giro. Primo per una ragione “politica”: ho attraversato Francia, Belgio, Olanda, Germania e Austria senza passare una frontiera e senza dover
“cambiare” , e questo è bellissimo. L’altra ragione è che benché in un anno e quattro mesi abbia fatto 30000 km con il mio California, anche con delle belle trasferte e su strade di tutti i tipi, questo è stato il primo vero viaggio con questa moto che adesso è più che mai la MIA moto. Il perché naturalmente l’ha spiegato Pirsig:

 

“con l’andar del tempo le sensazioni che una particolare moto ti da si individualizzano sempre più, tanto che quando ne provai una identica alla mia – stessa marca, stesso modello e persino stesso anno di fabbricazione – che un amico mi aveva portato a riparare, sembrava impossibile che fosse uscita dalla stessa fabbrica. Si vedeva benissimo che da molto tempo aveva trovato il suo ritmo, la sua andatura e il suo rumore, che erano completamente diversi da quelli della mia.
Immagino che questa si possa chiamare personalità”

Il Gigante Buono

0

di Dondolino
PRIMA PARTE

Ieri ho comprato la mia terza Guzzi.
È bellissima, la mia vecchia nuova V7 850 Special; è ancora lontana e non vedo l’ora di averla nel mio garage, ma è bellissima lo stesso.

Ma andiamo con ordine.
Entro nell’enorme officina di Stefan, dal quale avevo preso appuntamento; Balingen-Rosswangen è a quasi 300 km da casa mia, ma valeva la pena perché le foto promettevano bene.
Entro. Penombra. Profumo di Guzzi; forse trenta stanno parcheggiate nelle ampie stanze assieme ad altri veicoli, un vecchio sidecar BMW e una Benelli Tornado (quella vecchia) saltano all’occhio.
Lui è già lì; lo vedo da lontano, troneggiante e lucido; è lui? È lui! Mi guarda, io lo guardo, solo da lontano ma è già amicizia, annusamento reciproco o se volete affinità elettiva. Per timore (io a volte sono un po’ infantile) che non sia lui il mio destriero, non mi avvicino all’oggetto del desiderio e vado direttamente a cercare e salutare Stefan, che mi dice “è di là, vattela a vedere per bene per 5 minuti, poi la portiamo di fuori”. Corro di là, stavolta per vederlo da vicino.

Ovviamente è proprio lui – repetita iuvant – bellissimo.
Me lo guardo per bene nei dettagli, girandoci attorno. Che belli, i cerchi a raggi coi tamburi! Che eleganza nelle filettature sui parafanghi! Che luccichio negli scarichi e nelle altre parti cromate! Che bella la cromatura del serbatoio, nuovissima, e poi i filetti e le vernici in bicolore bianconero! L’impatto visivo è notevole, un purosangue così può, così com’è, essere parcheggiato davanti a qualunque caffé o Biergarten…

Controllo i cavi, che sembrano tutti a posto, poi mi metto alla ricerca dei difetti. Il primo e più evidente sono gli adesivi su serbatoio e fiancatine, vecchi e rovinati (secondo me perchè tolti e rimessi dopo la riverniciatura) e messi sopra la vernice invece che sotto il lucido; risaltano troppo sulla vernice nuova e penso che li cambierò. Trovo anche una o due piccole imperfezioni nella vernice: graffietti eliminabili col classico pennellino e nulla più; mancano i documenti e il libretto di uso e manutenzione originali, si rimedierà su Ebay; infine, la gomma posteriore da 130, “abusiva” e non omologabile in Germania; ma che importa, tanto arrivano due gomme nuove di pacca e di misure legali.

Bene, come lo chiamerò? Il nome era già pronto e doveva essere Glamdring, come la spada di Gandalf; ma la cosa, una volta che sto lì e lo guardo, non si adatta a questo gigante pacioso d’altri tempi; ed ecco che, quasi, forse, mi pare, vuole che mi avvicini?…. Io lo guardo….lui se ne sta lì, antico e solenne; sì, cerca di dirmi qualcosa…cosa vuoi dirmi, vecchio e già caro nuovo amico? Un lampo: Tom Bombadil.
Già: Tom Bombadil! Il gigante antico e buono, che è sempre allegro e che, come una Guzzi, canta sempre e parla in rime! Sì, ti chiamerai – ti chiami già, ti sei sempre chiamato – Tom Bombadil. Se un giorno avrò un’altra moto d’epoca più piccola (Airone? Falcone?) la chiamerò, come tua moglie, Goldberry…

