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Diario di Galadriel

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California Special ’99
di Paolo (Squaloguzzi)

 

Le ombre sono ancora chiare nel box angusto dove ho passato la notte. Christabel (1) ammicca con il suo vigile occhietto rosso lampeggiante ed io, ancora non appesantita dai fardelli dei viaggiatori, cerco di riposare in vista della lunga cavalcata. Quando la serranda si apre ed il primo scampolo di libertà si accende con le luci della mattina, il fremito del risveglio mi fa pulsare, come la schiena di un marinaio che osserva le onde di
notte, percorsa da un brivido: troppo vasto il mare, troppe miglia da percorrere, ed io non sono più una ragazzina. Ho gambe forti, certo, ed un cuore d’acciaio, ma la serena eleganza nel passo di una signora, non più l’impulso feroce alla strada di una adolescente.

Quando il bagaglio è caricato, il sole è già alto sull’orizzonte e molte paure si sono sciolte. Si parte, finalmente. Gli spazi si allargano rapidamente, dalle vie semideserte della città alla grande lingua di asfalto delle autostrade, attraverso un panorama neutro ed innaturale. Fa caldo, ed ho sete, ora. Mi fermo e affronto la prima prova, qualcosa va storto, lo sapevo, LO SAPEVO, non ero pronta. Ma il calore intorno a me è ancora quello di sempre, tutti si prodigano per aiutarmi, ed io non sono una di pretese, posso indossare gli accessori di un’altra come me, persino di una completamente diversa da me, senza mai smettere di essere una signora. Ed allora si riparte… Via dalla grande strada nera e lucida, verso i nastri di asfalto chiaro, attraverso paesi, volti, boschi, i profumi della terra.

Acolto il mio cuore che batte più lento, più robusto tuttavia, ritmato, in accordo con l’oscillare dolce delle colline, e punto la montagna che piano piano si definisce sull’orizzonte. Un po’ di riposo, prima di affrontare la scalata, e poi la magia della salita,
quella vera… il cuore su su fino in gola, quasi fermarsi sull’ingresso del tornante, in equilibrio come un pendolo nel suo punto più alto, e poi lo strappo che ti porta su contro la gravità, con la forza della determinazione, il martellare ostinato delle esplosioni e il respiro che si fa più svelto, ma non affannato, in aspirazione. All’inizio mi sento un elefante, inadeguata, carica, sgraziata e pesante; poi il ritmo viene da sè, non è una danza frenetica, è un valzer lento di passione, ed io posso, POSSO DAVVERO BALLARE. Il bosco si fa via via più fitto, i lecci oscillano lenti, la sera ormai sta calando, la strada ridiscende verso i paesi, ed io sono arrivata.

La notte è un trionfo di stelle e carezze di vento, per me è la prima notte fuori da molto tempo.

Io non sono una di città, i giorni delle passeggiate in campagna sono giorni felici. Un incedere lento, misurato, tra gli sguardi ammirati dei pochi passanti, è la mia linfa, l’eco della mia voce nelle vallate silenziose, è il mio sangue. Civettare con la natura, e poi nascondermi silenziosa per diventarne amante e figlia, e catturarne l’essenza.

Ma è già tempo di andare, il richiamo sussurrato del mare invita alla strada ed io sono viva. Una distesa di chilometri attraverso passaggi di montagna ed improvvisi scorci di costa sotto di me, poi la pancia della grande balena che sembra traghettare tra due mondi e l’accoglienza agrodolce delle zagare, nella terra dei mille contrasti. Il Tirreno è appena sotto di me, adesso, posso sentirne il sale nelle folate di vento, percepirne il gusto dello sconfinato, che ridefinisce ogni proporzione.

C’è tempo per gli altri ora, la danza solitaria diventa dapprima di coppia, poi una allegra quadriglia sui fianchi dei Nebrodi, attraverso panorami di una bellezza selvaggia e architetture scolpite nel tempo. Il mondo riempie gli occhi ed i cuori dei cavalli e dei cavalieri, la giostra gira e le mani si stringono.

Poche ore di riposo, poi un altro vento, un altro mare. Si può (si deve!) salire ancora, e danzare, ma l’invadente personalità del mare non mi lascia più, è tutto intorno, è padre e rivale, abbraccia e allontana con gli umori della luna. Alle mie spalle è l’ombra della
Montagna, come la chiamano qui, con la maiuscola che si sente nel tono della voce. Silenzioso, inquietante il Vulcano, vivo in ogni fumoso respiro, in ogni lacrima di fuoco, in ogni nera ferita. Elementale, puro, perfetto. Ci avviciniamo, zigzagando come api, osservando, annusando, eppure non ho mai la sensazione di toccarlo veramente, neppure quando il freddo arriva, le ombre si allungano e il rosso del fuoco diventa più vicino, più vicino… è ora di tornare.

In un ultimo audace approccio con il mare, mi faccio trasportare nella pancia della balena sulla strada di casa, la fettuccia rovente che conduce in città, al tranquillo, sonnolento rifugio delle strade conosciute. Ma non importa, perchè io ora sono Terra, io sono Mare e sono Vulcano, e sono viva.

Io sono Galadriel.

(1) Christabel è il nome della Griso, ed il suo occhietto lampeggiante è la lucina dell’allarme, questo solo per precisare che non sono completamente visionario e che la polverina che mi vendono non è proprio scarsa scarsa.

In missione per conto di Dio

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Report telegrafico di una domenica minchiale
di Samside

Sveglia alle 9.00.

Doccia, barba, scarpa di pelle nera, pantalone di velluto nero, camicia in doppio cotone ritorto, giacca e guanti di pelle, integrale.
Raggiungo la chiesa dove oggi si sposa Matteo, l’ultimo degli ex compagni di classe con i quali c’è ancora qualche rapporto, che ancora non ha la fede al dito (a questo punto manco solo io ….).
Mi guardo intorno e secondo me sono il più figo di tutti.
Anche se gli sguardi di chi ho intorno paiono dire tutt’altro.

Ma non è questo il problema.
Il problema è che io odio le cerimonie tutte, i matrimoni in particolare.
I matrimoni ai quali vado in moto, e quindi non posso bere, sono quelli che proprio non sopporto.
Problema che diventa più grande se la chiesa è proprio di fronte alla rotatoria che unisce la statale alla strada per Urbino.
E dietro ci sono le Capute.
Finite le quali, si fanno un’altra trentina di chilometri di curve, prima della Trabaria.
Problema che diventa gigantesco quando è domenica, il cielo è limpido e l’aria è fresca.

Tolgo il casco, tolgo i guanti, apro la giacca.
Alzo lo sguardo, lo riabbasso.
Mi passano di fronte in rapida sequenza una Ducati, una mucca e una giappa non identificata.
Mi guardo intorno.
Un sorriso, forse un pò desolato, ma sincero.
Mi chiudo la giacca, mi metto i guanti, il casco.
Accendo.

Si avvicina Lorenzo che mi fa “Ma a pranzo vieni ?”
Io gli rispondo “Forse si” e parto ridendo come un imbecille dentro al casco.
Non tanto perchè so benissimo che non ci andrò, quanto perchè mi rendo conto di guidare una Guzzi vestito da mucchista.
Complice il fatto di conoscere le strade a menadito, mi diverto.
Mi diverto da morire.
Mi diverto così tanto che in alcuni momenti ho quasi la sensazione di saper guidare almeno un pò sto ferro maledetto.
Che respira che è una meraviglia, che sta bene, e che mi fa star bene come un bambino con il suo gioco preferito.
Non penso ad altro che a divertirmi e non incontrare posti di blocco.
Il primo me lo segnalano a tempo debito, chiudo e ci passo davanti a 3000 giri.
Occhiataccia il primo, occhiataccia il secondo, sguardo ebete del pirlota, e pedalare.
Il secondo non me lo segnalano affatto, e chiudo nell’ istante in cui vedo l’omino blu in mezzo la strada.

Non una gran mossa, potrà sembrare, ma faccio davvero tanto baccano.
Mi guarda brutto, bruttissimo, ma la paletta non la alza.
Mi guarda bruttissimo, ma ora anche un pò incursiosito, e ‘sta paletta continua a non alzarla.

Sono passato, ma a questo punto non c’è più nessun rumore.
O quantomeno, nulla è percepibile, se non l’odore che lascio in scia.

Arrivo in cima alla Trabaria, e mi fermo, perchè ho bisogno di assorbire un pò di questo sole.
Ho le ossa ghiacciate.
Si, perchè l’aria è fresca quando, sul livello del mare, stai in piedi, fermo, sotto il sole.
L’aria è fresca e tu stai da Dio.
Ma se quel giorno di aria fresca è il 5 di ottobre, e tu con la moto arrivi intorno ai 1300 andando ad andatura arzilla-medio-spedita, è il motore a stare da Dio.
Tu che lo guidi con la scarpina fescion, il pantaloncino figo e sotto la giacca, solo la camicia stilosa, sei un emerito minchia.

Scambio due chiacchiere con il ducatista che mi ha sverniciato senza pietà, e che mi guarda con disprezzo.
Penso tra me e me:
“Si, ok, mi hai dato paga. E allora ?

A parte che io mi stavo facendo gli stramaledetti miei, ma tu ….

Si, dico a te: tu, ti sei visto ?

Hai una moto che fa cagare.
Tutta kittata e tutta personalizzata …. e c’hai lasciato i db killer.
Sei vestito come un fighetta …..”

“………”

“Ah, ecco perchè mi guarda con disprezzo ….. si, dai, la moto non è proprio bella, però due o tre spunti interessanti ci sono”.

Gli spiego il perchè della mia mise, e ne riguadagno il rispetto, prima che mi saluti, per lasciare posto al V-Stronz munito.

Ragazzo simpatico, solare, amante della moto, ma non appassionato.
Apre il bauletto, tira fuori un thermos e si versa un caffettino caldo (bastardo, la moto fa schifo, con il bauletto è inguardabile ….. ma lo invidio parecchio).
Conosce diversi modelli, viene da un Transalp, ma insiste con ‘sto “il monocilindro”, “il bicilindro”,…..
Chiacchieriamo, e intanto vedo che ogni tanto, dietro agli occhiali da sole, allunga gli occhi verso la mia.
GS e Stelvio costavano troppo, così da poco ha comperato il V-Stronz, e ne è più che soddisfatto.
Le Guzzi lo affascinano, ha guidato una Brevina e gli è piaciuta molto, ma costano troppo, e troppo grande è l’incognita affidabilità e assistenza.

E allunga gli occhi.

“Ma guarda che ora le Guzzi sono moto affidabilissime…”
“Ma guarda che ci sono degli ottimi usati ….”
“Ma guarda che quelle che a te sembrano moto affidabili, in realtà hanno tanti problemi …”
“Ma guarda che non ci sono più le mezze stagioni, e se si stava meglio quando si stava peggio, l’importante è unire l’utero al dilettevole ….”.
“E blablabli….e blablabla”.

E allunga gli occhi.

“E allora se lo vuoi proprio, ‘sto colpo di grazia, io te lo do.”

“Ascolta, io me ne vado.
Prima però appoggia il culo sulla mia moto, così capisci perchè ti affascinano”.

Cazzo, non aspettava altro: mi giro per togliere il casco dal serbatoio e i guanti dai coprivalvole (sborone …..) e lui è gia li che scalpita.
Mette una gamba dall’altra parte, la solleva dal cavalletto, e gli si legge la paura in faccia.

“Accidenti, pesa !!”.

“Pesa solo da ferma, poi quando vai in giro non pesa più.
Gira la chiavetta, fai fare il check, e poi accendila”.
Accesa.

Lui cambia espressione e colore.
E non dice niente.
Mani sulle manopole, sguardo perso nel vuoto.

Mi sembra più patacca di me.

“Dai una sgasatina”.

Sgasatina-ina-ina.
Ghigno.

Sgasatina-ina.
Sorriso

Sgasatina.
52 denti.

Sgasata.
Coito non interruptus.

“Ma ascolta, vicino casa mia, dov’è che posso provare una Guzzi ?”.
“Vicino casa tua non so, comunque sabato prossimo prendi tua moglie, fai un giro fino a Macerata, e arrivi in corso Cavour.
Li vedi l’insegna, e mentre tua moglie parla con la Lidia, tu parli con Roberto”.

Io ancora non mi sono ripreso del tutto dal freddo, ma intanto salgo, lo saluto e lo lascio, sorriso ebete e chiazza sui pantaloni.
Se avessi avuto un’ hornet, avrei fatto la strada più breve.
Purtroppo però ho un V11, quindi finisco la Trabaria, un pò di E45, Scheggia fino a Gubbio, Contessa e via a casa attraverso le colline, per saltare la statale.

