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Ingegno e regolatezza

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special MMA
Di Alberto Sala
Foto di Alberto Sala e M.M.A.

 

Eccoci al cospetto di una special assai interessante, anche se non inedita anche perchè si tratta di una moto fatta partendo da un foglio di carta. Una special la cui descrizione è impossibile senza parlare anche dei suoi creatori: i fratelli Alborghetti, Antonio e Giorgio.

Due pazzi furiosi.
Due folletti laboriosi dagli occhi brillanti tanto semplici quanto lucidi che sprizzano silente entusiasmo, coi loro neuroni sempre frullanti a trovare modifiche e soluzioni a ogni cosa che vedono, in grado di sperimentare e risolvere con apparente e disarmante facilità qualsiasi problema.

La prima volta che li ho visti è stato un paio di anni fa, nel paddock di Franciacorta, se non erro a un meeting d’epoca dove, alla ricerca continua di scuse per girare in pista, si erano intrufolati per i turni riservati ai guzzisti. Niente gazebi ipersponsorizzati nè baccano istrionico: li conosci casualmente, intravedi la loro moto che a primo sguardo non attira particolarmente, ma poi ti cade l’occhio sul primo dettaglio che ti piglia per il bavero a notare gli altri, ed esclami un bel porcaputtana. Dopodichè inizi a bombardarli di domande chiudendoli in un angolo dal quale si divincolano con disarmante facilità, perchè altrettanto disarmanti sono i loro ragionamenti.
“Non abbiamo trovato due cerchi leggeri per la nostra moto, e allora li abbiamo fatti noi, fresando un blocco di alluminio”. Così, come dire mi faccio una sigaretta con cartina e tabacco perchè il tabaccaio è chiuso.

Ma partiamo dall’inizio.
“Ho disegnato questa moto in India, nel 1992” dice Giorgio. E te lo immagini con turbante e incenso al cospetto di qualche santone, e invece era semplicemente in trasferta per lavoro e la sera si annoiava: “mi sono messo a pasticciare, influenzato dalla Cagiva Mito di cui leggevo la prova su Motociclismo. Ho preso un foglio e ho ricalcato la forma della Mito, ho preso il motore Guzzi e l’ho messo dentro: ci sta! Poi sono venuto a casa e ho disegnato il telaio”. Ma ovvio, no?
Peccato che poi, una volta realizzata, era un ‘filino’ problematico provarla in strada, così è rimasta ferma sotto un telo per una decina di anni, finchè Antonio non gli dice “ma perchè non la portiamo in pista?” E da lì sono ripartiti con taglia, sega, lima, pialla…

Per comprendere bene il loro intuito e il loro lavoro diventa significativa la collocazione temporale di questa moto: bisogna tener presente che il Daytona non era ancora uscito. Nell’universo Guzzi non si era visto ancora nessun telaio diverso dal Tonti, nessun monoammortizzatore, nessun forcellone quadro, nessun cardano a doppio giunto… sembra facile! Anzi, diciamola tutta… neppure col Daytona era comparso il leveraggio progressivo sulla sospensione posteriore. Che qui c’è, tutto naturalmente ragionato (attenzione che semplicità non vuol dire improvvisazione, tutto è scrupolosamente calcolato) e autocostruito grazie alle loro capacità professionali in ambito meccanico.

Così entriamo nei dettagli.
Il motore proviene dalla moto di Giorgio, un Le Mans III che a furia di elaborazioni non aveva più nulla di originale. Ha subito la sua bella cura dimagrante: l’albero da 78 di corsa è stato alleggerito di 1,5 kg, il volano bello smagrito, più tutta una serie di modifiche ‘classiche’ e non: alternatore Ducati ribassato, molle valvole cambiate, camma KS (una delle poche cose a cui non hanno messo mano), pistoni e cilindri da 95, valvole 47-40, bielle in titanio fatte in casa (due gioielli come documentato dalle foto, peccato restino nascoste…), frizione a comando idraulico, cambio a denti dritti…
Quest’ultimo particolare è sintomatico della loro attitudine. Non contenti della rapportatura di quello originale Guzzi, lo aprono e… lo rifanno completamente! Naturalmente a denti dritti, alleggerito dove c’era troppa trippa (date un occhio al desmodronico) e con la rapportatura ristudiata per avere sempre lo stesso range di giri nelle cambiate (l’unico rapporto invariato è la seconda marcia). Lo scarico è manco a dirlo autocostruito con l’andamento sfociante in un singolo terminale sotto la sella.

Passando alla ciclistica (che è poi la parte più interessante), la forcella proviene da un 748 opportunamente messa a punto, e in questo caso forse finisce qui, mentre in altri settori la sperimentazione è tutt’ora in atto… come per il cardano, che già – ricordiamolo – consente il montaggio di un 180 mantenendo il motore bello centrato (sempre prima che uscisse il Daytona…), e per il quale stanno cercando di continuo altre soluzioni; una di queste me l’hanno mostrata, a cui manca di risolvere un problema di guarnizioni.
Il telaio lo vedete chiaramente. Ha un carico di resistenza impressionante (circa 3000 kg ogni trave: no, non si può rompere!) e a impatto visivo è decisamente massiccio; ciò nonostante assieme al forcellone (anche lui non dà adito a dubbi sulla solidità) alla prova della bilancia totalizza solo 13 kg. E continuando con le misure, arriviamo a quelle cruciali; interasse 1410, inclinazione sterzo 23,5 gradi, 100mm di avancorsa. Misure che dicono chiaro e tondo che non è una cruiser; misure da supersportiva cattiva, come d’altronde era chiaramente intuibile dalla vista laterale del bolide.

Una bella prova di ingegno, creatività, voglia di sperimentare nuove soluzioni di fronte agli ostacoli, e una bella dose di follia (che sono sicuro vedrò applicata in prossime nuove soluzioni). Questa la tavola apparecchiata dai fratelli Alborghetti. Complimenti!

La mia storia, le mie moto

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immagine-racconto

di Maurizio Vallebona

 

Cap. 0 Introduzione

Che cos`e’ una moto ?

A questa domanda volendo si possono dare migliaia di risposte piu` o meno pre-confezionate ma fondamentalmente, credo che la qualita` di queste risposte sia direttamente proporzionale all` atteggiamento con cui si cerca di dare una risposta.

 

L`indifferente.

A me quegli aggeggi lì mi sembrano un po` troppo pericolosi, e se piove ? poi c’è un mio amico che ci va sempre che un anno è caduto e se ne e` fatto per…. e poi se non hai il garage dove la metti ?

 

Lei (disinteressata)

Si d`estate qualche volta andrebbe anche bene ma ste selle sono proprio scomode e poi non e mica detto che bisogna usarla sempre no?! in fin dei conti se ho appena passato mezz`ora a sistemarmi i capelli devo infilarmi in testa quel coso li ,e quando me lo tolgo mi lascia un disastro in testa…

 

Lei (fanatica)

Quello di prima l’ho mollato perche’, a parte che sembrava un ritardato mentale, non aveva mai voglia di fare niente e di andare da nessuna parte, questo invece come ci siamo conosciuti mi ha fatto fare dei giri incredibili e insieme abbiamo conosciuto un sacco di gente, adesso che e’ un po che stiamo insieme gli ho detto che se ci tiene a me piuttosto si venda la mamma ma non venda la moto che altrimenti lo pianto li’ come un baccala’.

Il pazzo.

Io con questa me li inculo tutti, non c`e` un semaforo dove non cia sia uno con un GTI che non me lo faccio, l`altro giorno uno mi ha fatto una manovra che se non lo evitavo era un macello, quando l`ho ripreso lo volevo fare scendere per caricarlo di schiaffoni….

 

Il Genitore.

Ma chi te lo fa fare di prendere quell`affare li che fra un anno, un anno e mezzo ti prendi la patente e la macchina e con quella ci fai quello che vuoi e noi cosi` siamo piu` tranquilli….

 

Il romantico.

Quelle di adesso non sono moto, mi ricordo la Guzzi di mio padre ancora di quelle con il volano che non si spegnevano mai, mio padre era il terzo proprietario e l`ha data via dopo 10 anni che gli dispiaceva tenerla sempre ferma e poi non andava mai alla fine, adesso varrebbe un capitale, quelle erano moto !

 

Il tecnologico.

Questa metterci la mani è un casino ma come le fanno adesso non si fermano mai ti dimentichi perfino di averle e quando apri ti sembra che vola sta bestia. L`altro inverno e` stata ferma ,e dopo 4 mesi ,vado li giro la chiavetta e` partita al primo colpo, ci cambio l`olio piu` per scrupolo che per altro….

 

Io.

Ci sono dei giorni che il lavoro e` un casino e quando esco ho la testa come un pallone, ma salgo sulla mia Guzzi, metto in moto e dopo tre minuti mi sento un altro. Sabato sono andato a fare un giro in una strada sperduta, in un paesino appena fuori Torino ho girato tre ore senza vedere una macchina.

Ho visto dei posti che non potresti immaginare ,e poi c`e` gente che per vedere qualcosa fa il giro del mondo.

 

Ho capito che nell`amore e nella passione non ci sono ragioni , io amo andare in moto, sono anni che lo faccio e non ho ancora capito cosa ci trovo.

Appena vengo a capo di qualcosa vi faccio un fischio, ma credo che ci vorra` ancora del bel tempo.

Per cui se vedete passare un motociclista con la faccia rapita che sta guardando il paesaggio e magari nel frattempo canta cercando di intonarsi con il rumore del motore, non pensate che sia matto e` solo innamorato, della sua moto, della vita ,e in fondo tutto cio non e` poi cosi` brutto.

 

p.s. Se il soggetto in questione e` su una Guzzi rossa e sta incrociando su una strada di campagna ci sono forti possibilita` che sia io.

 

Cap. 1 La prima moto.

Come si scrive la storia di un grande amore ?

Qualche volta , quando ci si trova a parlarne, la storia di un grande amore viene rappresentata in modo estremamente semplice, talvolta poco riflessivo, enfatizzato. Ma scrivere, e` avere il tempo di condensare i propri pensieri, dare un corpo a idee vaghe che ,insindacabili nel proprio pensiero, diventano nude sotto l`occhio di chi le osserva guardandole dall`esterno delle nostre emozioni e delle nostre convinzioni.

La mia prima moto, la ricordero` sempre perche` fu quella che non ebbi mai il coraggio di chiedere, perche` entro` nella mia vita senza che potessi desiderarla o aspettarla. Tre materie a settembre furono il degno finale di un anno scolastico ,quello della prima superiore, per molti versi estremamente difficile della mia vita.

L`anno in cui ogni sistema scolastico si trasforma da garante di un`istruzione a strumento della competizione e della necessita` di dimostrare la propria capacita` e la propria affermazione. Cosi mi ritrovai a colmare anni di vuoto e di non-metodo, di non-apprendimento, in una realta` difficile e ostile. Questo avrebbe scoraggiato qualsiasi genitore (cosi fu per i miei) a nutrire qualsivoglia speranza.

Ma dove talvolta non arriva un genitore ,arriva un nonno che alle ragioni della mente antepone quelle del cuore, e leggendo il tempo in modo diverso sa che 14 anni arrivano una volta sola nella vita. Cosi in un dopopranzo di mare e di sole speso a fingere di non dormire sui libri fui trasportato davanti all`entrata di un negozio .

L` insegna diceva ai passanti “Singer” ma nella vetrina tra lampadine, macchine da cucire, biciclette per bambini, si vendevano anche , e per me, soprattutto, motorini. Ci sono momenti che valgono una vita e che si ricordano per sempre, indelebili, come questo mentre, venivo invitato, stupito e attonito a fare una scelta.

Ero impreparato, come scegliere ? perchè certi motorini avevano i pedali e altri no ? le ruote piccole sono meglio di quelle grosse ? di che colore lo vuoi ? troppe emozioni ,troppi interrogativi in una volta sola. E allora ? Presi il colore piu`bello ,e la mia prima moto , un Califfo K Rizzato azzurro metallizzato, entro` nella mia vita. Azzurro come il mare che circondava la mia isola ,Carloforte, che contemporaneamente amavo e temevo e dal quale mi sentivo sempre inspiegabilmente attratto e impaurito.

Azzurro come il cielo dell`isola che ogni estate mi rapiva e per 4 mesi mi faceva fare una vita diversa.

Non so se Carloforte avesse solo il fascino dei paesi piccoli o delle isole , o qualcosa in piu` ,ma sulle strade di quell`isola percorse sotto il sole avanti e indietro dalle spiagge cominciai a covare i pensieri che accompagnano tutti coloro che `usano` i loro chilometri per isolarsi, per pensare.

 

Probabilmente lo Stato e la Chiesa si sono messi d`accordo per compiere ai danni dell`umanita` una delle piu` gravi ingiustizie mai perpetrate nell’arco della storia . Sto parlando della legge che vieta ai quattordicenni di viaggiare in 2 sui motorini. Si, ingiustizia! Quale mente ottusa, aberrante e incolta se non quella di un vescovo o di un ministro, in una eta` dove comunicare, toccarsi,parlare con chi ti e` simile, sentendolo vicino, e` tutto, arriva a porre un divieto di questo tipo. La stessa mente ottusa e idiota che non permette di viaggiare in 2 permette di costruire motocicli di 50 cc che fanno i 100 km/h sui quali molti viaggiano senza casco, vieta, ciò che anche il piu incapace degli psicologi sa essere una caratteristica dell`adolescenza, parlare e toccarsi senza pregiudizi, in modo naturale.

 

Io disubbidii. E non lo feci con manifestazioni di piazza,non invocai partiti e fazioni, ma colpii lo stato nei suoi interessi piu vitali, mettendolo in conflitto contro se stesso. Cominciai a uscire sempre in motorino con la figlia del capitano dei vigili.