Ma già si avvicina l’ora, il mio gigante buono deve sgranchirsi un po’ e farmi sentire come canta…
Stefan lo porta di fuori, Dio che spettacolo, speriamo che non si riveli un gigante dai piedi d’argilla, o un Tom Bombadil made in Taiwan…

Il primo tentativo fallisce, uno schiarimento di gola. Al secondo tentativo, comincia a cantare. La consueta, dolce melodia da minimo perfettamente regolato accarezza le mie orecchie guzziste e le vizia in modo quasi svergognato. Il suono consueto, ma un po’ diverso da quelli che conosco, come al solito, suscita un misto di confusi ricordi di bambino, che vengono da chissà dove ma probabilmente da moto di Carabinieri e Polizia; bagliori improvvisi di mattine assolate, o di pomeriggi passeggiando o giocando a pallone per strada: un rumore noto, ti giri, lui passa, tu pensi ad altro nella tua mente bambina o continui nei tuoi giochi; ma qualcosa, in qualche modo, resta. È quel suono, l’inconfondibile colonna sonora di un pezzo di te; è unico come te e me, è forse il motivo principale (ma ce ne sono altri) per cui sono alla mia terza Moto Guzzi; non una dopo l’altra, ma una assieme all’altra…

Se ami le cose di una volta o fatte come una volta, un orologio meccanico o una bella pendola, le vecchie Moto Guzzi ti dicono sicuramente qualcosa.
Se sei il tipo che non gradisce la soluzione standard, il prodotto anonimo e senz’anima; se tieni le tue viti in vecchie scatole metalliche di biscotti invece che in freddi contenitori di plastica; se vuoi il parquet vero invece di quello finto solo perchè è quello vero e la natura lo ha fatto così; se non ti interessa cosa ha o fa un oggetto, ma le sensazioni che ti dà e quello che ti comunica; bèh, se sei fatto così probabilmente sei un Guzzista e magari nemmeno lo sai.

Ma ecco, Stefan parte e fa un giretto di riscaldamento, poi mi affida il gigante per una piccola prova.
Emozione.

Il freno anteriore (e questa potrebbe essere l’unica spesa ancora da fare) frena meno di quello posteriore; Stefan dice che una frenata del genere è normale ma a me sembra strano, eventualmente farò rivedere il tutto.

La guida è ovviamente “vecchio stile”: il cambio funziona molto bene ma è dalla parte sbagliata e di conseguenza il freno pure e ogni volta che voglio frenare non solo non freno, ma innesto automaticamente la marcia superiore….. perÚ il comando a bilanciere è una soluzione molto pratica, Stefan mi dice che è originale e non, come credevo io, un’aggiunta “simil California”.

La moto vibra che è una gioia, anzi è una gioia ancora maggiore sentire il fido due cilindri nella versione 1969 quando già si conoscono bene le versioni 1987 e 2002. È inconfondibilmente lui ma nello stesso tempo è sicuramente un motore d’epoca: fantastico!

La posizione di guida invece è stranissima: siedi eretto, comodo, ma col manubrio più in basso di quanto ti aspetteresti su una moto moderna; c’è il solo specchietto sinistro e chissà se nel 1969 era obbligatorio. Il cavo del gas penzola, oscenamente visto con occhi moderni, da sotto la manopola di destra. Bella la strumentazione e più bella di quelle detomasiane degli anni ‘70, anche se l’ago del contagiri “balla” troppo oscillando vistosamente.

Faccio due giri, non uccido nessuno perchè nessuno ha il coraggio di sfidare la sorte uscendo per strada: mamme preoccupate fanno rientrare in casa i bambini indicandomi col dito; per frenare mi incasino enormemente ma, dai e ridai, alla fine ci si riesce; infine mi fermo e non mi pare vero: due settimane fa esatte ero al Veterama, la grande fiera tedesca delle moto d’epoca, la ricerca ancora in alto mare e Nuovo Falcone militari non restaurati offerti anche a 3500 euro o più. Adesso sono sceso dalla moto che mi sto per comprare, più bella di qualunque altra che abbia visto, sicuramente non regalata ma non un furto. Ci rifarei i 4500 Euro? Non so, forse no, anzi non direi; ma cosa conta? Un Tom Bombadil non si vende.