Era da tempo immemore che non prendevo tutto ‘sto freddo, e il cellulare è pieno di messaggi che vanno dal “Ci sei mancato” al “Non si fa così”.

Li perdono.

Ero in missione per conto di Dio, ma non possono saperlo.

Ed è inutile spiagarglielo.

Non mi capirei.

 

© Anima Guzzista

I monti Dauni visti dai miei occhi

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I monti Dauni

di Carmine Apparente

L’idea di organizzare un tour tra i monti Dauni è venuta dopo aver gironzolato per siti e aver trovato una iniziativa del distretto culturale della Daunia Vetus . Le parole che ho letto e che qui riporto per stralcio, mi hanno generato una nuova curiosità verso quei luoghi che bene o male, a me sono noti.
“ L’Antica Daunia, la terra che diede approdo all’eroe greco Diomede, compagno di Ulisse, oggi riprende vita attraverso un Distretto Culturale.
Daunia Vetus, per i viaggiatori attenti e curiosi, si rivela uno scrigno traboccante di storia, di arte, di monumenti, di colpi d’occhio fascinosi su paesaggi di assoluta originalità. Una campagna fatta di campi di grano ondeggianti, di boschi d’ulivi secolari, di colline dolci solcate da vigne e disseminate di masserie antiche e casolari caratteristici.
Un territorio che ospita alcuni dei borghi più belli d’Italia, dove si conservano rarissime pergamene, cinquecentine, argenti, paramenti sacri e opere di grande valore artistico, storico e devozionale.
Qui imperano il giallo e il verde, ma anche il blu violetto dei carciofi, degli asparagi viola e di quell’uva che dà vita a un vino dal sapore asciutto e dai profumi intensi.
Un lembo di Puglia a ridosso del Gargano che vuole cantare forte i suoi tesori e annunciare con orgoglio tutta la sua bellezza.”
Consultata la solita ed insostituibile cartina, mi sono messo alla ricerca delle strade migliori per poter attraversare in sequenza e senza ripetizioni i dieci comuni del Distretto Dauno e cioè: Lucera, Castelnuovo della Daunia, Pietramontecorvino, Biccari, Alberona, Roseto Val Fortore, Faeto, Orsara di Puglia, Bovino, Troia. Per ragioni legate al tempo a mia disposizione, con grande rammarico, ho deciso di tagliare la visita ai comuni di Lucera, Orsara di Puglia, Bovino, ai quali mi riserverò di ritornarci con gli occhi del “viaggiator attento” una prossima volta.
Partiti di buon ora alla volta di Castelnuovo della Daunia, ci siamo imbattuti in una leggera foschia che ha reso più misterioso il paesaggio si presentava, appena arrivati, ai nostri occhi.
Subito dopo, l’autunnale ma caldo sole Dauno, ha preso il posto della grigia foschia, permettendoci di fotografare in tutto il suo splendore il convento dei Frati Minori del 1579, in chiaro stile romanico, molto ben conservato.

Siamo poi, ripartiti alla volta del bellissimo Comune di Pietramontecorvino, con il suo straordinario centro storico denominata la terra vecchia. Di chiaro stile medioevale, questo bellissimo borgo, custodisce, ben conservato (anzi in questi giorni gli operai sono all’opera per il suo restauro) la bellissima torre Normanna. Pietramontecorvino mi lascia, ogni volta che vado, un impressione positiva, nonostante a fianco di questo ottimo centro storico valorizzato con attenzione, giacciano ancora le ferite del terremoto del 2002.

Ripreso il cammino, destinazione Biccari, la voglia di arrivare al lago Pescara è forte. In autunno i colori delle foglie in attesa della brezza per la loro soave discesa in terra, sono spettacolari. Poi lo specchio d’acqua riflette colori e suggestioni inebrianti. Il sole accompagna ed esalta ancora di più questo magnifico spettacolo della natura. Rifocillati nel corpo e nello spirito, la nostra destinazione è stata Alberona.

Sono molto affezionato ad Alberona, poiché, a parte la salubrità del luogo, in tutti i sensi, mi piace particolarmente quella voglia che hanno gli abitanti e le istituzioni, di mostrare il sempre volto migliore del proprio paese, organizzando feste, sagre, e altri appuntamenti che risultano di forte attrattiva, per turisti in generale e abitanti del circondario. Qui la gente è semplice, affettuosa ed accogliente. L’estate, Alberona con il suo fresco clima, la sua magnifica gente e le tante iniziative accoglie tanti turisti in cerca di una semplice boccata di aria fresca.

Roseto Val Fortore, paese facilmente raggiungibile da Alberona, contiene un gradevole centro storico con una bellissima cattedrale. Rinomato Borgo per il tartufo ed il miele.

Breve trasferimento a Faeto, città del prosciutto crudo. Il paese contiene un centro storico interessante. Purtroppo la condizioni metereologiche peggioravano e la visita al borgo, durò poco tempo.

Dulcis in fundo, la cattedrale di Troia, splendido esempio di architettura romanica con il suo famosissimo rosone che in pratica è il simbolo della città. C’è da restare incantati nell’osservare di quale bellezza è fatto questo edificio.

Ritorno a casa con la convinzione che quello che è intorno a noi, è straordinario. Molto spesso siamo tentati di spingerci al di là per scoprire, dimenticandoci che le scoperte, quelle straordinarie sono sotto i nostri occhi. Provate a vedere con il piglio del “viaggiator attento e curioso” avrete la certezza che sotto al proprio naso esistono bellezze insospettate

 

CLAUDIO GUARESCHI

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a cura di Alberto Sala, con la collaborazione di Mauro Iosca  e Jonathan Padfield

Presentare un personaggio come Claudio Guareschi non e’ una cosa difficile. Non c’e’ da inventarsi molto, perche’ e’ un personaggio che le sue moto le ha vissute tutte, che ha incominciato a respirare l’odore dei motori fin dai calzoni corti, che rappresenta al meglio l’essenza della gente di Parma: genuinita’, schiettezza, grande competenza e rispetto. E naturalmente passione: passione per le moto in generale, e in particolare per le Guzzi, che da decenni cura e prepara amorevolmente. Passione che non ha mancato certo di trasmettere ai figli: Vittoriano lo conosciamo tutti, ma anche Gianfranco non scherza.
Ci accoglie nella sua ampia officina alle porte di Parma, e da subito il clima si fa allegro e cordiale.
Incominciamo ovviamente sbirciando e chiedendo sfrontatamente ogni minimo particolare sulla Scura destinata al figlio Vittoriano:

C: … le pedane arretrate le ho fatte fare da Walter Moto, ma alcuni particolari li ho fatti io con Vittoriano. Li abbiamo finiti oggi.

J: Ma quanto pesa la moto?

C: abbiamo appena finito, non lo so bene. Non possiamo andar sotto del 10% del peso. Duecento chili.

A: Ma il regolamento dove consente di intervenire? Ad esempio l’albero a camme si puo’ modificare?

C: No, e’ li’ il brutto. Io la distribuzione l’ho giocata, ma non con l’albero a camme.

J: non hai messo l’albero di Scola?

No. Perche’ Scola ha le sue moto. Noi abbiamo le nostre. Io sono molto amico con Bruno.
Io l’ho provata la roba di Scola; lui ha delle buone cammes che tirano sotto; noi abbiamo dei clienti che vogliono motori che non sembrano neanche Guzzi; quando girano sembrano Ducati; abbiamo delle curve con 95-96 CV sui 1100 alla ruota, con camme, rapporto di compressione.
Abbiamo dei clienti oggi che hanno Ducati; oggi sono andati a provare Guzzi V11 ma sono clienti che ci ritornano tutti, sono quelli che avevano il LeMans una volta; uno ha Ducati e MV; e’ andato a provare il V11 Le Mans e la Scura oggi (a Varano alla manifestazione ‘Aquile in Strada’ ndr) e rimpiangono i loro Lemans di una volta; ricordati che la clientela l’abbiamo persa … con i ducatisti.

J: questo e’ il grosso problema di adesso: non abbiamo assolutamente una sportiva

C: gia’. Il granturismo l’abbiamo perso con la BMW. Il California non e’ una granturismo: e’ una bella moto, non e’ un custom, non e’ un chopper, e’ una via di mezzo che e’ trent’anni che c’e’…
Io faccio ancora 20mila km all’anno… A Pasqua partiamo per andare a mangiare il pesce, senza sapere ancora dove andremo. Io ho lavorato anche troppo. Sono cinquant’anni che lavoro.

M: da quanto tempo c’e’ la concessionaria?

C: la concessionaria, che era la ditta Sacchetti, che e’ dove sono cresciuto io, coi nonni, l’abbiamo ritirata nel ’67 e ci siamo ripresi la Guzzi. Eravamo in due, Piccinini e Guareschi, poi ho liquidato il socio. Io ho cominciato nel ’53, coi calzoni corti, da giovanissimo. Presto. …ho fatto il sidecar nel film ‘Peppone e Don Camillo’…

J: Domenica vai giu’ all’autodromo?

C: Si, anche domani pomeriggio.

A: Bene, che cosi’ intervistiamo poi Vittoriano a fine gara…

C: Certo, certamente…

A: Cosi’ ci dice finalmente cosa avete fatto nel motore…

C: Nel motore non abbiamo fatto niente. Niente. Solo guardato… (risata generale).

A: Quando ha incominciato a elaborare Guzzi?

C: Eeh, da una vita. Questa qui e’ una elaborazione (ci mostra una foto). Guzzino, Zigolo, il primo Zigolo con le valvole rotanti, non ho le fotografie, gli avevo fatto il serbatoio come la Ducati Marianna, verde, cambio arretrato, uno Zigolo che faceva diventar pazzi i gilerini… per me faceva 105-110 Kmh, prima valvola rotante con il carburatore girato in avanti.

J: Ma tu hai fatto qualche gara?

C: No, mai, mai. I miei genitori non hanno mai voluto. Io ho firmato subito per i miei figli.
Toh, un segreto del Falcone (e ci mostra una guarnizione).

M: Cosa vuol dire quella guarnizione?

C: Rapporto di compressione. Senno’ non ha allungo. Molta ripresa e non prende in velocita’. Questa l’ho rifatta nel ‘62-63.

(ci mostra altri pezzi e alcune moto, e chiacchieriamo informalmente).

C: Queste moto erano leggere…

J: E quelle di oggi? Cosa ne pensa?

C: Queste? Il motore devono alleggerirlo della meta’, perche’ con 100 kg tra motore e cambio… fai poco. E’ inutile che stiamo li’ a raccontarci palle. Poi c’e’ la pesa! Prendi la ruota dietro col cardano, e cosa pesa?

A: Ma e’ solo una questione di peso?

C: Peso, rotazione del motore… che non e’ alta. Non gira alto; e’ nato cosi’. Questo ha un carter indistruttibile, ma il limite e’ li’. Ma comunque dovranno lavorare su un motore nuovo…

A: Cosa ne pensa della nuova dirigenza?

C: Sono stato subito positivo a dir poco, perche’ la risposta che avete trovato su Motociclismo che ho dato a Tartarini e’ mia.

M: Tartarini poteva stare anche zitto…

C: Tartarini vada a pigliare per il culo i suoi concessionari. Le ragnatele le ha lui, la muffa ce l’ha lui, non un concessionario che e’ 50 anni che lavora e che si da’ da fare. Lui poteva dire: ‘certi concessionari’, non far di tutta l’erba un fascio. Io non ho avuto altre marche. Io ho mangiato, ho fatto correre i miei figli, mi sono fatto il capannone a 16-17 ore al giorno, e oggi lo dimostra la mia clientela… ma scherziamo?!? Le mie moto anche se hanno degli anni sono sempre qui… I vigili di qui hanno cambiato dei 500 a 300.000 km, ne hanno ancora 5, hanno gli enduro con 150-160.000 km… La piazza te la guadagni, e quando c’era la crisi non sono andato a piangere.

A: Tornando alla nuova gestione, lei e’ molto ottimista…

C: Si, io sono fiducioso. Se loro mettono le persone giuste al posto giusto il marchio c’e’, e qui la gente ci crede. Se sbagliano sono finiti. Ma se centrano solamente una motocicletta per tirar fuori la testa noi in due-tre anni siamo fuori dalla melma completa. Il nostro marchio risplende ancora, te lo dico io.

A: Ma i suoi clienti che cosa pensa che si aspettino?