 

Se ogni paese ha le sue leggende anche Carloforte tra le sue ne vanta una speciale, un vigile incorruttibile, moralmente irreprensibile, che, mentre il resto dell`italia lasciva e guardona esibiva i suoi mezzibusti, percorreva le spiagge in stivaloni di cuoio, pantaloni neri e camicia multando, riprendendo e invocando il pubblico pudore. RAMONA, quale mente di motociclista Carlofortino puo risentire questo nome senza vedere tornare giorni ed emozioni dimenticate. L`intimo timore di attraversare ,accompagnati dalla propria colpevolezza e dalla propria compagna, le strade meno battute del paese, affacciandosi ad ogni angolo ben sapendo se colti,quale triste destino si sarebbe compiuto !. Ramona non perdona Bastona !.

Ma dividere per meta` il frutto della colpa (la multa) direttamente con il capo dei vigili rese ai miei 14 anni una consapevolezza diversa.

Quell`amore non poteva durare, e come tutti gli affetti verso i quali le famiglie sono apertamente ostili, morì giovane, ennesimo destino incompiuto.

Se penso al mio Califfo ,ai momenti che insieme vivemmo a Carloforte mi pento della fine che ha fatto. Per lunghi inverni mi attese nella nostra casa al mare dove la nostra unione si rinsaldava a luglio di ogni anno ,forse avrei dovuto lasciarlo la nei luoghi dove era nato, dove avevamo consumato insieme la nostra adolescenza e dove avrebbe dovuto finire i suoi giorni. Stupidamente (come si fa talvolta quando si e` giovani) pensai che avrebbe voluto vivere tutto l`anno con me e lo portai a torino. Dapprima non abituato a tutto quello smog mi manifesto` la sua scontentezza con dei problemi di carburazione che assomigliavano a dei rantoli feroci, convulsi. Poi quando mi accorsi della fatica che faceva ,per farlo sentire a casa lo feci verniciare di un bel colore rosso granata, ma anche questo a lui non piaque e me lo fece capire subito facendosi venire una specie di morbillo. Fu a quel punto stizzito da quel suo comportamento irascibile e burrascoso che decisi di venderlo, non pensando che con lui avevo venduto un pezzo della mia adolescenza, che non si puo avere una moto con un carattere mediterraneo, e pretendere che immersa nella nebbia si comporti con la flemma ed il distacco di quelle moto di citta` con lo sguardo indifferente.

 

 

Cap. 2 La Giapponese.

 

Era gia` passato qualche anno da quando avevo venduto il mio motorino, la patente B e i miei venti anni avevano fatto il resto. La matura non lasciava molto tempo per pensare, e la macchina offriva sicuramente delle comodita` in piu` rispetto alla moto.

Finita la scuola ,ebbi la fortuna di trovare un lavoro a Formigine, dove andai a vivere, dando cosi una brusca svolta alla mia vita. Anche le mie possibilita` economiche cambiarono notevolmente, e mi ritrovai cosi` senza macchina. Formigine, provincia di Modena, a un passo da Maranello, era un paese dove le biciclette regnavano incotrastate.

Strano destino per un paese famoso nel mondo per le sue macchine. Formigine terra del lambrusco e delle tigelle, dove la gente ti offre piu` volentieri da mangiare che da pensare, ma lo fa con la furbizia e la bonarieta` di chi ,si vede, ha un passato da contadino misto di saggezza,di furbizia e di voglia di divertirsi.

Ma in un paese dove chiamarsi Ferrari e` una cosa normale ,Roberto ,un amico, posava una pietra migliare della mia esistenza motociclistica, quando, una sera portandomi con lui sulla sua Honda 400 four mi proponeva un fine settimana da passare al mare.

Tra amici `normali` una proposta di questo genere puo` talvota destare qualche perplessita` , ma tra motociclisti ,abituati a condividere una passione (la moto) che spesso allontana da situazioni normali, tutto questo e` assolutamente normale.

Partimmo cosi ,tenda e bagagli, e mentre la ruota posteriore si scuoteva di dosso la nebbia padana, la ruota anteriore andava dritta verso il sole e il mare.

A ben pensarci il ricordo piu` vivo e` il giallo del casco che mi era stato `passato`. Imaparai quel giorno una cosa importante sui caschi.

Ogni motociclista ha almeno 2 caschi ,uno, il suo, che e` sempre quello, dalla memoria del tempo, dove ha ormai gia riprodotto tutto l`ecosistema dei suoi odori ,del suo respiro,della forma della sua testa, l`altro quello di tutti, che si conserva per `quelli di passaggio` occasionali fruitori di una esperienza, che condividono insieme con tutti quelli che li hanno preceduti ,forfora, cerchi alla testa , odori.

 

Per tornare al viaggio, il momento culminante fu quando , dopo 300 km ,in una stradina sulle 5 terre feci la fatidica richiesta:

Me la fai provare ?

Una domanda che segna una vita ? forse. Sicuramente una delle poche domande che contro ogni buon senso si continua a ripetere fino ad avere una risposta positiva .

Ognuno volendo può fare le sue riflessioni, ma la mia e` che dopo avere `provato` giurai intimamente a me stesso che sarebbe stata solo una questione di tempo, e poi, anche io avrei avuto una moto – vera -.

 

Quella Honda Four, strano connubio di idee giapponesi e nomi inglesi, mi insegno` parecchie cose sulle moto, per esempio che 4 cilindri e una sola marmitta rendono odioso anche il piu` simpatico dei motociclisti.

Quando si e` giovani, e si pensa che tutto il mondo sia casa tua, perche una casa, veramente tua, non te la sei ancora costruita, credo che tutti abbiano desiderato un`avventura o una storia con una donna straniera, (io si !), ma raggiungerla insegna un sacco di cose.

Anche Sharon mi insegno`, insieme con la Honda del mio amico Roberto, che se si e` troppo diversi e la propria cultura insegna a cercare cose troppo diverse, incontri occasionali o subitanee passioni difficilmente si trasformano in relazioni durature, e che un` H nel nome non e sempre sinonimo di qualita`.  Imparai da entrambi che prima di scegliere qualcosa, o qualcuno e` importante sapere ciò che vuoi , e che di ciò che vuoi non devi vergognartene perche` non e` di moda o perche gli altri non lo trovano attraente.

Ma se si riesce, prima che a avere, a capire che cos`e` che si vuole, allora forse si impara a vivere in un modo diverso. Cosi come Sharon, anche la Honda dopo avermi tenuto per qualche tempo mi lascio`.

A entrambe va la mia riconoscenza per essere state un punto di svolta della mia vita, ed anche il mio disappunto pe non avermi dato il tempo di far capire loro chi io fossi.

 

 

 

Cap. 3 IMOLA ovvero la prima guzzi non la scordi mai.

 

Tornare in una grande citta` dopo qualche anno di assenza e un`esperienza che tutti coloro che l`hanno fatta se la ricordano bene. Tornai da Formigine a Torino, dove con un milione di altri torinesi mi ritrovai, ogni mattino ed ogni sera, a condurre quella lotta senza quartiere e senza onore che che gli urbanisti osano chiamare circolazione.

 

Circolare ,probabilmente, nella lingua italiana è una parola che in qualche modo da l`idea del movimento, ma nel dialetto torinese il piu` delle volte si lega all`idea di stare in coda.

Sicuramente anche altre citta` hanno lo stesso problema. Ma ai torinesi questo, sembra ancora piu` grave,perche` nella loro citta` dove tutte le strade si incrociano a 90 gradi ,suggerendo in qualche modo la felice appartenenza a qualche ordine cosmico, il doversi ritrovare perennemente in coda assume un sapore quasi blasfemo.

Si arriva così a ogni sorta di bruttura, ad esempio incolpare i meridionali per il loro modo di guidare, i marocchini perchè lavando i vetri non ti lasciano partire al verde, le prostitute perche` rallentano la circolazione. Pochi pensano che nella citta` con la piu` grande fabbrica di automibili italiana il vero problema è che ci sono troppe macchine, e troppa gente che le usa.

 

E` strano che a Torino non ci siano più costruttori di moto. Non credo fosse per questo motivo che la mia prima moto non era targata torino. Imola la prima -veramente moto- -veramente mia- nata da umili origini partenopee (targata Benevento) venne come migliaia di altri suoi conterranei a vivere e lavorare qui nel nostro freddo nord, sali` su un treno e ne scese in un mondo diverso, nella capitale dell`automobile.

Non c`era mai stata un`altra Guzzi nella mia vita prima di lei, eppure quando la vidi per la prima volta ,capii che eravamo fatti l`uno per l`altra. Il prezzo,quello giusto , la marca -italiana- come voleva mio padre (lo sponsor), e soprattutto il motore, dal primo momento che lo sentii girare capii che era quello giusto per me. Rotondo ,pieno, sicuro sono gli aggettivi istintivi che mi vengono in mente.

E` vero che era un po piu` bassa delle altre ma come tutte le meridionali trasmetteva un calore particolare, inconfodibile che non si poteva non amare. Fu con lei e con il mio omonimo e amicissimo Maurizio Cogno che decisi di trascorrere le vacanze estive.

Le ferie in numeri:

4 borse

2 ragazzi

1 tendina canadese

1 Imola

3800 km su tutte le costiere d`italia da Genova a Venezia

22 giorni meravigliosi di scoperta del mondo

Non riesco a commentare quel periodo, ancora oggi non riesco a valutarlo completamente. Lei ,Imola, si comporto` piu` che egregiamente e la sua Targa BN ci fece quasi da lasciapassare per molte zone d`italia, ma soprattutto grazie a lei imparammo a viaggiare. Il termine viaggiare passo` da quello puro e semplice di arrivare in un posto a quello di godere il viaggio per quello che era, e deve essere, nelle sue sensazioni piu` istantanee, quelle che si percepiscono quando non si sa dove si vuole arrivare.

Ma viaggiare, se diventa una condizione, diventa anche un modo di pensare e di affrontare ciò che ci si trova davanti.

A IMOLA devo giorni e momenti indimenticabili trascorsi a scoprire l`Italia, e con essa, le persone che ci vivono dentro e che incontri per strada ,nei bar e anche quelli che ,come te, sono sempre in giro da qualche parte. Ho letto su un libro che dire Guzzi non e` citare una marca, ma parlare di uno stile di vita che si riflette sulla scelta di una moto, tutto vero. Ho incontrato centinaia di altri `guzzisti`, e pur sentendomi con tutti loro parte della grande famiglia dei motociclisti, i guzzisti hanno qualche idea in piu`. Non hanno comprato la loro moto perche costava meno di altre o dava piu` di altre , la hanno comprata perchè sapevano che lei a differenza di tutte le cose delle vita che sono passeggere ,lei, sarebbe rimasta per sempre. Piu` una Guzzi diventa vecchia più il proprietario finisce per amarla ed apprezzarla,diventa una di famiglia di cui non ci si disferebbe mai. Ci sono pochissimi motivi per cui ci si disfa di una Guzzi:

a) voglio una guzzi ancora piu` grossa

b) voglio darla al mio amico cosi-inizia-a-venire-in-moto-con-noi-che cosi-non-mi-fa-la-fesseria-di-comprarmi-una-honda-che-poi-lo-porto-in -giro-che-mi-tocca-vergognarmi.

c) l`ho venduta a quello li che e` un amatore e so che l`avrebbe tenuta meglio di come la stavo tenendo io

d) se la tenevo ancora un po si accorgeva che non sono più il manico di una volta.

Imola e stata la prima di una lunga serie. Per venderla misi un annuncio su un giornale di quelli tutto inserzioni e il tipo che si presento` mi comunicò esattamente ciò che volevo sentire, Imola, non sarebbe stata maltrattata ma avrebbe ricevuto tutte le cure del caso ,chiesi allora di poterla rivedere dopo le modifiche che sarebbero state apportate e lo ottenni. Quando me la riporto` per farmela vedere quasi non credevo ai miei occhi era molto piu` bella di prima, meglio cosi` mi dissi, ero contento per lei. Mi spiace averla venduta. Adesso comincio a capire quelle persone che conservano tutto o quasi e che quando toccano certi rottami hanno quell`aria sognante, stanno rivivendo pezzi del loro passato dei loro ricordi, delle loro sensazioni. Vorrei avere un garage dove tenere i miei ricordi e magari ogni tanto metterli in moto, lucidarli e accarezzarli con aria sognante.

 

Cap. 4 Guzzi sempre Guzzi (ma piu` da americani).

 

L`unica cosa che puo` impedire ad un motociclista di essere felice e di continuare ad esserlo per tutta la vita, nonostante gli incidenti, e una stronza di fidanzata che comincia a dire :

 

Affermazione 1

“Ma perchè dobbiamo sempre andare in giro con quella roba lì che non ci possiamo portare niente dietro, neanche per cambiarci, che sembriamo sempre degli zingari ?”

soluzione,

Caricarsi di borse e valige e attrezzature in kit dal costo pari quasi a quello di una seconda moto che si potrebbe regalare alla fidanzata al fine di corromperla.

 

Affermazione 2

“io dietro ci sto scomoda da morire e poi non vedo niente e non mi diverto e poi se non faccio attenzione mi brucio i polpacci sulla marmitta e quando mi lavo i capelli il casco mi distrugge tutto il lavoro che faccio e sembro una strega !”

soluzione

Cambiare moto possibilmente con un custom che oltre ad offrire una comodita` a tutta prova offre una notevole visuale al passeggero e date le basse velocita permette l`utilizzo di caschi di dimensioni quasi irrilevanti

 

Affermazione 3

“Se ti piace tanto andare in giro in moto a prendere freddo e pioggia vai pure in giro da solo che ti aspetto quando torni e poi facciamo altro , ma vedi di non fare tardi.”

soluzione

mollala !!

 

Essendomi trovato allo stato 2 mi ritrovai dopo un po di tempo a vendere la mia amata (sic) imola. Aquistai cosi Gertrude la mia seconda Guzzi e la mia prima custom.

Le custom spesso riescono a compiere un miracolo nella mente di una donna. Infatti danno la possibilita alle donne di giudicare un mezzo nell`unico linguaggio che a loro è dato dalla nostra ristretta cultura (aime!) di comprendere, la bellezza. Le custom sono belle,anzi bellissime, e per questo si puo trascurare il fatto che siano troppo basse per affrontare qualsiasi tipo di strada che non sia asfaltata, che ti riempiano d`aria e siano quasi ingovernabili alle alte velocita` e che abbiano lo stesso angolo di sterzata di una bisarca carica di roulottes o che per lavarle si puo usare solo il SIDOL.