Assieme a Stefan ce la guardiamo ancora per bene, mi mostra e spiega alcuni dettagli.
Telaio completamente “scartavetrato” e riverniciato con l’antiruggine prima di dare la vernice nera al telaio; in un punto c’è un “taglio” per mostrare in sezione il lavoro fatto, però si vede anche dalla raschiatura per rendere visibile il numero di telaio. Mi riguardo il serbatoio, i fianchetti riverniciati, i parafanghi anche loro con le filettature a regola d’arte, l’impatto ottico è impeccabile.
Motore pulito e strigliato, lo stesso per gli altri organi meccanici e, finalmente, bellissime teste tonde! Gli scarichi sono cromati e lucidissimi, anche loro apparentemente nuovi o fatti cromare di fresco, lo stesso per i restanti particolari cromati.
Gli ammortizzatori posteriori sono Koni cromati, quindi non originali ma va benissimo uguale.
Stefan mi mostra la scritta “Borrani” sul cerchio anteriore, i raggi sono in acciaio inossidabile, il complesso tamburo-giunto cardanico è una gioia per gli occhi… Cosa aspetto ancora? Datemi una penna e firmiamo ‘sto contratto!
Dopo venti minuti le formalità sono sbrigate, ritirerò la moto quando avrà l’omologazione/revisione e la perizia certificante l’appartenenza della moto al patrimonio veicolare storico, poi io dovrò fare la targa speciale per veicoli storici, bollo e assicurazione.
Ci vorra del tempo. Ma poi andrò in giro per foreste, a sentire Tom Bombadil cantare…..

 

 

SECONDA PARTE

È stata consegnata l’altro ieri, alle dieci e mezza di sera, dalla ditta di trasporti scelta per trasportare il prezioso bene. Un’emozione violenta vederlo di nuovo, aiutare a scaricarlo dal furgone, parcheggiarlo in garage, restare a guardarlo sotto la luce elettrica: benvenuto, Tom Bombadil, non vedo l’ora di sentire il tuo canto!

Questa mattina, il momento è giunto. Oggi è festa qui in Germania (Ascensione), è una mattinata stupenda e tutti e tre (il cielo, Tom Bombadil e io) siamo in forma eccellente. Foto di rito, poi piano piano i primi giri senza uscire dalla cittadina dove vivo, perchè, come detto, è tutto a rovescio: cambio, freni, frecce, luci e bisogna stare molto attenti.

Salendoci e pensando a come erano piccole le moto di allora penso che deve essere stato, all’epoca, veramente un gigante…

Nel frattempo i bambini sono spariti, un gatto mi guarda ignaro del pericolo. Affari tuoi, micio, attento che la Guzzi può essere una passione fatale…

Il suono è leggenda, il motore vibra e canta felice; occorre sì fare molta attenzione (l’Audi 80 al primo incrocio, vedendo la quale ho scalato marcia invece di frenare, mi resterà impressa per un po’…), ma piano piano ti abitui. Le marce sono, come dire, pochissime, il freno motore è di una brutalità sconosciuta, il cambio è il cambio Guzzi trentaquattro anni di miglioramento fa e richiede un misto di dedizione, determinazione, precisione e comprensione, ma poi addirittura funziona. È bellissimo concentrarsi nella guida (arriva una macchina…frena… che succede…aiuto!!!), sentire queste vibrazioni note e tuttavia antiche, il rombo del motore quando apri è – non mi viene un altro termine – ogni volta un’ emozione.
Approfitto della situazione e del poco traffico e mi guardo a ripetizione rispecchiato nelle vetrine, provo una gioia infantile nel vedere questo bellissimo gioiello restaurato a puntino che riluce nelle vetrine, pensando “ecco, è mio”. Non ci separeremo mai, perchè una Guzzi non si vende, come non si vendono i ricordi cari, o i pezzi di noi.