C: Per riavere i nostri clienti – non la clientela attuale, alla clientela attuale gli va bene questo (e mostra i modelli attuali); tutto quello che arriva gli va bene, ma non e’ questo: noi dobbiamo andare a pescare gli altri. Noi l’anno scorso abbiamo ritirato dieci moto straniere, gente che si sono stancati e sono ritornati sulla Guzzi, o perche’ l’amico ce l’ha… arrivavano qui insieme; hanno riscoperto questa moto: prima non ne parlavano mai, e noi tutti gli anni abbiamo combattuto, abbiamo continuato a seminare, e siamo contenti; l’hanno scorso abbiamo ritirato in Guzzi circa 50 moto. Quest’anno sono gia’ a 11; pero’ 7-8 grosse, solo due piccole. Abbiamo gia’ tre naked e una Le Mans.

A: la sostanza e’ che bisogna arrivare a pescare gente nuova…

C: Si. Scendere come eta’. Invogliare i 25-26enni.

M: Pero’ i giovani vogliono la moto sportiva…

C: (con enfasi) Quello. Perche’ dico che manca? Perche’ questo (il V11) non aggancera’ i giovani giovani. Qui arrivano dai 30 anni in su. Gente che ha provato Monster, Triumph… arrivano come terza, quarta moto. Non come prima moto. Il ragazzino arriva, ha finito le scuole, puo’ andare in moto a 20-22 anni, difficile che arriva qui. Poi ci manca la moto da panino: la moto di cassetta: un 500-650; non il Nevada: una bella motociclettina, nuda…

J: Un 600 mono?

C: No, il mono e’ ormai passato, che poi ci buttano su il motore Aprilia… (risata generale)

J: Perche’ non avete Aprilia?

C: Ci hanno fatto punto vendita Aprilia; abbiamo venduto una RSV-R… Ma non diventiamo concessionario: ci sono gia’. Continuino loro…

J: Cosa ne pensi della MV Agusta?

C: MV? La piu’ bella che c’e’. Come un bel quadro, una bella donna, che quando la tocchi e’ fragile, fredda (seconda risata generale)… e’ bellissima, come una bella xxx che non ti trasmette niente.

M: All’unanimita’!

A: Siamo tutti d’accordo.

C: Chi le ha le tiene nel cassetto; non va a dire all’amico: ‘prendila’. Ed e’ bellissima: ma tu vai in un parco corse: il 60% sono Ducati. Tamburini e’ stato bravo con quella, pero’ la MV non ha cuore. Hanno sbagliato il cuore. Il cuore delle MV suonava diversamente, anche se erano carrettoni… Tutti i difetti che vuoi, pero’ quando scendevi da quella moto… il rombo… Come queste: possono dire quello che vogliono, ma quando scendi… ti innamori di questo motore, con tutti i difetti che ha, con piu’ strada fai piu’ sul Guzzi ci ritorni.

J: Anche dopo Ducati?

C: Sisi, anche dopo Ducati. Li devo un po’ accontentare, ci dobbiamo un po’ sacrificare per farle andare, pero’ arrivano. Se poi fai la moto giusta arrivano. Quello a cui ho dato Aprilia aveva Ducati; anche lui costava 50 milioni, pero’ l’ha dato via, non c’era il Guzzi e allora ha preso Aprilia.

J: Ma come mai, secondo te?

C: Qui manca l’assistenza a Parma. Qui hanno chiesto a noi. Adesso. Prima gli interessavano quelli con la cravatta; ora gli interessano i coglioni, quelli che lavorano.

J: E’ possibile che tu diventi un Moto Guzzi Store?

C: (silenzio) Io mi sento la Bottega Moto Guzzi. Qui quando abbiamo cominciato non dicevamo ‘andiamo in officina’; dicevamo ‘andiamo in bottega’.

J: Quando ha cominciato a correre Vittoriano?

C: Ha cominciato 15 anni fa. Ha cominciato con una Cagiva. E’ stato uno dei piu’ vittoriosi Honda.

M: E’ vero che ha fatto il contratto con la Ducati, ma ha detto: ‘mio papa’ ha le Guzzi e voglio guidare le Guzzi’, ha fatto mettere nel contratto che voleva guidare una Guzzi

C: Si. Ha detto: ‘sono talmente stanco che prendo la moto di mio padre e vado a fare due impennate’ col V11.

J: quando non corre cosa fa Vittoriano?

C: Lavora qui. Tutti e due.

(intanto la conversazione divaga alquanto in un sacco di stupidate, soprattutto grazie a Jonathan che non scherza…)

A: Insomma: sappiamo che avete cambiato sulla Scura i tubi di scarico, che avete cambiato la forcella…

C: No, la forcella no, e’ andata su questa (e indica quella di serie)

J: Si, ma ci hai fatto qualcosa di strano che nessuno capisce…

C: Dentro e’ stata messa a posto (risata generale)

J: Non e’ un po’ buffo che ora Haga e’ in Aprilia e Vittoriano guida Guzzi? (Vittoriano e Haga erano compagni in Superbike con la Yamaha ndr)

C: Buffo si’…

M: Haga non ha mai provato una Guzzi?

C: Nono… Haga non prova niente. Haga e’ un bombardone, ha la puzzetta sotto il naso, non ti avvicini mica tanto facilmente. Io andavo a trovare mio figlio, ma Haga stava la’, e’ un giapponese, nascosto… Non e’ un uomo da immagine da vendere…

J: Peggio di Biaggi?

C: Si. Valentino e’ uno che trasmette. Io lo conosco bene perche’ e’ amico di mio figlio, il piu’ giovane. Quello che trovavi sulla maglietta quando ha vinto il mondiale, ‘Guaro’ e’ Gianfranco, che oggi corre in Francia. Fanno le ferie insieme… Ma amici veri, non per favori… quando ha vinto il mondiale gli ha pagato il biglietto e via… in quei 4-5 a cui paga il biglietto c’e’ sempre dentro Gianfranco. Quando era ragazzino dormiva nella roulotte con i miei figli. Forse e’ stato quello, perche’ non aveva una lira, e i miei figli l’hanno sempre ospitato, e lui si ricorda sempre. Senza interessi.

Torniamo ancora a chiacchierare sulla Scura che scendera’ in pista a Varano.

M: Come si trova Vitto su questo circuito?

C: Lui ha ancora il record con le 125, ancora imbattuto, con una Aprilia. E mica un giro solo: ha fatto tutta una gara a livelli impressionanti.

(niente da fare: spesso la conversazione scorre divagando alquanto: tra tutti ci si diverte; si divaga parlando di moto inglesi, tedesche, della sua officina che sta sistemando, del Daytona di Mauro e di cosa gli si puo’ fare, e cosi’ via, in un clima sempre cordiale e simpatico)

Il discorso si sposta sul campionato Supersport e sulla Ducati 748, che non corre piu’.

C: …e’ un progetto vecchio. E quando e’ vecchio… come il nostro; puoi ringiovanire, fare… pero’ arrivi fino li’ e basta. Io sono convinto che questo motore puo’ arrivare a 100 cavalli e poi basta. Se vuoi un po’ di durata… e poi e’ gia’ al limite…

J: e il Le Mans?

C: No, beh, quello la’…

J: Di serie aveva 70-75 CV…

C: See, all’albero, non alla ruota. Al massimo puo’ arrivare a 85; ha i carter sottili, i prigionieri… se dopo lo carichi molto… la gente parla molto, ma poi li vedi dopo…

J: Scola parla molto…

C: Non so. Per me e’ un amico. Poi se lui parla… con me e’ molto riservato. Ce ne sono di peggiori, te lo dico io. Se parla sbaglia, perche’ i limiti sono li’, senno’ avrebbero gia’ tirato fuori.

Si riprende facilmente a divagare, e deambuliamo per la concessionaria, chiacchierando anche con la simpatica moglie Loredana, e cosi’ via. E’ un piacere essere loro ospiti. E alla fine una frase chiave dell’intervista ti frulla in mente; quel “con piu’ strada fai piu’ sul Guzzi ci ritorni”.
Anche da lui.

Ettore Gambioli

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di Mauro Iosca

UNA PASSIONE DI PIETRA

AnimaGuzzista Maestri Ettore Gambioli _

Artista ereditario:
tra la molte cose che un individuo può diventare nella vita, una (e qualche volta accade) è l’erede della maestria o dell’arte del proprio genitore e se accade con vero talento guidato da un’amorevole guida, è probabile che le gesta artistiche che ne conseguiranno avranno risultati migliori di chi li indirizzò col proprio esempio.

Esistono paesi giù da noi dove, anche senza percorrere distanze siderali, ci si può ritrovare a fare dei veri e propri “salti indietro nel tempo” nel periodo delle cose semplici e dure, quelle cose che non s’imparano con un corso su CD comprato in internet nell’altro emisfero. Quelle cose che solo antichissime tradizioni e grande orgoglio riescono a portare in dote nel futuro, quale segno di un nobile impegno e di un’esistenza decorosa.

Siamo a Cagli, nell’entroterra marchigiano, in quella parte della provincia di Pesaro che non ha più nulla di romagnolo, nemmeno la piadina: qui infatti il companatico si chiama crescia e ha tutt’altro sapore.
Ettore Gambioli vive qui in una grande casa con tutta la sua famiglia (la sua, con la moglie Silvia e la piccola Agata, più quella dei suoi genitori con la nonna); casa nella quale hanno anche il laboratorio da dove escono la maggior parte dei loro lavori, che con il papà Paolo, scultore e pittore come il figlio (o forse avrei dovuto dire che il figlio è come il padre ma avrete capito…) realizzano.

La loro attività artistica li impegna per l’ottanta percento nell’esecuzione di nuovi lavori mentre la restante parte la occupano i restauri e le manutenzioni (lavori molto delicati per chi vive in questa parte d’Italia ricca di edifici e monumenti medioevali) e comunque bisogna precisare che anche buona parte dei nuovi lavori sono pura interpretazione artistica: bassorilievi, statue e decorazioni che possono impreziosire fontane, monumenti o qualsiasi richiesta il cliente desideri. La capacità che i Gambioli hanno di spaziare, specialmente con l’arte scultorea, li ha portati anche a realizzare opere uniche come quando realizzarono un totem indiano di sei metri d’altezza in legno massiccio per il film di Veronesi “il mio west”, o con il recentissimo monumento realizzato per il centenario del “giro” che ha trovato posto sul gpm della tappa più dura che non a caso passava di qua.

 


Entrando a casa Gambioli si incontrano immediatamente una stupenda California II del 1982 di Paolo e il V11 Sport verde Legnano di Ettore.
Ettore è un tipo calmo e deciso e riguardo alla Moto Guzzi non ha esitazioni: “la Guzzi è la moto di famiglia, non si discute vuoi perché in queste cose sono un po’ nazionalista vuoi per quel motore così imponente che riempie l’oggetto moto e lo fa sembrare più bello e più importante … oppure perché essere guzzista faceva coppia con tutte le mie stranezze.”
Ettore ha lo sguardo di chi trova la serenità nel lavoro d’ogni giorno e che paradossalmente non sarà mai uguale un giorno con l’altro eppure di due cose è sempre stato certo: del lavoro che avrebbe imparato e della Moto Guzzi che avrebbe posseduto, così inevitabilmente ogni tanto questi due mondi si intrecciano e dalle mani dell’artista nascono questi splendidi OGM (Opere Guzzisticamente Manufatte).

L’amicizia con Franco Bartoli di Bicilindrica (vangelo d’ogni buon guzzista) ha fatto peggiorare la “malattia” di Ettore per la Moto Guzzi. “il guzzista ha la testa, è uno che ragiona …incontri uno sconosciuto guzzista, ci parli per due ore e poi come niente ci vai a cena insieme …è straordinario.”

Grazie anche all’assidua collaborazione con la rivista Bicilindrica, i lavori di Ettore – oltre a moltiplicarsi – cominciano ad essere conosciuti dal pubblico che li apprezza sempre con soddisfazione (vedi anche il grande successo avuto dalle stampe distribuite con i tesseramenti di Anima Guzzista) e comunque possiamo tra i suoi lavori più importanti annoverare innumerevoli dipinti (circa una quarantina), sculture (tra cui l’ormai celeberrimo Premio Anima Guzzista/Bicilindrica), calendari, il biglietto d’auguri (acquarello) che la Moto Guzzi ha inviato a tutti i concessionari nel mondo, diverse mostre anche con Alis Agostini e la stessa Moto Guzzi in occasione dei raduni di Mandello.