Tolto questo si puo` dire che sono ottime moto. Gertrude era un custom moderato, perfino piacevole ma con lei commisi un errore fatale, insieme a lei e ad una ex (Miriam) commisi la fesseria di partire per una settimana di ferie non autorizzata.

Risultato :

a) sfuriata tremenda del mio capoufficio che scoprendomi sulle coste della Sardegna poco manco` non mi offrisse come vittima sacrificale al pranzo aziendale dei donatori sangue.

b) riprensione della mia non-ancora fidanzata che ancora oggi me lo rinfaccia.

c) quasi distruzione del cambio che mi era stato già demolito da mio padre (precedente proprietario) a tutto questo si aggiunga una settimana di tortura della ex che ricorda ogni momento l`altro che sta cornificando ripetendo a se stessa che non ha mai amato nessuno come lui.

Gertrude non era fatta per me , sarebbe andata benissimo per qualche sbarbatello desideroso di risparmio sul bollo e di corti tragitti bar-casa-chiesa-scuola. Ma tra le urla lancinanti del cambio che si autodistruggeva quasi a celebrare il passaggio da una fase della mia vita a quella successiva arrivai ,sorprendendo per primo me stesso, a realizzare che sentivo il bisogno di una moto che nel traffico di città fosse in grado di infliggere una severa punizione anche alla quattro ruote piu` cattiva disponibile.

Cominciai così quel che nel gergo amoroso e` definito `corteggiamento`. Il corteggiamento si svolge all`incirca così:

a: si comincia a non lavare piu` tanto la moto vecchia

b: si effettuano solo le riparazioni strettamente necessarie

c: si va in quei luoghi dove e` possibile trovare una degna sostituta della attuale compagna e si inizia la caccia.

 

Dare la caccia vuol dire, una volta individuato il luogo, passare lunghe ore a osservare tutto il reparto usato passando piu` volte giorno e notte nella speranza di notare qualcosa di veramente interessante.

Il mio corteggiamento, essendo mirato alla conquista di una maxi (maxi vuole dire una moto tra 650 e 1000 o piu` di cilindrata), si sapeva non sarebbe durato a lungo.

Provate tutte le 1000 disponibili, scartate le 850 troppo sportive e i tutto-avanti scoprii nella cilindrata 650 il ‘rumore’ giusto.

Si trattava ora di capire quale 650 avrebbe avuto l`onore di essere la prima maxi della mia vita.

La trovai.

Così senza dire niente in famiglia fissai la data del nostro primo appuntamento.

Quell`appuntamento mi diede diverse sorprese.

La mia ex venne per vedere com`era la nuova (moto) La mia non-ancora venne per vedere come andava a finire la ex (moto) Il fidanzato della non-ancora venne con la sua (moto) all`insaputa della mia ex, di me, e della mia non-ancora,a sua insaputa futura ex.

Da tutto quel groviglio io uscii con una Guzzi 650 C superdotata (vuol dire che aveva tutto di serie). Non sapendo ancora come districarmi in tutto quel groviglio decisi di giurare fedelta` solo alla mia moto. Anche perche` a conti fatti è molto piu difficile trovare una moto usando una donna che una donna usando una moto.

A non tutti piaque la nuova (moto) ma a me non importava. Ciò che mi importava era quello che avremmo fatto insieme senza tutta la carovana di gente che in quel periodo angustiava la mia vita.

La belva (cosi` la chiamai) era una bella moto. Sabato dopo sabato,domenica dopo domenica mi offrii momenti spensierati di relax, di tranquillita` lontano dal trambusto che la mia famiglia e le donne della mia vita generavano.

Alle mie preoccupazioni,ai miei tormenti, lei rispondeva con quel suo andazzo imponente robusto,irresistibile negli allunghi, che dava tranquillita` al mio spirito.

Solo lei per un lungo periodo di tempo non mi fece promesse che non potesse mantenere, non mi rinfaccio` le mie indecisioni e soprattutto non mi tradi` mai, anche se qualche volta una vecchia e bizzosa batteria mi diede qualche fastidio.

Lei, nelle lunghe ore che passammo insieme, in quel periodo mi fece ritrovare il valore di me stesso e soprattutto la mia tranquillita`.

Di tutte le mie moto la belva fu quella che indubbiamente valeva di piu`. In piu` avevamo qualcosa in comune io e lei.

Nel periodo in cui ci incontrammo eravamo entrambi scartati da tutti, io dalle mie donne, e lei da tutte quelle specie di mostri ricoperti di plastica chiamati enduro che scorrazzavano, perchè cosi andava di moda, sulle strade della mia citta`. Eravamo giudicati entrambi molto inadeguati e fuori moda per le nostre idee e per come eravamo fatti, troppo solidi, fermi nel nostro modo di vedere le cose.

Ma si sa che la costanza paga e sia io che la belva ci prendemmo cosi le nostre rivincite io con le donne, lei con le altre moto.

La moda si ricordo` di noi e da un giorno all`altro ritornammo all`apice della popolarita`, io come compagno e lei come custom. Oramai eravamo troppo popolari , come tutte le grandi coppie correvamo il rischio di offuscarci l`uno con l`altra e così decidemmo di lasciarci.

La nostra separazione ci lascio` molto piu` ricchi di quando ci eravamo incontrati. La belva ritornò nella stesso salone da dove era stata presa e dove qualcuno dopo una cura di bellezza la volle per molto di piu` di quanto la avessi pagata io, anche lei come molte altre Guzzi fu venduta unicamente perche il suo nuovo padrone sicuramente la avrebbe protetta e amata molto piu` del vecchio.

Io invece iniziai un nuovo corteggiamento.

 

Cap. 5 Libera.la mente (ed il cuore).

 

Non saprei quale e` l`eta giusta per fare certe cose, ma devo dire che mentre per certi eventi della vita ci sono periodi nei quali ci sentiamo ,per cosi dire, predisposti, per altri non lo siamo mai abbastanza. Iniziai ,a settembre, dopo un`estate triste, un corteggiamento.

Io da una parte, lei dall`altra al nostro primo incontro neanche ci guardammo, lei stava li in mezzo alle altre – nuove – che tradotto nel linguaggio del mio portafoglio voleva dire irraggiungibili.

Io non volevo piu un altro custom,ormai troppo di moda, ma volevo una moto che mi portasse un po dappertutto e che non fosse necessariamente troppo veloce.

Gli Enduro fino a quel giorno ignorati, perche non italiani, e perche` troppo di moda, mi apparivano,bistrattati dalle masse, sotto una nuova luce. La prima condizione ,quella della marca, era soddisfatta. Guzzi. Avevo provato a guardarmi intorno, anzi una delle ultime uscite con la belva mi aveva portato a Milano al salone della moto, ma avevo avuto 2 delusioni.

La prima una Aprilia Pegaso 650 mi aveva incantato con le sue forme per poi rivelarsi una moto estremamente complessa e inaffidabile, l`altra una cagiva RIVER per la quale forse sarei riuscito a scendere a compromessi aveva il difetto di essere presentata ma non in produzione.

Chiusa la parentesi Milanese, tornai al primo amore. Il mezzo alle altre ,ancora perfettamente anonima come lo sono tutte le cose nuove che non hanno un`anima, c`era lei, con quella sua sigla spigolosa e quel nome paradossale. NTX. Chi compra una Guzzi di solito si imbatte in nomi che a loro volta sottodefiniscono il marchio e che definiscono dei periodi. Le moto postbelliche avevano nomi che parlavano di pace ,airone, cardellino,stornello,le moto dell`ondata sportiva avevano nomi legati ai grandi circuiti dove si era fatta la storia delle corse italiane, imola, monza,le mans,lario.

Nomi che sapevano di storia.

E poi c`erano i gli SP ,le vere moto di chi macinava i chilometri,lentamente pacificamente, le moto che accarezzavano la strada , il paesaggio. Si potrebbe fare una storia dei nomi della guzzi.

Ma NTX non s`era mai visto. Cominciai così con diffidenza i primi approcci incuriosito da questa moto per cosi` dire di svolta.

 

Manopole diverse,accensione elettronica,,super ammortizzatori,maxi serbatoio un vero enduro africano. Ma il mio motore 2 cilindri a V di 90 gradi era sempre lì solido sicuro,rotondo come quello di Imola (la mia prima guzzi).

Come dubitare ?

Anche la mia aquila era sempre là, quella aquila che insieme a me aveva attraversato tutta l`italia. Devo dire che non fu facile, ma dopo 2 mesi e 1/2 la decisione era presa e a dicembre del 93 lei fu mia.

Non la avevo mai sentita in moto ma quando la sentii fu come se avessi da sempre saputo chi era. Faceva freddo. Era un periodo nel quale faceva freddo anche dentro di me. Le mie giornate non erano per cosi` dire `luminose`. Iniziai cosi` il rodaggio, Libera non era proprio uno zuccherino all`inizio con quel telaio così alto ,che in curva non capivi mai dove potevi arrivare quegli ammortizzatori incredibili che quando frenavi ti sprofondavano in avanti.

Non e` facile iniziare un rapporto in inverno, l`estate da passioni piu` esaltanti l`inverno per contro ti lascia piu` tempo per conoscierti. Adesso e` arrivata l`estate ,ci stiamo ancora conoscendo.

 

Capitolo 6. Regina ,ovvero sogno di ragazzino.

 

In africa non ci sono mai andato (nonostante l’intenzione) anche perchè questa ha sempre sofferto di un grosso problema, è piena di figli di Maometto , Forse lui poi non era tanto cattivo ma i suoi successori non badano a spese.

Scoraggiato dai costi, scoraggiato dalla mia Signora (in africa ? Ma sei matto?!) torno a pensare alle moto del tempo che fu. Ma , come dice sempre un mio caro amico (Enrico Paschino), di tutto ci si puo ammalare,ma mai contrarre il morbo della ruggine. Strana malattia. Il metodo migliore per prendersela è frequentare anche per poco chi ce l’ha già. L’untore ti fa vedere la sua vespa restaurata del 52 praticamente perfetta ,e ti dice, sai ,l’ho trovata in una cascina sotto un mucchio di legna, ma l’ho riconosciuta subito.

A questo punto chiunque sia l’untore che racconta la storia ci sono sempre dei fattori comuni :

 

A) trattasi di esemplare rarissimo ,numerato, riportato in bella mostra in tale o talaltro testo di mitico esperto del settore.

B) prezzo di acquisto praticamente nullo…….

C)Il preziosissimo materiale viene completamente smontato e rimontato in ogni sua parte con un numero di ore difficilmente quantificabile (alcune migliaia), e dopo, sottoposto a mago del settore il quale appone così la sua esperta benedizione alla sfavillante creatura che rinasce alla vita.

 

Moltissime parti della storia (quella vera) sono praticamente omesse per favorire la diffusione del contagio.

A quel punto il neofita, all’idea di procurarsi un mezzo favoloso ad un costo irrisorio è praticamente agganciato.

Ed allora eccomi qua nelle file dei restauratori. Il mitico mezzo non viene agganciato in una sperduta fattoria, ma dal venditore di fiducia, lo si recupera ad un’asta ,non quelle della polizia o dei carabinieri, ma cosa alquanto insolita ad un’asta della Rai.

Trattasi di mega-moto-guzzone-come quelli di una volta, tanta cilindrata (1000cc) pochi cavalli , durata eterna e ritorno a casa praticamente assicurato. La frase esatta è “con quella roba li si torna a casa anche da una guerra mondiale!!”. Resistere è impossibile ,davanti al nero e alle cromature al cuor non si comanda. Si vende l’NTX (plasticaccia!!bleha!) e si inizia l’avventura old-style. Ma dato che la creatura è figlia della RAI-radiotelevisione italiana è forte la commozione al momento della consegna, per 2 motivi,primo per la scritta sulla borsa laterale ancora recante il logo della tv di stato secondo perchè con quel libretto non si può circolare, si, perche mamma rai non ha comprato una moto ma un mezzo speciale attrezzato per riprese audiotelevisive.

Ne consegue che un libero cittadino qualsiasi non lo può usare. Ma l’amore abbatte le barriere, e la corruzione regna sovrana alla Motorizzazione. Gli amici osservando la creatura chiedono notizie della dotazione di serie cioè erpice , aratro e mietitrebbia ma questo non scoraggia, anzi in fondo in fondo dà la certezza di avere provocato la pubblica invidia.

Ma la parte più dura deve ancora cominciare, bisogna preparare l’officina. Ed è cosi nel miraggio del risparmio che si comincia ad attrezzare il luogo della passione, da quel momento in poi ogni azione diretta al miglioramento del mezzo si trasforma in una reazione uguale e contraria corrispondente all’aquisto di una certa quantità di attrezzature atte allo scopo.

Man mano che aumentano le attrezzature aumentano le possibilità di manovra, e così si entra nel vortice.

I più fortunati ne escono dopo un pò con qualche decina di kg di ferramenta in inox e cromo-molibdeno, i più sfortunati per rifarsi delle spese devono aprire una concessionaria ufficiale con officina annessa. Per un’altro strano effetto legato alla malattia tanto più pulito diventa il mezzo tanto più sporco tende a rimanere il restauratore, si tratta di momenti difficili dell’esistenza nei quali i famigliari e i congiunti devono manifestare pazienza e comprensione in modo significativo.

Vi è un momento nel quale tutto ciò raggiunge il culmine della follia. Alla rottura di un qualsiasi pezzo non più reperibile presso la casa costruttrice, attimi di panico segnano mortalmente l’aspettitiva del neofita ma per fortuna dello stesso esiste una fiera schiera di restauratori, che approfittandosi della evidente debolezza psichica e mentale del soggetto riescono a sostenerlo nei momenti più difficili, lavorando si come meccanici, ma facendosi pagare come primari neurologici.

Mitico compimento di tutta l’opera è il Raduno. Anchè perche non si può avere un tal gioiello e non renderne cosciente il mondo. Si compiono sforzi sovrumani per portare il gioiello fino alla data fatidica, si arriva fino al luogo del raduno,si parcheggia e dopo non si ritrova più il mezzo confuso in mezzo ad altre decine perfettamente uguali.