Lo parcheggio in garage, me lo guardo. Me lo riguardo. All’improvviso la vita prima che mi comprassi una moto d’epoca mi sembra lontana, come ti sembra lontano il passato prima di un evento importante. Adesso lo so, io ero nato per avere Guzzi e una Guzzi d’epoca. Doveva succedere, e basta.

Preparati, Tom Bombadil, ci faremo delle bellissime passeggiate nel bosco, cantando ognuno a modo suo.
E se un giorno ti dovessi sentire solo, dimmelo.
Ché si pensa anche a Goldberry…

Dondolino

La nostra storia

0

di Paolo Gambarelli e Maurizio Pambieri

 

Niente di eclatante, ma come a volte capita, alcune vecchie signore di nobile estrazione, con tanto olio di gomito e soli pezzi fatti in casa, rinascono a nuova gioventù. Alcuni gadget di invenzione in strani materiali tipo ergal, anticorodal e carbonchio, molto probabilmente inutili, un po’ come il telefonino regalato alla propria nonna… divertente, ma alla fine per lei del tutto superfluo; il solito radiatore per alleviarle la calura delle giornate più assolate, le solite valvole cardiache e carburatori maggiorati con una delicata lucidatura dei condotti orali per meglio farle apprezzare l’aria primaverile ormai vicina.

Il reimpianto completo in treccia metallica e arti flottanti di tutto l’apparato tenditore e vascolare; il misterioso albero della vita OSS, una foratina a quella ciclopica trottola volanica, una drastica riduzione e riassemblaggio dell’impianto elettrico; si sa… ad una certa età la saggezza può esprimersi senza una eccessiva profusione di contatti neurali. Un’amputazione decisa dei due femori inferiori del telaio, tanto è sempre andata su due ruote; un paio di sandali nuovi per meglio esaltare il blu dello smalto dei suoi piedoni da 18’’. Due tuboni, infine, cromati, lascito di un nobile antenato, uno Sport 14 e un fanalone, ricordo di una sua amorosa scappatella internazionale, una Minsk di terra vietnamita.

Pochi giorni fa, al ritorno dalla Romagna, ha iniziato a raccontarci di una strada a senso unico ricca di curve, tutta recintata e protetta da occhi indiscreti che da un po’ di tempo, troppo spesso, la inopportunano. A dir suo, un luogo paradisiaco… il carro celeste, il tramonto, la grande quercia. Occhi indiscreti? Sarà la sua età, sarà la sua disvelata nudità? Ci siamo guardati e un po’ incazzati abbiamo capito. Ma come, non ti hanno saziato tutte quelle piccole grandi soddisfazioni, là, sui passi di Bocca Serriola, di Bocca Trabaria e più su, sui colli forlivesi? E tutta quella fatica per alzarti le pedane, affinché non ti scorticassi! Niente. Abbiamo allora cercato un compromesso: ”il prossimo inverno ti liberiamo da quella fastidiosa catena!” Niente da fare; una giornata intera, in quel luogo paradisiaco, abbiamo dovuto prenotarle. Nel frattempo, sconsolati e preoccupati, cercheremo di non disturbare il suo meritato riposo.
Di una cosa però siamo certi; tutto questo ha già causato una situazione insostenibile e l’ira e l’invidia delle sue due sorelle, una T3 e una SP, sono già a mille; prima o poi anche loro vorranno i soliti quindici minuti di gloria.


P.S. La motosignora ci invita cortesemente a mandare un saluto a Roberto Moretti di Macerata per ringraziarlo dei giorni di villeggiatura trascorsi nella sua bottega.

DUILIO!

0
"Reims 1955, Agostini 1° classe 350" Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi

Storia della collaborazione tra il meccanico Piero Pomi ed il pilota Duilio Agostini
Il personaggio che racconta la storia è Piero Pomi
La testimonianza è stata raccolta da Vanni Bettega

 

Piero Pomi oggi
Piero Pomi oggi

Il solito rombo fuori dal cancello, il portinaio poggia la sigaretta nel posacenere, esce dalla porticina e sollecitato da un paio di scherzose quanto energiche sgassate, apre il cancellone ed entra lui, col suo motocarrozzino con cui espleta commissioni di ogni genere, consegne e ritiri di posta urgente, accompagnamento di dirigenti all’aeroporto, ritiro di pezzi urgenti e quant’altro.

Il Duilio è quasi un’istituzione, è il più veloce nelle consegne.

