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Bye bye, Japan!

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(storia di un colpo di fulmine)
di Gilberto

 

E già, esistono anche queste storie, quelle di motociclisti annoiati dalle giapponesi che decidono di cominciare a cavalcare miti.
Tutto è iniziato quando ho deciso di andare a Capo Nord, questo è l’anno giusto. Apro il box e vedo l’Hornet S che mi guarda e mi dice “ti ci porto io, stai tranquillo: sono una Honda e sono super affidabile!”, io le credo ma penso tra me e me che andare a Capo Nord è un’impresa, una grande impresa, andarci con l’Hornet è una vergogna.
Cerco tra Ducati, Aprilia e Guzzi dei modelli turistici, ma l’ST2 è troppo sportiva (e mi davano poco dell’Hornet), la Caponord non mi convince (endurona), vado alla Guzzi già sapendo che la Le Mans in offerta è troppo poco dedita al caricamento e la Breva è piccola.
Comunque non posso decidere solo tra Ducati e Aprilia, dopotutto ho sempre sognato una Guzzi: ci vado più per cazzeggiare che per comprare.
Mentre vado penso: ma perché non hanno fatto la Breva 1100 semicarenata?
Il concessionario vende anche la Kawasaki ZXR 1200 S, che sarebbe, razionalmente, la moto più adatta alle mie esigenze, ma faccio il vago e non cado in tentazione: a Capo Nord ci devo arrivare (vivo o morto) con il tricolore attaccato allo specchietto e la Kawa non si inserisce bene nel quadretto.
Arrivo, e Mauro (venditore) dopo avermi ascoltato non mi propone la Kawasaki, anche se gliene avevo parlato per fargli capire quello che volevo, lui mi dice “prova la California”, io gli dico “odio le custom e le cruiser” e poi la California non mi piace, cerco di chiedere come potremmo fare con la Breva, lui insiste “prova la California”. E facciamoci sto giro!
Lei non parlava, dopotutto ero con un’altra, ma si faceva ammirare, metteva discretamente in mostra le sue curve uniche e la sua vocazione di fedele compagna di 1000 avventure.
Faccio il giro con la California in prova (Titanium): Cristoforo Colombo non capirà mai quello che ho provato quando ho scoperto la California!
Maneggevole come una bicicletta, un motorone dolce e potente, un tiro ai bassi mai provato, marce lunghe e una posizione di guida da Capo Nord.
Torno entusiasta dopo mezz’ora (ho messo un po’ di benzina perché mi sentivo in colpa), e riguardo lei, sul cavalletto, mi fa uno sguardo perché capisce che cerco moglie, si propone, discretamente come solo lei sa fare.
Io le sorrido, penso a tutti i viaggi che farò con lei. Mauro mi guarda mentre la fisso e mi lascia fare.
Mi parla della Ev, della Titanium, ma io continuo a guardarla mentre parlo al tavolo con lui, tra tante guardo solo lei, mi sorride, mi fa vedere qualche scollatura, mi parte il giavarrone e dico a Mauro: “la Stone Touring quanto costa”?
Lei sente, capisce, sorride, mi manda un bacio.
Mi avesse detto 50.000 euro ci avrei pensato, ero ingrifato come pochi, lei ci sapeva veramente fare.
“9.990!”, penso: è fatta, è lei, ma devo dare indietro l’Hornet ormai abbandonata in fondo alla sala.
Tra sconto e valutazione devo dargli circa 4.000 euro, gli chiedo se me li può rateizzare a tasso zero, mi risponde di sì andandogli incontro sul costo che lui sostiene e accetto.
Lei intanto parla con le amiche, ridacchiano, tutte si complimentano con lei, io arrivo da dietro, fanno tutte le vaghe, stanno in silenzio, io la prendo, mi metto sopra, la bacio. Le amiche la invidiano: lei è la prescelta.
Un mesetto fa Patrizia (mia moglie) mi aveva regalato un quadro con delle Moto Guzzi d’epoca. Quando le ho detto: “indovina che ho fatto?” Lei mi risponde: “hai comprato la moto!” “Quale?” “La Moto Guzzi!”
Porto Patrizia il giorno dopo l’acquisto, gliela faccio vedere, si sorridono, non fanno le gelose, ci mettiamo in sella, ci abbracciamo tutti e tre: che bello!
Consegna: quando la metto in moto, la vibrazione iniziale la prendo come un bacio, piove e c’é vento ma nulla mi impedisce di godermi il mio nuovo amore. Mando un sms a Patrizia e le scrivo “adesso sono un Guzzista”, lei mi risponde “lo sei sempre stato”.
Fuori dal concessionario c’erano dei ragazzi che mi vedono lasciare l’Hornet e prendere la California, accennano a battute del tipo “Sicuro? Pentito? Rimpianti?” Io gli sorrido e penso “questi non capiranno mai!”.

A Misano al Campionato Naked

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di GianJackal

 

Ieri, per la prima volta per la mia veneranda età (28 anni) sono andato a vedere una gara motociclistica, ma non una gara qualunque… una competizione che ha visto schierate ben 5 Guzzi, tra cui una Furia che più special di così proprio non si poteva!
Io e mio padre (ex-Guzzista o meglio ex-Le Mans III ultrapentito di averla venduta) siamo partiti alle 10 da Tolentino (MC) sotto un cielo limpido e cristallino (ma l’aria era sinceramente un po’ pungente!): comunque eravamo in macchina (non me la sentivo di portare mio padre sul sellino di dietro per 160km all’andata e altrettanti al ritorno!).
Appena arrivati ho contattato via cellulare Tiberio Farneti, cortesissimo e altrettanto simpatico concessionario Guzzi di Rimini: dopo una ansiosa attesa di 10 minuti (avrò sbagliato ingresso? Si sarà perso? Non mi avrà riconosciuto?) si è presentato con due pass per i paddock (stando ai cartelli alla biglietteria i due cartoncini hanno un valore di 25 euro cadauno!).
Parcheggiata la macchina ci avviamo a piedi verso i paddock. Che dire, ne avevo sentito parlare, ma l’atmosfera che si percepisce tra i tendoni, i camion e i camper dei vari team è davvero affascinante!
Finalmente scorgiamo delle Guzzi… una Breva e due Ballabio… pronte per essere guidate da chi volesse provarle! Alzo lo sguardo e vedo tre Guzzi più o meno di serie pronte a darsi battaglia in pista… lo alzo ancora di più e vedo tre loschi tizi armeggiare intorno ai dischi perimetrali di una Furia… FURIOSA!
Io la definirei FURIOSA perché il cupolino che ci hanno montato (sembra di derivazione R6/R1), i due scarichi alti (o meglio CANNONI con collettori di diametro smodato) e i due semimanubri le danno una cattiveria unica!
Accanto alla FURIOSA la V11 dello sfortunato Basso, caduto alla fine del primo giro… ma di questo parliamone più avanti!

Io e mio padre per un po’ abbiamo staccato gli occhi da questo tripudio di Guzzi per andare a vedere una gara: non mi dilungo per raccontarvi che effetto fa vedere (e sentire!) per la prima volta moto con motori fino a 1600cc che si danno battaglia all’ultima staccata!
Tornati nell’harem Guzzi (ottima idea quella di mettere vicini i vari team con MG e la tenda del concessionario) e dopo esserci rifocillati con una bella piadina (20 minuti di fila… no comment ) siamo saliti in sella alle Guzzi per provare i modelli 2003.
Io ho scelto una Ballabio, mio padre la Breva. Purtroppo il concessionario di Rimini non aveva previsto una guida per chi non fosse del posto, quindi dovevamo andare in giro da soli. Al che io penso: prendo la Ballabio, guido fino a casa e mi ritrovo con due Guzzi!
Tornato in possesso della mio nobile animo ho visto arrivare un ragazzo con l’altra Ballabio in prova. Appena ha spento la moto gli ho chiesto se era del posto. Alla sua risposta affermativa gli ho domandato se era disponibile a farci da guida. Dopo una breve consultazione con il concessionario ci ha comunicato che era disponibile!
Ed ecco due Ballabio e una Breva che escono dal recinto dell’autodromo per andare a piegare sui colli romagnoli.
Le mie impressioni sulla Ballabio: la posizione di guida è PERFETTA per quanto riguarda il busto (che figata ‘sto manubrione) ma la posizione delle pedane mi crea automaticamente dei crampi all’altezza delle anche (ma io sono alto 1.83). Il motore gira che è un piacere (avendo poi 2500km all’attivo era anche sufficientemente rodato) con un rombo addirittura più convincente della Scura (merito del catalizzatore? Mah!). La guidabilità è eccezionale: in una bella curva mi sono trovato spontaneamente con una chiappa fuori dalla sella e con il ginocchio pericolosamente vicino all’asfalto (con la mia Jackal non ho mai osato fare una cosa del genere!). Unico difetto riscontrato è la rumorosità del cupolino già a 100km/h. Voto: 9+.
Le impressioni di mio padre sulla Breva: leggera, comoda, frizione morbida, cambio preciso, motore nettamente più brillante e regolare rispetto alla Nevada che aveva provato l’anno prima a Magione (PG). Voto: 10.
Le impressioni sulla nostra guida: ci ha fatto fare un bel giro che ci ha portato su un magnifico belvedere e su dei divertenti tornanti. Si è subito adeguato al nostro ritmo e ci teneva sempre d’occhio negli specchietti: dovrebbero proporlo come guida alla Guzzi! Voto: 10.
Per la cronaca si chiama Angelo ed è il felice possessore di una bellissima 850 T5 rossa.
Una curiosità: durante il giro ci siamo addentrati in una macchia e ad un certo punto un grosso volatile mi è passatto sopra la testa. Preso dalla suggestione ho subito pensato: wow! Un’aquila! Poi mio padre, appassionato di caccia mi ha prontamente smontato… è un fagiano. Voto: 6+.
Rientrati nell’autodromo abbiamo chiacchierato a lungo con la nostra guida, con il concessionario e, udite udite, con il maestro Bruno Scola. Ho così scoperto alcune ghiotte curiosità tecniche e ho capito quali vantaggi potrei avere sostituendo l’albero a camme della mia Jackal con quello prodotto da Scola: 3 cv in più, meno consumi e una seconda marcia che ti permette di affrontare tornanti da prima!
Intanto fervono i preparativi per la gara e cominciano ad arrivare altre MG e relativi piloti ansiosi di assistere alla competizione. Alla fine tra moto da competizione, moto in prova e moto di comuni mortali c’erano una quindicina di MG in bella mostra sotto il sole domenicale!

Mentre si scaldano i motori e i piloti indossano le tute faccio conoscenza con un tizio con la maglietta di Anima Guzzista: non molto ciarliero in verità…
Vengo a sapere comunque che Alberto Sala è presente nell’autodromo… purtroppo non sono riuscito ad incontrarlo e a conoscerlo… andrà meglio la prossima volta!
Ad un certo punto vedo una signora sulla quarantina inforcare una delle Guzzi da gara e schizzare via! Dopo qualche minuto la vedo tornare indietro e discutere con il pilota ufficiale (era la moglie? il meccanico? la mamma di Valentino Rossi?).
Finalmente le moto si schierano: ma che ci fanno delle Hornet 600 e SV650 lì in mezzo? Cosa?!? Ci sono pure dei 250 due tempi? Ma che è?
Scopro così che la gara è “mista”: gareggiano insieme naked 600, naked 1000 e 250 due tempi… ma le classifiche restano separate… non ho parole!
Intanto il giro di prova è terminato, si accende il semaforo rosso (ho lo stomaco annodato)… i motori urlano… semaforo spento… PARTONO! La miseriaccia, la FURIOSA è partita malissimo! Alla fine del primo giro una Guzzi cade e si ritira (scoprirò più tardi che è lo sfortunato Basso)… miii che bell’inizio!
Ho provato comunque a seguire la gara ma con quell’ammucchiata di moto diverse era difficile capire chi era effettivamente davanti.
Comunque la FURIOSA correva da pazzi, sia per il manico non indifferente di Sotgiu, sia per una preparazione unica! Penso che sul rettilineo la FURIOSA andava almeno 30km/h più veloce delle altre V11!
A gara finita ho saputo che Sotgiu era arrivato sesto, quindi perdendo una sola posizione rispetto a quella di partenza. Ho potuto anche vedere in faccia lo sfortunato Basso e la sua moto: la caduta in realtà è stata una banale scivolata, ma ha rotto la pedana del cambio… davvero un peccato!
Finita la gara io e mio padre abbiamo salutato tutti, fatto ancora qualche foto e poi siamo tornati a casa felici e soddisfatti.
Un grazie alla Guzzi (per i pass e anche per il solo fatto di esistere), a Tiberio, ad Angelo, a Ghezzi&Brian, a Scola, a mio padre e a tutti quelli che mi hanno coinvolto e mi stanno coinvolgendo in questa bella passione!
V
GianJackal

Così è se vi pare

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di Piero Pintore

 