Pur non essendo uomo di “numeri” Ettore cita i dati dell’epoca Aprilia che evidentemente è il periodo che più gli aveva fatto sperare in un grande rilancio per l’azienda e non commenta l’attualità a parte per l’alone di tristezza che si percepisce nei suoi occhi.
“L’MGS è la prova provata che la dirigenza Aprilia era nel giusto! Dalla Moto Guzzi non ho mai capito perché non sfruttassero tutti quegli appassionati che la venerano e che senza nulla chiedere si adopererebbero per lei.”.

Spesso divagando parla di Giuseppe Ghezzi, suo amico, e di quanto fosse perfetto il suo modo d’interpretare le Guzzi contemporanee; considera la Griso la moto che oggi meglio incarna la filosofia del marchio e pensa a lei come punto di partenza per la nuova Guzzi del futuro, che per Ettore dovrebbe essere marcatamente originale e di stile europeo senza somigliare ad una BMW, massiccia e tondeggiante con linee che non durino solo una stagione.

Che bello se in una nuova era si ripartisse con rinnovate energie in un luogo che – ovunque fosse – contenesse tra le altre cose un monumento alla Moto Guzzi fatto proprio da Ettore Gambioli, che per questa azienda e per la sua storia ha tanta passione, tanta almeno quanta ne ha per la sua terra e per la sua arte, Ettore che salutandomi mi disse “Mandello forse non è più il luogo adeguato per produrre… ma per pensare non riesco ad immaginarne uno migliore.”

Omobono Tenni

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Omobono Tenni
di Fange

Grazie ad Aldo Locatelli per il materiale che mi ha procurato, fondamentale base per scrivere ed illustrare questo documento.

Da tanto avrei voluto scrivere qualcosa su Tenni, ma la cosa mi è sempre sembrata un’impresa insormontabile. Poi piano piano ho maturato l’idea di scrivere qualcosa di lui che non fosse però semplicemente la storia della sua vita. L’impossibilità di conoscerlo di persona mi ha sempre spinto a raccogliere con la massima attenzione ogni testimonianza che mi permettesse di costruire nella mia mente una specie di immagine reale di lui, come se lo avessi conosciuto.
A tal proposito preziosissimo è stato il contributo dell’ Ing. Giulio Cesare Carcano, che parla di Tenni nell’intervista rilasciata ad Anima Guzzista per mano di Luca Angerame e Aldo Locatelli che non finirò mai di ringraziare. Ma la testimonianza più completa che è riuscita a “coronare” questo mio desiderio di conoscenza è stata la lettura del libro biografico “Tenni” scritto dal giornalista P. M. Bianchin e pubblicato dalla casa editrice Canova di Treviso il 12 luglio del 1948, cioè circa 10 giorni dopo la morte del grande Campione.

Tenni e la velocità

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Giusto per far capire di che periodo storico parliamo, Tenni partecipa alla sua prima corsa il 24 marzo del 1924 sul circuito trevigiano della strada di Postumia al fianco di nomi come Ghersi, Nuvolari (proprio lui), Mentasti, cioè i più grandi campioni del tempo. E vince.

Viveva a Treviso e probabilmente quella strada per lui era percorribile anche ad occhi chiusi ma questo non sminuisce la sua vittoria, visto che aveva appena 19 anni e da poco era riuscito a mettersi in proprio come meccanico e la moto l’aveva preparata lui stesso.

Di lui l’Ing. Carcano dice:
“Chi ammiravo, pur non condividendone il modo di correre, era Tenni.
Tenni era un individuo stranissimo, se lo aveste conosciuto. Se fosse qui seduto con noi sarebbe calmo, come noi, proprio una persona normalissima. Come metteva il sedere sulla moto cambiava da così a così (fa il gesto con la mano).
Ricordo bene che, quando era sulla motocicletta, il suo scopo era andare forte.
Non vincere la gara, ma andare forte.
Un giorno mi ha detto:”Ma tu credi che il pubblico va a vedere le corse per vedere se arriva prima Gilera o se arriva prima Guzzi? No, va a vedere le corse perchè vuole vedere andare forte.” Ad esempio Lorenzetti era un calcolatore: se era in testa staccava 20 metri prima. Tenni no, se era primo staccava 5 metri dopo. Diceva: “Mi sento di derubare il pubblico”, era un concetto diametralmente opposto.”
Tenni era una persona tranquillissima e riservatissima, al limite della normalità, quasi un caso da analisi clinica. Per lui parlare era fatica e Bianchin riusciva a strappargli le testimonianze necessarie a scrivere la sua biografia facendo leva sulla loro amicizia ed invitandolo nel suo studio dove dialogavano in assoluta riservatezza. E con tutto ciò Bianchin dichiara che la fatica per farlo parlare era enorme. Tenni aveva vergogna a parlare di se stesso davanti alle persone, agli amici, persino davanti alla famiglia. Bianchin lo definisce un uomo dalla “riservatezza francescana”.
Eppure lui e la moto formavano un’arma micidiale: “il suo corpo mortale vibrava insieme alla macchina con la quale aveva saputo tutto osare sulle strade di ogni paese”.
Ma diversamente da ciò che desiderano quasi tutti gli aspiranti campioni, la sua sete di vittoria non coincideva affatto con la voglia di popolarità. Egli subiva il fascino della velocità; man mano che aumentava l’andatura la sua mente ne chiedeva ancora di più e ancora di più e ancora di più. Come ci dice l’Ing. Carcano, per Tenni vincere una gara era un dettaglio: a lui interessava andare più forte che poteva sul tracciato su cui correva. Risulta impressionante la quantità di record sul giro che riuscì a mietere. Amava ripetere “Mi ritirerò solo quando avrò trovato uno più veloce di me”.
L’elemento principale della vita di Tenni sembra quindi essere la velocità.
Nel 1931 Tenni decide che i circuiti cittadini, per intenderci quelli organizzati sulle strade normali di tutti i giorni con le balle di paglia lungo il percorso, non gli permettono di esprimersi al massimo. Per lui ci vuole un circuito dove poter dare il massimo: il circuito di Monza!!
Prende parte ad una gara che si disputa su questo velocissimo tracciato e dopo una partenza fulminante al dodicesimo giro è in testa ed ha superato tutti i più grandi campioni, ma rompe il pistone e si deve ritirare. Ed in quel momento esclama sconfortato:“No ghe xe machine par mi” (Non ci sono macchine per me).
Capirete che per Tenni correre non significava solo vincere. Significava dare il massimo, spremere il mezzo oltre i suoi limiti, fare quello che un altro al posto suo non avrebbe mai fatto ignorando tutti i rischi che questo avrebbe comportato.
Dal 1924 al 1932 Tenni colleziona sei importanti vittorie che lo impongono all’attenzione della stampa nazionale. In particolare nel 1931 la vittoria al Gran Premio Reale di Roma lo proietta nell’olimpo dei campioni. Ma la vittoria che gli darà la più grande soddisfazione la consegue nel 1933 quando partecipa alla gara di Rapallo sul circuito del Tigullio. A quella gara partecipa anche il più grande campione del tempo: Pietro Ghersi. Tenni lo stima e lo ammira come un idolo ed è per questo che alla fine della gara confiderà a Bianchin:”Non ho voluto sorpassarlo nei primi giri perchè mi dispiaceva… mi sembrava di fargli del male”. Ma nell’ultimo mezzo giro Tenni affonda il gas e se lo lascia dietro senza pietà.

Tenni entra nella squadra Guzzi

Egli era cosciente delle sue capacità; la sua irruenza, potenza, spregiudicatezza e “l’ardimento” alla guida, per dirla con un termine molto in voga all’epoca, non coincidevano affatto con la lucidità e l’intelligenza che dimostrava a tavolino. E fu proprio questa sua coscienza degli eventi che lo portò a darsi una scadenza: entro il 1935 avrebbe partecipato alla gara più importanta del mondo: il Tourist Trophy dell’isola di Man, in Inghilterra!
Come prima cosa, per riuscire nell’impresa ci voleva un ingaggio importante in una squadra corse ufficiale. Fortunatamente la Guzzi lo assoldò subito dopo la vittoria su Ghersi. E il primo passo verso il TT era compiuto.
Il 15 ottobre del 1933 la Guzzi lo portò a Roma sul circuito del Littorio per il “Trofeo della velocità” con la bicilindrica 500 in una delle sue prime apparizioni. Il nome del trofeo non poteva essere più azzeccato per Omobono. Ma dopo i primi giri Tenni cade a 180 all’ora (velocità rilevata dai cronometristi). Fu la sua prima caduta in gara, spaventosa, la folla si paralizzò. Dopo 300 metri di strisciata Tenni balzò in piedi correndo verso la moto per riprendere la gara ma si era rotto il gas e la corsa finì lì. Questo episodio attirò su Tenni molte critiche da parte della stampa poichè dopo i primi due giri Tenni era già in vantaggio di un terzo di giro sui concorrenti. Eppure Tenni dava gas come un forsennato e fu accusato di eccessiva irruenza laddove non ci sarebbe stato nessun bisogno di “gettarsi a capofitto nelle curve e d’arrischiare com’egli ha arrischiato” (Motociclismo, 19/10/1933)
Ma questa fu solo la prima prova che Tenni diede delle sue straordinarie qualità fisiche.
Dopo altri successi nel 1935 la Guzzi gli offrì la grande possibilità: il Tourist Trophy.
Il pronostico era stato rispettato!!

Il primo Tourist Trophy

Doverosa parentesi per i meno informati: il Tourist Trophy si corre sull’isola di Man nel nord dell’Inghilterra. È considerata una delle corse più antiche del mondo (prima edizione ufficiale nel 1907) e per questo resiste ancora oggi come unica gara di risonanza mondiale che si svolge su di un circuito cittadino, pur non essendo più inserita nel calendario ufficiale dei Campionati Mondiali Velocità. Si tratta di una strada che normalmente è aperta al traffico e che viene trasformata in circuito in occasione del TT. Il tracciato si snoda su una distanza di circa 37 miglia che comprende di tutto: salite, discese, tornanti, tratti in mezzo alle case, muretti, recinzioni e pali della luce!! Ogni anno vede qualche pilota perdere la vita ma nonostante questo è considerata un culto ed è praticamente intoccabile. Memorabili i duelli tra Agostini e Mike ‘The Bike’ Hailwood durante l’appuntamento del Motomondiale che negli anni ’60 comprendeva anche il circuito del Mountain sull’isola di Man. Durante i quasi 100 anni di vita del circuito, le uniche cose che hanno impedito lo svolgersi della gara annuale sono state le due guerre mondiali e la malattia “lingua blu” che alla fine degli anni ’90 ha colpito gli ovini europei. Si temeva che le decine di migliaia di persone che sarebbero accorse per la manifestazione sportiva avessero potuto propagare il virus sull’isola dove non era ancora comparso.
Detto questo spero si comprenda l’importanza che la gara dell’I ‘o Man, per dirla all’inglese, aveva nel 1935. La corsa più famosa del mondo, la gara dei giganti, l’appuntamento di tutto l’olimpo dei più grandi campioni di fama mondiale. Sin dalla prima edizione, 28 anni prima, veniva vinta da piloti inglesi su moto inglesi (a parte una vittoria della Indian in una delle prime edizioni)!
Tenni su Guzzi 250 impone il suo ritmo già dalle prove facendo registrare un tempo record sul giro mai visto prima: 30’10”. Ma la gara verrà vinta dall’inglese Stanley Woods, anche lui su Guzzi. In gara Tenni cade al quinto giro a causa della nebbia che rende la visibilità scarsissima e non gli fa vedere in tempo un corvo che si era piazzato davanti alla sua moto. Ma nonostante la vittoria in gara Woods non riesce a battere il tempo di Tenni facendo registrare il giro più veloce a “soli” 30’31” cioè 21 secondi in più.
Tenni comincia a fare paura a tutti. La stampa inglese lo nota subito e lo marchia con l’appellativo di “The black devil” (il diavolo nero).
L’incidente in gara gli procura la frattura di due vertebre ma dopo due giorni Omobono vuole partecipare alla gara delle 500.

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Dovranno intervenire i dirigenti italiani per impedirgli di correre e per trasportarlo in Italia dove si rimetterà dopo 20 giorni, pronto a risalire in sella nonostante i medici inglesi lo avessero dato per finito. Mentre veniva curato a Bologna riceve la notizia della nascita del secondo figlio che chiamerà Giuseppe, nome che trasformò subito nel soprannome “Titino” in onore del TT, il Tourist Tropy.
Tenni ormai appartiene ad un altro pianeta; dopo un mese dalla dimissione dall’ospedale partecipa alla gara del Circuito di Livorno valevole per la Coppa Ciano. Arriva primo staccando i suoi compagni di squadra di 10 minuti uno e di oltre 30 minuti l’altro.
Non sto qui a raccontarvi tutte le imprese di Tenni perchè sono quasi tutte uguali: se la moto non si rompe Tenni vince e umilia tutti.