Pazienza tanto era una bella giornata di sole………..

 

Capitolo 7 ritorno alla normalità.

 

Cosa succede ad un motociclista al culmine della sua Parabola amatoria ?! A patto che si tratti di una persona normale ,quindi dotat di un solo stipendio mensile e di tutte le comuni necessita di noi poveri comuni mortali le scelte che restano sono

nel migliore dei casi solo 2 :

 

soluzione A) impazzito del tutto il soggetto comprende di essere stato segnato dallo scorrere degli eventi, a quel punto ricopre il suo corpo di ogni sorta di pellame che a sua volta è ricorperto di placche di ogni tipo recanti la pubblicità di tutto cio che ha a che fare con il mondo dei motori, si rende irriconoscibile (capelli barba piercing, pratiche Sadomaso…..) litiga furiosamente con la Famiglia, si compra un’harley Davidson, si sperde per il mondo, mantenendosi facendo il corriere della droga.

 

soluzione B) si accorge di essere alla frutta, si compra una moto da persona normale, la usa con un pò di buon senso,essendo ben conscio che con l’andare degli anni le fratture vengono riassorbite in tempi sempre più lunghi, ritorna a quei giretti che prima snobbava con tanto disgusto e che in ultima analisi gli regalano dei sani pomeriggi, e sabati di felicità.

 

Credo che mi rassegnerò.

Non ci posso far niente.

Ma tutto le volte che potrò mi ribellerò e se quando suona il telefonino qualcuno non vi risponde ci sono solo 2 possibilità o fa l’amore, o va in moto, e se sta facendo l’amore magari fra 5 minuti lo richiamate e vi risponde (sono i limiti attuali riconosciuti scientificamente), se va in moto non riprovate fino a sera.

 

Capitolo 8 TRADIMENTO

Lo so.
Certe cose non dovrebbero succedere.
Eppure è successo.
2 anni e mezzo senza moto , è evidente che c’era qualcosa che non andava.
Certi meccanismi fino a che li tieni in movimento ci metti l’olio, il grasso, un giretto ogni tanto. e tutto Continua a funzionare, ma se molli di colpo lasci le cose li qualche annetto senza farle girare Vai li fai per farle ripartire è..crac! si è rotto. La mia passione resta uguale.
Ma è il motociclista che è cambiato. Ha passato tutta la vita a maledire i giapponesi, le harley gli fanno schifo e costano un capitale
Poveretto tutta la vita così.
Eppure dopo 9 Guzzi doveva cambiare.
Ma chi tradisce una guzzi che moto si può comprare ?
Una bicilindrica ? sicuro!
Raffreddata ad aria ? sicuro!
Che non si ferma mai? Sicuro !
E allora l’unica moto che sembra una guzzi ma e fatta come tutti noi pensiamo dovrebbero essere le guzzi
Per essere perfette . è solo una BMW!
L’ho ammetto,,, è stato un momento di debolezza , tutti quei bmwuisti tronfi che ti guardano Dall’alto in basso con sti motoroni che sembrano infiniti e senza vibrazioni , e guardano con disprezzo La macchietta che si forma quando una guzzi sta ferma un po di tempo nello stesso posto.ho ceduto.
E allora venga il mostro! Bmw 1000 r100

L’ho tenuta quasi 8 mesi.
Finche non ho provato a guidarla un pò non era neanche troppo male, poi un mattina ho deciso che era ora di vederla andare come una moto…e fu l’inferno ad ogni curva, a un operaio di stoccarda prendeva il mal di gola, quando ho cambiato i dischi dei freni a qualcuno del reparto ricambi di monaco deve essergli morto un parente..
Sicuramente i dirigenti degli stabilimenti BMW non possono avere figli maschi.merito di tutto quello che gli ho mandato con il pensiero ad ogni
curva e ad ogni frenata.. Un giorno ho avuto un dubbio e appena ho visto una moto uguale alla mia ho provato ad avvicinarmi al proprietario per chiedergli se me la faceva provare…stessa minestra.
Non voglio crearmi dei nemici. lasciamo perdere.

sapete cosa ho capito ?
le Guzzi vibrano perché sono vive,,, ma le curve almeno le fanno dove vuoi tu.
E vero che ogni tanto se guardi sotto luna guzzi che sta ferma ci trovi una macchietta , ma è perché con tutti I cavalli che ha dentro gli fa schifo stare ferma e allora piscia per disprezzo…
Ho imparato la lezione, ma almeno mi sono tolto un’illusione, in più adesso sto seduto Sopra ad un california II e tutte le volte che passa un r100 mi giro dall’altra parte …
Quando sono andato al raduno del 75° della moto guzzi mentre ero dentro alla fabbrica parlavo con un amico Della qualità di certi componenti e dicevo: certo che se imparassero un pò dalla BMW..
Un omaccione grande e grosso dietro di me mi disse ” le bmw sono guzzi tristi…
Aveva ragione solo che io non ne avevo ancora provata nessuna.
Guzzi per sempre !!! Guzzi For Ever !!!
Capite a me !

IL 750 S3….UN MITO!

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di Stefano Annino

 

Erano i tempi che mi gustavo Bruce che suonava Born, i tempi che nulla al mondo ti può fermare…manco le buche della strada…… quella vera……. quelle buche dove se ci cadi dentro non ti rialzi più come prima. Su quelle buche, che neanche vedevo per come ero incosciente, ci volavo sopra senza accorgermi di nulla. A quei tempi erano tante le cose che non sopportavo e molte altre che mi stavano salendo su per il groppone….una di queste fu……il Falcone, il Nuovo Falcone! Non ne potevo più di quel trotterellare tranquillo al massimo dei 3500 giri, di quel ticchettio “insopportabile”, di quel motore che diceva sempre e solo la stessa cosa, vuoi che fosse carico come un ciuccio su per una salita, vuoi invece che si corresse (?) giù dalle strade di montagna. Sempre la stessa espressione, la stessa tonalità, impassibile…..bom..bom..bom.. quasi che fosse un orologio…a pendolo però! Basta! Ne avevo le palle piene!

Non sapevo proprio che cosa fosse giusto, per me, in quel momento….solo Bruce era capace di domare gli ormoni!

Che tormento! Che visione…..

Ma che cos’è sto coso mezzo nascosto dietro la vetrina del concessionario Guzzi di Empoli? Entro, saluto frettolosamente il proprietario e mi “incollo” su un Guzzi…basso…lungo….cattivo…tre dischi….due cilindri che sprizzavano sesso….rosso….tutto rosso….. Si avvicina il proprietario del negozio…..dice…”E’ un S3″, rispondo…..”E’ MIO!”.

Lascio il Falcone ed esco con il 750 S3. L’amore a prima vista, che a volte non dura, fu ripagato ampiamente per i successivi anni passati insieme un pò da tutte le parti, su molte, ma molte strada d’Italia e d’Europa.

Non capita tutti i giorni di rimanere letteralmente folgorati da un “pezzo di ferro” e rimanerne “attaccati” visceralmente per tanto tempo. Quasi sempre capita…a me capitava spesso a quei tempi….di stancarsi delle cose, delle persone, soprattutto delle femmine, ma dell’S3 no, mai successo…..neanche di Bruce.

Entrare in sintonia con l’S3, per me è stato facile, merito della moto, della posizione di guida caricata in avanti (una posizione con la quale ti sembra di impugnare il mozzo della ruota anteriore piuttosto che il manubrio).

Merito anche del motore, sempre pronto, pieno di coppia , di spinta, ma mai esagerato. Anche quel motore, però, diceva sempre la stessa cosa, mai un lamento, un’esitazione, un tintinnio, MAI NIENTE!! Merito del Telaio, delle geometrie, del genio di chi seppe disegnare e realizzare una moto unica che ti entra nel sangue e non ti passa…

n o n t i p a s s a a a a ……non ti passa nessuno alla lunga distanza!

 

Al Nurbungring un Katana 1100 e un GSX 750 ancora adesso si domandano…..”Ma come!!…??…..ma come?….ma sulla parabolica apri la manetta?”……”Ma stavi dietro un kilometro sul rettilineo….ma come, ma come cazzo hai fatto….eppure sei una schiappa!” Sulla statale Cecina- Colli Val d’Elsa, la tipina di turno durante una sosta dovuta (paja e pipi) mi dice, timidosa e con un filo di voce……” Ma sai….ho toccato con la punta delle scarpe”. Il proprietario del London Pub di Livorno mi immortalò sul Muraglione (la foto in onda a breve….devo chiederla indietro a mammà) perché non riuscì a scrollarmi via nonostante il Kawa 900 GPZ nuovo di trinca.

Non vi dico poi l’Honda Bol Dor…..ondeggiava così tanto che pareva una barca…in cima al Muraglione, Paolo (lo sfortunato proprietario)….. raccò! I 6500 giri tenuti delle ore per nulla inficiavano l’affidabilità del motore, come quella volta che alle 08.00 partii da Salisburgo e alle 14.30 ero a Livorno. E pensare che dalle parti di Bolzano mi fermai timoroso perché mi accorsi della spia dell’olio accesa!! Un benzinaio sull’autostrada mi disse….”E’ la pompa”…..”Devi uscire a Bolzano e chiedere del concessionario Guzzi….però non so se la vigilia di ferragosto è aperto…forse no. Se io fossi in te non ci camminerei con la spia accesa”. Tra me e me pensai….”Ma come…la pompa o si rompe e si grippa quasi subito, oppure no. Chissà da quanto tempo è accesa la spia!”. In effetti non potevo stabilirlo con esattezza perché la borsa da serbatoio mi ostacolava la visione degli strumenti. Presi coraggio e continuai il viaggio di ritorno a casa. I primi minuti….con l’orecchio teso a non più di 90 all’ora….poi 100…poi 120….poi….mi ritrovai a Verona a 170 e la spia dell’olio sempre accesa!! Alle 14.30 ero a Livorno. Il giorno dopo cambiai il bulbo e, siccome quasi tutti i negozi erano chiusi per ferragosto, lo trovai agli autoricambi Fiat…quello della 500!

 

L’S3 è stata, per me, la migliore moto che abbia mai guidato ad oggi, nonostante il Le Mans che altro non è che una versione rivista e aggiornata della serie Sport.

Ma quel motore a 6500 giri per delle ore come Taranto-Rimini, Salisburgo-Livorno, senza soste (solo il tempo per rifornire), senza un goccio d’olio consumato, come i 5000 km fatti in 15 giorni in giro per l’Europa…era ed è un’opera d’arte!

Un solo desiderio…..riprendere il mio S3 che è ancora dal falegname di fronte a casa dei miei genitori e che non lo molla, nonostante il tormento subito dal sottoscritto! E pensare che è fermo da anni…e pensare che è seppellito da “tonnellate” di segatura!! Se trovate un S3 e non sapete cosa fare….non dubitate…PRENDETELO…..vi saprà ripagare dei sacrifici fatti per comprarlo e NON ve ne pentirete. Se invece deciderete di lasciarlo li oppure penserete di spendere i vostri soldi per altre moto, bhè amici miei….non sapete cosa vi siete persi!

 

Il 750 S3….un mito!

 

Sté

CENTAURO

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di Marcello Molteni

 

Il motore si sta scaldando, il pulsare del bicilindrico trasversale trasmette un nervoso movimento laterale alla moto, sorretta dall’inevitabile obbligo del cavalletto laterale; l’asimmetria del movimento e l’andamento sinusoidale del ronfare del motore hanno su di me il potere di un mantra ripetuto all’infinito.

Non smetterei mai di ascoltare quei due quintali ed oltre di materiali estratti dalle viscere della terra e plasmati dalla forza dell’uomo, al solo scopo di diventare un basso e vibrante animale colore antracite capace di trasportare i sogni a 230km/h, ben oltre quanto serva per assaporare la sensazione di volare ad un metro da terra, senza barriere che si frappongano tra il mio corpo e tutto ciò che sta attorno.

Il rito della vestizione è quasi completo; allaccio la fibbia del casco, infilo i guanti, e sono già a cavalcioni dell’animale pulsante; il cavalletto scatta all’indietro, la belva perde magicamente il suo peso e sento che nel suo intimo mi ringrazia per averla liberata da quell’ultimo vincolo prima di poterla cavalcare nel suo naturale e necessario stato d’equilibrio instabile.

Un gioco di mani, piedi e leve e la belva è agganciata al guinzaglio dell’uomo; i suoni cambiano, metallo contro metallo, tintinnii, e poi le vibrazioni nello stomaco e poi il movimento e poi l’assurda legge fisica che ti tiene in piedi alla prima curva e poi…

La metamorfosi si sta compiendo, il mitologico Centauro riprende vita; metà uomo e metà cavallo, metà ragione e metà emozione, metà cervello e metà macchina; una simbiosi perfetta; l’asfalto scorre sotto di me, nelle curve più famigliari è a pochi centimetri dal mio ginocchio; la belva mi sussurra segnali, ora incoraggianti, ora cautamente allarmati; noi due ci conosciamo bene e soprattutto conosciamo ognuno i limiti dell’altro.

La simbiosi non si spezza, anzi viene rafforzata chilometro dopo chilometro; supero, incrocio e vengo superato da altri centauri; pur riconoscendoli affini non riesco a considerarli uguali a me; probabilmente per loro è lo stesso nei miei confronti; l’unicità dello stato in cui mi trovo è gelosamente custodita nel mio intimo; ci saranno altri momenti per condividere le cose; non oggi, non ora.

Un lago; il sole crea mille scintille sull’acqua increspata e fa splendere di un bianco abbacinante le cime delle montagne attorno coperte di neve; diminuisco la velocità per gustarmi quello spettacolo; è uno di quei giorni che la natura si degna di regalarci per farci capire quanto siamo piccoli al suo confronto.