Domenica d’inverno.
Tra pioggia, freddo, guardie in ospedale proprioquandoc’èilsole, tappo della benzina bloccato ed altre traversìe, non vado in moto da circa due mesi.
Praticamente non ne posso più.
E’ piovigginato per tutta la settimana ma il meteo ha detto che dovrebbe schiarire…
La moglie già da un po’ mi ha detto che oggi sarebbe stata impegnata per tutto il giorno, non mi ricordo più dove e, comunque, è cosa saggia non indagare. Mai.
Quello che ricordo bene è la richiesta (cioè l’ingiunzione) perentoria: “Occupati della bambina!!”
Mi sveglio alla solita ora, prima delle otto, e dal lucernaio del bagno vedo il cielo grigio, ma non scuro.
Alle nove il cielo comincia ad aprirsi.
La moglie è uscita da un pezzo.
Tengo d’occhio il cielo ed aspetto che Eleonora, quasi dieci anni, si svegli. E’ domenica, come ho detto, e non me la sento di privarla anche solo di un minuto di sonno.
Mi siedo sul divano, cerco un film sul satellite, e aspetto.
Mentalmente ripasso le modifiche apportate nell’ultima sosta in officina del mio Jackal. Secondo disco anteriore, collegato alla pompa posteriore stile Guzzi anni ’80, sabbiatura dei coperchi delle teste e dei gambali della forcella, filtri KN, messa a punto… no, il film non riesco proprio a guardarlo… vado in cucina e preparo la colazione.
Passa il tempo, la bambina dorme come un angioletto… no, non posso proprio svegliarla. Eccheccacchio! Non posso essere così egoista! Il sonno dei bambini è sacro!!
Prendo tempo. Comincio a tirar fuori stivaletti, pantaloni in cordura, felpa in pile… ma lascio tutto in camera e scendo giù in soggiorno ad attendere.
Alle 11 il cielo è proprio aperto e quando sto per decidere che la bimba ha dormito abbastanza, eccola sbucare sulle scale. Scende lentamente, con una lunga camicia da notte bianca. Mentre si stropiccia gli occhi mi sembra la Wendy di Peter Pan. Arriva giù e allargandosi in una stirata molto assonnata mi saluta:
“Ciao. Mamma dov’è?”
“Oggi non c’è. Siamo solo noi due fino a stasera. Vuoi fare colazione?”
“Prima le coccole” decide, e viene ad abbracciarmi.
E va bene, mi dico, ha ragione, non ci sono mai…
Nel frattempo penso al tempo che passa, alla terribile brevità delle giornate invernali…
“E’ una bella giornata – le dico finalmente tutto giulivo – che ne diresti di andarcene in giro??”
“In giro dove?” E’ perplessa, anche perché è fondamentalmente pigra: non le piace uscire di casa senza uno scopo preciso.
“Piove da settimane, finalmente c’è un po’ di sole… andiamo a farci un giro!!”
E’ sempre più perplessa.
“Vabbè, come mi vesto??”
“Vai, lavati, e poi metti la calzamaglia di lana ed i pantaloni più caldi che hai, magari in velluto; camicia, maglione caldo e giubbotto”.
Mentre si avvia alla sua camera bofonchia:
“Ma babbo, perché quando esco con te devo sempre vestirmi da maschio? Ho un bellissimo scamiciato in lana nuovo nuovo…”
Ci siamo.
Ecco arrivato il momento della verità:
Con non curanza dico: “…pensavo di andare in moto…”
Si blocca, si gira e con la faccia più stralunata che le abbia mai visto: “IN MOTO?” mi chiede.
Io incasso e insisto nel tono noncurante: “Beh? Cosa c’è di tanto strano? – e poi, bastard inside – credevo che piacesse anche a te, andare in moto… Credevo di farti una cosa che ti facesse piacere… mi dici sempre che non facciamo nulla di bello, assieme…”
“Veramente ti ho detto che non vuoi mai giocare a scacchi, con me, comunque…
Vabbè, andiamo…”
FIUUUUUUUHH!!
ANDATA! Dico tra me.
Cominciano i preparativi, si sta facendo tardi, cerco di telefonare a Fabrizio, lo trovo, sì, si sta svegliando anche lui, vabbene, tra quaranta minuti al solito distributore all’uscita di Sassari, sì, poi vediamo… vedere la nuova pista a Mores? Si puòffare…
In tre minuti e mezzo ho già su tutta l’attrezzatura, pulisco la visiera del casco di Eleonora che, no, non ha guanti in pelle – “vediamo come ti stanno quelli di mamma – mabbabbo sono grandi – solo un po’, vanno benissimo e poi ti servono solo per attaccarti alle maniglie della moto…”
“Babbo, devo fare colazione…” “Non Ti preoccupare: appena arriviamo a Sassari… ci vogliono poco più di dieci minuti”.
Se Dio vuole il cielo sembra mantenersi aperto, non c’è un alito di vento, solo dei nuvoloni lontani sia ad occidente che ad oriente…
Arriviamo al garage, metto in moto… caspita, la batteria stava un po’ giù, farò i primi chilometri a fari spenti.
Finalmente si parte. Mentre vado a Sassari riprendo confidenza con la mia motazza, era tanto tempo che stavamo lontani…
Arrivo all’appuntamento con Fabrizio ma il cielo è più scuro. Mi rendo conto che l’unica parte con poche nuvole è quella verso la costa. Di andare a Mores non se ne parla. Occhèi vada per Alghero, ma facciamo la vecchia strada…
Usciamo da Sassari e ci dirigiamo per la vecchia strada di Alghero che tra ulivi e domus de janas, tra canyons scavati nel tufo dall’età glaciale, in una goduria di saliscendi e tornanti, sembra sia stata progettata da un motociclista. Vado piano, ho la bambina in sella, sì, insomma, sto particolarmente attento alle traiettorie, ai tratti in ombra che sono ancora bagnati dall’umidità della notte: la mancanza di vento si paga anche così.
Ad un certo punto a metà di un tornantino che ho preso nemmeno tanto allegro, SGRRAAT, sento sotto: macchediavolo è? Mi rendo conto che montare il cavalletto centrale non è stata una grande idea: è comodo in garage, ma in curva tocca subito. E non ho ancora un punto di riferimento per regolarmi.
Come tutti, infatti, ho i miei parametri personali per regolarmi quando sono in piega: con il California ho imparato che prima tocco con il bordo esterno dello stivale, poi con la pedana e poi, direttamente, con la marmitta ed il culo in terra contemporaneamente mentre la moto rotola dall’altra parte. Ecco, questo mi preoccupa: mi paralizza l’ipotesi che se la moto “punta” in piega sul cavalletto, io possa vedere la figlia atterrare su un muretto a secco.
Nonostante stia particolarmente attento, durante il percorso qual rumoraccio si farà sentire altre due o tre volte, ed ogni volta rallento e mi impongo di non esagerare. Povero Fabrizio, dietro di me starà mordendo il casco per il passo che stiamo tenendo…
Arriviamo ad Alghero all’una, giusto in tempo per renderci conto che i nuvoloni di ponente stanno per avere un randevù con quelli di levante proprio sopra le nostre teste.
Eleonora mi ricorda che ancora non ha fatto colazione.
I sensi di colpa del padre che è in me toccano l’apice: andiamo nella migliore pasticceria dove io e Fabrizio ci scaldiamo con un caffè e lei può finalmente rifocillarsi.
Quando usciamo sono le tredici e venti, ma è scuro come se fosse l’una e venti.
Ancora non piove ma bisogna fare in fretta a…
Occacchio!!!
La bambina NON HA una tuta antipioggia!!!!
Si è alzato un vento gelido ma appena calerà saranno secchiate…
Farò di necessità virtù: apro il bauletto, estraggo la Mia tuta antipioggia e la faccio infilare alla bambina. Lei mi guarda, sempre più stralunata, e poi si rassegna: “Meno male che qui non mi conosce nessuno!” esclama.
La misura è una XXXL: la giacca le arriva ai polpacci, le maniche rimboccate per metà, i pantaloni, ovviamente tirati su fino alle ascelle, si adagiano con un effetto Scaramacai su quelle che sotto dovrebbero essere le gambe.
Lai mi guarda rassegnata e mi chiede: “Devo fare altro?” con il tono di chi ti vorrebbe chiedere: non ti sembra di aver esagerato? Cos’altro mi devo aspettare?
Io non colgo la provocazione e rispondo, severo: “Certo! Devi salire in moto e devi fare anche in fretta!!”
Grazie all’aiuto di Fabrizio che assiste alla scena accusando dignitosamente lancinanti spasmi vescicali, Eleonora sale in moto.
Ci avviamo sulla strada dei due mari, tra Alghero e Porto Torres. Dopo una decina di chilometri inizia una fitta pioggerellina ghiacciata e sento il casco di Eleonora che si poggia sul mio dorso. Inizialmente penso che stia riparando la visiera del casco dalla pioggia ma delle strane oscillazioni laterali di quel contatto con bruschi ritorni al centro, mi allarmano. Mi fermo immediatamente e le chiedo che cosa stia facendo. Lei, con l’aria più innocente del mondo mi risponde: “Mi stavo addormentando.”
Terrorizzato le urlo.”Ma sei matta? Se Ti addormenti cadi, ed è pericolosissimo!”
“Sì – mi risponde lamentosa – ma scusa babbo: questa strada è tutta dritta e non c’è gusto… come si fa a rimanere svegli?”
E’ inutile, il sangue non è acqua.
Le dico di appoggiarsi al bauletto e di guardare il paesaggio: mancano solo 15 km.
Dopo dieci minuti entriamo a Porto Torres e ci infiliamo in garage giusto in tempo perché si scateni una bufera d’acqua mai vista.
Rientriamo a casa, preparo il pranzo e, mentre mangiamo le chiedo: “Com’è andata?”
“Ci vorrebbero più curve” mi risponde. E riprende a guardare il suo cartone animato.
Ed io mi sento un padre fortunato. Piero

* * * * *
Oggi mi sono svegliata tardi. Era domenica ed avevo molto sonno. Appena alzata sono andata in camera dei miei, ma era vuota. O meglio: babbo e mamma non c’erano, mentre sul lettone c’era la tuta da moto di babbo e lì vicino gli stivali. Strano, penso, babbo non è uscito. Forse piove. Ma allora perché ha tirato fuori tutta quella roba?
Scendo in soggiorno e trovo solo babbo. Ah, è vero, mamma è andata a quel congresso…
Babbo è stato un po’ frettoloso nel farmi le coccole del buon giorno e mi ha chiesto subito di fare un giro. Adesso capisco perché quella roba sul suo letto!!
Vabbè io ho ancora sonno però, se proprio insiste, tra un po’ magari lo accompagno a fare un giro. Solo che fa freddo, accipicchia!
Dopo un po’ me l’ha detto: vuole uscire in moto. Non riesce proprio a resistere, poverino: quando arriva la domenica, se non deve lavorare ha proprio bisogno di andarsene in moto. Io non ne ho molta voglia… però… come faccio a dirgli di no??
Quando gli ho detto di sì ha fatto finta di niente ma è diventato un ciclone: in un attimo era vestito, mi ha dato una mano ad asciugarmi e vestirmi, si è messo a telefonare, guardava continuamente fuori dalla finestra per controllare il tempo…
Mi ha fatto addirittura mettere i guanti di mamma, che a me stanno decisamente grandi. Ma era tanto felice, poverino, che non me la sono sentita di fare storie.
Non mi ha dato nemmeno il tempo di fare colazione: siamo subito partiti.
Io dietro di lui sto bene: la sella della sua moto è comoda e lui è grande e grosso (anche un po’ troppo, per la verità) e mi protegge bene dall’aria. Solo che davanti non vedo niente…
Appena siamo arrivati a Sassari c’era un suo amico e si stava tutto annuvolando. Senza perder tempo siamo partiti per Alghero facendo una strada che non avevo mai fatto. Era tutta curve e la moto si inclinava continuamente a destra ed a sinistra. Qualche volta babbo deve avere esagerato, perché sotto si è sentito il rumore del ferro che toccava la strada…
Però con babbo mi sento sicura, anche mamma lo dice che con lui si può andare tranquilli. Mamma ha anche detto che qualche volta corre un po’ troppo ma oggi mi è sembrato che andasse bene.
Quando siamo arrivati ad Alghero abbiamo finalmente fatto colazione. Peccato che stesse per iniziare a piovere. Babbo mi ha costretto ad infilare la sua tuta antipioggia. Io non ho avuto il coraggio di protestare ma mi sentivo molto ridicola. Ho pregato per tutto il viaggio di ritorno che a Porto Torres nessuno dei miei compagni di scuola mi vedesse conciata in quel modo. Ho tentato anche di nascondermi un po’ appoggiandomi a lui con il casco. Lui ha capito che c’era qualcosa sotto, ed infatti si è fermato per chiedermi cosa stessi facendo. Non ho avuto il coraggio di dirgli la verità, e mi sono inventata che mi stavo addormentando. Si è molto arrabbiato. Poi, quando gli ho detto che era la strada dritta a farmi venire il sonno si è calmato.
Meno male che siamo arrivati a Porto Torres all’ora di pranzo, e tutti i miei compagni erano a casa e non mi hanno visto conciata in quel modo.
Quando siamo tornati pioveva molto forte, ma ormai eravamo a casa.
Babbo ha preparato il pranzo e mi ha chiesto cosa ne pensavo della gita.
Io non sapevo che dire. L’unica cosa è che in rettilineo mi annoio. Gliel’ho detto e lui non mi ha risposto. Ma sembrava molto contento.
Eleonora