L’incidente delle due dita

Nel marzo del 1937 accade il famoso incidente delle due dita. Di questo incidente esistono diversi racconti leggermente discordanti ma più o meno le cose andarono così: Tenni si allenava sulle strade del Lario per partecipare alla corsa Milano-Napoli. Un carro sbucò all’improvviso da una traversa e Tenni lo prese in pieno a forte velocità. L’impatto fu tremendo e dal piede del pilota si staccarono due dita. Tenni non fece un lamento, prese le dita e le mise in tasca avvolte in un fazzoletto mormorando: “Chissà che non le possano riattaccare”. Venne trasportato in ospedale ma durante le cure le due dita rimasero nella tasca del pilota, probabilmente a causa dello stordimento dovuto all’incidente. Fatto sta che le dita uscirono dalla sua tasca solo dopo le medicazioni ed oramai era tardi per tentare un intervento di ricucitura.
Una variante meno credibile del racconto recita che Tenni dopo le prime cure tirò fuori il fazzoletto dalla tasca per soffiarsi il naso e ne uscirono le due dita, quando le vide il campione esclamò:“Me le ero dimenticate…”. Se qualcuno conosce la versione ufficiale della storia si faccia pure avanti.

Il secondo viaggio all’Isola di Man

I primi di giugno del ’37 Tenni riparte verso l’isola di Man per partecipare di nuovo al tanto sognato Tourist Trophy che nessuno straniero era ancora riuscito a vincere. La ferita al piede è ancora aperta ma Omobono sente solo il richiamo dell’isola. La sua determinazione a partecipare alla grande competizione internazionale è totale e nel mondo sportivo inglese spasmodica è l’attesa per l’arrivo del Diavolo nero: The black davil!
Un famoso quotidiano inglese lo accoglie addirittura con un ampio titolo che appare su tutta la testata del foglio:“L’uomo che viene dalla terra dei Cesari”.
Mai nessun campione ha avuto in Inghilterra tanti omaggi come Omobono. Egli arrivò a dire a Bianchin: “Gera stufo!…”, intendendo che non ne poteva più di fotografi, giornalisti e via discorrendo. Già durante gli allenamenti una folla insolita si assiepa lungo il tracciato per vederlo passare.
Una mattina durante un allenamento con la sua fida Guzzi 500, Tenni si infila a tutta velocità in una curva subito dopo il traguardo dove c’è una ripida discesa., sia pure breve, ma a piccoli tornanti pericolosissimi. Chi assisteva urlò di terrore:”S’è ammazzato!”. Invece Omobono riuscì a controllare la moto facendo dei zig-zag e la stampa che non lo mollava un attimo subito pubblicò:“Tenni è un pazzo, ma un pazzo che sa dominarsi ed è un avversario molto pericoloso. Davanti alle persone che assistevano alle prove egli ha scritto i numeri sulla strada”.
Durante l’ultimo giorno di allenamento Omobono stabilisce il primato sul giro come era avvenuto due anni prima.
Il giorno della gara una folla enorme occupava ogni angolo del tracciato. Moltissimi erano li per lui, per il “Diavolo nero”, per l'”Uomo che viene dalla terra dei Cesari”, per il “Re delle curve”, per “Colui che sfida la morte”. Nell’aria si respira il pericolo che Tenni possa far abbassare dal pennone il vessillo del Regno Unito, avvenimento inconcepibile per gli Inglesi pur nella loro sportività.
Dopo aver ascoltato l’inno britannico, Tenni entra in gara con la 250 e parte a tutta velocità lasciandosi dietro Ginger Wood, Tyrell Smith, Stanley Wood (su Guzzi), E. Kluge, Ernie Thomas e Les Archer che cercheranno la rimonta lungo il percorso di 37 miglia e 3/4 da ripetere sette volte. Prima della fine del primo giro, Tenni scivola sull’asfalto viscido per il sole cocente. Perde 35 secondi e passa in seconda posizione dove rimane per due interi giri.
Ma Tenni vuole vincere ad ogni costo e si getta in una corsa folle verso il primo posto. Una foto scattata a Tenni durante un curva affrontata a tutta velocità verrà definita all’unanimità dalla stampa internazionale come “la più bella foto mai scattata ad un motociclista in azione”.

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Al quarto giro Tenni riconquista la prima posizione e spinge così forte sul gas da staccare tutti gli avversari. Durante questo giro stabilisce il record assoluto del tracciato con un tempo pazzesco di 29 minuti e 8 secondi alla incredibile media di 77,72 miglia orarie. Ma è il settimo giro, l’ultimo della gara, che riserva a Tenni una amara sorpresa che metterà a dura prova il suo sistema nervoso. La moto si ferma per colpa della candela. Tenni inizia l’operazione di sostituzione con le mani tremolanti per la tensione. In cuor suo sentiva la vittoria sfuggirgli, come confiderà poi a Bianchin. Ma sostituita la candela si butta di nuovo a corpo perduto sulla pista. E’ ancora primo seppur di poco e vede la vittoria a portata di mano. La folla impazzisce per l’impresa, i radiocronisti inglesi urlano ai microfoni con una enfasi tale da far perdere quasi il significato delle parole. In quei frangenti venne pronunciata alla radio la famosissima frase che fece il giro del mondo:
“Tenni curva con pazzo abbandono tanto da far dubitare circa il suo giungere al traguardo in un sol pezzo”. In Italia moltissimi erano quelli che attendevano vicini alla radio l’ultima frase dei radiocronisti, la frase liberatoria:”TENNI HA VINTO!!”.
Omobono vince il TT per la categoria 250 in un tempo di 3 ore, 32 minuti e 6 secondi alla fantastica media di 74,72 miglia (120,224 km/h e non dimentichiamo che guidava una 250 monocilindrica). Al secondo posto giungeva Stanley Wood staccato di 37 secondi e terzo era E.R. Thomas staccato di 4’30” da Tenni.

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La corsa più importante del mondo veniva vinta per la prima volta da uno straniero su una moto straniera dopo 25 edizioni (disputate in 30 anni) di supremazia inglese e sul pennone veniva issato il Tricolore italiano. Tenni era diventato una Star e distribuiva non meno di tremila autografi al giorno. “Me faceva mal la man”, riferirà a Bianchin una volta in Italia. Subiva l’assalto dei giornalisti e dei fotografi. Attori ed attrici famosi si congratulavano con lui senza contare i massimi esponenti dello sport inglese e le autorità britanniche. Fu un enorme trionfo. Non mancò un telegramma alla famiglia dove scrisse solo:“Primo et giro più veloce Tenni”.
Dopo un giorno di riposo l’aspettava la corsa nella categoria delle 500. Tenni riferirà di aver provato la più grande emozione quando prima del via venne issato il Tricolore al posto della bandiera inglese e venne suonata la “Marcia Reale” al posto di “God save the King”. Purtroppo la sfortuna si trovò davanti alla moto di Tenni e al quarto giro si ruppe il filo del gas mentre Tenni era secondo. Il ritiro fu inevitabile ma ormai l’impresa era compiuta.

Il Gran Premio d’Europa

Tornato a Treviso fu festeggiato da amici ed ammiratori e confidò a Bianchin le sue impressioni:“Questa volta mi pareva di correre a casa mia e di avere un pubblico mio”. Ero deciso a vincere ad ogni costo, costasse qualunque cosa: l’Italia doveva vincere il Tourist Trophy…”.
Dopo poco Tenni è di nuovo in partenza per Berna dove il 4 luglio si disputerà il Gran Premio d’Europa 1937. Quando Bianchin gli si avvicina per scattargli qualche foto poco prima della partenza Tenni gli dice:“I xe anca stufi de vedarme…” (saranno anche stufi di vedermi) facendo onore alla sua proverbiale riservatezza.

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Vince la 250 calcolando i centesimi di secondo ad ogni giro e al secondo posto si classifica Pagani facendo salire il tricolore per due volte sul pennone. Si tratta della seconda importante affermazione internazionale di Tenni che da ora in poi non conta quasi più le vittorie. Da segnalare la vittoria sempre nel ’37 sul circuito di Monza nella classe 500 e il secondo posto nella classe 250. Nel ’38 poi Tenni si trova sul circuito di Monza per dei tentativi di record nelle classi 250 e 500. I risultati sono riassunti nelle righe seguenti:
5 Km. lanciati record del mondo alla media di km 187.832
5 miglia lanciate record del mondo alla media di km 187.503
10 Km. lanciati record del mondo alla media di km 174.833
10 miglia lanciate record del mondo alla media di km 178.485
50 Km. da fermo record del mondo alla media di km 182.629
50 miglia da fermo record del mondo alla media di km 177.779
100 Km. da fermo record del mondo alla media di km 178.807
100 miglia da fermo record del mondo alla media di km 179.914
Un’ora da fermo record del mondo alla media di km 180.502
Durante il 1939 Omobono è costretto ad interrompere la sua attività sportiva a causa della guerra in rapida espansione. Tenni passa tutto il periodo bellico a Treviso dedicandosi alla famiglia ed alla sua officina in Piazza Filodrammatici. In questo periodo si riprende anche dalle oltre 60 cadute accumulate negli anni delle corse che hanno segnato e cosparso di cicatrici il suo corpo.
Alla fine della guerra Tenni è indeciso se riprendere o meno a correre anche perchè ha raggiunto i quaranta anni. Ma la filosofia di Tenni è una sola:“Mi ritirerò solo quando avrò trovato uno più veloce di me!”. E così si ripresenta nel 1945 sui campi di gara. E’ un susseguirsi di vittorie ininterrotte.

Nel 1948 partecipa per la terza volta al Tourist Trophy. Dopo aver segnato il giro più veloce, al quinto giro è costretto a ritirarsi per problemi alla candela ed ai freni. Quegli stessi inglesi che lo avevano definito undici anni prima “il diavolo nero” ora lo chiamano “il più grande campione del mondo”.

omobono7omobono8La parentesi a quattro ruote

Per rendere un quadro quanto più completo della personalità del grande campione è giusto parlare anche del suo breve “cedimento” alla tentazione dei mezzi a quattro ruote. Probabilmente fu spinto a tentare la sorte con le auto dall’esempio del grande Nuvolari ma anche dalle pressioni psicologiche che la moglie e gli amici esercitavano su di lui per farlo smettere di correre in moto in qual modo ritenuto troppo pericoloso.
Omobono partecipò alla Mille Miglia del 1936 su una Maserati, nella categoria delle 1500 cc.
L’Ing. Carcano ci racconta come testimone diretto questo episodio della carriera di Tenni:
“sì sì, mi ricordo una delle esperienze automobilistiche di Omobono Tenni. Sapete che Tenni ha corso in automobile, e ha fatto una Mille Miglia con Bertocchi, che era il Moretto della Maserati. Questo Bertocchi dopo le prime uscite che ha fatto con Tenni, per prima cosa ha messo un bottone grosso così che metteva a massa l’accensione, (ride) perchè se succedeva qualcosa pigiava e via. Bertocchi diceva che Tenni era terribile, era Tenni anche in automobile.
A Milano avevano fatto un circuito intorno all’Arena, tra il parco e l’Arena. L’anno di preciso non me lo ricordo, era dopo la guerra. La Maserati aveva portato il 1500 ed il 3000. Tenni fece una decina di giri in prova con il 3000 ed aveva già portato via tutte le balle di paglia che c’erano. Allora l’hanno fatto correre con il 1500 (ride).
Mi ricordo che lui aveva il 1500 quattro cilindri, e c’era Trossi che aveva la nuova 1500 sei cilindri. Ha vinto Trossi, ma Tenni era lì, stava dietro non so se per ordine di scuderia o perchè non riusciva ad andare più forte.
Corre Omobono… anche con l’auto era un irriducibile.”
Successivamente partecipò al Gran Premio di Montecarlo dove fu costretto a ritirarsi per problemi alla macchina dopo aver stabilito il primato sul giro e mentre stava conducendo in testa la corsa. Al Gran Premio di Germania, al Nurburgring, stabilì ancora una volta il record sul giro ma non riuscì ad arrivare tra i primi decidendo in quell’occasione che forse la moto era un mezzo che gli si addiceva di più.