Spera, intanto, che la commissione successiva sia destinata a Genova oppure Roma perché lui vuole diventar pilota come io volevo diventar meccanico, e considera questi tragitti alla stregua di un buon allenamento.

Su questi due percorsi vanta tempi di tutto rispetto, ma ciò non basta a metterlo in luce presso i dirigenti aziendali, che per questa sua mania, tendono quasi a ironizzare. Del resto, la sua vecchia FN, non può certo reggere. L’altro ieri abbiamo tentato di ripararla, aveva spanato i prigionieri della testa e abbiamo costruito una sorta di morsetto per tenerla assieme. Funziona, però non c’è speranza di partecipare a nessuna gara.

Siamo all’inizio stagione del 1952.

Io mi son fatto un discreto credito perché Thorn, il pilota cui faccio da meccanico, si è piazzato bene vincendo molte gare.

Dal dopoguerra, mi son fatto esperienze, sempre come meccanico,con molti piloti privati. Con Nino Martelli, Claudio Mastellari, Guido Baciocca, Dario Ambrosini, Piergiovanni Filodelfo, Perosino poi con Libero Borsari, Benott Musy, Jan Berà, Bovaris, Raccagni, Ozino Ermanno e Juvan Franta.

Comunque, adesso, sto facendo praticamente coppia fissa con Prikker.

In aprile, con Thorn Prikker vinciamo a Dieburg, a maggio a St Wendel e a Zandvoort, a giugno

vinciamo a Lipsia poi a Montschau, quindi a Feldberg.

Arriva il Duilio, raggiante. Mi dice che Galbiati di Monza gli presta un vecchio Condor e mi chiede se gli faccio io da meccanico.

Io sono ancora impegnato con Thorn, però, gli prometto che la stagione successiva mi terrò libero per lui. Il Duilio è un amico e per di più coetaneo.

In questa stagione lo aiuto saltuariamente, mentre gli è sempre vicino il Buliga, buon meccanico e molto volonteroso aiutante a 360°.

Duilio è molto tenace. Sfrutta appieno la sua professione per allenarsi sui percorsi lunghi, allora non si usava frequentare palestre. La sua palestra era la strada.

Addirittura vorrebbe costruire un simulacro della moto, su cui dormire la notte, in posizione rannicchiata come sulla moto!

E’ di costituzione tarchiata e robusta, ha polsi forti e molta resistenza alla fatica.

Il 10 giugno del 52, il Duilio si offre di consegnare un motocarro Ercole a Roma.

Gli serve per studiare il percorso, segue l’Adriatica e consegna a Roma il motocarro in circa 12 ore.

La settimana successiva, il 15 giugno, partecipa alla Milano Taranto.

Riesce a tallonare Francisci fino al levare del sole, poi Francisci, da buon veterano, sostituisce gli occhialoni bianchi notturni con quelli da sole. Il Duilio non ha occhiali scuri e comincia a perdere terreno, accecato dal sole in faccia. Comunque a Tolentino si fora il pistone e non c’è più niente da fare. Tutto rinviato all’anno successivo.

Comincio a seguire io la preparazione della moto. La prima vittoria arriva a Castelfranco Veneto, il 21 settembre del 52, al XI Circuito di Castello. Poi il 3 Maggio del 53 a Crema nella prima prova del Campionato di II Categoria.

Si vince ancora a Bergamo, il 10 maggio, al Circuito delle Mura poi a Busto Arsizio, il 14 giugno nella II prova del Campionato II Categoria.

La settimana successiva vogliamo partecipare alla Milano-Taranto.

Già il 15 giugno, appena arrivati da Busto, la moto è piazzata sul banchetto di casa mia, nello stallino che una volta era la posta dei cavalli e che ora ho attrezzato per lavorare sulle moto.

Ci lavoro la sera e la notte, dopo la giornata passata in Guzzi.

Ho modo di conoscere le modifiche e i miglioramenti approntati in Guzzi e ne approfitto.

Sia il Sig. Mondo che il Cav. Guzzi, quando mi vedono andare in attrezzeria forse capiscono che sto agitandomi per fatti miei. Capisco però che chiudono un occhio e forse due.