 

* * * * *

ECCO!!
LO SAPEVO, IO!!!
DOVEVO ASPETTARMELA, UNA COSA DEL GENERE!!!
PER UNA VOLTA, DICO…
UNA VOLTA…
CHE HO UN IMPEGNO DI DOMENICA…
CHE SONO IO AD AVERE UN IMPEGNO ALLA DOMENICA…
CERTO CHE POSSO STARE TRANQUILLA!!!
PERCHE’ LUI
IL SIGNORE E PADRONE,
LUI
IL GRANDE EGOISTA,
LUI…
NON PUO’ RINUNCIARE LUI A QUELLA MALEDETTA MOTO!!!!!
NON IMPORTA CHE CI SIA FREDDO,
NON IMPORTA CHE LA BAMBINA ABBIA LE SUE ESIGENZE,
NON IMPORTA SE NON E’ ATTREZZATA
NON GLIENE FREGA NIENTE A LUI DEGLI ALTRI!!!
L’IMPORTANTE E CHE LUI,
L’OMBELICO DEL MONDO,
IL CAMPIONE MONDIALE DELL’EGOISMO,
L’IMPORTANTE E’ CHE LUI POSSA ANDARE IN MOTO!!!!
SI DEVE SVAGARE, IL SIGNORE,
SE NE FREGA SE LA FIGLIA HA FREDDO,
SE LA PORTA SOTTO LA PIOGGIA BAGNATA COME UN PULCINO, L’IMBECILLE!!!!
– Mamma, guarda che non mi sono bagnata, mi ha fatto mettere la tuta antipioggia
– Quale tuta antipioggia?
– Quella sua.
BEEENEEEE!!!!
ANCORA MEGLIO!!!!
PERCHE’ NON GLIENE FREGA NIENTE, A LUI, DI CONCIARE LA FIGLIA COME UN PAGLIACCIO, DI RENDERLA RIDICOLA…
SE TU TI VUOI CONCIARE COME UN CIGHIALE, FAI PURE!!
MA MIA FIGLIA DEVE ANDARE IN GIRO VESTITA COME SI DEVE, NON COME VUOLE UN PADRE EGOISTA E IRRESPONSABILE!!
IN MOTO SOTTO LA PIOGGIA!!!
POTEVI AMMAZZARLA, DELINQUENTE CHE NON SEI ALTRO!!!
Rita
N.B.: Il resto è cronaca quotidiana nelle case dei Guzzisti…

 

Una Lodola per il Bepi

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di Vanni Bettega

 

Introduzione
di Fange

Questo racconto merita una premessa visto che il suo autore ha qualcosa di ‘speciale’!

Vanni Bettega è un signore che ha passato 36 anni della sua vita a svolgere diverse mansioni all’interno degli stabilimenti Moto Guzzi a Mandello del Lario. Potrebbe succedere facilmente che dopo tanti anni a contatto con un certo ambiente uno si senta un pò… ‘saturo’. Vanni invece ha lavorato sempre con tanta passione, così tanta che oggi ne ha ancora in abbondanza e ce la dispensa con le sue partecipazioni ai nostri incontri, con i suoi mille aneddoti, con i suoi consigli tecnici e le sue esperienze vissute li, in fabbrica, tra i banchi da lavoro e il rumore dei motori accesi.

Quanti libri si potrebbero scrivere con quello che Vanni racconta, come di quando De Tomaso non credeva ai suoi occhi dopo aver visto la potenza erogata dal V35 rispetto al suo 4 cilindri simil-Honda, o di quando in fabbrica nessuno avrebbe scommesso una lira sulla prima 850 Le Mans perchè tutti credevano fermamente nella 750S3, o di quando il lunedì mattina la tinta colava giù dai serbatoi appena verniciati perchè i forni non erano ancora in temperatura e fuori faceva -7.

Da un anno è in pensione ma quando uno nel cuore ha l’aquila della Guzzi stare lontano da quel mondo è come chiudersi in una stanza buia. E così Vanni ha deciso di farci un regalo e ci ha preparato questo racconto di vita vissuta al quale ci auguriamo che ne seguiranno molti, ma molti altri…

Vanni: un fatto italiano che il mondo ci invidia!!

 

Sto tornando a casa da Sondrio con la mia GTV classe 1947, ho superato il Crottino e si prospetta la discesa verso Dorio. E’ la vecchia statale 36, la strada di casa mia.

Nello specchietto vedo un faro acceso e allora voglio provare se la mia moto regge il passo con andature “moderne”. Controllo che il manettino sia tutto anticipato e tutto tirato lo starter, quindi apro tutto. La moto è lunghetta e nelle curve, se si marcia sui 100 all’ora, bisogna dare un filo di controsterzo.

Son tutte curve amiche mie e quando arrivo in fondo al rettifilo di Dervio il faro nello specchietto non c’è più.

Il semaforo è rosso e dopo qualche istante mi si affianca il ragazzo col Monster. Mi fa segno col pollice alzato. Forse è alle prime armi… lo saluto mentre vien verde e giro a sinistra perché sono arrivato.

Le sbarre del passaggio a livello sono abbassate mentre io, soddisfatto della mia “performance” chiudo il gas, tolgo l’anticipo e mi ascolto il respiro del motore.

Distinguo perfettamente il rumore dell’aspirazione da quello dello scarico e mentre sto assorto ad ascoltare questa musichetta mi si affianca lui, con il suo benellino scassato. E’ il Bepi che sta portando a spasso le sue 87 primavere.

Alza la visiera e guarda il volano girare: “ela una Guzzi?” mi fa con quella vocetta un po’ in falsetto e un po’ sorniona che fanno quelli che hanno conosciuto Carlo Guzzi e che ne imitano la voce raccontandotene qualche aneddoto, e che io conosco bene, perché di questi aneddoti ne ho ascoltati tanti.

Io sto al gioco e faccio cenno di sì col capo. Passa il treno, io riparto e lui tranquillo richiude la visiera e prosegue per la sua strada.

Diavolo d’un Bepi, c’è stato quarant’anni in Guzzi, per me quand’ero piccolo lui era “LA GUZZI! “. Quando andavo a casa sua a giocare con suo figlio Tato e ogni tanto alternavamo le partite coi soldatini di piombo con lo sfogliare i Libri d’Oro che l’azienda donava ai dipendenti alla fine delle stagioni vittoriose.

Il modello GP, la 350 da competizione, i lunghissimi elenchi di vittorie, le foto di Bill Lomas, Mentasti, Stanley Woods e poi Tenni, Lorenzetti, Dickie Dale, Ken Kawanag e quelle moto con la carenatura a campana.

Ma come faranno a inclinarle così tanto in curva ?

Le mezze giornate, ci perdevamo. Altro che studiare!!

Erano i tempi che i miei mi mandavano d’estate alla Colonia di Cesenatico. Con noi del lago c’erano i ragazzi di Milano. Ovviamente noi eravamo quelli della Guzzi e loro quelli della Gilera.

Canzonavamo gli avversari con una cantilena che faceva così:

La Gilera
Sconquassera
che prima no la gh’era
adess a l’è rivada
tuta sconquasada!
adess a l’è rivada/ tuta sconquasada!

Noi non sapevamo che la Gilera era nata dodici anni prima della Guzzi ma, dato che non lo sapevano nemmeno loro, la cosa funzionava perfettamente!

Poi un giorno mio padre che aveva fatto la Ritirata di Russia col Bepi, arrivò a casa e mestamente mi disse che per qualche giorno era bene non andare a impicciare in casa del Tato perché suo papà s’era fatto molto male. Ora so cos’era successo.

Bepi era addetto al banco prova. Si stava provando il motore V2, l’antenato del V7, quello che avrebbe dovuto motorizzare la 500 FIAT, roba che poi non andò in porto.

Il motore girava ed era collegato al banco con un giunto. Fuori dal vetro c’erano l’Ing.Carcano, il Bepi, il Piero e l’Ing.Renzetti. A un certo punto, il giunto si ruppe, rimbalzò sul soffitto della sala prova e fra i quattro scelse di colpire il Bepi in pena faccia.

Tutti credevano che il Bepi sarebbe morto, invece recuperò ed eccolo ancora qui, con quella sua faccia ridotta a metà per la mancanza di uno zigomo.

Quando si rimise, l’azienda gli regalò una Lodola Gran Turismo, rossa e fiammante che era la più bella moto del paese. Lo vedo ancora, in tutte le stagioni arrivare col telo, una specie di tonnau che partiva dal manubrio e s’allacciava dietro al collo, i guanti rigidi applicati fissi al manubrio, gli occhialoni gialli e il berretto in pelle, portarsi appresso al portone del deposito in cui teneva la moto, accostare di lato, aprire la porta, mettere dentro la ruota e infine togliere la chiave e ricoverare tranquillamente la moto.

Di tanto in tanto, le domeniche d’estate, di mattina, mi s’accostava e vedendomi un po’ annoiato, mi diceva “dai salta su che si va a Livigno”.

Metteva la prima e con un colpo di gas scendeva la moto dal cavalletto, io sistemavo i pedalini e salivo dietro. Prima, seconda, terza e quarta senza tirare le marce.. A questo punto si sistemava gli occhialoni e tranquillamente s’infilava i guanti, senza far ondeggiare la moto. Ecco, adesso si poteva aprire.

La moto andava via con signorilità, si sentiva solo il rumore dell’aspirazione e il variare dei profumi man mano che la vegetazione cambiava in virtù dell’altitudine. Com’era bello senza casco!

Una volta a Livigno si compravano le sigarette per gli amici, qualche tavoletta di cioccolato, la saccarina per la zia diabetica, poi due panini a testa e due birre da divorare in uno di quei grandi prati che circondano la cittadina.

Seduti sull’erba, si parlava del più e del meno e poi, prima che calasse il sole, il pieno alla moto e giù. Tanti giovanotti di allora, di una decina d’anni più vecchi di me, in paese comprarono la Lodola, forse più per lo stile con cui la portava il Bepi che non per la moto in se stessa.

Oggi non posso nel vedere una Lodola non pensare al Bepi, ma lui non sa che se son diventato Guzzista è proprio colpa sua!

 

Vanni Bettega

Un piccolo miracolo

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AnimaGuzzista Racconti Un piccolo miracolo

di Beniamino Vigo

 

Beh gente, non mi sembra vero, e’ giunto il momento di rinforcare la mia V11.

In officina hanno terminato l’opera e non é stata impresa da poco: si trattava non solo di sostituire un buon numero di parti, ma di rimettere a punto una moto resa inutilizzabile da un furto che non ha fatto molta strada ma ha lasciato tracce di dispetto. Per fortuna la stagione si presta a questo genere di opere: per prima cosa la diagnosi sul corpo leso, e quando l’Ercole ha detto “si può fare”, quell’aspettativa ancora incerta ha trovato solida consistenza.

Quindi via con le parti nuove, tra cui pneumatici e sella (tagliati), monodisco frizione (bruciata), disco freno posteriore (abraso fino alla ruggine), manubrio e leva di destra (piegati), batteria, più una serie di altri dettagli (frecce, kit chiavi, manicotto aspirazione ecc ecc…), poi la messa a punto: dalla messa in asse della base di sterzo all’aggiornamento (in garanzia) e pulizia del cambio, a tutte le opere previste per il tagliando dei 10.000, e come tocco conclusivo riverniciatura , sempre in garanzia, del motore previa rimozione degli strati precedenti. Meno male che la parte termica e la ciclistica sono rimaste sane. Quattordici ore di mano d’opera (per fortuna in parte riconosciute dalla Casa) credo dicano tutto.

Il risultato é sotto gli occhi: una moto riportata completamente al nuovo e già questo, da fermo, sembra incredibile. Dopo aver ritrovato a quattro mesi dal furto la mia “piccola” 1.100 ormai data per persa, dopo che l’avevo cercata con annunci su riviste dell’usato e siti internet di “colleghi” guzzisti sparsi per il mondo, dopo che infine mi ero “ridotto” all’acquisto di una pur bella ed efficace quattro cilindri giapponese, più economica e comunque emozionante (ammettiamolo, non é un peccato!), ma senza quella unicità che rende la guida di una moto un’esperienza ancora speciale dopo tanti anni, quella che, a proposito della V11 e delle Guzzi, un giornalista americano del settore letto non so più dove aveva definito una “experience apart”.

I due Maffezzini hanno davvero fatto più di quanto ragionevolmente mi attendessi, si vede che sono “coinvolti” nel loro lavoro, ma giustamente mi invitano a provare con mano quanta sostanza ci sia dietro a quell’apparenza che già rischia di incantarmi.

Confesso di avere un certo timore: dopo aver provato l’altra moto, una sedici valvole “depotenziata” (bontà loro!…) per renderla cattiva anche in basso, ed averci fatto l’appennino in lungo e in largo la scorsa estate divertendomi non poco, cosa potrà mai darmi la “semplice” bicilindrica? O non l’avrò rimessa a punto solo per calcolo, per rivenderla appena possibile?