I paesini con le case strette tra acqua e roccia sfilano ai miei lati; il tempo pare prima rallentare, poi fermarsi, ed infine cominciare a scorrere all’indietro; vedo un antico campanile, donne con la borsa della spesa affrettarsi verso casa, ragazzini che giocano a pallone in un cortile, un piccolo ponte di mattoni sotto la ferrovia sulla destra; il mio pollice spinge quasi automaticamente un tasto e due lampadine lampeggiano.

Una massiccia costruzione gialla a ridosso della strada amplifica il rombo della bestia al suo passaggio e su un cancello vola l’immagine di un rapace dorato identico a quello sul mio serbatoio; uno sguardo dove tutto è nato otto decenni fa; due amici, un’idea, una cantina, odore d’olio e di benzina.

Ed il resto è storia.

 

Marcello e la sua Moto Guzzi V10 Centauro

IL FALCONE

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di Giancarlo Sante Zulato

Tornato da militare, avevo ormai il demone della Guzzi ben radicato dentro: dopo le prime esperienze con la Sport 15 sidecar dello zio (a 12 anni) avevo guidato il Superalce, mitico “enduro” che arrampicava dappertutto…

No volevo cagafumo leggeri e isterici, DOVEVO avere un monocilindrico: orizzontale, e di 500cc!

Seppi da amici che a Chivasso c’era uno dei tanti che pescavano alle aste militari e aveva rimediato diverse moto tra cui una decina di Falconi, e corsi ad accaparrarmela.

Fui fortunato – cosi’ credevo – perche’ mi capito’ uno Sport, ex-Polstrada con tanto di parabrezza e porta-moschetto, appena radiato dal servizio. Diedi fondo ai risparmi di anni (allora 800mila lire erano ca 8/10 milioni di oggi) e saltai in sella col batticuore per l’emozione. Fu feeling immediato, ma feci in tempo a goderla pochi mesi prima di rendermi definitivamente conto che, a meno di un radicale restauro, il mezzo era troppo sfiancato e usurato per sopravvivere al traffico di Milano.

Non il poderoso motore, ma le minutaglie quotidiane: leva frizione, rinvio del cambio, pedale freno erano triboli continui pulire, cambiare, registrare, oliare…

Vendutolo, presi il NuovoFalcone, nuovo, fondo di magazzino dal Conce, avanzato da un lotto dei Vigili Urbani.

Era bianco, con le borse in lamiera originali. Aveva paragambe, paracilindro, scatola del carburatore tutti in lamiera: non prendevi uno schizzo, pulito come uno sccoter. Le selle erano separate, la posteriore fissata al porta-pacchi (porta radio nell’originale) che poteva sopportare ben oltre un quintale, ci trainai un’auto in salita dal garage sotterraneo di un amico. Anche cavalletti e pedane erano di pesante acciaio, forgiato e non stampato o di tubo cavo…

Era una moto evidentemente fatta per giovani reclute inesperte, da prendere a calci, sbagliare tutto e cadere allegramente che’ mica si rompeva nulla… Il Civile non mi piaceva, con quell’aria da “Stornello” cresciutello, il serbatoio affusolato e basso raccordato alla sella, pareva un ragazzino d’una volta con gli abiti troppo stretti e le maniche corte… e poi il filtro aria appiccicato al tromboncino e quegli scarichi finti snelli e il contagiri da moto finto-sportiva… Anche se aveva l’avviamento elettrico, che io NON VOLLI mai, anche quando divenne accessorio d’uso comune. Per i profani o Guzzisti “a V”, ricordo che la messa in moto, rigorosamente a pedale, era un momento esaltante (ma da NON ripetersi spesso, o in mezzo al traffico…): issato sul cavalletto centrale, tanto largo e solido da poterci ballare in piedi sulle selle in due come successomi a Carnevale; arrampicato sul lato sinistro, piede sinistro sulla pedana, destro sulla pedivella, ricerca del P.M. superiore, alzavalvola un accenno di gas e poi… GIU’ con tutto il peso, mollare l’alzavalvola e scendere con un salto per evitare eventuali “calci” che mandavano all’ospedale tanti motopesantisti…

Se la manovra era precisa, oltre allo sguardo di ammirazione delle fanciulle che si radunavano (eh si, facevi colpo allora, altro che Fantic Caballero…) ti gustavi per premio un minimo dalla sonorita’ suadente, che regolato bene a 600 giri faceva uno scoppio ogni quinto di secondo (avendo un giro “utile” su due, fanno 600/2=300/60 secondi al minuto…), perfettamente udibile come una nota di ¼ di un “andante”.

Pareva un gatto che fa le fusa, e non mancava un colpo, anche se decidevi di accompagnare a piedi la bella che aveva paura di salirci… in prima a 4 km. ora, senza bisogno di sfrizionare e docile nei suoi 215 kg.!!!

E poi. la ripresa, molto piu’ decisa dell’accelerazione da fermo, il tiro dei 25 hp che sembrano pochi ma con tanti chilogrammetri dietro… il ronfare da locomotiva a vapore, il clac-clac del cambio nello scalare, bilanciere prima indietro, guai alle staccate decise con 12,5 kg di imbiellaggio che si mettevano ad urlare per protesta insieme al castello delle punterie!!

Dopo l’acquisto, come tutti provai a vedere quanto “tirava”: tolto il parabrezza, lo lanciai al massimo, credo oltre i 4.500, il cambio era piu’ corto del Civile che sfiorava i 140, forse arrivavo a 125-130 max. Perfettamente stabile, ad un certo punto mi trovai con lo sguardo appannato; fermo, controlla gli occhiali che sono perfettamente puliti, riparti rilancia… mica tirare le marce, solo in quarta deciso insisto spalanco sempre di piu’ e ritorna la nebbia allo sguardo… due, tre volte poi capisco, anche i piedi scivolano dalle pedane, e una volta ho guidato un Manx da corsa: sono le VIBRAZIONI che scombussolano la vista…

Rimpiango tuttora di averlo dovuto vendere, anzi “dar dentro”: credo che, se fosse stato una moto americana, lo avrebbero prodotto ancora oggi, con freni a disco accensione elettronica e cinghia di kevlar… Ma il mio faceva parte di un lotto difettoso, richiamato dalla Guzzi con la sostituzione gratuita del blocco motore(!!!) ma il Conce non se n’era accorto, e per evitare che gli facessi causa mi accordo’ un favoloso sconto su una favolosa V850Gt Ambassador: ma questa e’ un’altra storia…

Bene mi fermo; mi e’ tornata voglia di Falcone, quasi quasi, il garage e’ ampio, la moglie “invecchia” (= si intenerisce, che avete capito??).

Ammazzali ‘sti vecchi!!! e quanto rompono co’ li ricordi de quanno che ereno pischelli!!!

Ma forse… ho annoiato?

Lampi… a 1500 watt!!

Riflessioni

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di Cinzia Restelli
Domenica pomeriggio di inizio giugno. Ieri.

“Caldo” non è un aggettivo valido, a quest’ora, per identificare la temperatura della brezza che mi accarezza il viso mentre guido verso l’autolavaggio, la sensazione che sto godendo è più identificabile con un sostantivo, direi. Più semplicemente, “tepore”.

Niente protezioni, oggi pomeriggio, niente giacca in cordura, niente plastiche a irrigidire la mia andatura, niente stivaletti a protezione delle mie caviglie, e non metto nemmeno la bandana al collo, che rimane naked, come la mia moto.

Pantaloni di tela leggera, t-shirt a manica corta, scarpe “da tennis”. Una canzonetta milanese, mi sovviene, e la canticchio sottovoce, sorridendo mentre guido “el purtava i scarp del teniiiis, el parlava in de per lü, rincorreva già da tempo un bel soooogno d’ammmmoreeeee…”

Solo il casco e i guanti, a protezione del mio andare.

Solo una canzonetta di trentacinque anni fa, a protezione della mia serenità.

Il viaggio è più breve di quello di un harleysta che va a bere un caffè al bar. Un brivido mi elettrizza-attraversa la schiena, con la velocità di un fulmine notturno durante un temporale: “Potrei farmi male cadendo in questi due kilometri tra il box di casa mia e il lavaggio auto?” Non mi importa, viaggio con la certezza che oggi niente di brutto potrà accadermi. Niente.

Incoscientemente felice.

Non ricordo le parole, fischietto.

Arriviamo, io e la mia Breva, al lavaggio auto. I box, allineati ordinatamente, sono tutti occupati tranne l’ultimo. Me ne accorgo dai semafori sul muretto all’ingresso: rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-VERDE, ma anche dagli allegri spruzzi di acqua che sfuggono all’ordine geometrico della costruzione rigida.

Passo dietro a tutti questi uomini, spesso accompagnati dalla propria compagna o dai figli, cercando di mostrarmi la meno impacciata possibile. Vorrei farmi piccola piccola, in quel momento, per non sentire su di me gli sguardi invidiosi delle donne e quelli stupiti o ammirati degli uomini.

Io oggi voglio solo starmene un po’ da sola, a pulire e lucidare la mia motina.

Nient’altro.

Accolgo invece con un gran sorriso e un saluto a V la risata sincera di un bimbetto che mi addìta e chiama con la sua vocina trillante: “Papyyyy guarda! la moto grande! come la tua!”

Proprio un bel frugolino, avrà si e no cinque anni, un bel “patatino” con le fossette birichine che mi fa ciao ciao con la manina libera dalla spugna, mi sorride, e corre dal suo “papy” per continuare ad impiastricciare la macchina di detersivo e simpatia.

Io e la mia timidezza odierna arriviamo, dopo un viaggio lungo quanto il giro del mondo, all’ultimo box. Entro e cerco di mettere il cavalletto sul cemento, invece che sulla griglia per lo scarico dell’acqua. Mi sento un poco più protetta, tra quei due muri bianchi, e certamente anche la mia privacy ne risente positivamente.

Scendo dalla moto, levo il casco e i guanti, tolgo lo zainetto pieno di stracci straccetti e creme per le cromature e la carrozzeria.

Mi avvio verso il distributore di gettoni, cercando di starci il minor tempo possibile, ma nonostante mi sia organizzata con la moneta contata, mi si avvicina un gentiluomo di mezzetà, anche trequarti, che con fare molto gentile mi chiede che moto è, modello, cilindrata, e certamente aveva anche lui una Guzzi (ma quanto parla?) qualche anno fa, e poi l’ha venduta, ma se tornasse indietro la terrebbe (perchè ho preso le monete da venti centesimi, invece che quelle da un euro?), ma che belle le Guzzi (ma quanto impiegano sti gettoni a scendere?) e come mi trovo… Rispondo educatamente, ma con un certo imbarazzo, perchè non voglio che la mia gentilezza possa venire fraintesa e automaticamente tradotta in “disponibilità”.

Finalmente vinco (ih ih!!) e la slot-machine sputa fuori i suoi gettoni, finisco il discorso, saluto cortesemente e mi defilo con un sorriso.

“Perché?” mi chiedo mentre torno alla motina “Perché una donna motociclista deve necessariamente essere considerata disponibile? Perché non ha attaccato bottone con una delle due signore che lavano l’auto nei box 5 e 8?”

Mi rispondo con una non-risposta: “Mah” e inizio a leggere le istruzioni del distributore.

Per fortuna, questo auto-moto-lavaggio consente di passare tra le varie opzioni (lavaggio preliminare, shampoo, risciacquo con osmosi, ecc.) senza dover aspettare che ogni volta finisca la temporizzazione collegata ad un gettone. “Così me ne avanza uno per prendermi una lattina di tè freddo al distributore automatico”. Un premio goloso per quando avrò finito.

Inserisco. Opzione 1.

L’acqua inizia ad uscire dalla pistola a spruzzo come una leggera pioggia di marzo. Mi viene quasi voglia di alzare il braccio e farmela cadere in testa, come una doccia fresca, alzando gli occhi chiusi verso il getto e aspettando che le gocce rimbalzino sul mio viso… Sogno sempre troppo ad occhi aperti.

La motina è lì, ferma, sporca dall’ultimo giro nei campi dell’Est di Milano, su stradine tra l’impolverato e il post-pioggia di domenica scorsa, immerse tra i campi di grano e i papaveri e i fiordalisi come non ne vedevo da almeno vent’anni.

Inizio a sciacquare via delicatamente il fango superficiale e penso “La mota della moto”. He he! La cartina tornasole per accorgermi che sto bene, dentro di me: quando inizio a scherzare con le parole.

L’acqua scivola sulla Breva portando a terra lo sporco, e i miei pensieri tristi. Con uno straccio morbido lavo via i moscerini dal parabrezza, dal fanale anteriore, accarezzo la sella ed il serbatoio, giù lentamente fino agli scarichi e alle ruote.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip. Fine dell’acqua e della malinconia.

Il bimbetto “patatino” passa davanti al mio box, seduto di fianco a suo padre, sporge una manina dal finestrino e mi saluta “ciao signora!”.

“Ciao, tesoro”, ricambio.

Inserisco. Opzione 2.

Il sapone inizia a riempire la moto di schiuma morbida, togliere lo sporco è ancora più semplice e … mi piace, la mia moto insaponata ha un che di sexy, è così vulnerabile, adesso, lo straccio passa agevolmente sul serbatoio, sui fianchetti, sui collettori, poi indietro, lungo gli scarichi, per risalire poi sul codino. Nessun attrito, nessuna asperità. Massima disponibilità. Massima fiducia. E’ una piacevole sensazione di dolce strofinamento, seguo tutte le sue sinuosità, la sua rotonda ingegneria meccanica. Non ci sono spigoli nella mia Guzzi, solo dolci linee, buone, amichevoli.

Scelgo l’opzione 3, ed un fruscio di nuvola d’acqua osmotica avvolge nuovamente la Breva.

Lo shampoo si arrende e scivola, come onde leggere, verso terra.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip.

Mentre ripongo la lancia dell’acqua, guardo la Breva imperlata di pulito.

Faccio due passi fino al distributore automatico e mi prendo una fresca lattina di tè, torno alla moto e me la gusto lentamente. Ci voleva. E’ ora di togliersi dal settore di lavaggio, mi siedo per spostarla, incurante della sella bagnata che mi segnerà, sono certa, i pantaloni. Infatti, mentre giro la chiave ho una fresca sensazione tra le gambe, ma non importa. E’ piacevole.