Comunque, il motore da me preparato in casa, lo voglio un po’ meno pompato rispetto a quelli ufficiali. Con analoghe regolazioni, in ditta si ottenevano 32 CV in luogo dei 34 ottenibili e i giri max dovrebbero essere 5400 contro i 5800. Però il tiro diventa un’altra cosa e la velocità massima, coi rapporti montati, dovrebbe sfiorare i 170 Km/h.

Preparo una ruota posteriore di scorta ben centrata e la equilibro sui coltelli col filo di piombo.

La monto sulla moto, preparo una catena alla lunghezza giusta in modo da non dover operare sui tendicatena.

Preparo 2 molle valvola tirandole a pacco col filo di ferro e faccio un forellino su tutti gli attrezzi che dovrò usare a Roma per il Pit Stop. Studio la miglior sequenza operativa da utilizzare per la revisione che dovrò effettuare a Roma. Mi esercito parecchie volte, col cronometro in mano.

Alla fine lego tra loro i ferri, nella sequenza che ho trovato più vantaggiosa.

Sulla moto, in posizione che non diano fastidio, lego col nastro adesivo un’infinità di ricambi.

Molle valvola, candele, fili doppi già in posizione, un castelletto valvole, le leve freno e frizione magari che si rompano in caso di caduta, elastici, filo di ferro, una camera d’aria, la pompa e le leve smontacopertoni e la dotazione ferri di serie.

Il sabato portiamo la moto a Milano, col motocarro.

Mentre il Duilio si prepara per il via, io prendo il treno per Roma.

A Roma, prendo possesso del box. Non voglio nessuno tra i piedi, neanche i più intimi amici.

Alla radio si trasmette la cronaca in diretta. Il Duilio conduce!

Nell’attesa acquisto un pollo arrosto per il Duilio, lo disosso completamente e lo sminuzzo in modo che il mio Pilota non abbia a perdere tempo. Ripasso mentalmente le operazioni che dovrò effettuare con un orecchio alla radio, che dà sempre il Duilio in testa.

 

"All'amico Pomi Piero a testimonianza di una apprezzata collaborazione, con sincera gratitudine e con i migliori auguri. Duilio Agostini"
“All’amico Pomi Piero a testimonianza
di una apprezzata collaborazione,
con sincera gratitudine e con i migliori auguri.
Duilio Agostini”

Finalmente si sente il rombo del suo motore. E’ lui! Ne riconosco il suono inconfondibile!

Faccio accomodare il Duilio e gli porgo frettolosamente il pollo e una bottiglia di acqua, metto la moto sul cavalletto, stacco la maglia della catena e il tirante del freno. Tolgo la ruota e inserisco la ruota che mi son portato in treno. Aggancio la catena nuova a quella vecchia con la maglia di congiunzione, di modo che la vecchia trascini la nuova in sede. Aggancio la maglia e quando blocco i dadi della ruota la tensione della catena è perfetta. Ricollego e registro il tirante del freno posteriore.

Passo al motore, col cacciavite faccio schizzare via le vecchie molle, inserisco le nuove e quando sono in posizione le faccio assestare tagliando il fil di ferro. Registro entrambe le valvole e passo al magnete.

Controllo e ripristino l’anticipo secondo il segno che ho tracciato sul volano e passo alla registrazione delle leve del freno e dalla frizione.

Rabbocco l’olio e la benzina nei rispettivi serbatoi mentre il Duilio si stiracchia dopo aver finito il suo pollo.

La moto è pronta, lui salta in sella e via! La moto scompare mentre il rombo si affievolisce sempre più.

Sono passati 14 minuti dal suo arrivo. Degli altri concorrenti non s’è presentato ancora nessuno.

Quando cominciano ad arrivare gli altri, io mi aggiungo alla calca di amici e simpatizzanti, in modo di aumentare un po’ la confusione, gli altri meccanici si beano del momento in cui stanno al centro dell’attenzione!

Quando si tratta di spingere la moto, mi offro anch’io di dare una mano. Solo che faccio finta di spingere e invece trattengo! Ogni secondo potrebbe tornare utile!

Rimetto i miei ferri nella cassetta, mi carico la ruota in ispalla e mi avvio all’albergo. Per un po’ ascolto la radio, poi mangio qualcosa e mi ritiro per farmi un pisolino.