Non credo di essere facile all’affezione per gli oggetti, e per le moto in particolare come ben sanno gli amici che mi conoscono, e per quanto questa non fosse la mia prima Guzzi, e mi fosse cresciuta dentro forse anche nell’assenza, davvero non mi aspettavo che bastasse accenderla e risentire quello scuotimento di traverso che già in “folle” trasmette solidità e lascia pregustare la potenzialità del motore per provare di nuovo la naturalezza di quei gesti familiari. Poi l’esperienza dinamica: la presa dei mezzi manubri, la ciclistica e le forcelle che trasmettono la giusta sensibilità dell’asfalto, la buona proporzione ergonomica, la sensazione di avere solo poche decine di centimetri di serbatoio lì davanti tra la tua faccia e il vento. Molto bene, ora il peso del motore é diventato possanza con un breve angolo di rotazione del gas, ma fin qui anche altri potrebbero cimentarsi con successo, adesso viene il meglio: il cambio snocciola le marce una dopo l’altra come si trattasse di ingranaggi in un orologio, la frizione stacca con una rapidità che all’inizio mi spiazza un po’, mi ero dimenticato la sua immediatezza, ma presa la giusta mano diventa una qualità cui è difficile rinunciare, e ha acquistato nella revisione una dolcezza che non le conoscevo. Anche la trasmissione è molto diretta, ma la possibilità di giocare con un acceleratore sensibile e di sfruttare i giri fino al minimo permettono di gustarne quasi la dinamica dalla coppia conica alla ruota.

In breve trovo il giusto ritmo tra accelerazioni, scalate e spazi di frenata e la piena intesa con il motore: l’alternanza del moto lineare dei pistoni con l’aumentare dei giri sembra fondersi in un corpo unico, un movimento “rotondo” tutto incentrato sull’albero motore, l’incremento segue la regola della corsa lunga, e dosando il polso sento la progressione della risposta.

Ecco il ritrovato senso della moto: non solo una sensazione il più possibile diretta del movimento di un corpo nello spazio, ma quella presenza del motore che davvero rende ogni moto unica e a sé stante, e te ne fa sentire una più di tutte le altre affine.

E’ una settimana che é successo il piccolo miracolo e nonostante la stagione inclemente davvero non riesco a togliermi di dosso un sorriso quando penso di poter nuovamente godere la pulsatilità di un mezzo meccanico del quale riesco quasi a seguire l’effetto di ogni gesto che compio.

Credo di dover davvero ringraziare non solo la professionalità e la passione dei miei meccanici nonché concessionari di fiducia, ma di dover ringraziare la Moto Guzzi che ha reso tale passione un fatto di cultura vivo e comunicabile.

Beniamino Vigo

Attenti a quei due!!

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di Giuseppe Cavalieri

 

Vallellunga (RM) 2 novembre 2002.

Ore 9: appuntamento davanti casa mia. Carichiamo le moto poi si parte, destinazione Vallelunga.

 

Arriviamo verso le 10, il cielo é nuvoloso. Ci ritroviamo tutti a fare scongiuri, speriamo bene.

Ore 11,30: siamo al cancello, ci gustiamo i soliti sguardi del tipo: “anvedi questi, ma ndo vanno!” ecc. In effetti in mezzo al fior fiore delle sportive giapponesi e ducati varie, siamo un’eccezione, ma a volte le apparenze ingannano!

Ore 11,35: si balla! I primi giri sono di riscaldamento e di assuefazione alla nuova configurazione di Vallellunga. In pratica adesso senza la prima variante, dopo il rettilineo dei box viene una S velocissima che noi con le Guzzi facciamo in quinta piena, le Jap no; molti addirittura frenano di brutto. In effetti ci rendiamo subito conto che il livello é bassino e dopo pochi giri ci ritroviamo a fare i fenomeni, perché a parte quei pochi che il gas lo davano davvero, il resto subisce l’onta del sorpasso da parte dei nostri ferracci.

Dopo 4 o 5 giri vengo passato da Claudio (CP) all’uscita della curva Roma e per un paio di giri mi gusto la sua particolarissima guida, un pò meno il malcapitato pilota di un VTR che si é visto passare un pò rudemente all’esterno della curva Trincea.

Io mi ingarello con una R6 per parecchi giri fino a un contatto alla curva Esse dove resto in piedi per miracolo e comunque davanti. Ad ogni modo il divertimento é pure quello.

Alla fine dei turni ci scambiamo le nostre impressioni sulle moto e sulla pista. Le moto vanno da Dio per quanto riguarda la parte ciclistica e Claudio é abbastanza soddisfatto anche del motore, purtroppo per me il mio di motore non é assolutamente all’altezza del resto (temo che dovremo aprirlo) e anche la forcella ha pensato bene di crearmi parecchi problemi.

Infine vorrei rivolgere un invito agli amici con i 1100 sport, V11, Daytona e Centauro: fatevi vedere di più alle prove libere!!!

Ore 17,30: ricarichiamo le moto, si torna a casa. Mille di questi giorni!

Da Vallelunga Claudio (CiPì) e Peppe (Mandrake)

In pista a Misano

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di Luca Formenti

 

“Una splendida giornata,
quante sensazioni, quali emozioni,
poi alla fine ti travolgerà”

Scrivendo questi versi, Vasco Rossi aveva forse fatto un giro a Misano, in terra d’Emilia, patria del mutür.
E aveva ragione: una giornata in pista non può che travolgere la passione motociclistica di qualsiasi centauro e marcarla in modo indelebile.
La mia giornata da pilota comincia il venerdì, quando “il Maestro” (Firmino Gulmini, storico meccanico Guzzi e Ducati di Cinisello Balsamo, Milano) mi avvisa che la Ducati ha prenotato la pista romagnola, per far di provare le proprie supersportive in circuito (998 e 999, mica pane e fichi!) e far girare i privati con le proprie moto. In contatto con i ragazzi dello Store Ducati Verona e Mantova, grazie a Daria, prenotiamo un posto per il sottoscritto, pilota e reporter di questo avvenimento.

L’appuntamento è per lunedì 30 settembre, presso il circuito Santamonica, anonima frazione di Misano Adriatico. A parte viene descritto il profilo del tracciato e un giro di pista in sella alle due moto che avevo a disposizione: “la Gialla” e “la Verde”, nelle foto.

 

UN GIRO DI PISTA
In 2° la prima curva a destra, poi si apre completamente e in 3° si affronta la seconda curva a destra per poi frenare bruscamente e in 2° percorrere il tornante sinistrorso, in seguito si affrontano le 3 curve del carro, prima in 2° e poi in 3°, aprendo completamente la manetta dopo la seconda curva del carro, sul rettilineo si mette la 4° e si raggiunge la velocità più alta del tracciato (a occhio 210-220 km/h), si inchioda per entrare in 2° nel tornante sinistrorso e poi in 3° si percorre l’ampia curva a destra e si rimette la 2° marcia per percorrere la stretta curva a destra e in salita che porta alla variante affrontata sempre in 2°, si mette poi la 3° e si scala nuovamente in 2° per affrontare l’ultimo tornante e si tira la 2° appoggiando per poco tempo la 3° per affrontare ancora in 2° marcia l’ultima variante prima del rettifilo di arrivo, su cui si scaricano 2° e 3° e si usa per poco tempo la 4°.

L’eccitazione dell’attesa viene interrotta dai soliti imprevisti dell’ultimo momento: una moto che all’inizio non voleva accendersi e una piccola perdita d’olio. Entrambe le moto hanno subìto importanti interventi al motore, come la ricostruzione di un pistone o il completo assemblaggio dei gruppi termici.
Arrivati a Misano, un cielo libero da nubi scalda l’asfalto, tranquillizzando un po’ il sottoscritto, alla prima esperienza in questo contesto di guida.
Mi iscrivo, pago la quota, mi vesto e sono pronto per saltare sulla moto e fare un giro…nei paddock! Non avendo mai guidato queste moto, è meglio prenderne conoscenza in un contesto più facile rispetto alla pista.

 

 
Qualche giro e, in sella alla Gialla, mi butto nella mischia: o meglio, è la mischia che si butta su di me; mi passano tutti, ma proprio tutti, anche quelli che sono fermi ai box….
Prendo confidenza con le curve, con il tracciato e con l’asfalto, confortato dalle Michelin Sport (usate…) che dovrebbero essere ben più sincere e prevedibili delle slick montate sulla verde.
Esco e rientro con quest’ultima: accedere alla pista non è mai stato un problema per l’assenza di qualsiasi coda o di turni da rispettare; insomma, un vero paradiso per chi deve imparare o mettere mano frequentemente alla moto.
Con la verde i miei timori sulle slick si rivelano infondati: per quello che ho potuto osservare, si scaldano con la stessa rapidità delle Michelin, ma permettono angoli di piega ben più accentuati.
Un confronto tra le due moto mi permette di osservare che la gialla ha un motore più trattabile in basso, e una ciclistica più facile da gestire, grazie soprattutto al doppio giunto cardanico e al set completo di sospensioni oleopneumatiche Double System; invece la verde ha rapporti più lunghi e un motore che spinge oltre i 5000, ma ha anche una potenza ben maggiore e un telaio più “nervoso”. Probabilmente durante una gara si potrebbe andare più forte con la verde, ma la mia preferenza va alla gialla.
Per entrambe le moto, i freni dotati di pompa radiale, pinze e dischi racing permettono frenate da monoruota, anche grazie al peso ridotto dei mezzi, sui 160 kg, e del pilota….

Come detto all’inizio, la giornata era stata organizzata dalla Ducati, e a disposizione vi erano due 999 e quattro 998. Ovviamente mi sono prenotato per la prova di entrambe le moto: potendo fare solo due passaggi davanti ai box, non ho avuto il tempo di approfondire molto la conoscenza di questi fantastici mezzi.
Mi sono trovato su due vere moto da pista, che poco o nulla hanno a che vedere con l’asfalto aperto al pubblico: per intenderci, mi permettevano la stessa impostazione di guida che avevo con la gialla e la verde (ovvero moto dedicate unicamente ai circuiti), eppure avevano il portatarga, le frecce e lo scotch telato sui fari…..
Il 998 oltre che bellissima, ha un certa durezza nelle 2 chicane, ma la stabilità aprendo completamente la manetta in uscita dalla terza curva del Carro è eccezionale.
Il 999 aveva un grosso difetto: le moto disponibili avevano fatto molti giri di pista e quindi le gomme erano finite. L’anteriore chiudeva lo sterzo ad ogni accenno di piega, mentre il posteriore perdeva aderenza in qualsiasi piega, senza la necessità di aprire il gas. Non è un caso se entrambe le moto sono finite per terra e la seconda è caduta col pilota che ho preceduto.
Con le moto del Maestro invece non ci sono mai stati problemi, a parte quando la verde si è spenta perché non beveva abbastanza: ovvero, la benzina era finita!!
Ho fatto un solo giro per i prati, quando in un eccesso di amor proprio ho cercato di stare dietro ad un 748 e in piega ho strisciato il piede destro per terra: lo spavento della prima grattata mi ha fatto alzare la moto e allargare inevitabilmente la traiettoria verso lidi più bucolici.

In un attimo la giornata è volta al termine, nonostante abbia fatto circa 35 giri di pista, più i 6 fatti con le Ducati.
Ormai mi sono ammalato di pista e auguro a chiunque di prendere la stessa malattia, perché non c’è nulla di più sicuro per gustarsi la propria moto in modo sportivo.
Un pensiero e un augurio va in questi giorni a Marcello e Antonella, coinvolti in un incidente al ritorno dal raduno di Mandello: conoscendo il pilota, non c’è dubbio che la colpa non possa essere sua. Quello che è successo a loro non sarebbe mai accaduto in pista e ciò mi spinge sempre più a risparmiare le mie finanze per poche, ma intense giornate in circuito.
Una piccola considerazione va anche alla produzione sportiva Guzzi. Parliamoci chiaramente: una moto sportiva non esiste più da anni. Il 1100 Sport e il Daytona non sono delle moto da pista. I mezzi del Maestro sono invece delle basi su cui una azienda seriamente intenzionata a fare una moto sportiva può costruire un modello omologato, che non potrà mai competere con le varie Jap, Ducati, Aprilia, MV, Benelli e tra poco Mondial, ma almeno permette agli appassionati della pista (e non solo del marchio, intendiamoci!) di divertirsi in circuito.
Concludendo, una giornata fantastica, abbastanza costosa, da ripetere appena il portafoglio ingrassa un po’.
Pieghe, emozioni e sicurezza impensabili su strada.
Un ringraziamento a Daria, ai simpatici ragazzi del Ducati Store di Verona e Mantova, alla Ducati e ovviamente e soprattutto al Maestro, Firmino Gulmini.

Alla prossima.