La morte di Tenni

Tenni è intenzionato a scacciare la delusione per il ritiro al TT partecipando al Gran Premio di Berna con tutta l’intenzione di vincere. Il primo luglio del 1948, alla curva Ejmatt del circuito di Berna Omobono Tenni muore in seguito ad una tragica caduta. Incredibilmente poche ore dopo la morte di Tenni anche un altro grandissimo campione muore cadendo alla stessa curva: Achille Varzi. Anche in questo caso è sicuramente preziosa la testimonianza resaci di “prima mano” dall’Ing. Carcano:
“Tenni aveva un morale ed un coraggio enormi. Mi ricordo con dispiacere di quando è caduto ed è morto a Berna. Io per combinazione ero a Roma, ed ho un rimorso di coscienza. Sa, sono quelle cose che si dicono e magari poi non sono vere, ma forse se ci fossi stato io non sarebbe successo.
Allora avevamo realizzato una bicilindrica sperimentale, e l’avevamo mandata al Centro Studi dell’Esercito, a Roma. C’erano state delle discussioni perchè non ricordo più cosa volevano, ed allora Carlo Guzzi mi aveva detto di andare a Roma per seguire la situazione.
Là a Berna Tenni aveva provato a lungo la 250 bicilindrica ed era convinto sì e no, se adoperarla in corsa e prima che chiudessero gli allenamenti aveva detto al Moretto “Io voglio provare la mia 250 monocilidrica”. Le due moto erano diverse, nel senso che la 250 bicilindrica era molto più alta, di pedane e di tutto, mentre l’altra era più bassa. Insomma prese questa Albatros normale e ci ha fatto un giro, è arrivato dove comincia la salita, una curva a destra, ha inclinato molto, ha toccato giù ed è andato via. Ha picchiato col collo proprio contro un alberello grosso così (fa il gesto) ed è morto sul colpo. Non so… gli allenamenti stavano finendo e se lui avesse deciso di correre con l’Albatros non avrebbe avuto bisogno di provarla, perchè l’aveva straprovata chissà quante volte. Son cose che vanno così. Era un uomo buono”.
La salma fu trasportata da Berna a Mandello del Lario dove fu organizzata una veglia negli stabilimenti della Moto Guzzi. Il 4 luglio venne trasportato nella sua città a bordo di un camion della Moto Guzzi adibito a carro funebre, dove sfilò tra due ali di folla formate da migliaia di persone.

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Lungo la strada vennero sparsi fiori e un aereo dell’Aereo Club di Treviso continuò a lanciare fiori da Castelfranco a Treviso. Dopo il funerale svoltosi nella cattedrale, la folla che accompagnò Tenni al cimitero era composta dai più grandi campioni dell’epoca: Balzarotti, Sandri, Martelli, Bandini, Luigi Ruggeri, dai suoi meccanici e da tutti quelli che lo avevano ammirato.

Tenni oggi

Tenni è per tutti gli appassionati di motociclismo il simbolo di un coraggio oserei dire “pionieristico”, una forma di spregiudicatezza che assume un sapore tutto particolare di romanticismo e di eroismo. Pensare alla quantità interminabile di record sul giro che il grande campione ha mietuto ci fa rendere conto di come egli vivesse le corse, di come le sentisse terribilmente importanti anche dopo essersi affermato sui più importanti campi di gara. Ma francamente penso che Tenni fosse anche un pilota al limite dell’incoscienza. E’ difficile credere come si potesse andare a certe velocità per lungo tempo a bordo di moto dalla ciclistica improbabile e dai freni che lo erano più di nome che di fatto. Ma forse Tenni era nato per fare il pilota, un essere umano assetato di velocità al punto da non subire nessun freno psicologico dopo sessanta cadute spaventose quando alla maggior parte dei motociclisti odierni basta anche solo una caduta per guidare insicuri per il resto della vita.
Oggi Omobono Tenni rivive ufficialmente attraverso il nome di una strada che gli è stata intitolata a Tirano, attraverso lo stadio di calcio di Treviso che porta il suo nome, tramite le moto da lui guidate esposte al museo Guzzi e tramite la statua che è esposta sempre al museo Guzzi che solo dopo la recente ristrutturazione del museo ha trovato una degna collocazione nell’ufficio che era stato di Carlo Guzzi.

omobono10

Inoltre esiste la pubblicazione di P. M. Bianchin intitolata “Tenni” che però non è più reperibile se non attraverso le fotocopie di qualche buon samaritano che ne è in possesso.
Tutti conoscono il nome di Nuvolari ma non quello di Omobono Tenni. Per rendergli giustizia Tenni dovrebbe essere altrettanto famoso sulle moto di quanto Nuvolari lo è oggi sulle auto. Ma il problema non è rendere famoso un campione: Tenni fu probabilmente il pilota di moto più famoso del mondo negli anni ‘30.

Il problema è fare in modo che la sua fama rimanga intatta negli anni con ricorrenze, pubblicazioni, eventi che ne ricordino la memoria. E questo compito penso che spetti di dovere alla Casa a cui Tenni più di tutte ha dato: la Moto Guzzi.
Ma anche in questo caso come al solito ci sono gli appassionati che ci pensano. Non mancano infatti Moto Club intitolati al grande campione ed ai raduni ufficiali Guzzi si scorgono spesso delle magliette con il nome del Mitico. Penso che non sia fuori luogo ringraziare coloro che tengono vivo il nome di Omobono in un tempo in cui questo nome è praticamente sconosciuto al di fuori di quel “manipolo di inguaribili romantici”!

DR. JOHN WITTNER

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Dr. John Witter
di Fabrizio Angelelli

La sua carriera

A chi non conosce la sua storia, parlare della carriera del Dr John provocherà non poche perplessità.
Infatti non stiamo parlando di uno che ha dedicato la sua vita ai motori o che già a dodici anni faceva il garzone nella bottega di qualche affermato meccanico. Niente di tutto questo. Stiamo parlando di un dentista americano.
Già, avete capito bene: un dentista americano.
La vita, si sa, riserva a volte delle sorprese e così può succedre che un dentista americano diventi un personaggio molto importante nella storia di una casa motociclistica come la Moto Guzzi.

Il Dr. John Wittner
Ma vediamo come si sono svolti i fatti.

Il Dr. John Wittner praticava la sua professione a Philadelphia ma il suo tempo libero lo dedicava a elaborare motori soprattutto Harley Davidson. Tra le tante occasioni che passavano tra le sue mani, un giorno si trovò davanti ad una Guzzi e, preso dal fascino di questa moto, l’acquistò.
Da quel giorno la sua attenzione fu tutta rivolta al bicilindrio italiano che ha conquistato il dottore con la sua semplicità ed efficacia meccanica.

Con la moto da lui stesso elaborata ed assembata, il Dr. John partecipa nell’84 al campionato americano Endurance. Cominciano ad arrivare le prime vittorie e incredibilmente arriva anche la vittoria dell’intero campionato.

Il Dr. John con il fedele Doug Brauneck
Il Dr. John con il fedele Doug Brauneck

Il Dr. John sente una spinta irrefrenabile per il mondo delle corse soprattutto ora che sono arrivati anche dei risultati significativi.

E fu così che il nostro eroe compie la pazzia che lo ha reso famoso in tutto il mondo: vende il suo studio dentistico per dedicarsi esclusivamente alle Guzzi!!!
Cosa dire davanti a questo gesto? Molti giurerebbero trattarsi del gesto compiuto da un insano di mente… ma vediamo come prosegue la storia.

L’anno seguente (1985) la Guzzi del Dr. John sbaraglia la concorrenza nello stesso campionato vincendo tredici gare ed aggiudicandosi un altro titolo.
Da questo momento però inizia una fase di decadenza poichè la moto necessiterebbe di nuovi sviluppi visto che le squadre avversarie, battute per due anni consecutivi, non sono state certo a guardare.
Arriva il momento in cui Wittner si trova in seria difficoltà economica e decide di chiedere aiuto direttamente alla Moto Guzzi.
Viene in Italia e si rivolge ad Aleandro De Tomaso portando con se il palmares delle vittorie ed i suoi progetti per la moto che vorrebbe realizzare.
De Tomaso, allora titolare della casa Mandelliana, decide di porre la sua fiducia nei progetti di John Wittner (stranamente vista l’estrema cautela dell’argentino verso gli investimenti per i progetti innovativi).
Ricomincia un periodo di prosperità per la Guzzi del Dr. John che conquista anche il campionato americano Pro Twins più conosciuto come BoTT (Battle of The Twins).
Intanto in Guzzi si lavora per fondere in una unica moto il motore a quattro valvole progettato dall’Ing. Todero con la ciclistica pensata dal Dr. John.
Messo a punto il motore otto valvole, il Dr. John partecipa alla famosa gara di Daytona che in america rappresenta il banco prova di ogni scuderia. La nuova moto mette a segno un meraviglioso terzo posto.
E così le viene dato il nome di battesimo “Guzzi Daytona 1000R USA”.
Passando alla produzione di serie, il nome diventa “1000 Daytona”.

Guzzi Daytona 1000R USA
Guzzi Daytona 1000R USA

Oggi il Dr. John Wittner vive in America, c’è chi dice che sia ripartito dall’Italia molto deluso per il comportamento della dirigenza Guzzi, c’è invece chi dice che si è semplicemente esaurita quella carica di passione che lo ha mosso in quegli anni di grandi avvenimenti. Che sia vera una voce o l’altra tutti gli appassionati di Moto Guzzi in tutto il mondo gli devono qualcosa, quindi auguriamo al mitico Dr. John tutto il bene possibile per un radioso futuro.

IL GRANDE LINO TONTI

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LINO TONTI
di Fabrizio Angelelli

La sua carriera

Figura eccezionalmente poliedrica, Lino Tonti nella sua carriera ha inventato e progettato di tutto. Nato nel 1920 a Cattolica, in provincia di Forlì, era ad una distanza ridotta da quella che all’epoca era una delle maggiori case motociclistiche nazionali: la Benelli di Pesaro.

La sua carriera infatti inizia proprio in Benelli, nel 1937, al fianco di Giuseppe Benelli. Prima che questo sogno ad occhi aperti si interrompesse a causa del secondo conflitto mondiale, Tonti aveva fatto in tempo ad occuparsi di cose veramente interessanti per la sua formazione, come i motori da competizione ed in particolare il Benelli 250 quattro cilindri sovralimentato.

In piena guerra Tonti si occupò in proprio di progettazione e preparazione di mezzi da competizione.
Si trasferì poi a Varese, dove la Macchi aveva acquistato un suo progetto di scooter a ruote alte con motore mono da 125 cc.

L’abilità ed il talento di Lino non sfuggirono al conte Giuseppe Boselli che nel 1957 lo incaricò di progettare una Mondial 250 da Gran Premio. Purtroppo la Mondial proprio quell’anno decise, insieme a Guzzi e Gilera, di ritirarsi dalle corse. La moto realizzata è servita però da base per tutte le Paton bicilindriche (Paton sta appunto per PAttoni e TONti e ha partecipato fino al 2001 al motomondiale nella classe GP 500).

Nel 1958 avviene il suo passaggio alla Bianchi, altra casa di grande rilievo. La sua attività di progettista in Bianchi portò alla realizzazione di diversi modelli di serie sia civili che militari fino alla realizzazione di una eccezionale bicilindrica da competizione: la 250 bialbero portata poi a 350 e infine a 454 cc.
Uscita di scena la Bianchi, Tonti entrò in Gilera nel 1964 e vi rimase fino al 1966 ed anche qui si occupò di progetti estremamente innovativi ed originali per l’epoca.

Tonti e la Moto Guzzi

Lino Tonti entrò in Guzzi nel 1967 e si mise subito al lavoro per affinare una macchina già di per se molto valida come la V7, con la quale la casa aveva in mente di tentare la conquista di alcuni record mondiali in modo da avere un forte ritorno d’immagine.

Nell’ottobre del 1969 a Monza, durante la caccia ai record con i prototipi della V7 Special, improvvisamente l’allora direttore generale della Moto Guzzi, Romolo De Stefani, decide che la Guzzi deve costruire un’autentica moto sportiva ed indica a Tonti tre parametri fondamentali da seguire: 200 kg, 200 km/h, 5 marce.

Tonti si mette subito all’opera ma le agitazioni sindacali che nel ’69 si accendono nella società creano enormi problemi per il nuovo lavoro. Tonti allora trova rimedio alla situazione prelevando un motore V7 vuoto, alcuni metri di tubi da telai e si reca nella sua cantina privata dove chiama a supporto il suo collaboratore di tante realizzazioni Alcide Biotti. Inizia così la realizzazione del telaio che diventerà poi un caposaldo della produzione Guzzi per tanti anni a venire. Praticamente fino ad oggi!

Il telaio realizzato artigianalmente da Tonti in casa, equipaggiato di un motore V7 in versione record, a Monza gira immediatamente di ben sei secondi più veloce della V7 Special da record usata nel ’69.
Tale risultato implicò la verniciatura in rosso del telaio sui primi 150 esemplari della V7Sport in modo da dare risalto a tale componente così ben riuscito.