Non ho più avuto la possibilità di ascoltare la radio e sono curioso di sapere cos’è successo.

Scendo le scale dell’albergo e la locandiera, mi si fa incontro gridando ” Abbiamo vinto!!

Abbiamo vinto !! ”

Sono d’accordo col Duilio di trovarci alla stazione, lui arriva in treno, la moto è spedita a parte.

Sul treno del ritorno, riesco finalmente a dormire, con la ruota a fianco e la cassetta sul portapacchi.

Quando mi sveglio, oltre Bologna, il mio soprabito è finito in terra nel corridoio. La gente che passa me lo calpesta senza riguardo chissà da quanto tempo!……E’ ridotto uno straccio!

Quando arriviamo a casa, il Duilio mi porta dal miglior sarto del paese e mi fa confezionare un impermeabile double face che così bello non s’era mai visto!

Lo conservo ancora, in ricordo di quella trasferta.

Dopo aver vinto altre gare, il Duilio conquista il titolo nelle 500 II Categoria, abbandona il motocarrozzino, rende il Condor in condizioni molto migliorate a Galbiati, smette di fare il mestiere di fattorino per entrare, finalmente, a pieno merito, nella Squadra Corse della Moto Guzzi, come Pilota di Prima categoria.

"Reims 1955, Agostini 1° classe 350" Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi
“Reims 1955, Agostini 1° classe 350”
Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi

Vanni Bettega

Vallelunga

0
Peppe aziona il motorino ausiliario per l'avviamento

di Giuseppe Cavalieri

Finalmente è arrivato sabato, non si lavora (di solito), c’è meno traffico: insomma un giorno piacevole, una boccata d’ossigeno. Il sabato in questione poi è più piacevole del solito, dato che sto su un Ducato bianco alimentato a metano, decisamente diretto a Vallelunga.

Ebbene sì, siamo io e Claudio (CIPI) e stiamo andando alla prima gara di quest’anno della STW. Per questa volta c’è una bella novità, c’è in pista una Guzzi (dal 97) e, udite udite, con un pilota vero, nientepopodimeno che Samuele Sardi, l’unico campione italiano STW nel segno dell’Aquila.

Erano cinque anni che non vedevo Samuele ed è sempre il solite amicone. Dopo aver ricordato un po’ di cazzate dette e fatte, passiamo al presente, “Come ti sembra?” chiedo a freddo. “Bella, è bella”. “Come te la senti sotto?”. “Un po’ dura”. Stiamo parlando della moto ovviamente, mi dice poi che nelle libere di venerdì ha girato in 1,30, ma che il margine per migliorare c’é.

Poi dopo i primi mugugni di Claudio, cominciamo a lavorare: bisogna preparare la moto per le verifiche tecniche. Montiamo il sottocoppa per l’olio, leghiamo i tappi e via alle verifiche. Samuele come al solito dimentica la licenza. Intanto nel locale verifiche noto una bilancia, approfitto al volo ehhhh!!!! 194 kg!!! Perché l’ho pesata? Alla meraviglia dei presenti rispondo prontamente : “Ma no! C’è il pieno di benzina (due litri). E poi mi ero appoggiato (la tenevo con il mignolo). Peserà sì e no 160 (magari!)”. Poi andiamo a metterle le scarpe nuove: Metzeler Rennsport e ritorniamo al box.

La moto, dice Samuele, si guida molto bene, è neutra, tiene bene la traiettoria, solo che è troppo caricata in avanti a livello di semimanubri. Lui vorrebbe in pratica una posizione di guida più alta, così la sento di più, dice. Claudio materializza due semimanubri più alti di 2 cm, che monto in meno di cinque minuti. E’ pronta!

Pomeriggio: intanto è arrivato Fange e andiamo insieme a piazzarci alla curva Semaforo per goderci le prove ufficiali. Tre giri e Samuele stampa 1,28 e 6. Quindicesimo tempo assoluto, senza forzare, con tranquillità. Tre giri ancora, poi rientra.

Allora? “Va bene, solo che tocco con le pedane. Vedi se riesci a convincere Claudio a tagliarle”. “Ci provo” dico io (in effetti ci metto quasi 2 secondi per convincerlo). Adesso è perfetta, a domani.

La gara.