La parcheggio nello spazio riservato all’asciugatura, poi torno a prendere zaino, casco e guanti.

Dallo zaino esce un tripudio di stracci di ogni materiale e colore e riesco ad utilizzarli tutti, da quelli per asciugare a quelli per lucidare a quelli per il parabrezza.

L’ultimo giro è dedicato alla lucidatura delle cromature.

Mi ritrovo inginocchiata di fianco a lei, per un ultimo controllo. Tutto ok. Mi piace, così. Mi rialzo soddisfatta, sono trascorse quasi due ore. Ripongo tutti i materiali nello zaino, allaccio il casco, infilo i guanti e parto. Si va a fare un giro. Un lungo, vanitosissimo, brillantissimo, giro.

Storia di un ex ragazzino e di una grossa moto (anzi due)

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di Marcello Molteni
Tutto cominciò, o sarebbe meglio dire ricominciò visto come andarono poi le cose, nel 1993 a Monza, la città dove vivo.

Quell’anno scorrazzavo soddisfatto in sella alla mia ultima moto: una Honda Transalp acquistata usata dopo aver venduto la mia precedente (e perfetta) Moto Morini Camel 501 ad un appassionato tedesco per un prezzo persino leggermente superiore a quello cui l’avevo acquistata; che matti questi tedeschi, pensai.

Un bel giorno mio fratello, che non appoggiava il suo sedere su una moto da almeno 10 anni, si presenta a casa mia a cavalcioni di un qualcosa che mi apparve come un largo, pesante, sgraziato e rumoroso bovino nero; era in realtà una Moto Guzzi IdroConvert 1000 del ‘75 avuta come sconto sull’acquisto di un’auto fuoristrada nuova, da un concessionario che probabilmente l’aveva sul gobbo da mesi e che non sapeva come disfarsene.

Ho immediatamente formulato tre ipotesi sul fatto che mio fratello avesse accettato quella “cosa” al posto dello sconto:

a) Rivendita immediata al primo tedesco di passaggio (memore del mio vecchio Morini) con conseguente guadagno economico

b) Necessità impellente, per motivi a me sconosciuti, di occupare parte del suo box con un ammasso di 250kg di metallo vario semi grezzo

c) Colpo di sole improvviso

L’ipotesi C mi sembrava la più plausibile ma, visto che eravamo solamente in marzo, apparve chiaro il motivo più orribile di tutti: lui intendeva veramente usarla e guidarla, e non solo, ma anche mia cognata non vedeva l’ora di accompagnarlo come convintissima passeggera.

In quel periodo le mie convinzioni e scelte motociclistiche erano basate su un approccio prettamente analitico (retaggio inconscio della mia professione in campo tecnico) tutto composto da grafici, cifre, misure e prestazioni, che assorbivo in quantità industriale dalle riviste specializzate.

Le mie conoscenze della Moto Guzzi, al contrario, si fermavano alle moto della Polizia o dei Vigili Urbani che incrociavo per strada e alle foto in bianco e nero di Falconi, Galletti e volatili vari che si vedevano ogni tanto in qualche articolo dedicato alle moto d’epoca.

Anche per questo, con l’andar del tempo rimanevo sempre più stupito da come quell’IdroConvert vecchio di quasi 20 anni attirasse l’interesse della gente, mentre il mio Transalp parcheggiato a fianco non veniva degnato di uno sguardo, sebbene fosse considerata da molti esperti del settore “Una delle migliori moto sul mercato e senza dubbio la più versatile”.

Per me era una cosa inspiegabile e dato che le cose inspiegabili hanno il potere di affascinarmi e contemporaneamente farmi incazzare proprio perché senza spiegazione logica, cominciai a “analizzare i dati in mio possesso” (eufemismo per: “Fermi tutti! Cos’è sta storia?”).

La prima cosa che notai fu il grande numero di raduni Moto Guzzi elencati nelle pagine dedicate delle riviste specializzate e la seconda fu che questi raduni erano organizzati praticamente in ogni continente. Come mai tutto ciò?

Provai cautamente a guardare quelle moto sotto un altro punto di vista, che esulava da grafici, cifre, misure e prestazioni, iniziando ad apprezzare la sensazione di solidità e sicurezza emanata da quell’incedere poderoso ma nel contempo leggero.

Cominciai a notare che le Guzzi hanno effettivamente una loro personalità; le riconosci a distanza, con quei due cilindroni a V, che quando le incroci sembra che ti dicano: “Io ne ho due, grossi così, e non ho intenzione di nasconderli. E tu?”.

Mi scoprii stranamente passivo nel farmi conquistare dall’inconfondibile rombo di quel motore instancabile; sembrava che le Guzzi volessero trasmettere un messaggio a chi stava loro in sella: “Non preoccuparti, ci sono qua io”.

Mi trovai a considerare il mio Transalp (ottima moto, niente da dire) solo come un mezzo di trasporto che serviva a portarmi da un punto A ad un punto B; praticamente un’auto a due ruote, nulla più.

Mi resi conto che la malattia comune a tutti i Guzzisti del mondo e che li rende tali spesso per tutta la vita, stava entrando in me ed io, per la verità, stavo facendo poco o nulla per impedire che ciò accadesse.

Probabilmente stimolato a livello subconscio da questo progressivo spostamento emotivo verso le Moto Guzzi, il mio cervello fece riaffiorare alla memoria, come in una specie di flash-back, un piccolo episodio ormai dimenticato accaduto tanti anni prima.

Mi rividi ragazzino, nella prima metà degli anni ‘70, col cono gelato da 50 lire che mi colava sulle mani, in sbigottita ammirazione davanti ad una grossa moto tutta lucida, nera e cromata, parcheggiata fuori dal bar vicino a casa mia; era una Moto Guzzi V7 California 850, seppi poi, veramente enorme e fantascientifica, un vero spettacolo, abituato com’ero a considerare moto “vere” persino i Ciao e i Garelli 50cc che furoreggiavano tra i ragazzi con un anno o due più di me (beati loro, già quattordicenni).

Rimasi fulminato e imbambolato a guardare quello scintillante monumento meccanico a “rispettosa” distanza (praticamente col naso appiccicato al serbatoio), fino a quando il legittimo proprietario, un omone con barba e capelli rossi che abitava nel quartiere, ci montò sopra, la mise in moto premendo quello strano tasto nero sul manubrio (magia) e, con un rombo fortissimo che mi risuonò dentro, sparì in direzione del centro.

Era il ricordo di un episodio che, inconsciamente, era stato rimosso ma che ora, come i due pistoni che ricevono dopo tanto tempo la spinta esplosiva della miscela aria-benzina innescata dalla scintilla delle candele, riprendono a scorrere alternativamente sempre più velocemente, coinvolgendo inevitabilmente nel loro movimento le bielle, gli alberi e gli ingranaggi del mio intimo più profondo.

Cominciai, dapprima timidamente e poi sempre con maggior confidenza, ad approcciarmi da “esterno” (dopotutto possedevo una moto giapponese) al mondo Guzzi, informandomi su riviste e libri riguardo la storia ed i modelli del marchio; scoprii l’inizio pionieristico, i campionati del mondo vinti a decine, le forniture alla polizia americana sbaragliando la concorrenza delle marche più importanti; e chi se lo sarebbe mai immaginato?

Nel frattempo un pensiero si stava facendo ogni giorno sempre più assiduo: possedere ora, da uomo, quella moto che mi aveva così colpito da ragazzino.

Cominciai a passare al setaccio gli annunci delle occasioni di tutte le riviste di moto che trovavo in edicola, fino a quando, dopo sei lunghi mesi di ricerca, eccolo: “Vendo Moto Guzzi V7 California 850, buone condizioni, ecc. ecc.”.

Era lei! Del ‘73 e di proprietà di un appassionato bresciano con troppe moto nel box e troppo poco spazio e tempo da dedicarvi; logico, una moglie e tre figli hanno le loro esigenze dopotutto!

Le condizioni generali della moto erano dignitose, anche se le mancavano alcuni particolari mentre altri erano stati modificati o sostituiti con roba non originale; il motore girava bene ma aveva le fusioni impregnate di sporco, la verniciatura del serbatoio era stata ritoccata a mano e alcune cromature si stavano deteriorando, ma per me in quel momento era la più bella e desiderabile di tutte.

Una rapida occhiata ai numeri di serie di telaio e motore (si sa, il rischio di taroccamenti è sempre presente), un breve giro di prova (che paura quei freni a tamburo per chi non ci è abituato), una certa contrattazione sul prezzo fingendo un certo disinteresse e distacco (a cui il venditore non credette neppure per un attimo) e l’affare era fatto; così verso la fine del 1994 la moto era parcheggiata nel mio box.

Prima di guidarla passarono almeno due settimane; la guardavo, la mettevo in moto, la guardavo di nuovo mentre ronfava sorniona con quel minimo incredibile, la spegnevo, mi ci sedevo sopra, la confrontavo con le foto originali dei “sacri testi” Moto Guzzi e mi facevo i conti in tasca per le spese di un restauro professionale completo “chiavi in mano”; conclusione: non avevo soldi a sufficienza.

Il fatto è che l’unica maniera in cui riuscivo a concepire quella moto era riportarla esattamente nelle stesse condizioni in cui era uscita dalla fabbrica di Mandello del Lario nel 1973; quindi, sfruttando tutta la documentazione di quel modello che mi ero nel frattempo procurato (comprese le tavole dei ricambi) ed armandomi di pazienza e buona volontà, decisi che il restauro me lo sarei fatto (per quanto possibile) da solo.

Il 1995 fu un anno intenso passato tra ricerche nei mercatini dell’usato (“Quanto ha detto che vuole per quel clacson?”), pellegrinaggi dai ricambisti (“Forse ho ancora una di quelle leve in magazzino”), salassi dal verniciatore professionista (“Le verniciature fatte da me costano di più ma sono eterne”), annunci fatti pubblicare sulle riviste del settore (“Cercasi borse originali per…”), sfruttamento vergognoso di un carissimo amico, titolare di un’officina di lavorazioni meccaniche, per replicare quei particolari veramente introvabili (“Ho bisogno di una staffa esattamente come questa”) ed altre cose simili.

Ma soprattutto, da quell’anno ebbe inizio il mio pendolarismo a Carate Brianza alla concessionaria/officina/motoclub/ritrovo Moto Guzzi di Bruno (Scola) e del suo meccanico Tiziano (“Il rinvio del tachimetro è andato e questo cilindro sta perdendo il riporto”) che sopportano in maniera ghandiana la mia asfissiante presenza, quasi giornaliera, alle loro spalle mentre, per esempio, smontano il motore di un Le Mans o rispondono alle mie domande spesso cretine mentre, magari, registrano le valvole di un California; tutto questo solo perchè per loro ogni Guzzi bicilindrica è come una figlia ed il legittimo proprietario è spesso considerato alla stregua di un inevitabile accessorio (della moto, ovviamente).

Qui ho conosciuto parecchi “malati” di Moto Guzzi, uno fra tutti Davide, un ragazzo di una decina d’anni più giovane di me e proprietario di un V7 850 GT del ‘72; il fatto di possedere una moto simile alla mia, oltre a una sua simpatia innata e a un comune interesse “enciclopedico” sulle Guzzi, contribuì all’instaurarsi di un rapporto quasi immediato di amicizia che aiutò a trascinarmi velocemente in seno a quel gruppo di pazzi con i quali ho potuto dividere la passione per questo mondo che, giorno dopo giorno, sentivo sempre più appartenermi.

A questo punto occorre aprire una parentesi sulla psiche di quegli strani individui comunemente conosciuti come Guzzisti e guardati con sospetto o (peggio) compatimento dagli “altri” motociclisti.

Se domandate a 10 Guzzisti quali sono i motivi per i quali sono diventati appassionati di questo marchio, probabilmente riceverete 10 risposte diverse, anche se si potrebbero interpretare, più o meno a ragione, come 10 modi differenti di dare sostanzialmente la stessa risposta.

In effetti esistono molte sfaccettature e sfumature sui motivi di questa sorta di simbiosi uomo/macchina che colpisce persone tanto uguali nella passione per le Guzzi, quanto diverse nella vita di tutti i giorni; il sabato pomeriggio, da Bruno, si possono trovare a discutere tra loro l’operaio e il chirurgo sulla più efficace taratura delle sospensioni o l’impiegato di banca e la studentessa universitaria sulla migliore posizione di guida da tenere in curva sul bagnato, mentre l’ingegnere e l’architetto litigano amichevolmente sui pregi della propria moto e sui difetti di quella dell’altro.

Quando poi ci si organizza e si esce tutti assieme, sotto i caschi sparisce ogni differenza e si viene a creare quella sorta di spirito di branco monomarca del quale non sono mai riuscito a cogliere alcun aspetto negativo.

Tirando le somme, si può tentare di riassumere il concetto in una frase, sperando di non essere riduttivo: chi guida una Guzzi, sportiva, turistica o enduro che sia, è intimamente consapevole che ha sotto di se qualcosa di più di un motore, un telaio e due ruote e “sente” che quelle vibrazioni trasmesse ai polsi e allo stomaco quando si spalanca il gas, non sono solo il risultato di una mera sollecitazione meccanica.

Certo, parlare di “anima”, come ho sentito certe volte anche riguardo ad altri argomenti simili, mi sembra un po’ eccessivo, ma è indubbio che quel feeling particolare tra le Guzzi e i loro proprietari non solo esiste, ma è pure molto forte.

E’ una cosa che nessuno insegna o impone; o la si sente, anche poco alla volta, o non la si sente per niente, tutto qui.

Sì arrivò così all’inizio del 1996 e il restauro fu portato a termine; la moto era veramente, ma veramente perfetta, sia a mio parere che a quello di tutta la varia umanità che nel frattempo avevo coinvolto, spesso loro malgrado, in questa mia avventura.

Mancava solamente un ultimo obiettivo che avrebbe sproporzionatamente ingigantito il mio (già grande) ego; la sfida definitiva, la madre di tutte le omologazioni: la certificazione ASI con l’inarrivabile targa in ottone lucidato; così feci tutte le pratiche necessarie, corredate dalle indispensabili foto e spedii la richiesta di omologazione.