La Moto Guzzi V7 Sport
La Moto Guzzi V7 Sport

Nacque così la mitica V7 Sport Telaio Rosso, ambitissima da tutti i collezionisti del mondo.

Ma Tonti non si ferma a questo e realizza un numero incredibile di progetti per la Moto Guzzi la maggior parte dei quali rimarranno solo sulla carta o al massimo alla prima fase di prototipo.

Prototipo di un quattro cilindri
Prototipo di un quattro cilindri

 

Suo è anche il progetto delle bicilindriche della “serie piccola” V35-V50, pensate per essere realizzate con maggior semplicità ed economicità di produzione rispetto alle sorelle maggiori V7.

Non mancano però anche in questo motore così apparentemente semplice, una serie di particolari molto originali, come ad esempio la presenza di valvole parallele. Infatti la camera di scoppio, di tipo Heron, è ricavata completamente nel cielo del pistone. Il propulsore adottata una pompa dell’olio a lobi anziché la classica ad ingranaggi (prima applicazione di questo tipo di pompa su una moto italiana). Il basamento è diviso in due pezzi con piano di unione orizzontale che taglia a metà i supporti di banco. Passando alla ciclistica, assolutamente originale è il forcellone in lega d’alluminio che per la prima volta al mondo fu impiegato per la produzione di moto in grande serie.

Insomma Lino Tonti vanta un “campionario” di realizzazioni veramente vasto e può ben dire di aver spaziato con disinvoltura da motori utilitari di piccola cilindrata a moto da competizione di sua completa invenzione (ricordiamo le LINTO, nate dall’accoppiamento di due motori Aermacchi 250, nel 1968).

Grazie di tutto grande Lino.

Naco

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di Vanni Bettega

PREMESSA

Poiché i fatti che vado a narrare sono accaduti negli anni 20, io non ero ancor nato, mi avvalgo di racconti che ho raccolto in particolare da Piero Pomi che conobbe Naco e da Forni, che mi lascia spulciare i documenti conservati presso il Moto Club Carlo Guzzi di Mandello dove è pure conservata la moto del Naco.

“ Per quasi 2 ore vado errando pei monti senza meta fissa,senza guida, solo preoccupato di imprimere nella mente nuovi paesaggi, nuovi panorami, nuovi spettacoli di natura.”
Ing. Giuseppe Guzzi
Il fratello di Carlo Guzzi si chiamava Giuseppe.
Come s’usava dalle nostre parti, gli venne affibbiato già in famiglia un soprannome, Naco appunto.
Anche Carlo aveva il suo bravo soprannome ma veniva usato solo in famiglia: veniva chiamato Taj.
Naco era uno strano tipo, molto diverso da Carlo sia nella corporatura che nel carattere.
Mentre Carlo era un vispo donnaiolo, Naco era tranquillissimo, quasi ascetico. Naco l’anima della Guzzi turistica, Carlo l’anima della Guzzi sportiva.
Si narra che volendo dare in permuta la vecchia motocicletta adducendo a Carlo che era stata usata pochissimo, Carlo così rispondesse:
“Anca el Naco l’ha mai dopràa, però l’è diventaa vecc e ‘l voeur piu nisùn! “ (anche il Naco non l’ha mai adoperato ma adesso è vecchio e non lo vuole più nessuno!).
Naco era grande e grosso, aveva dita con cui non riusciva a comporre i numeri al telefono e faticava pure a trattenere la matita.
Soffriva tantissimo il caldo, tant’è che nel suo ufficio costruì un impianto di raffreddamento, facendo correre a serpentina lungo le pareti i tubi in cui scorreva l’acqua potabile.
D’estate per contattarlo bisognava attendere che si rimettesse la camicia, poiché disegnava a torso nudo.
Era ingegnere civile, aveva progettato parte dei capannoni aziendali oltre alla centrale idroelettrica dello Zerbo, per fornire energia all’azienda.
D’estate aspettava con ansia le ferie per poter effettuare i suoi giri in moto.
Aveva una Sport 500 (oggi si dice Sport 13 perché è nata prima della Sport 14 , ma Naco non lo sapeva e la chiamava solo Sport 500) molto personalizzata con cui si cimentò nei seguenti raids:

1923 Mandello-Parigi 2000 km
1924 Mandello-Tolosa-Pirenei 2500 km
1925
1926 Mandello-Vienna–Budapest-Carpazi 3000 km
1927 Mandello-Slesia 3000 km
1928 Mandello-Stoccolma-Lapponia-Oslo-Berlino 6200 km
1929 Mandello-Amburgo 2200
Tutte queste date sono incise su una targa applicata al parafango anteriore della moto.

Nel 1926 mentre si trovava sui Carpazi ruppe il telaio rigido della Sport.
Da bravo ingegnere, Naco si aiutò con delle vecchie coperture e camere d’aria a collegare il triangolo posteriore alla zona della sella e allo zoccolo del motore.
Fu così che se ne tornò a Mandello col triangolo posteriore della moto che sballonzolava come se sulla sua moto rigida avesse montato un retrotreno elastico (Più elastico di così!…).
Quando infine arrivò in fabbrica confidò a Carlo:
“te set che la va mej inscì?” (Sai che va meglio così?).
Gli frullò quindi nella testa di fare una moto elastica partendo dall’idea di far muovere tutto il retrotreno, non come facevano gli altri con le ruote guidate, che se prendevano un po’ di gioco non si stava più in strada! Si mise al tecnigrafo, disegnò il forcellone oscillante e un pacco molle posizionate sotto il motore. Si trattava di una trentina di molle le più dure delle quali entravano in azione man mano che le più deboli andavano a pacco. Nacque così la GT 500.
La moto di Naco era però la stessa del 1926. Aveva applicato alla moto le modifiche della GT e con questo allestimento andò dapprima a Slesia nel 27, poi si buttò nell’impresa della Lapponia nel 1928. Sull’onda delle emozioni procurate da Umberto Nobile e Amundsen nel 1926 che col dirigibile Norge, partiti da Roma, sorvolarono con successo il Polo Nord, la fantasia popolare ribattezzò quel modello col nome di NORGE. Ovviamente lo si pronuncia all’italiana, esattamente come lo si scrive!
Per la verità, la moto del Naco era molto personalizzata, sotto il faro, in posizione trasversale, c’è montato un tubo col tappo per contenere le carte geografiche e le mappe, un po’ come si conservano i disegni tecnici; sul lato destro c’è una fondina, fissata per contenere la sua pistola, c’è un pesantissimo cavalletto laterale e ganci di fissagio un po’ dovunque. Il cavalletto centrale si può azionare da entrambi i lati della moto.

Si narra che una volta uscito dal cancello della fabbrica, con gli operai sulla soglia a salutarlo, il Naco forò una gomma nel sottopasso della ferrovia che immette sulla statale.
Gli operai accorsero offrendosi di riparare lo pneumatico ma lui li fermò. ”Sono già partito” affermò “durante il viaggio tocca a me sbrigarmela! Andate al lavoro che qui ci penso io!” e così fece!
Non ebbe la Norge grande successo commerciale, si diffidava delle sospensioni posteriori ritenendole antisportive, comunque ne vennero vendute 75 esemplari del modello civile e 245 esemplari del militare, per un totale di 320 veicoli.
Nel 1931 come voleva la moda dettata dagli inglesi, si adottò il cosiddetto serbatoio a sella, non più sottocanna.
La GT 500 civile si chiamò GT16 e la versione militare GT 17.
Nel 1935 la Moto Guzzi decise di partecipare al TT, viste le esperienze positive fatte col modello molleggiato, si partecipò in entrambe le categorie con moto molleggiate.
Stanley Woods in sella alle Guzzi vinse entrambe le gare.
Questa vittoria fu di risonanza mondiale, mai nessuna motocicletta straniera aveva vinto il TT prima d’allora!
Va da sé che queste vittorie sfatarono la credenza che il molleggio fosse antisportivo, la Guzzi propose tutti i modelli in versione molleggiata e così da quell’anno fecero pure tutte le aziende al mondo.
Negli anni ’50 Naco si decise ad aggiornare la sua moto. Alloggiò il motore che era sempre lo stesso dal 1926, quello della Sport 500, in un telaio della GT16 modificato. Voleva vedere fin quando sarebbe durato quel motore. Non lo saprà mai.
Era nato il 6 agosto 1882 e morì il 14 giugno 1962.
Giuseppe Guzzi ha scritto anche un libricino stampato nel 1942, dal titolo ” LA MOTOCICLETTA E IL MOTOCICLISTA”, dove spiega il funzionamento dei vari organi componenti la motocicletta ed alcuni consigli sul come portarla.

La sua moto fu donata dalla vedova di Ulisse Guzzi (figlio di Carlo) al Moto Club Carlo Guzzi di Mandello, dove è tuttora conservata.
E’ bella l’idea di chiamare Norge il nuovo modello, però si potrebbe chiamare anche Naco un modello turistico e Taj un modello sportivo!
La moto del Naco è stata utilizzata nel 1991 per rievocare il viaggio in Lapponia.
In quella occasione è stata messa a punto da Giovan Battista Zucchi che ha affrontato lo stesso viaggio del 1928 senza alcun problema.
Il motore va ancora e credo che neppure io saprò mai fin quando dura!

PS: Questa lettera è la traduzione di un articolo apparso su un giornale di Oslo.
Naco scrisse un report del suo viaggio che venne pubblicato suddiviso in 3 spezzoni su 3 numeri di Motociclismo, nel luglio 1929.

Nel 1991 il moto club Carlo Guzzi stampò una cartolina ricordo con la piantina del viaggio.

Piero Pomi

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Colnago e Piero Pomi a Monza nel 1957
di Vanni Bettega

La moto ferma sul cavalletto scandisce il suo minimo.
Il minimo è come un prestigiatore che ti mostra il gioco lentamente, per spiegartelo bene: “Ecco, adesso fffft aspiro, poi tappo le orecchie,spingo forte e pum!! Dai che riproviamo!!” Ecco, adesso fffft…”
Questo discorso lo sento fare migliaia di volte, mentre guardo il volano della Sport 15 del Cechin tulèe, il lattoniere.
La moto la lascerà accesa tutto il giorno, per sfottere il Giorgio macellaio che ha la bottega qui di fronte, perché lui ha la Gilera 4 bulloni che il minimo non lo tiene per niente.
Questi sono i primi ricordi che ho della Guzzi.
Io abito sul lago, mi piace pescare e sto appunto pescando presso casa mia, in corrispondenza della curva di Morcate, la curva più brutta di tutta la litoranea.
Sulla Statale non passa nessuno. A un tratto sento un rombo di moto, tante moto.
Allora mollo la canna e su a vedere: sono i collaudatori della Moto Guzzi, con una decina di Trialce, i motocarrozzini. Nell’affrontare la curva, un collaudatore esce di strada e cade in acqua. È in difficoltà. Tolgo la giacca e mi butto. Gli dò una mano a trascinarsi a riva.
Io non dico niente in famiglia anche perché ci può scappare qualche scapaccione, ma dopo qualche giorno si presenta in casa un signore: sta cercando quel ragazzo che si è buttato in acqua. Mio padre mi chiama e devo ammettere che sono stato io.

Allenamenti: Montanari in piedi con la tuta nera,  Colnago con la moto e Piero Pomi in tuta blu
Allenamenti: Montanari in piedi con la tuta nera, Colnago con la moto e Piero Pomi in tuta blu
Piero Pomi col mono, Ippolito Pomi con l'8 cilindri; Diki Dale secondo a destra in maniche di camicia  e Keith Brian primo a destra con tuta
Piero Pomi col mono, Ippolito Pomi con l’8 cilindri;
Diki Dale secondo a destra in maniche di camicia
e Keith Brian primo a destra con tuta

Quel signore, (saprò dopo che si tratta di Battista Gatti, detto Gurlet, Capo collaudo della Guzzi) vorrebbe in qualche modo sdebitarsi. Mio padre allora sbotta: ” se proprio vuol fare qualcosa, gli trovi un posto in Guzzi, a ‘sto lazzarone!”