Dall’alto della tribuna dove mi ero piazzato, guardavo Samuele sulla griglia di partenza e guardavo soprattutto le 22 moto dietro, una rappresentativa di Ducati tutte sicuramente più competitive della nostra moto. (Sarà forse manico?).

37 moto in griglia, 34 Ducati, 1 BMW, 1 Suzuki, 1 Guzzi.

Alle 16,50 suona la sirena. Pronti, via.

Samuele fa una bella partenza come al solito, molla la frizione e via di coppia liscio come l’olio. Primo giro passa quindicesimo, secondo giro quattordicesimo, ma vedo che guadagna sensibilmente nel misto, quello che purtroppo perde dalla Roma ai Cimini e fa impressione quanto esce forte dalla Trincea, dove riesce a fare la differenza. A metà gara si incolla a due Ducati che però lo rallentano nel misto. All’ottavo giro stampa 1,28 netto e dopo due sorpassi in staccata, passa in tredicesima posizione, puntualmente viene ripassato sul rettilineo, ma con un sorpasso da manuale all’ultimo giro riesce a riportarsi in tredicesima posizione e passa sotto la bandiera a scacchi. GRANDE!!

Da Vallelunga Peppe Cavaliere e Claudio Petrassi (CP)

Breva: provata!

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Nicola Sabini

 

Finalmente la Breva è in produzione ed io ero 9 mesi che aspettavo questo giorno. Prendo la mia piccola Saxo Diesel senza il turbo e mi faccio i miei bei 600 km che mi separano da Marsiglia a Milano per recarmi da Scola a provare la mia futura moto. Possiedo un 1100 Sport di cui non mi separerò ma per motivi di lavoro e di svago ho bisogno di una moto che possa avere delle valigie ed un baule per contenere il computer portatile e vari documenti, che sia leggera ed agile nel traffico, che mi consenta di vestirmi in giacca e cravatta (da pupazzo) per recarmi dai clienti.
Appena manifesto il mio interesse per la Breva i miei colleghi guzzisti del club i “SETTE NANI” cominciano a dirmi che per i mei 198 cm la Breva è piccola; Scola addirittura mi dice che non può farmi provare la bella in quanto per il momento non è disponibile la sella “Lady”, come al solito i centimetri logorano chi non ne hanno. Ma io testardo ariete e ormai innamorato la voglio provare.
Prendo le chiavi ed un casco, gentilmente prestato da Scola e salgo sulla bella. La posizione di guida è eccellente, leggermente caicata in avanti, le pedane ben posizionate: nonostante la mia mole mi trovo a mio agio. Avvio la moto e sorpresa un bel rumorino esce dalle marmitte, compatto e sonoro, un suono migliore della mia 1100 con scarichi originali. Innesto la prima e già mi accorgo che il cambio è diverso, rapido e preciso negli innesti, si inseriscono le marce senza forzare sulla leva del cambio. Parto e apro il gas, il motore è pronto senza vuoti particolari, non potentissimo ma adatto al tipo di moto. Mi infilo in mezzo al traffico zig-zagando tra le auto, facile e divertente, allungo la terza e lascio le mani dal manubrio, e con le gambe che stringono il serbatoio la scuoto a destra e sinistra, la moto rimane stabile e lo sterzo non sbanda, caratteristica delle vecchie Guzzi delle serie minori, ma invece rimane stabile come la mia 1100. Non ho riscontrato la leggerezza dello sterzo che hanno rilevato i miei colleghi. Anzi la trovo molto più stabile e precisa della sua dirette concorrenti, le Honda Transalp, i vari enduro serie 650, le Yamaha Diversion e XJ600 tutte moto da me provate. La frenata è buona: il disco da 320 mm svolge egregiamente il suo lavoro aiutato dal cardano che in chiusura gas frena la moto, senza bisogno di usare il disco posteriore che io personalmente non uso mai in quanto non ne sento il bisogno. Non ho provato la moto a forti andature in quanto non interessato alle prestazioni, ma interessato piuttosto all’uso quotidiano della stessa. Per correre c’è la 1100 Sport…
Tra non molto accanto alla mia 1100i Sport, nel garage di casa ci sarà anche la Breva, spero solo che non sia troppo gelosa della piccola. Gran bel lavoro Guzzi, continuate cosi.

Gadget

VI SEGNALIAMO