Qualche mese dopo, il postino mi consegnò un pacchetto; per scaramanzia feci finta che fosse un libro (che non avevo mai ordinato) o qualcosa di simile, ma quando aprii quella scatoletta di cartone e vidi la famosa targa in ottone con inciso il modello della mia moto, l’anno di costruzione e il numero di omologazione, mi sfuggì un risolino talmente ebete che sicuramente il postino nutrì forti dubbi sul pieno possesso delle mie facoltà mentali: probabilmente in quel momento aveva ragione lui.

Ora, quando scendo nel box, tolgo il telo alla mia moto e istintivamente mi soffermo quell’attimo a guardarla prima di salirci, mi sembra non sia cambiato poi molto da quel giorno fuori dal bar, nella prima metà degli anni ‘70.

Beh, forse un bel po’ di capelli in meno, ma col casco in testa non si nota.

Senza fare troppa retorica, devo dire che in questi anni la mia vita si è arricchita (al contrario del mio portafoglio): ho conosciuto persone eccezionali che mi hanno aiutato, ho cementato nuove e profonde amicizie che spero non si incrinino mai e ho condiviso la mia passione con persone a me vicine, spesso splendidamente prive di ogni cultura motociclistica.

Appena raggiunta la disponibilità finanziaria, e come inevitabile epilogo a questa piccola storia, mi sono comprato una Moto Guzzi Quota 1100 e ho venduto ad un mio collega il Transalp, puntualmente rubato in pieno centro a Milano tre settimane dopo.

Marcello Molteni

Terza GuzziMajalata

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di Stefano Annino

 

……senti, ti vuoi sbrigare per piacere?….è tardi! …l’appuntamento con gli altri è alle 10.00!…sono le 08.30 e siamo ancora in mutande!!……Drinn, drinn…..pronto!….(ma chi ca@@o rompe alle ottoemezzadidomenica!)…ah… ciao Antone’….come? Toni non si vede ancora?….No!…non l’ho sentito!….sara’ mica ancora al lavoro!….aspetta che ti passo la Raffa…..mettiti d’accordo con lei per piacere….Drinn, drinn…(il cellulofono)….pronto!….(ma chi ca@@orompealleottoemezzadidomenica!)… ah…ciao Salvo…..come dici?…Si, certo, l’appuntamento è confermato alle 10.00 al….No, aspetta!…come?….vabbé…alle 10.30…Toni ancora non si vede (avra’ mica smontato un treno?…nottetempo..)….

Così inizia, tra uno squillo e un’altro, il girello dei GuzzistiLiberi Romani al lago!

Finalmente si chiude la porta di casa (con dentro figlia ammalata e suocera) e si parte. La motina va che è una bellezza, non mi azzardo a superare i 90 all’ora sul GRA, pena mazzate da orbi sul casco, la Raffa è sensibilissima ai giri del bicilindrico….quando sente che il “trotterellare” supera i 3500 giri (…è piu’ precisa di un contagiri digitale tarato al plutonio attivo), allora…..sono tutti ca@@i miei….botte in testa da far rintronare pure un capoccione come a me!

Ecco il Centro Commerciale, con la coda dell’occhio ne conto 10 e penso…minchia quanti siamo oggi…sara’ proprio un bell’andare!

E sono baci e abbracci e caffé e cappuccino e cornetto e pisciatina (litri di pipì) e paje e ancora caffè…mentre si aspetta Toni e Antoni.

E finalmente il desman arriva con uno scarrafone (scerzo!) di 1000 SP2 trasformato in caffettiera (tutto nero e fumante….).

Si fa’ la conta … Alme!…..Ettore!…Carmine!…Toni & Antoni!..Salvo!…Maurizio!…Nello!….Ste’ & Raffa!…Scheggia!…Marco!…tutti presenti!…..e Ettore grida: “Se ‘nannamo!…che c’è il derby!…ca@@o! ‘za Roma! Aho! e daje aho che so’ le 11.00! ‘za Roma, Aho! Ahoooo, ahoooo!”.

E si parte….che bella combriccola di pazzi!!

E subito ci si stende in bel serpentone sulla Cassia. Belli! Pazzi! Liberi!

Talmente belli che pure gli alberi ormai spogli …si girano a guardare e le famigliole in macchina con i vetri appannati ci guardano e pensano…”ma questi qua?”…”‘ndo vanno?”.

E Carmine con Maurizio, Alme e Ettore (che pensa…3 a 1, no…4 a 1, no…6 a 1…..’za Roma!)..prendono l’allungo…e io per un attimo penso….ora apro er gasse…ma subito una violenta martellata (ma ‘ndo minchia ce l’aveva er martello!)..mi raggiunge sul casco,….. e devo chiudere a 2500 giri…e penso…mo’ s’engorfa…..pure Nello mi supera!…Pure Salvo con l’Amaca 1300 in rodaggio mi supera!…Pure il Tre ruote Piaggio con una tonnellata di patate fresche di giornata…mi supera! E penso…..” ma che bella journata de sole…l’aria serena….MO arriva la tempestaaaaaaa!”……o))))

Per fortuna che l’Amaca di Salvo deve essere rifornita ogni 30 minuti!

Ci si ferma dal benza!

La Raffa, con la schiena in “avanzato stato di decomposizione”, salta sul Nevada di Nello! Che bello! Che Bello!!

Gli ultimi 14 km prima di Bolsena….da solo!….’na figata!….peccato l’asfalto bagnato proprio in curva!!…azzo!…’za Roma! Forza Nello! Grazie Nello! Bello Nello!

In men che non si dica….ci si ritrova sulla riva del lago baciati da un sole che (manco a primavera….) ci scalda le ossa gelate….e sono panini al prosciutto, al formaggio al tonno, alla frittata….ammazza aho!

Antonella Desman ha preparato panini pure per i pesci e le anatre del lago! …..se semo magnato tutto…pure le anatre!

Quante stronzate! Quante risate! Quante ne ha dette….! Come chi!…Tutti!….tranne Ettore…che pensava …..”…5 a 1, no!…7 a 0, no! ‘za Roma!”…..(per la Cassia driblava le macchine come se fosse Totti!).

Rompo il ghiaccio (meglio dire le palle)! “Si parte? Che strada si fa? La Flaminia? Siiiii!” . E Scheggia tira fuori dal tascone la “cartina”….tanto per vedere bene il percorso….Agip? No! Touring? No!…GPS!!!…E si studia il percorso!

Capito tutti?

CORO : “SIIIIIIII”

E fu cosi che Nello e Maurizio arifanno la Cassia e NOI ad aspettare sulla bretella per Orte….con Antoni che prova a telefonare, con Ettore che continua a bestemmiare…”c’è il derby…’za Roma!…12 a 1…”…con Salvo che dice (guardando la Sua bella….”che bella! Ma quanto bevi!…dimmi quanto bevi!…perchè non mi dici quanto!”…..

A un certo punto un boato scuote il silenzio incantevole di un tranquilla domenica di dicembre…..”AHO! AAHHOOOO!!!….SE NANNAMO?….. C’E’ ER BERBYYYY….FAMO TARDI!….’ ZA ROMA!”

Ettore stava perdendo la pazienza!…..

Alle 16.00 circa il bel gruppone riparte…..Appuntamento con Nello e Maurizio…..e Raffa!….dal benza sul GRA!!!

EVVAIIII!

Apro il gasse!…..(era ora!)….

Non vedo piu’ nessuno……I fari degli altri…sempre piu’ lontani…Che bella sgroppata sulla bretella per Orte…..!

E finalmente la Flaminia!

Carmine …….con il suo bel V11 prende il volo!

Io dietro Scheggia (niente male per un Vada…retro, belle pieghe, un bell’andare, mi vede dietro a 0,0000001 millimetro e piega e piega e piega e allunga e allunga e piega e piega e allunga e piega, ecc. ecc. ecc.)….lo passo in una curva a destra d’esterno rimanendo in carreggiata….Opsss!

Un attimo….e non lo vedo piu’!

Opss! Ecco Carmine…un bel manico pero’!

Pero’…..supero pure il V11!….. Opsss…

Gli ultimi 20 km di Flaminia, sono stati uno spasso!

Con Carmine mi sono proprio divertito….Grazie Nello per:

– esserti incollata la Raffa;

– aver capito fischi per fiaschi!

Ed ecco il GRA…ed ecco il benza….ed ecco la Raffa!…Mi domanda: “Sei andato piano?”…..”Ceeeerto, come un Tre Ruote della Piaggio carico di patate novelle!”…… rispondo….

Ed Ettore era gia’ allo Stadio…..”14 a 1. No! 17 a 0. No!……’za Roma!”…

L’ultimo caffè del pomeriggio, tracannato in un autogrill sul GRA, chiude la BELLA giornata.

Saluti, baci, abbracci, pipì (tanta a litri e per tutti…)…… e alla prossima!

L.L.

Ste….il Lemaniano

P.S. Se rinasco mi ricompro il Le Mans UNO, 1, 1° serie, Prima serie, quello prima del II e del III e del IV e …”fanculo” al Molesto che sfotte e dice un cumolo di cazzate! Prrrrr! Thiè! Prrrr!

Di Le Mans ce n’è UNO! E basta!

ZIO BIGIN

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di Giancarlo S. Zulato

 

Questa e’ una storia vera, di quelle tramandate in famiglia come un cimelio prezioso, di tempi antichi. Una storia di uomini, di passioni, di moto. Di MotoGuzzi.

L’ho sempre chiamato Zio Bigin, anche se non era propriamente mio “zio”.

Era parente acquisito, fratello della moglie di mio zio paterno e compagno d’infanzia di mio padre; tanto bastava allora, nelle famiglie che si ritrovavano puntualmente, Natale un matrimonio un funerale, nel basso Piemonte di tanto tanto tempo fa… Quando noi tutti “cuginetti” ci trovavamo a ruzzare gridare e farci dispetti, e dopo una certa eta’ ad amoreggiare di nascosto…

Dunque, zio Bigìn. Tanto amico di mio padre con lui erano cresciuti insieme; vita da contadini di una volta, gia’ grandi quando adesso si e’ ancora alle medie, lavorare fuori casa alla vendemmia, alla mietitura alla mungitura per avere qualche lira da spendere liberamente e fare mostra da spavaldi, la bicicletta sportiva (Gloria, la marca di allora) per girare le balere della pianura, coltello in tasca tanto per darsi delle arie, le prime scazzottate coi fascisti o per difendere la piu’ bella, quella che poi sposava il fattore ricco e magari dopo di notte ti apriva di nascosto la porticina del retro… Storie raccontate ammiccando, le donne aggruppate a chiaccherare e non sentire – o forse a far finta di non sentire – e noi ragazzini li’ intorno divisi per gruppi di interesse, naturalmente i grandicelli coi maschi a bersi i racconti e i discorsi…

Discussioni animate: Guzzi e Bartali, Coppi e Gilera, Anquetil e Magni, e Mondial e Maserati e Ferrari…

La guerra no, stranamente di quella non parlavano gli uomini, delle sofferenze la prigionia la liberazione seppi solo piu’ tardi, dei rastrellamenti le bombe le armate di passaggio solo le donne anziane si rammentavano a vicenda.

Zio Bigin e la sua passione segreta. Lui che era uomo tutto d’un pezzo, niente osteria ne’ carte ne’ “case”; vita tranquilla, lavoro tanto, la cascina alzarsi prima dell’alba le vacche i vecchi da accudire la bella moglie, saggia e lavoratrice anche lei da accontentare e i figli da crescere.

Poi, un giorno la tragedia; venne convocato il consiglio di famiglia e papa’ parti’ d’urgenza: la zia, cioe’ sua moglie, voleva separarsi, aveva scoperto il tradimento, era tornata in casa dai genitori e sbraitava che il marito era pazzo uno scriteriato insomma un rovinafamiglie…

Sapemmo tutto al ritorno di papa’, che nel duplice ruolo di amico d’infanza del marito ma anche parente autorevole della moglie era stato eletto arbitro naturale. Tornato dalla guerra smagrito e sofferente ma figlio unico e coi genitori piu’ malconci di lui, Zio Bigin si era messo a lavorare e ritirare su’ la cascina.

Soddisfazioni solo dal frutto del duro lavoro e poche distrazioni: solo, la balera il sabato, e per andarci le alternative erano poche; in bici, e via in gruppo ma poca confidenza, uomini e donne separati e solo qualche battuta; oppure la moto, e rimediavi la piu’ bella da accompagnare e poi darci un appuntamento….

Con due soldi ereditati e le economie dei genitori lui compro’ un Airone Guzzi , bello rosso e cromato, veloce come il vento per quanto le strade allora consentivano.

Gia’, le strade: tutte rovinate dalla guerra, bombe e carrarmati, pietre sporgenti, forature assicurate e camere d’aria introvabili.

Cosi’ un giorno, sposato da poco e padrone assoluto della cascina con tutto quel che comportava, la prima tragedia: e’ il ’47, una strada alzaia, di quelle dritte che costeggiano i canali; la moto lanciata, un carro da fieno che balza con la rincorsa per superare l’erta fangosa… Le gomme rappezzate oltre il limite non tengono piu’ la frenata e scoppiano, la moto si infila sotto il carro e zio Bigìn che vola e ricasca malamente: due gambe spezzate in piu’ punti, la rovina se non ci fosse l’ospedale da campo americano, che stava smobilitando. Lo trasportano, lo salvano; dopo qualche mese le gambe sono a posto, almeno per quanto si poteva pretendere di quei tempi.