Siamo nel 1941, il primo di marzo, ho 14 anni e finalmente io, Piero Pomi, sono assunto qui alla Guzzi. Il sig. Mondo mi accompagna al Reparto assistenza clienti, subito a destra appena entrati dal cancello principale. Clienti, per la verità ce ne son pochini, il reparto è occupato dai tedeschi che portano qui le loro BMW, Zundapp e DKW, ma anche Bianchi e Benelli, da revisionare o riparare.
Il Maresciallo Urbasky, la sera, ci controlla il fiato per capire dall’odore se abbiamo “cannettato” la benzina. Noi però abbiamo aggirato l’ostacolo: appoggiamo uno straccio sul foro del serbatoio, infiliamo il tubo e poi appoggiamo sul tutto un tappo dell’olio. Facendo il più possibile tenuta con lo straccio, soffiamo nel serbatoio: dal tubo in uscita sgorga il prezioso liquido e il maresciallo, la sera, sarà molto contento perché siamo stati bravi.
Sebbene il lavoro sia molto vario e s’impara molto nel metter mani a tutte queste moto, i tempi morti sono tanti e, quando capitano, a me piace andar giù da Bacchi, in Sala Prova.
Bacchi, già amico di Carlo Guzzi da prima dell’Avventura, ha al suo attivo diversi brevetti inerenti il motore a scoppio: in campo motoristico le sa proprio tutte.
Ha costruito moto per conto suo, nel ’24. Quello oggi comunemente denominato “sistema Puch ” o “DKW competizione”, in realtà è stato inventato e messo in produzione già da lui.
È una persona molto simpatica e me lo vedo lì, col suo grembiule nero tenuto stretto tra le ginocchia per non farselo ” mangiare ” dal mulinello, che mi mostra trionfante che con la fase che dice lui i cavalli son saliti!

Carlo Bacchi quando lavorava in Frera
Carlo Bacchi quando lavorava in Frera
Colnago e Piero Pomi a Monza nel 1957
Colnago e Piero Pomi a Monza nel 1957

A me insegna un sacco di cose; come si calcola il rapporto di compressione, come si regola l’anticipo, perché si disassa il motore e perché lui lima i pistoni nella zona dello spinotto.
Lui dice di fare attenzione anche alla lunghezza delle astine, che devono lavorare col bilanciere in modo di avere il massimo braccio al momento opportuno. Astine troppo lunghe o troppo corte rallentano la velocità di apertura e chiusura delle valvole. Io, appassionato come lo si può essere a 15 anni, tutti questi insegnamenti li divoro.
Era un grande, Bacchi.
Finisce la guerra.
Come dopo l’inverno viene la primavera, dopo la guerra scoppia la pace. Già nel mese di maggio, sparite le moto tedesche, si pensa alle corse. Già, le corse. Sembrava che tutti le avessero dimenticate, invece non si vedeva l’ora e, finalmente, si comincia.
Il reparto si popola di moto da corsa. Sono Albatros, 250SS a 3 marce, Condor: sono bellissime.
Bisogna smontarle, ripulirle, aggiornarle e rimontarle. Io non sono ancora autorizzato a ” chiudere ” i motori, devo solo fare piccoli lavori e pulire bene i pezzi.
Quando Gem l’operaio anziano si assenta, dò un’occhiata in giro e furtivamente mi appresto a montare completamente il motore. Poi altrettanto furtivamente e velocemente lo smonto. Metto in ordine sul banco i pezzi ripuliti, prima che l’anziano ritorni. Gem trova i suoi pezzi ben ripuliti e non s’accorge mai di nulla. Faccio questo giochino un sacco di volte ed è così che acquisisco velocità e pratica su questi motori.
Viene il giorno che a Lecco si organizza una corsa su circuito cittadino. Stiamo assistendo alle prove dei Clubman, terza categoria. Io sono lì con degli amici, come spettatore. C’è un capannello di gente, andiamo a vedere, è un concorrente che ha grippato il suo Airone: si tratta, lo saprò poi, del dott. Zoboli, che si diletta a partecipare alle corse. Subito gli amici a indicarmi: “Lui, lui è meccanico in Guzzi!” Allora non mi posso più tirare indietro. Mi metto all’opera. Il pistone è grippato proprio in prossimità del foro dello spinotto. Memore degli insegnamenti di Bacchi, mi faccio dare una lima e aggiusto il pistone. Rimonto pistone, cilindro e testa, una registratina alle valvole e ooplà, la moto è pronta per la gara.

Al lavoro sulla 8 cilindri il fotografo/corridore è Baviera
Al lavoro sulla 8 cilindri
il fotografo/corridore è Baviera
Imola, 2 aprile 1955
Imola, 2 aprile 1955
Da destra: Bianchi (autista),  Ippolito e Piero Pomi,  la locandiera e Cantoni ad Assen
Da destra: Bianchi (autista),
Ippolito e Piero Pomi,
la locandiera e Cantoni ad Assen

Il concorrente arriverà secondo e io sarò oggetto di ammirazione, da ora un po’ più considerato…

Vengo contattato via via da diversi corridori privati per assisterli sui campi di gara. Attrezzo lo stallino in disuso (la mia casa era il luogo di posta per il cambio dei cavalli) con un banchetto per la moto, piazzo un vecchio tavolo e mi organizzo per poter lavorare sulle moto. Il Mondo, quando chiedo il permesso per il week-end, me lo accorda senza tanto discutere. Io non perdo occasione: seguirò Claudio Mastellari, Nino Martelli, Duilio Agostini, anche Dario Ambrosini non ancora accasato, poi Perosino di Asti e un tedesco di nome Torn Prikker. Sono a Berna con Torn Prikker nel giugno 1948 quando succede la disgrazia a Tenni. A parte la tristezza per la morte del grande campione, io passo il periodo più bello della mia carriera. Questi corridori hanno tutti l’automobile, io patentato faccio comodo e ho l’occasione di girare l’Europa, seguendo questi ragazzi.
Mi è capitato di seguire anche un certo Camillo Olivetti, di Ivrea. Non era un gran pilota e aveva un solo gran tifoso. Era un certo Bialetti, che un giorno ti arriva dicendo di aver messo a punto una caffettiera rivoluzionaria. Altro che la Napoletana! Mi regalerà una decina di Moka. Per la verità il Camillo non andava proprio e io mi vergognavo. I miei amici mi sfottevano! Con dei pretesti sono riuscito poi a mollarlo.

Poli sulla 8 cilindri sul set  del film "I fidanzati della morte"
Poli sulla 8 cilindri sul set
del film “I fidanzati della morte”
Giulio Cesare Carcano
Giulio Cesare Carcano

Chi non era troppo contento era mio padre. In busta paga mancavano spesso otto o dieci giornate lavorative e lui si domandava se veramente l’avesse indovinata a farmi assumere lì!
Bazzicavo nel frattempo il Reparto Corse, sia pure in maniera non ufficiale. Nel reparto di Carcano c’erano un paio di meccanici veramente completi, Pomi Ippolito e Agostini, oltre al Bettega di Dorio. Gli altri erano specialisti di vari settori della moto. Così Fattore era specialista di freni e ruote, il Berto, che per via del claudicare era soprannominato “la camme “, era specialista dei carburatori e si portava appresso un grosso tubo forato e filettato con avvitati in buon ordine tutti i getti, i ‘gigleur’ li chiamava.
Nelle trasferte si portavano tutti questi specialisti, addirittura si portava il tecnico dei tubi di scarico, il Bara, quello che riempiva di sabbia i tubi prima di piegarli. A me non piaceva tanto dover sottostare a ogni singolo specialista, tendevo a far la moto tutta da me. Una volta l’avevo detto anche all’Ing. Carcano. Comunque non legavo molto con gli anziani anche per la differenza di età. Poi, un giorno, siamo a fine maggio del ’51, entrano in reparto il sig. Mondo con il Dottor Giorgio Parodi. “È lui!” dice il Mondo indicando me. “Che cavolo avrò combinato”, penso io girandomi verso di loro, allorchè prende la parola il dottor Parodi: “Ti va di andare al TT?” “Anche gratis!!” rispondo io.
Mancano pochi giorni alla partenza, bisogna fare i documenti per la trasferta.
Il Pistono mi accompagna col carrozzino al tribunale di Lecco. Non mi vogliono rilasciare il passaporto perché ho una pendenza per pesca abusiva. Mestamente il Pistono mi riporta a casa col motocarrozzino e senza passaporto. A casa, mi chiama a rapporto il dott. Bonelli. Severo, mi dice: “Cos’hai combinato coi pesci?” Io gli espongo i fatti e lui esplode in una risata. “Vai a firmare, è tutto a posto!”

T. Provini, Carcano, Lomas e Ippolito Pomi
T. Provini, Carcano, Lomas e Ippolito Pomi
Tourist Trophy, 5 giugno 1957
Tourist Trophy, 5 giugno 1957
Ermanno Ozino, concessionario di Ivrea
Ermanno Ozino, concessionario di Ivrea
Dickie Dale al TT '55 classe 350 al Ballough Bridge
Dickie Dale al TT ’55 classe 350 al Ballough Bridge
Imola, 22 aprile 1957
Imola, 22 aprile 1957
Reims 1955, Duilio Agostini primo nella 350
Reims 1955, Duilio Agostini primo nella 350

Sono l’unico del reparto in possesso di patente auto. Allora non s’usava ancora. Si parte. Io sono in macchina col sig. Gino, il suocero di Lorenzetti. L’auto è la 1100 furgonata del genero.

Sul furgone ci sono le 2 moto di Lorenzetti, pilota semiufficiale. Sono un Albatros 250 e uno maggiorato a 317 cc. Noi forniamo i materiali e il sior Gino assembla a casa di Lorenzetti.
Si va a Berna, il 27 si corre il Gran Premio di Svizzera. Nelle 500 Anderson parte male, alla prima curva, però, stupisce tutti e si porta in testa. All’arrivo lo sento raccontare che su quella curva ha imbroccato un folle. Ha affrontato la curva a velocità elevatissima ed è riuscito a rimanere fortunosamente in piedi. Gli altri, vedendolo andare così forte, han quasi rinunciato all’inseguimento e lui è arrivato primo.
Finita la festa si riparte, finalmente, alla volta del TT.
Arriviamo a Dunquerque. Nel porto un camion, facendo manovra, rompe il parabrezza della macchina. Piove,maledizione. È difficile guidare e in città non troviamo ricambi. Poi verso sera, scorgo delle gru allineate sulla banchina. ” Gino, guarda che belle gru!” “Che?!?!?'” mi fa lui che non ha afferrato. “I vetri, i vetri sono come il nostro!!!” È così che a notte fonda, furtivi, togliamo un vetro alla gru. Mancano due centimetri per parte,comunque lo fissiamo col nastro adesivo in modo che funzioni anche il tergicristallo. La parte migliore al lato guida.

Dedica di Duilio Agostini alla partenza della Milano-Taranto con la moto preparata da Pomi a casa sua (1° al traguardo)
Dedica di Duilio Agostini alla partenza della Milano-Taranto con la moto preparata da Pomi a casa sua (1° al traguardo)
Imola, 2 aprile 1955 si scalda il motore (Agostini, Pomi e Todero)
Imola, 2 aprile 1955 si scalda il motore (Agostini, Pomi e Todero)

Sbarchiamo a Dover e ci reimbarchiamo a Liverpool per poi sbarcare sull’Isola. Qui ci aspetta Lorenzetti: “Cos’è successo alla mia macchina?!” “È stato lui” è la risposta simultanea che gli diamo, indicandoci l’un l’altro io e il Gino. Il pilota si scioglie in una risata. Raccontiamo gli antefatti, il parabrezza non lo troveremo né sull’isola né in Inghilterra. Torneremo a casa rabberciati e ripareremo la macchina a Milano. “Toh, Piero, questo è per te” mi dice il Bettega porgendomi un motore dell’Albatros; “dai una mano a quel ragazzo lì, si chiama Tommy ed è un privato. È tutto tuo.”

Non mi pare vero. Ci sono in giro i furgoni delle Case fornitrici, io ho fatto amicizia con i rappresentanti più giovani: al box della Champion per scroccare candele nuove, a quello della Avon per le gomme, a quello della Ferodo per le guarnizioni freni, e via via man mano che mi servivano componenti e che comunque tutti questi fornitori ufficiali eran ben contenti di fornire.
Giù la forcella Brampton e su una del Gambalunga. Alla fine la moto vien pronta sul campo.
Sul Libro d’oro della Guzzi oggi c’è scritto che il TT classe 250 cc , svoltosi il 6 di giugno del 1951 all’isola di Man fu vinto da Tommy Wood.
La Gazzetta dello Sport, il 7 giugno, titolava pressapoco così:
VINCE (PURTROPPO) LA GUZZI (Wood non era italiano).

Monza, 9 settembre 1956, Piero Pomi è il primo da sinistra
Monza, 9 settembre 1956, Piero Pomi è il primo da sinistra
Umberto Todero al cronometro
Umberto Todero al cronometro

 

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