CRM Moto

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Intervista di Alberto Sala
Prefazione di Mauro Iosca
Foto di Alberto Sala e Agnese De Biasio

 

Frequento il “nord-est” (specialmente la parte al confine fra Veneto e Friuli) da molto tempo per lavoro e lo attraverso in lungo e in largo, visitando aziende e clienti che negli anni mi hanno permesso di conoscere un “popolo” (come molti di loro amano definirsi), che ad un primo approccio potrà apparire serio ed introverso, ma che col tempo e la frequentazione non “riuscirai”, ma “dovrai” necessariamente amare.
Quello che colpisce di questa gente è la basilare determinazione nel fare le cose, la mancanza di inutili sofisticazioni ed un grande rispetto per la terra, la casa, il lavoro; proprio quest’ultimo aspetto, inteso come l’operare fieramente, qualsiasi sia l’obiettivo da raggiungere è ciò che fa di loro un limpido esempio di razionalità e decoro.
Questi sono forse i connotati generici, ma non scontati che ho ritrovato anche in Sostene e Mauro i titolari della CRM concessionaria MG di Pordenone bellissima e moderna, forse anche troppo Hi-tech per le “rotondità” barocche delle infinite California che la frequentano perché moltissimi sono i guzzisti che qui hanno trovato una “base” un “approdo” un punto fermo.
Insomma Sostene e Mauro e il giovane Michele con i loro affezionati clienti e la CRM sono già “avanti”, la Moto Guzzi… arriverà.

Alberto: Come è nata la concessionaria e quando sei arrivato tu?
Sostene: La CRM nasce nel 1980, ci sono due soci e un meccanico, il meccanico era un giovane apprendista, il mio attuale Socio, (Mauro Marcuzzo). Lui ha lavorato sulle Guzzi sin da allora. La sede di allora e anche la nostra per i primi anni, era un “bugigattolo” di 150 mq, 75 di negozio al pian terreno e 75 di seminterrato per l’officina. Io e Mauro siamo subentrati alla fine del 1995.
Abbiamo lavorato lì fino all’estate del 2001, dopodiché ci siamo trasferiti nella sede attuale che ci sembrava grande rispetto a prima, ma poi vedrai anche tu che in realtà lo spazio diventa poco in fretta. Abbiamo sentito subito la differenza dell’essere posizionati su una strada con molto passaggio (e per di più vicini a un semaforo), rispetto che in una via laterale. All’inizio eravamo solo io e Mauro, poi è arrivato Michele, il ns. meccanico, prima nella stagione estiva e poi appena terminato il servizio militare, in maniera definitiva.
A. Ma da dove ti è partita l’idea di subentrare in un concessionario Moto Guzzi?
S. Mauro era già qui, era stato il loro meccanico. Era stato lui a scegliere il nome della concessionaria (Centro Riparazioni Moto) già all’epoca. Io volevo fare qualcosa con Mauro; l’idea era di gestire una stazione di servizio con officina, ma poi è comparsa questa occasione, i vecchi proprietari hanno chiesto a Mauro se voleva rilevare l’officina, lui è venuto da me e in una decina di giorni ha tramutato i miei dubbi in SI, e siamo partiti in quest’avventura, che è stata un po’ dettata da una “sana follia”, perché non siamo partiti con grosse liquidità, ed abbiamo dovuto arrangiarci con quello che c’era… in questi anni, molto probabilmente non lo avresti potuto fare.
A. Che differenza c’è come clientela da allora ad adesso?
S. Quando siamo subentrati noi, l’età media della clientela era piuttosto alta. In gamma c’era Nevada, California, 1100 Sport e Daytona, non c’era altro. Il grosso della clientela aveva Nevada e California, quindi qualche parvenza giovanile ce l’avevi con la Nevada; coi California, tranne qualche eccezione, erano quasi tutti dai 40 anni in su. Poi più avanti, col V11, un po’ si è abbassata, e con l’arrivo della Breva 750 gli abbiamo dato un altro “colpetto”; abbiamo una forbice d’età media dai 25 in su. Non abbiamo moto per ragazzi, però un po’ con il V7 Classic adesso e un po’ con la Brevina prima, abbiamo anche dei giovani centauri.

A. Quali sono i modelli che vendi di più ora? Cosa ti chiedono?
S. Io due modelli più richiesti sono Stelvio e V7 Classic, nel 2009 e nel trend attuale.

A. Mentre Griso e Breva?
S. Il Griso, rispetto a come era partito, ha un po’ rallentato, un po’ forse col “giro” di motorizzazioni, col “mescolone” che hanno fatto nel tempo, un po’ come avevano fatto col V11… spero che la lezione sia servita… se crei confusione, non crei stabilità; poi c’é la Nevada, che tiene la sua fetta di mercato, è sempre stata una moto che ha consentito di entrare nel mondo Guzzi, poi non tutti, ma una buona parte passava alle cilindrate superiori. E’ una moto da ingresso, anche se non ha un prezzo “accattivante”. Nonostante la Breva e la V7 Classic, lei la sua fetta di mercato ce l’ha sempre, anche perché ha goduto dei vari miglioramenti di quel motore… ora i problemi di vibrazioni e di carburazione che c’erano prima, non ci sono più.

A. Nel prepararmi le domande mi sono riletto alcune interviste, e già nel 2002 si parlava dell’esigenza di fare un motore nuovo, qualcosa di completamente diverso…
S. Beh, io sono abituato a vedere le cose nell’ottica del “cosa costa”, “cosa puoi vendere”, e soprattutto del momento in cui ne parli: era giusto parlarne qualche anno fa e se fosse continuata la gestione di Beggio, oggi forse quel motore ci sarebbe; col passaggio di proprietà e soprattutto con questi ultimi due anni di calo del mercato, dico: c’è stata una sorta di “pausa”, per farlo un motore nuovo in questo segmento di moto, devi essere competitivo anche nel prezzo, devi poter compensare i costi di un investimento del genere; guardando dall’altra parte, alla Shiver, forse non è così semplice. Sarei il primo a volere un 750 più prestante rispetto a quello attuale. Io sui loro progetti… non so se questa cilindrata sarà curata dopo, se sarà portata a 850… non lo so sinceramente, non ho notizie in merito; certo è che in questo momento posso anche capire che stiano a vedere che succede… bisognerebbe capire che progetti hanno loro in mano, che programmi hanno per questo segmento.

A. Che non hanno illustrato alla Convention a Montecarlo…
S. Diciamo che hanno fatto capire che c’è della carne al fuoco, forse qualcosa anche a buon livello di sviluppo, e forse è anche meglio così, che non si sappia molto. Una volta c’era qualche “collegamento”, quando si faceva tutto a Mandello. Qualcosa si riusciva a sapere. Adesso c’è altra gente che cura queste cose e non stanno a Mandello, di conseguenza sapere qualcosa è molto difficile. Io sono certo che gli investimenti nel marchio Guzzi, sono partiti e saranno anche sostanziosi, stanno lavorando sulla “serie grossa”, il segnale deve per forza partire da qui, e quindi il 750 nuovo, se verrà, verrà dopo. Questa però è la mia idea.

 

A. Trovi che sia positivo il fatto che Colaninno si sia esposto un po’ di più in prima persona rispetto a prima?
S. Secondo me è un segno di cambiamento. Non posso pensare che lui abbia fatto quelle dichiarazioni e preso certi impegni se poi non c’è niente dietro. Sarebbe pazzia allo stato puro. Non solo per la Moto Guzzi, per il mondo della moto, ma anche per il suo mondo, non è un piccolo imprenditore di paese. E’ una persona che se dice delle cose, almeno una parte le deve fare. E le deve fare bene. L’ho sentito dire davanti a dei giornalisti, e l’ho visto anche abbastanza ‘accalorato’ nel parlare di Guzzi, cosa che in passato io non l’ho mai sentito fare. Per me qualcosa di positivo ci deve essere; poi è chiaro che dobbiamo metterci tutti in testa che nel mercato moto non ci saranno più i numeri di una volta, né ci saranno per qualche anno cose mirabolanti, che poi se guardiamo anche fuori dal nostro mondo Guzzi, non è che ci sia tutto sto gran ben di Dio… la Yamaha ha fatto la nuova R1, ma quante ne vedi in giro? Stanno ancora vendendo il modello vecchio. Stanno un po’ tutti a guardare… cercando di capire in che direzione muoversi…

A. All’EICMA in termini di impatto forse è stata la Guzzi quella che ha fatto di più…
S: Sicuramente sì, è stato un “baccano mediatico” che non ci ha fatto male sicuramente; poi è chiaro che deve seguire qualcosa di reale, non solo di astratto… è la conferma che qualcosa dietro ci deve essere; Terblanche quei prototipi non li ha fatti gratis… le telecamerine lasciamole stare, ma certe soluzioni si possono applicare a nuovi modelli che nelle prossime stagioni saranno nei negozi, mi auguro!

A. OK ma tu cosa faresti? Tenendo conto della clientela che hai, di quello che magari si aspettano, che cosa dovrebbe fare la Guzzi, in termini di gamma?
S. Intanto dovrebbero fare in modo che la nuova California il prossimo anno ci sia, che sia bella e che funzioni magnificamente; su un mezzo del genere il prezzo è relativo, uno non è che può pretendere di portare a casa un 1400cc con certe caratteristiche a 10.000 euro; però che ci sia, perché la California è il fondamento della Moto Guzzi e negli ultimi anni è stata un pò abbandonata; oltre le tante cose buone che ha fatto Beggio per la Guzzi, sulla California ha combinato un casino… prima la vernice dei carter che si sollevava, poi le frizioni monodisco ed in fine le prime versioni delle punterie idrauliche …. adesso la California ha un buon mercato praticamente solo sull’usato, perchè c’è in giro da troppo tempo la voce della California nuova… la fanno, no non la fanno, la fa Ghezzi, non la fa Ghezzi… e questo ha fatto si che il mercato del “nuovo” abbia rallentato parecchio ….
Per questo, per me è importante che nel 2011 ci sia nei concessionari, così da avere la California che i Guzzisti, presenti e futuri e la Guzzi si meritano!
Pur di tenere alto il nome della California, alcuni concessionari hanno risolto i suddetti problemi a spese loro, come è stato il caso nostro: tutti i nostri clienti hanno avuto il motore smontato e riverniciato, dal primo all’ultimo senza che abbiano pagato neppure l’olio motore, indipendentemente che la vernice fosse poco o tanto sollevata. Noi sappiamo cosa ci è costato tenere alta la bandiera della California. Dopodiché, la Stelvio ora è arrivata a un buon livello; questo lo vediamo dalle richieste della clientela; speriamo che in futuro facciano anche un serbatoio un pò più adeguato in termini di autonomia; per il resto non dobbiamo guardare quello che fa BMW, abbiamo nel Gruppo Piaggio gente e attrezzature che ci possono permettere di costruire moto, ad alta tecnologia e che abbiano quel carattere, come dire ….. Moto Guzzi!

A. Guardare nel senso di copiare…
S. Sì, di andare dietro al filone loro; loro hanno determinate caratteristiche, hanno indovinato quel modello tanti anni fa, come la Ducati con la Monster; andare a sfidare dicendo “noi siamo l’antagonista” come qualcuno si è permesso di fare, non è il caso. Però adesso la moto c’è, è stata un po’ riposizionata nel prezzo, in modo che le eventuali promozioni siano un eccezione e non una regola, anche per tutelare il cliente che acquista la moto e che magari dopo due anni la vuole sostituire e non deva perdere eccessivamente sulla svalutazione della sua moto.
Stelvio, oggi è un gran bella moto!
Le prime Norge hanno avuto una serie di problemi legati più che altro alla carrozzeria, alle plastiche perché problemi meccanici – quantomeno quelle che abbiamo avuto noi – non ne hanno avuti, e ora sono stati rivisti i materiali delle carene. Certo andava fatto prima…

A. La domanda sorge spontanea…
S. Andavano fatti prima, noi abbiamo fatto per quel che era nelle nostre possibilità. Sul motore 4 valvole che verrà montato sulla Norge, (purtroppo la moto non sarà in consegna prima di qualche mese), avrà un’erogazione simile a quella della Stelvio attuale e quindi sarà piena e corposa e permetterà alla Norge di fare un salto in avanti nel comportamento globale della moto. Le piccole modifiche alla carenatura, dettate dal differente profilo dei gruppi termici, non mi dispiacciono per niente .
Sulle “piccole”… torniamo al discorso di prima, adesso abbiamo questo motore da cinquanta cavalli e dobbiamo “lavorare” con questo, se poi, fra due o tre anni ne avremo uno da una settantina di cavalli, allora saremo tutti contenti!

A. D’accordo ma secondo te, dove dovrebbero intervenire con qualcosa di nuovo? Oltre alla California?
S. C’è bisogno di rinfrescare la Breva, di fare un restyling importante, magari con un motore nuovo raffreddato a liquido che potrebbe essere in una buona fase di sviluppo, adesso è da capire in quanto tempo sarà pronto, ma comunque presentarlo solo quando sarà affidabile, e quindi ci vorrà del tempo. Posso dire che una delle cose sulle quali ha più insistito Colaninno nella Convention è la qualità: come devono uscire le moto da Mandello. E lì ha messo delle persone che secondo me, sanno già dove devono intervenire per migliorare la qualità in generale. Ha talmente calcato su questo argomento che immagino sia venuto a conoscenza di cose, di cui in passato, non era al corrente, (ad esempio assemblaggi a volte non curati bene). Ci sono segnali positivi sul voler vedere come arrivano le moto ai concessionari, nel senso che devono uscire dalla fabbrica perfette, con imballi curati, come succede da un paio d’anni, mentre prima, l’imballo era una cosa approssimativa. Su un motore nuovo, ci stanno lavorando… bisogna vedere a che livello di sviluppo è arrivato. Che prestazioni abbia, non lo sappiamo…

A. Neanche che conformazione ha?
S. Da quel che so io un bicilindrico a V, non so i gradi di apertura dei gruppi termici. Sicuramente non avrà più il cambio staccato, ecco.