Anche allora, consiglio di famiglia: un fattore e padre di famiglia che resta invalido e’ una tragedia, il benessere sta appeso a un filo e terra, bestiame, lavorare duro e buona salute sono la sola previdenza conosciuta… Promette di vendere la moto e mai piu’ salire sopra uno di quei mostri; rinsavira’ e fara’ vita seria, solo lavoro lavoro e risparmiare, ma…

Ma non puoi vivere come se fossi gia’ morto, a 30 anni; Bigin non conosceva altro che il lavoro e la famiglia, mai visto all’osteria con le carte o un bicchiere in mano fuori pasto, braghe e scarpe nuove solo quando necessarie, figurarsi poi le donne d’altri…

L’Airone rimase, nascosto nel fienile sotto un telo, celato tra le balle di fieno, in paziente attesa. Magari accarezzato di nascosto prima dell’alba, complici le vacche silenziose e con la moglie impegnata tra pollame e conigli dall’altra parte del cortile…

Messa all’alba e lavoro anche la domenica, le bestie hanno sempre fame e il bisogno di mungerle non conosce festa. Solo un giorno l’anno la zia mollava la sorveglianza: la domenica di Pasqua, messa grande alle 10 poi un dito di vermuth e biscottini con le amiche, a casa per mezzogiorno. E in quelle poche ore frenetiche presto, rimontare candela e batteria controllare l’olio due colpi di pedale… e via, inutile raccontare a motociclisti COSA si poteva godere anche se per poche, fuggevoli ore l’anno…Il pieno per i prossimi 364 giorni…Finche’ un giorno, nel ’61, una vicina pettegola che ritarda alla Messa…

Sbollita la furia, rientrato lo scandalo, riappacificati gli animi: grazie anche a papa’ che in moto – Gilera lui – ci andava ancora regolarmente, Bigin ottiene la grazia: potra’ usare la moto in determinate date, Pasqua e poche altre, ufficialmente e alla luce del sole.

E cosi’ quando una domenica, dopo tanti anni, io che finalmente guidavo, torniamo a trovarli, lui ormai piccolo e magro mi porta al fienile, piano e amorevolmente sposta le balle solleva il telo…

Lucida e perfetta, ancora nuova con le cromature e gli ori dei filetti e le guance nere, le manopole bianche tese all’infuori come un paio d’ali e il faro ammiccante che ti invita a partire… E’ cosi’ che ho conosciuto la moto dello zio; il bellissimo Airone 250 e’ poi restato li’, i figli irremovibili a vendermelo ed io con il rimpianto…

Ma forse e’ stato meglio cosi’, non avrei saputo conservarla e magari l’avrei rovinata nell’incoscienza giovanile e nel traffico di Milano.

Zio Bigin da lassu’ ora puo’ rimirarsi la sua moto, e magari discutere con papa’ su quanto sia meglio dell’ottobulloni Gilera, magari insieme a Omobono Tenni (pilota Guzzi) e tutti gli altri guzzisti e gileristi…

Ciao zio Bigin, ciao papa’, che possiate cavalcare in eterno le strade del cielo; dove Golf e scooteroni non saranno mai ammessi…

Vabbe’ scusatemi, ma ‘sta storia si vede che bolliva dentro da tanto

tempo.

Mettetemi pure in moderazione per un anno, cambiate sito segretamente

per togliermi di torno… ma prima o poi doveva uscire!!

 

Domenica bresciana

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immagine-racconto

Di Alberto Sala

 

Incredibile.
A volte succede.
Anche se francamente non ci credevo ormai più.
Chissà, sarà stato il caldo, o l’orario.
Ma certo non mi sarei mai aspettato di farmi parecchi dei 400 km di domenica senza traffico.
Oserei dire quasi senza auto. E anche senza moto. Roba da sentirsi solo, per un lombardo abituato a viaggiare a cavallo della striscia bianca (non quella che si tira, minchioni) o in piena ‘corsia dei rifiuti’ come si potrebbe definire ormai la corsia d’emergenza delle autostrade, dove sei quasi certo, se riesci a cavartela con le travi, i palloni da calcio, le bottiglie e i resti decomposti dei copertoni scoppiati, di rimanere infilato a tradimento da un bullone malefico nel gommone da 200 euro.

Già da tempo bazzico il bresciano. Non nel senso che ho un amante dalle “ù” pronunciate, ma nel senso del territorio. Come un segugio alla ricerca della preda, in questo caso un pezzo di nastro asfaltato car-free, quando posso mi butto (a tratti anche letteralmente) alla ricerca della strada perduta. Non prima di aver passato ore iperscrutando la cartina del Touring del Nord Italia, ipotizzando, fiutando, scovando trasversali e obliqui percorsi, possibilmente seguendo i bordi verdi che anche nella sua iconografia significano bei paesaggi.
Ma non escludendo anche apparenti anonime strade gialle con tanto grigio attorno. Soprattutto dopo aver scoperto il tratto Idro-Lumezzane.
Una strada che i bordi verdi se li scorda. E forse, in fondo, a lei non importa una cippa.

E’ da questa zona, generalmente conosciuta solo dai cottimisti per via delle tante ferriere presenti, che parte il tour di domenica.
Breve salto autostradale per levarsi di torno la fastidiosa e torrida pianura, uscita a Palazzolo e in poche rotonde arrivo a Iseo. Si fa sul serio (e anche sul Serio) da qui.

Salendo verso Polaveno lasciandosi il lago alle spalle già si comincia a respirare. La densità auto/chilometro quadrato si fa da 7.540 circa (Twingo più Twingo meno) a meno di dieci. Anche la calura comincia a ghermire meno. Basta salire un po’ di quota, anche senza Quota. Difatti stavo con Centauro Pupa®. Ancor più discinta di freni dopo Adria (che è un circuito massacrante per i liquidi DOT-10), ma non a tal punto da essere veramente pericolosa: si può ancora domare (quando serve, s’intende).

Dopo Polaveno si piega verso Gardone, che giustamente fa rima con stradone. Largo quasi come un’autostrada devo dire che aiuta a passare quasi indenni da semafori. Poi, una decina di chilometri addentro alla Valtrompia, appena prima che si possa definirla ‘Alta Valtrompia’, svolta a destra alla chiesina (c’è spesso una svolta in prossimità della chiesina: mica tutti reggono le omelie) e via in salita, in direzione Castro. Che a dispetto del nome non taglia nessuna goduria, anzi: la colonnina dell’indicatore del traffico segna un “non pervenuto” perfino di moto: le curve si fanno più ravvicinate inizialmente, per poi, scollinato un timido passo, distendersi in “Best Centauro Style”: sapete (o voi sommi fortunati cavalcanti tale mostro), quello stile di curva così meravigliosamente indossato dal nostro miglior cavallo, ove con nitriti e squotimenti giouiousi adora gettarsi a ventre basso. Non siamo ancora in presenza del miglior asfalto della giornata, ma già si assapora la libertà dalle catene catalitiche e multijet che ti assalgono anche in altre valli lombarde.

Trapassato Castro, siamo ormai in prossimità del secondo bacino lacustre odierno, quello di Idro. Ci arrivo attorno alle dodici e trenta, fors’anche tredici (bello scordarsi del tempo): l’orario preferito per asserragliarsi a tavola. Ergo: strada costiera assolutamente sgombra! VIVA!

La strada costiera occidentale (precisazione inutile: non esiste quella orientale) del lago d’Idro è tanto gettonata dalle auto quanto bella. E’ un bel misto frutta, un po’ lento ma spesso sfocia nel veloce, a tratti velocissimo, con a destra naturalmente lo smeraldo del lago sempre presente. Senza fare il minchione mi rendo conto che in un attimo l’acqua è sparita e sono già al bivio per Madonna di Campiglio o per il lago delle fiabe di Ledro. Memore della struggente bellezza delle pose plastiche raggiungibili col suo asfalto rossiccio, viro (considerate le dimensioni il termine appare appropriato) a destra e dopo aver attraversato un paese di cui non colgo il nome bensì il profumo e la luce, che mi ricordano i paesini friulani assolati della mia infanzia, poggio le gomme sul nastro color amaranto, puntinato ogni tanto da qualche tipico scintillio e dal retrogusto fruttato (dopo il corso di sommelier bitumoso alla “Centro Bitumati 2000” di Martinengo mi lancio con malcelato snobismo nei distinguo) e comincio la degustazione. Leggermente disturbato da due villici su 748 e 996 dediti a spaccare la minchia percorrendo avanti e indietro sempre lo stresso tratto iniziale della via per la valle di Ledro, proseguo nella mia ripresa di confidenza con le pieghe per lasciarmi alle spalle (soprattutto la destra) il post-trauma. Sì, perchè il problema non è tanto il trauma, ma la lontananza conseguente dalla moto: è questo lasso di tempo che ti rovina e ti insinua paura. Naturalmente con tutta calma, alla ricerca della spensieratezza perduta. Così, scrollata la polvere, dò un colpo di frusta fino ai campi di fiori che aprendosi fanno da preludio a questo angolo di paradiso trentino (si avverte assai il passaggio di regione) corollato da un laghetto assolutamente delizioso, cui difficilmente manco visita annuale.

Ormai si è fatto il giusto naturale orario di pranzo anche dei minchia, per cui mi levo con enorme soddisfazione gli strati di pelle nera per svaccarmi in costume e asciugamano in riva al lago, rigorosamente in ombra.
Ma non sono qui per raccontarvi del relax post-ruttino e relativo pisolo: c’è ancora tanta strada da fare. Sperando sia ancora libera e ribelle.

Il tempo quando si è soli passa più lentamente e offre più possibilità: perchè tornare subito dalla Gardesana? Proviamo a vedere un po’ com’è il lago di Tenno (e soprattutto, il relativo necessario sentiero d’asfalto). Ci penserà poi la statale verso Arco, dopo Stenico a riportarmi a Riva (del Garda). Una volta uscito dal tunnel, passaggio ‘doganale’ tra val di Ledro e Riva, salgo a nord con ai piedi sempre asfalto rosso. E poco o null’altro. Cambiano i profumi, non il piacere di scivolare sulle curve in sequenza, fino allo smeraldo intenso e spettacolare del quarto lago odierno, piccolo e invitante. Dopo un ultimo sguardo all’acqua dallo specchietto retrovisore, la strada sale dolcemente fino ai settecento metri dal mare di massima escursione, scollinata la quale si apre improvvisamente un panorama largo e vasto, di quelli che capitano di rado. Bellissimo.

Scendo a fondo valle da una gola di granito e da tornantoni larghi come Fange per poi assaporarmi il profumo delle tante vigne lungo la statale per Riva, dove poi imbrocco la Gardesana occidentale, strada meravigliosa e impervia, con le sue strette e buie gallerie abbagliate all’uscita dai risvolti luminosi che sole e vento disegnano sul pelo del lago di Garda, accolto dal profumo intenso di sempreverdi e di arbusti al sole di Limone, vera perla dell’alto Garda. Qui il caldo mi impone una doverosa sosta per abbeverarmi abbondantemente. Sotto la tuta di pelle si sta raggiungendo la temperatura di fusione del piombo. Urge un rimedio.
Lascio il fascino della Gardesana per salire a destra, in prossimità di Gargnano, per la val Toscolano, e lambire il sesto lago della giornata, quello di Valvestino, alla ricerca di fresco e di strada pura. E trovo entrambi. Questo tratto non è definibile ‘misto stretto’: di più. Per parecchio il tratto più lungo di rettilineo non supera i dodici metri. Comincio a dondolare a tal punto da dovermi inghiottire una xamamina. Il cambio smette di servire ad alcunchè: fino all’approssimarsi del lago si dosa solo la manopola del gas (a volte mi chiedo perchè gas, visto che non vado a GPL, ma nel dubbio tengo aperto). Se qualcuno mi vedesse da dietro potrebbe equivocare, dato che il susseguirsi di curve è talmente fitto da farmi sculettare come Sylvester alla vista di Marc Almond. Ma chi vuoi che mi veda? Non c’è quasi nessuno. Curiosamente poi per quasi tutto il tragitto le poche moto pervenivano tutte in senso opposto.

E quando arrivi a Idro, quando diresti ‘è finita’, quando sei già sfamato abbondantemente di curve e solitudine motociclistica, ti resta il ritorno del primo tratto bresciano, quello (visto a rovescio) di Castro e della discesa a Iseo. Col sole di fronte, che disegna dentro la tua visiera i magici effetti del filtro “Lens Flare” di Photoshop a giocare con le ombre degli alberi nelle curve a sinistra, ti ri-lanci nei curvoni in appoggio in solitaria beatitudine, godendoti appieno il piacere vibrante del quattro valvole sempre in forma.

A tal proposito, in precedenza, sulla Gardesana ho dimenticato un simpatico episodio, presunto ma credo assai probabile. Avevo raggiunto una R1 seconda serie con zainetto lillipuziano appeso (buon per lei, su quella moto essere microbi è un vantaggio), dall’autista allegrotto. Per un pò procediamo in trenino fino alla prima galleria, dove, per recuperarlo per via delle auto difficili da superare decido di spalancare un po’ la manetta mettendo a conoscenza degli astanti dentro al tunnel cosa succede quando si ruota insistentemente la manopola destra in associazione alla micidiale accoppiata Termignoni-Mistral. Ehm… un lieve sorrisetto obliquo, misto di imbarazzo e piacere mi si stampa in volto, e la R1 si fa improvvisamente da parte. Per tutta la seguente permanenza sulla Gardesana (soprattutto in coincidenza delle ulteriori gallerie) preferirà parzializzare il gas per starmi dietro. Al che, ipotizzando lo scopo della manovra, naturalmente decido di proseguire la Sinfonia in G dur, Opera Bicilindrica 4V, etichetta La Voce del Minchione (con Iosca al posto del cane accanto al megafono), portando a tratti l’impeto a ottomila e cinquecento giri. Non c’è teatro migliore al mondo delle gallerie a cupola della Gardesana. Il termine ‘assordante’ va ridefinto completamente. La pienezza orchestrale è da far impallidire i Berliner. Mi sono immaginato il ragazzo sulla R1 contento dei suoi cavalli rauchi ma estasiato dai miei pochi ma intonati da Dio. Chissà se sarà stato davvero così?

Sono le 19 ormai, dopo l’ultimo tratto di strette curve si staglia in controluce il lago d’Iseo dove discendo rapidamente (sempre senz’auto attorno), per piombare in pieno rientro da weekend milanese al lago in autostrada. Grazie al cielo per poco, con gambe e ginocchia dolenti ma felice di aver scovato un raggio verde nel tramonto bresciano.

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