A. …per farci?
S. Per farci tutta una serie di moto nuove.

A. Certo, la domanda non era tanto per carpirti qualcosa che non sappiamo, ma più per sapere tu cosa faresti. C’è un motore nuovo? Bene, lo fai per arrivare a fare quale moto?
S. Intanto c’è da capire cosa è in grado di erogare e come. Se è in grado di erogare 110-115 cavalli belli corposi, lo metto su una Breva, una nuova Breva…

A. D’accordo, ma questo non lo decidi prima, strategicamente?
S. Mah io penso che con l’aiuto dell’elettronica, da quel motore dovrebbe essere adatto sia a una turistica che a una sportiva; magari sulla sportiva non sarà una meraviglia di erogazione sotto, ma penso sarebbe da pazzi fare in questo momento, (economicamente parlando), due tipologie di motori, per cui partiamo da un motore in grado di soddisfare più esigenze.

A. Quindi si arriverà a fare anche una sportiva?
S. Quella è una cosa che manca da tempo…

A. Anche perchè se si vogliono prendere i giovani…
S. Beh con una sportiva di un certo livello prendi i giovani figli di papà, non prendi la massa dei giovani. Per prendere questi devi avere una moto entry-level, una moto dal prezzo accessibile perché una sportiva da 140-150 cavalli, inevitabilmente costa…

A. Ma non pensi che farebbe un bel baccano?
S. Sicuramente! Il problema è valutare quanto mi costa fare quel baccano, e a cosa mi porta. La moto che fa baccano va benissimo, ma poi devi avere una gamma completa e pronta… è sempre una questione di tempi. Poi… io amo le moto sportive, vedere una Guzzi correre su strada ne sarei felicissimo. Però secondo me oggi non puoi partire da una sportiva e questo vale per tutti.

A. Torniamo un po’ al “perché la Moto Guzzi”? Tu non sei partito con l’idea della Moto Guzzi… ti ci sei ritrovato dentro…
S. Mi ricordo quando avevo 20 anni “giravo” con un Kawasaki Mach III e avevo un amico con l’Imola 350, e lo prendevo in giro! A chi mi avesse detto “Tu un domani avrai la Guzzi” gli avrei detto che era matto. E’ nato tutto quasi per caso, c’è stata questa occasione, il mio socio l’ambiente lo conosceva perché ci lavorava già come dipendente, conosceva le moto, le persone; io il tarlo della moto l’avevo sempre avuto… proviamoci! All’epoca avevo una Yamaha e l’ho ovviamente venduta subito. La prima Guzzi che ho guidato per diversi km è stata la California 1100 e da lì è partita la malattia, che se non fosse tale, oltre alle moto aziendali, io a casa non avrei un Le Mans 1000 e un California II che non riesco quasi mai ad usare a causa del poco tempo libero che ho in stagione, ma che sono lì, entrambe modificate nel giusto modo… a mio fratello che guidava gli scooteroni ne ho fatte prendere due… la convinzione c’è, dopo 15 anni di monomarca, se sono ancora con Guzzi, con tutto quello che c’è stato in questi 15 anni, vuol dire che il batterio non riesco proprio a buttarlo fuori, avrei già cambiato marca. E’ stata una malattia presa da grande! E’ quella cosa magica, strana che anche noi che ne siamo ammalati, non sappiamo bene cos’è.

A. E’ difficile da spiegare… “Se lo spiegassi non mi capirei” come diciamo noi…
S. Eheheheh esatto! E’ una cosa strana, che vedi anche nel tempo… ci sono stati vecchi clienti della CRM che al tempo avevano i T3, i 1000SP che per un motivo o per l’altro, un po’ per la gestione De Tomaso, un po’ per altri motivi, sono passati alla BMW o ad altri marchi; alla fine sono tornati. Ti dà la conferma che, anche se in quegli anni qualcosa non ha funzionato bene, le moto ti hanno lasciato dentro qualcosa…

A. Tu come lo spiegheresti a un gruppo di persone, che la Guzzi ha qualcosa di particolare?
S. Beh ovvio che io le Guzzi le vendo, le persone lo sanno per cui ti dicono “certo tu racconti queste storie perché queste moto le vendi”. La cosa cambia quando facciamo le nostre uscite in gruppo coi clienti, e stiamo via magari due-tre giorni, e allora la sera quando c’è tempo di raccontare le storie, queste escono dagli utenti delle Guzzi, magari da chi è stato lontano tanti anni e poi ci è arrivato o è tornato. A quel punto le tue tesi sono sostenute da chi effettivamente le vive e non ha interesse specifico. Però francamente la “ricetta” non la so… non so cos’è. Questo motore, che a me all’epoca, non è che mi piacesse un gran ché, è in grado ancora, dopo tanti anni – pur con l’iniezione è sempre sostanzialmente quello – di darti qualcosa, qualche sensazione che altri motori, con ben altra cavalleria non danno. Sarà il mito, sarà la storia, saranno le avventure che ci hai fatto sopra… non lo so. So che c’è.

A. Quindi hai un gruppo di appassionati, pur non avendo un motoclub…
S. Sì, un motoclub non saremmo in grado di gestirlo, siamo già in pochi con quello che c’è da fare, se ci metto anche il motoclub non ho più famiglia! C’è un gruppo di persone che quando organizziamo qualcosa si presenta sempre e ci dà una mano… c’è qualcuno che è cliente anche da prima del cambio di gestione.

A. Lavorate molto con la Slovenia e Croazia?
S. Di più all’inizio… era un po’ anche quello che volevamo, e con l’arrivo di Uros, collaborando con lui c’è stato un buon “giro di lavoro”. Poi venendo a mancare lui si è un po’ perso, e qualcuno da là ogni tanto arriva qui, soprattutto lo scorso anno ne sono arrivati molti.

A. Uros Blazko lo conoscevi bene…
S. Sì, Uros l’ho conosciuto poco dopo aver preso la concessionaria; in pratica nel 1996. Lui mi raccontava che era venuto qualche volta a prendere i ricambi con la vecchia gestione e poi era capitato quella volta a comprare una California nuova… da lì è nato un certo tipo di rapporto, all’inizio semplicemente come cliente (il che per noi della CRM non è mai un rapporto tanto normale, è molto spesso amichevole), poi quando è partito con l’idea di fare il giro del mondo, un po’ noi, un po’ l’importatore sloveno di allora, gli abbiamo dato una mano ad allestire la sua Quota 1100 e da lì è cominciato un rapporto un po’ particolare. Quando è rientrato ha messo su un’officina a Lubjiana, veniva da me a prendere i ricambi… gli importatori che c’erano in Slovenia non gli hanno mai dato un gran supporto, soprattutto coi ricambi, così questa cosa ha fatto sì che lui venisse spesso da me. Era in gamba, si dava da fare. Era una persona genuina, trasparente, appassionata. Al di là dell’aspetto “commerciale”, è stata per me una grande perdita. Ha fatto delle esperienze incredibili… anche perché lui nel suo giro del mondo non aveva alcuna assistenza. Aveva solo il contatto con Francesco Retaggi, (altra persona positiva della Moto Guzzi che ci ha lasciato in giovane età), che in caso di necessità gli spediva i pezzi di ricambio che gli occorrevano. Ho una foto di Uros in Zaire con un cartone Moto Guzzi aperto, col forcellone di ricambio, dato che il suo l’aveva rotto prendendo una grossa buca. Era la sua unica sicurezza. Per il resto se la doveva cavare da solo… la coppa dell’olio bucata in Sudamerica sulla strada dell’Alto Toroya a circa 4.000 metri di altitudine, se l’è dovuta riparare da solo, con la moglie che faceva da sherpa andando a recuperargli l’olio presso il villaggio più vicino, intanto che lui smontava e la riparava con un po’ di pasta d’alluminio. Lui al ritorno ha scritto i libri dei suoi viaggi in sloveno che avevo cercato vanamente di tradurre in italiano, arrivando solo a qualche racconto che sono quelli che vi avevo mandato. Era stata lanciata l’idea di acquistare attraverso una “colletta” la sua Quota… lui quello che desiderava e che mi aveva detto nei suoi ultimi mesi di vita era di addirittura regalare la sua Quota al museo Moto Guzzi, poi in quel momento non era ben chiara la gestione del museo, così avevo lanciato l’idea coinvolgendo Mario Arosio, colonna World Club Moto Guzzi, di acquistare simbolicamente con quote da 1 euro la moto per poi, in un secondo tempo, darla al museo, come fosse “la moto dei guzzisti”, poi invece la sua famiglia non ha più voluto e la moto è stata poi venduta a un altro sloveno. Peccato perché sarebbe stato un modo per ricordarlo e per far sì che tutti conoscessero la sua storia. Perché era un bel personaggio. Uno sloveno che ogni tanto viene a trovarmi mi ha detto una frase significativa: “quando c’era Uros, per uno sloveno era facile essere guzzista”. Io so cosa voleva dire, e quella frase diceva tutto. Se avevi un problema, con lui lo risolvevi. Con gli importatori mica tanto. Ha lavorato fino all’ultimo, anche quando non era in grado di muoversi… l’ultima sua telefonata pochi giorni prima di lasciarci era per delle fasce elastiche di un 850 Le Mans.

 

 

© 2010 Anima Guzzista

Sebastiano Marcellino

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di Alberto Sala
Note biografiche di Elena Marcellino

 

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INTRODUZIONE

Questa è la storia di un uomo meraviglioso.
Un uomo che si è tentati di definire ‘d’altri tempi’, detto col timore che un giorno persone così non ne esisteranno più.
Un uomo che ha dedicato e dedica tutt’ora la sua vita alle motociclette: dapprima come pilota, poi come meccanico, infine come costruttore.
Ma non stiamo parlando di un ‘capitano d’industria’. Lui crea motociclette, è vero, ma le motociclette che costruisce non sono motociclette qualsiasi. Sono un po’ particolari. Lui dedica loro tutta la sua passione, e fin qui certamente si può dire che non è il solo, ma quando si pensa che quest’uomo ha sognato di costruire con le sue mani una motocicletta come la Moto Guzzi 8 cilindri da corsa e ha avuto l’ardire di farlo, allora si capisce che quest’uomo è davvero unico.
Ma non è solo la storia di un uomo meraviglioso. E’ anche la storia di una famiglia meravigliosa, perchè quando conosci la passione e la dedizione di sua figlia Elena e quando apprendi che le splendide verniciature delle sue repliche sono fatte da sua moglie Maura, ecco che il quadro si fa unico.
Replica.
Qualcuno potrebbe storcere il naso pensando se abbia senso costruire una copia di qualcosa che già esiste, pur d’eccezione che sia. Ma ciò oscurerebbe il vero senso della cosa: vorrebbe dire non pensare minimamente a quale enorme atto di passione e di talento sia ciò che crea Sebastiano Marcellino. Decidere di ricostruire una moto leggendaria di cinquant’anni fa, costruita in pochissimi esemplari e di cui non si sa esattamente tutto, e quindi pensare a cosa significa rifare una otto cilindri di 500 centimetri cubi, con due batterie di quattro carburatori ciascuna di dimensioni e complessità uniche, con una cascata di ingranaggi della distribuzione che sembrano un ingrandimento di un delicatissimo meccanismo d’orologio svizzero, e ridargli vita non solo per tenerla in soggiorno ma per farla cantare libera nei teatri d’asfalto d’Europa, non è uno scherzo di lusso, o il semplice desiderio di soddisfare un cliente facoltoso. E’ la raccolta di tutta una vita dedicata alle moto focalizzata, espressa per ricrearla a testimonianza eterna. E’ punto di incontro di talento e amore straordinari, cioè come dice la parola stessa, al di fuori dell’ordinario.
Scoperchiare questo ‘pentolone’ piemontese ribollente aldilà della riservatezza apparente significa scoprire un mondo di fronte al quale io mi sento tanto piccolo e alla cui fonte non posso resistere dall’abbeverarmi religiosamente. Toccare con mano una delle otto bielle o ammirare i microscopici accuratissimi fori nei carburatori è, oltre che grande privilegio, occasione di apprendimento paragonabile al corso universitario più esclusivo immaginabile e occasione di crescita culturale e umana non indifferente, per noi malati cronici terminali di motociclette da leggenda come sono le Moto Guzzi.
Unitevi quindi in religioso ascolto a questo viaggio in una giornata ombrosa nelle colline piemontesi, e tenete all’erta tutti i vostri sensi. Ne vale la pena, e non capita spesso.

IL SOGNO E L’ESSENZA

Un uomo e il suo sogno: nel delineare i tratti di Sebastiano Marcellino non si può prescindere dalla sua opera più spettacolare, così come ogni artista è inscindibile dalle sue opere più intense e rappresentative: seguiamo le splendide parole della figlia Elena nel narrarlo.
“Il sogno si è realizzato alcuni anni fa, ma l’inizio di tutto si perde, nel vero senso della parola, in una serie di piccoli eventi che solo ora, alla luce del risultato finale, appaiono per quello che sono sempre stati: il percorso segnato verso la ricostruzione di una Guzzi V8 perfettamente funzionante. Sono brevi parole introduttive, ma in esse sono racchiusi molti anni, anzi la vita di una Persona, che non ha mai smesso di credere in se stesso ed ha realizzato quanto promesso. Nel suo stile inconfondibile non vuole parlare di sé, ma del suo sogno (continua a chiamarlo così, anche ora che è diventato realtà).
Ma cominciamo dall’inizio.
Dobbiamo allora immaginare un mondo molto diverso da quello in cui siamo abituati a muoverci: radio, televisione e giornali non sono ancora mezzi di comunicazione di massa, sicché le notizie giungono ovattate ed in tempi non proprio reali. In questa situazione un poco più che adolescente, già appassionato di motori, sente parlare di una sorta di mito motoristico che in piena ascesa scompare, senza lasciare traccia.
Il ragazzo cresce, approfondisce le conoscenze tecniche, scopre la passione per il moto cross e decide di puntare in alto. Passano gli anni e -forse- la chiusura con il mondo delle corse (in parte voluta ed in parte imposta dalla nascita di una figlia) lo spinge a colmare il vuoto rimasto. Resta pur sempre nello stesso campo ma si avvicina al settore delle moto d’epoca. E’ come ricominciare tutto daccapo, ripercorrendo in anni le scoperte di decenni. Conoscere un nuovo linguaggio e diventarne padrone è la nuova sfida.
Cominciano così i restauri di marche più o meno note, le ricostruzioni di motori più o meno complessi. Poi, nei vari scambi tra appassionati o più semplicemente tra gente del mestiere c’è il ritrovamento, in una cassa di ricambi, di una vaschetta di un carburatore “particolare”, di cui non si riesce a rinvenire la provenienza. Per sapere non resta che rintracciare il venditore, il quale con sicurezza attribuisce il pezzo alla Guzzi V8, mostrandone su una rivista specializzata la foto.
E’ una sorta di colpo di fulmine: la funzionalità della V8, la tecnica impiegata, i materiali: tutto tende all’armonia, alla perfezione, all’essenzialità. C’è poi lo stupore per la netta differenza tra quel tipo di lavoro e la meccanica in genere impiegata dalla stessa casa costruttrice nei modelli stradali. La butta lì così: “Sarà il primo pezzo della V8”.
Passano gli anni ed il lavoro non lascia molto spazio per i sogni nel cassetto, ma di tanto in tanto spunta qualche novità: disegni tecnici, pezzi. Poi la pensione e finalmente il tempo di dedicarsi alla ricerca sistematica di tutto ciò che riguarda la V8; si parla di anni di raccolta di materiale, di classificazione, di assemblaggio. Alla fine tutto è pronto: si parte. Viene ora la parte più difficile, perché si tratta di mettere in gioco la propria abilità.
Sono altri anni complicati, in cui i pezzi mancanti vengono ricostruiti da zero, sulla base di disegni ricopiati e collezionati con precisione certosina. In più si aggiunge il principale problema di tutta l’avventura: la necessità di appoggiarsi ad esperti di fusione, di fresatura… E qui la delusione più grande, ovvero lo scoprire che non sempre alle ditte maggiormente conosciute corrispondono effettive capacità produttive e conoscitive. Ritardi, rifacimenti, pezzi buttati, ma anche l’incontro con professionisti preparati e competenti.
Alla fine l’emozione più grande: sentirne per la prima volta in assoluto la voce, anzi le voci: otto carburatori che cantano all’unisono in una sincronia totale. L’emozione è contagiosa, perché chi ascolta questa musica ne viene rapito.
Se non ci credete potete cogliere l’occasione di sentire con le vostre orecchie. Non accade spessissimo, ma ad alcuni avvenimenti motoristici la V8 è a disposizione, in tutto il suo splendore! ”

 

L’INCONTRO

Abbiamo avuto modo di conoscere la famiglia Marcellino in due occasioni, che potremmo definire ‘pellegrinaggi’, perchè anche immersa nel grigiore autunnale la casa sulla collina nella campagna piemontese della famiglia Marcellino contiene un calore unico e avvolgente. Così è bello scoprire che la differenza d’età ha ben poca importanza rispetto alla similitudine passionale, e allora è facile e dolce perdersi nei tanti discorsi, nei tanti ricordi evocati sia nell’officina magica al pian terreno sia attorno al tavolo a pranzo al piano superiore. A tal punto che gli argomenti scorrono liberi di sovrapporsi e quello che segue è una piccola ricostruzione delle piacevoli e fluenti chiacchierate, cominciando col mistero delle V8.
Già, mistero, perchè dopo la fine della proprietà Guzzi-Parodi non è ben chiaro cosa sia successo alle V8 esistenti. Così come non è chiaro quante siano esattamente le V8 originali esistenti ad oggi: secondo quello che si dice Frigerio ha una V8 originale e Todero anche, ma c’è sempre un po’ di mistero: chi ha visto da vicino la V8 dell’inglese Sammy Miller ne ha notato alcuni particolari sicuramente non originali. Si dice che un’altra l’aveva portata via il Direttore Generale dell’epoca. “In origine quel che pare certo è che esistevano parti per 6 moto più o meno complete all’epoca della costruzione”, dice Sebastiano. Sappiamo la storia del magazzino di Abbadia Lariana, ormai assunto a paragone come il posto meno sicuro al mondo. Forse non sapremo mai quante ne restano: chi ha un V8 originale se ne sta zitto, perchè in teoria i V8 originali esistenti sono di proprietà Guzzi. Mica si potevano comprare. Conviene piuttosto dire che è una replica. Ma l’unica replica certa è quella di Sebastiano Marcellino, che l’ha ricostruita completamente, basandosi su fotografie e disegni e compiendo diverse visite al museo di Mandello.
I disegni della V8 sono in scala 1:1. “Io li ho recuperati quando c’era ancora DeTomaso, ma ai disegni bisogna fare attenzione perchè insieme ci sono le quote della 350” ci precisa Sebastiano. Che già che c’è ha magnificamente replicato pure quella. Ma parlare di questa moto è un po’ entrare in un piccolo mistero all’italiana, insomma, è argomento “delicato”. Così attorno a Sebastiano Marcellino si alza uno strana indifferenza. Eccetto Anima Guzzista, nessuno in Italia lo invita mai, neppure la Moto Guzzi. Elena ha provato a richiedere la partecipazione di suo padre e della sua V8 al raduno di Mandello, chiedendo se poteva interessare la loro partecipazione, anche con la 350 bialbero. Mai nessuna risposta.

 

Altrettanto curioso il silenzio della rivista ‘principe’ in Italia delle moto storiche, che nonostante un contatto avuto con uno dei giornalisti non ha mai dedicato nulla a Sebastiano e alla sua splendida moto. Curioso. All’estero le cose vanno in maniera diversa, Elena racconta di ottimi rapporti con riviste come Moto Legendes e altre; d’altronde chiunque farebbe i salti di gioia a contare sulla presenza della sua V8, non trovate? Come succede a Monthlery, dove nonostante facciano bella mostra centinaia di spettacolari motociclette da corsa originali d’epoca, è sempre la sua V8 a strappare i consensi più entusiastici. Come quelli di Bill Lomas.
Una persona splendida, “ha quasi 80 anni ma aveva una gran voglia di salire sulla mia moto – racconta Sebastiano – ma un problema alla gamba e soprattutto la moglie gle lo impediva”. Comunque si è subito appassionato alla V8 e alla famiglia Marcellino: “ci ha riempito di autografi: mi ha dato delle foto bellissime, mi ha autografato perfino il cappellino…” dice Elena.
Altro personaggio appassionato alla famiglia Marcellino è Ken Kavanagh. “Mi raccontava Kavanagh che a Monza, alla curva Ascari (la curva, non la chicane di adesso), si usciva dal sottopassaggio a 270 kmh e la curva si faceva in pieno ma con le moto di allora non si usciva mai (nè si entrava) allo stesso modo: ci voleva gran pelo sullo stomaco” “Più volte ho cercato di portare Cavanagh a Monthlery, ma niente, non si schioda dalla sua casa di Bergamo.” dice Sebastiano. “E’ una persona splendida” aggiunge Elena “non l’ho mai conosciuto di persona, ma ci siamo scritti e sentiti diverse volte, è una bella persona, molto loquace e disponibile a raccontarmi tanti episodi di quell’epoca e cos’era il motociclismo allora, ben diverso da quello di oggi”.
E’ bello sentirli raccontare di episodi, di emozioni, sentendoli appassionare accavallandosi tra loro coi racconti a tal punto da far sparire ogni apparente riservatezza tipicamente piemontese.
“Avevo comprato una volta un Ducati bialbero da Farnè, del ’62-63, eravamo andati giù una domenica mattina, c’era Giovannini del reparto corse, ci aveva portato nel suo garage, aveva ancora tre teste del Marianna, mi aveva detto “dammi centomila e portatele via”, accidenti adesso valgono un capitale, ma io avevo già preso il bialbero 125, l’ultimo usato; poi ci ha portato in fabbrica, stava facendo l’Apollo a quei tempi, avevano lì smontato un Norton Commando per prendere delle idee e per fare delle prove di comparazione. Poi questa bialbero l’ho venduta e ricomprata diverse volte, salendo in continuazione di prezzo, finchè è finita a uno svizzero.”
Sebastiano aveva un Dondolino: “il mio Dondolino prima era di un tizio a cui gle l’aveva comprato lo zio nuovo, mai usato. Lo ha portato da me chiedendomi di metterla a posto bene, perchè voleva andarci forte, dato che lo zio gli aveva detto che quella moto andava forte. La moto non era stata praticamente usata, aveva 500 km circa, questo succedeva nel ’68 circa. Poi questo ragazzo è andato a provarla, è tornato indietro e mi ha chiesto: “quanto vuoi?” Perchè, non va? “Sì che va, va troppo!” “va bene, dimmi quanto vuoi” “80 mila Lire”. Io non aspettavo altro, ho tirato fuori le ottantamila e me la sono presa! Era perfetta!”

“A me piaceva da matti” dice la moglie, “perchè fregavo sempre il ginocchio per terra. Ogni volta che andavo in moto buttavo via un paio di pantaloni”. …! “poi una volta mi ha fatto prendere uno spavento: ci invitano degli amici in moto anche loro ad andare in un certo posto; gli altri tutti tranquilli, lui invece parte sparato e invece di fare la strada si infila in un filare di viti!” “Certo, volevo far strizzare un po’ gli amici” precisa Sebastiano, “sapevo che dopo il filare c’era la strada, solo che al momento di frenare il freno dietro non ha funzionato: l’ho fatta derapare e siamo finiti nel fosso. Io ho strappato un po’ i pantaloni ma lei non si era fatta proprio niente!” “Dopo – prosegue la moglie – penso: forse è meglio se andiamo a casa e invece saliamo di nuovo; a un certo punto sento odore di bruciato, e gli dico di fermarsi. All’epoca si usavano dei pantaloni stretti, in un tessuto tipo il nylon: gli si erano praticamente ritirati a contatto con la marmitta.” I racconti delle follie di gioventù prendono il sopravvento: “una volta avevo anche un’Abarth, una 600 portata a 1000, non andava proprio piano” dice ironicamente Sebastiano, mentre la moglie si chiedeva come mai si fosse trovata un compagno simile visto che non era una ‘votata’ alla velocità; “una domenica la prende e mi dice “andiamo al lago”; ci avviamo, e dietro di noi arriva una Fulvia Coupè, lui l’ha vista, ha dato fuori di brutto tirando come un dannato e la Fulvia mica è riuscita a superarlo, no! Però quando è arrivato al lago poi l’Abarth non è più partita! Meno male abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato un passaggio a casa”. La conversazione assume toni scherzosi ora: “Allora eravamo fidanzati; sai, in genere i fidanzati regalano anelli, diamanti, fiori… ” “qualche segmento, sì” interviene Sebastiano; “lui mi regalava emozioni! E continua!! Sono andati lui e Elena a Monthlery, io sono stata a casa – continua la moglie – la prossima volta stacco il telefono! Non è possibile, ogni dieci minuti mi chiamava!” Elena conferma: “mi diceva, in dialetto, se avevo chiamato mia madre. Gli dicevo: vuoi parlargli? E lui: “Salutamela.” Io e Mauro ci guardiamo e non possiamo far altro che pensare quanto sia una fortuna nascere in una famiglia così, soprattutto pensando alla fatica per poter avere la nostra prima moto. Ma Elena obietta: “tutte balle, io la moto non ce l’ho mica” riferendosi alla Parilla che sta da tempo nel box in attesa di essere riassemblata: “Tu la moto ce l’hai *virtuale*” gli replica il padre simpaticamente; “ah sì, certo, *virtualmente* ne ho un magazzino pieno! Io ho cominciato a 4-5 anni ad avere la moto, poi mi hanno troncato la carriera!”
La conversazione prosegue di questo passo estremamente piacevole e infine volge al termine, vertendo inevitabilmente sui problemi che si riscontrano in Italia, sulla differenza rispetto ad esempio alla Francia in termini di manifestazioni riguardanti le moto d’epoca, e Marcellino si emoziona solo al ricordo di quante moto c’erano a Monthlery, allo spettacolo infinito della parata di tutti i 1500 iscritti (!) dello scorso anno… ma la cosa più sconcertante è la differenza di credito che riscontra Marcellino: in Francia lo adorano, viene regolarmente invitato, lui e la sua splendida moto; la stessa cosa avviene in Germania mentre in Italia… beh, in Italia Marcellino trova solo muri di gomma. Chiunque sia in grado di comprendere la passione che le motociclette sono in grado di suscitare non può fare a meno di chiedersi perchè ogni tanto le cose non vanno come dovrebbero a rigor di logica. Poi si ricorda dove siamo, e allora non è così difficile (anche se terribilmente amaro) capire che da noi spesso, anche a livello di giornalismo, comandano le ragioni del ‘cortile’, del ‘ma la mia moto è più originale della tua’, e altre bambinate via di questo passo. Casa madre inclusa. Perchè l’invidia, la paura del confronto (ammesso che debba sempre esserci), il campanilismo, devono essere sempre i sentimenti alla fin fine dominanti in questo paese? E’ mai possibile che una mentalità ottusa che si tramanda di padre in figlio possa rendere ciechi così tanti personaggi dell’ambiente motociclistico italiano? Credo che chiunque abbia avuto modo di avvicinare Sebastiano anche solo per cinque minuti e abbia avuto modo di vedere al nostro Incontro di Primavera dello scorso anno a Roma la otto cilindri si sia reso conto di aver assaporato un piccolo pezzo di storia, di vita vissuta con l’amore per le moto nel cuore. Come è possibile che stranieri srotolino tappeti di fronte a tanta passione e noi no? Persone, anzi, famiglie come la Marcellino sono concentrati di storia in grado di farti rivivere episodi, periodi, momenti di alta emozione come se fossero macchine virtuali con tanto di occhiali 3D. E siamo orgogliosi di aver viaggiato con loro (e spero almeno un po’ voi con noi) in quel mondo che tanto adoriamo, che ci fa stare tutti attenti come bimbi all’ascolto delle favole, rendendo un po’ giustizia a un profeta amato mai abbastanza in patria.

 

La mia prima Guzzi

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immagine-racconto

di Dondolino

 

Venerdì 1. Febbraio 2002, sveglia alle 5. Il treno per Stoccarda parte da Wiesbaden alle 6:29.

Oggi è il giorno in cui ritirerò la mia prima Guzzi.

Alle 9:29 arrivo puntuale a Balingen, Stefan (www.motostefano.de), venditore di Guzzi usate importate dall’Italia, viene a prendermi in stazione, mi porta in officina e mi mostra la mia “promessa”.

È bellissima: tutta rossa, tutta pulita, aquila d’oro e scritta Moto Guzzi sul serbatoio rosso-Airone, stesso colore per il resto della carrozzeria e la forcella, tutto come volevo io, ruota anteriore da 18 pollici; cavi freno in acciaio, batteria, olii, gomme e giunto cardanico nuovi e molto altro. Ombromanto è in forma e si vede.

Fissiamo la targa, poi la metto in moto e so che Guzzi è per sempre. A chi non capisce non mi sforzo nemmeno più di spiegarlo, devi sentirlo e basta. Se non capisci per te non c´è speranza nè salvezza; se capisci, benvenuto tra noi.

Un pò impacciato parto in direzione benzinaio. I due difetti della moto si annunciano subito: non solo manca il cavalletto laterale (come ho appreso con sconforto due minuti prima, non so se è così di serie), ma il cavo del gas è durissimo.

Faccio benzina, torno indietro, saluto Stefan. Quello del cavo è – dice – un problema tipico, Motospezial mi può aiutare, ma il mio cavo è veramente duro in modo anomalo. Mah, vedremo, anche per il cavalletto laterale Moto Spezial ha pronto un aiuto, poi forse lo ha tolto il precedente proprietario, mah….

Parto e comincio la mia vita guzzista, il motore fa un borbottìo incredibile, mi ricorda sempre Don Camillo e Peppone anche se ai tempi lui ancora non c’era e se è per questo nemmeno io, una sensazione stupenda sentire questo coso che si scuote e agita e urla al mondo che se ne frega delle moderne tecnologie. Lui sa cosa serve a far battere il cuore, secondo me meglio di qualsiasi ingegnere Honda.

I primi 100 km sono emozionanti ma non del tutto lieti: la combinazione di gomme nuove e asfalto scivoloso mi fà stare all’erta, la “scalata” del Feldberg (1500m di quota, sotto il Titisee in parte ghiacciato, di lato muri di neve ghiacciata alti anche due metri, nebbia fitta in cima) è interessante ma non molto divertente. Arrivo in albergo, primo bilancio: motore stupendo, comando gas criminale, moto geniale fatta da gente a cui non fregava niente di venderla?

Mi fa male la mano destra, sono i tendini, mi faranno male nei due giorni successivi, mentre scrivo il dolore ancora non è passato. Mi chiedo se i guzzisti ordinino tendini di ricambio assieme ai cavi del gas o se il mio cavo ha qualcosa che non va, oppure ancora se sono i miei tendini ad essere troppo delicati. Sia come sia, qui bisognerà fare qualcosa.

Il venerdì pomeriggio viene passato per strade non troppo impegnative; niente Schauinsland, le strade sono bagnate e scivolose di fango. La differenza della gommina da 110 rispetto al 170 della mia Monster si sente, ma il motore canta, la moto è agile (più della mia vecchia Triumph Thunderbird Sport), il baricentro è basso, ottima ripresa, niente velleità sportive ma il pepe non manca.

Il tratto di strada più bello è quello da Sankt Blasien verso albbruck lungo la Albtalstraße, una cosa incredibile in mezzo a crepacci mozzafiato, bellissima strada tutta curve, tipica per gli enormi massi ai lati della

strada a mò di paracarro, che ti fanno intravedere meglio la gola sottostante. Strade pressochè deserte ma ahimè sempre bagnate, spesso scivolose, comunque uno spettacolo. Il motore borbotta cupo nella gola, non lo scambierei con

nessun’altro, non vorrei essere lì con la Ducati e penso di aver detto abbastanza.

È inutile fare un elenco di strade, il bello della Foresta Nera è che basta tenersi lontani dalle grosse statali e non si può fare nulla di sbagliato, un vero Nirvana del motociclista.

Dopo vari giri per strade circostanti (Todtmoos, Wehr e Todtnau oltre alla citata St. Blasien sono i tipici crocevia) mangio e bevo bene a Sankt Blasien, poi torno di notte all’albergo. I fari sono più che adeguati, la carenatura è abbastanza rumorosa ma protegge bene dal vento e dal freddo, complessivamente daresti alla moto meno dei 16 anni e al motore minimo 35 ed è un complimento.

Mi fa male la mano destra, invece la frizione è tutto sommato accettabile, basta ricordarsi di mettere in folle quando stai fermo al semaforo. Il modo migliore per trovare il folle è *non* guardare la spia, ma anche questo è noto.

E il cambio? È molto ma molto meglio di come lo si dipinge: vuole attenzione e se gliela dai ti premia con un comportamento esemplare, appena ti distrai ti punisce. È tipico Guzzi: se lo conosci, lo ami.

Sabato mattina, sole e cielo azzurro, si prevedono 14 gradi. In mezzo ai monti e per gole però la storia cambia poco: strade bagnate, fanghiglia insidiosa, in compenso pochissimo traffico. Mi dirigo verso lo Schauinsland, il mito motociclistico della Foresta Nera, distante pochi chilometri. Contrariamente alle previsioni, *non è* vietato alle moto: forse perchè è ancora inverno, forse per un attacco di ragionevolezza degli amministratori locali (ci sono cause in corso da anni).

Pur bagnato, il percorso è spettacolare, oltretutto con pochissime auto che con la tipica gentilezza locale si premurano di farti passare, la cultura motociclistica qui è molto sviluppata.

Mi faccio un paio di volte lo Schauinsland su e giù fino al sopraggiungere della sazietà curvarola, poi Friburgo, poi strade circostanti, sempre belle come sempre bello e a volte mozzafiato è il paesaggio.

Il pomeriggio rinuncio a ricerche eccessive di strade nuove, tra le varie strade locali non rinuncio a rifarmi la valle dell’Elb citata sopra, lo Schauinsland ancora un paio di volte, il tratto Sankt Blasien- Todtmoos, Todtmoos-Wehr e via curvando.

Mi fa male la mano, mi chiedo come si può essere così idioti da fare moto che regalano sensazioni così belle e poi cadere su dettagli secondari, l’erogazione del gas è, grazie al comando, poco progressiva, chissà se sono solo io o se è

premeditazione Guzzi allo stato puro.

La Guzzi, penso, è bella e difficile. È bellissima, ma per amarla devi prima superare il tuo rito di iniziazione, devi uccidere il Balrog come Gandalf, allora sei cresciuto, sei in un’altra dimensione motociclistica, sei pronto per una Guzzi. Il Balrog è, nella fattispecie, la moto giapponese abs-asr-ssr-ppt-cct dove tutto funziona e ti pare di guidare una lavatrice.

Il sabato se ne va tra gole umide e suggestive, ascese in vetta, strapiombi impressionanti e panorami bellissimi. La Foresta Nera è di tutto, di più, poi non costa nemmeno tanto, mi manca solo la torta di ciliege perchè non è stagione.

Domenica decido di tornare nella parte Nord della Foresta Nera. Per essere presto in zona operativa e curioso di provare la moto in autostrada, prendo l’autostrada da Friburgo (altra volta Schauinsland, altra volta strada deserta, bellissimo!) alle 9 del mattino e dopo circa 75 km esco all’uscita per Baden-Baden. La prova autostrada viene superata con un “buono”. A velocità di crociera sui 120 il motore gira a 5000 o poco meno, bel rumore anche in autostrada, protezione buona, purtroppo fruscii fastidiosi, non forzo di più per rispetto della mia non più giovane cavalcatura, ma il motore c’è.

Da Baden-Baden, meta di prìncipi, giocatori (Dostojevski!), Zar e guzzisti, punto dritto verso uno dei punti nevralgici del motociclismo locale: Forbach. Forbach offre uno dei tratti più incredibili della Foresta Nera: la strada per Baden-Baden è, fino all’incrocio della statale per Bad Herrenalb, di una bellezza inaudita e non può mancare nel diario di bordo del motociclista curvarolo. Me la sparo varie volte sotto un sole stupendo, poche e gentili le auto, aria frizzante; perchè non è sempre così…

Vicino Forbach, continuando sulla statale venendo da Freudenstadt (altro nodo “importante”) si prosegue per un altro paio di km, poi viene un incrocio da non mancare: direzione Wildbad, altra tratta indimenticabile, non così bella come la

Forbach-Baden-Baden, ma più lunga e con alternanza di tratte ripide e ricche di tornanti con altre più veloci e “guidate”. Ombromanto è in azione quasi ininterrottamente (mi fermo solo per fare benzina e per l’espletamente di inevitabili funzioni fisiologiche, combatto ogni volta col cavalletto ma vinco sempre io), non emette un gemito, è pronto e divertente, coppia quanto basta anche senza scalare, se scali sorpassi come e meglio che con la Triumph, però le è

inferiore in quanto a freni e soprattutto tenuta del posteriore. Il suono è leggenda e ti accompagna a qualunque velocità senza essere mai coperto dai sibili aerodinamici. Una moto con cui è un piacere attraversare un centro abitato,

non importa se a 30 o a 50; in quanti potete dirlo, voi amanti della supertecnologia gialla?

“Che ne sai della nostra poesia, che ne sai…….?”

Mi fa male la mano.

Non sazio però, vado su lungo la statale per Bad Herrenhalb, molto bella e ricca di curve e qualche bel tornante, piano piano pianifico il ritorno. La statale numero 3 mi porta senza grosse emozioni fino a Karlsruhe, di lì autostrada verso casa. I circa 120 km fino a casa sono molto più sopportabili che con una moto non carenata, Ombromanto si rivela adatto all’impiego per cui è stato comprato: belle passeggiate in moto senza ambizioni sportive ma senza dormire, tratti autostradali sopportabili per trasferte a medio e lungo raggio.

Torno a casa e parcheggio (non senza difficoltà, ovviamente) la moto. Me la guardo per la prima volta per vari minuti da quando l’ho ritirata. È così sporca di fango che sembra uscita da una foto di guerra.

È bellissima.

Ho un appuntamento alle 7 e mezza, devo fare presto, inauguro il nuovo telo coprimoto, il buio scende sul mio eroe tolkeniano senza tempo. Più di 1400 km in 3 giorni, nessun inconveniente a parte la mano e il cavalletto, motore eroico.

Buonanotte, Ombromanto.

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