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L’ANIMA DELLE GUZZI

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di Piratessa

Le moto nascono
con un cuore di metallo,
che pulsa dolcemente
al nostro comando.
Ma non possiedono un’anima
quella gliela regaliamo noi,
con il nostro affetto,
i ricordi e le emozioni.

Quando monti in sella
è come un incontro d’amore,
due corpi e una sola anima
sospinti verso un’estasi infinita.

E’ come entrare
in una dimensione sconosciuta
dove non esistono dolore,
tristezza, paura.
Ma solo gioia pura e libertà.

E’ un miracolo che si ripete
ogni volta che parto con lei.
E’ il mio paradiso sulla terra.
E’ il mesto ritorno alla realtà
quando il viaggio è finito…

Lei è… la mia Guzzi.

Appunti molto disordinati di viaggio

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AppuntidiViaggio

Di Sergio Sorci

 

Premessa

Certamente con queste righe non potrò far capire le meravigliose sensazioni che ho provato in questo viaggio, perché i colori, gli odori, i sorrisi della gente non si possono descrivere, ma anche per mia memoria non posso esimermi da descrivere in grandi linee questo viaggio.
Erano mesi che lo preparavo, ne parlavo con gli amici, cercavo notizie su internet, scrivevo a motociclisti che già avevano fatto questo percorso e avevo preparato una cartella con una infinità di notizie, appunti, indirizzi e quant’altro pensavo mi potesse essere utile. Per quanto riguarda eventuali compagni di viaggio, gli amici con cui uscivo in moto per giri giornalieri non potevano venire per vari motivi. Non potevo non dirlo a Mauro, amico da sempre e motociclista momentaneamente fuori servizio ma considerando che questo raid lo avrebbe portato lontano per molti giorni ho preferito parlarne con Anna (sua moglie) la quale ha, da parte sua, acconsentito lasciando a lui la decisione finale. A questo punto lo chiamo e gli propongo il mio progetto, lui mi risponde che la cosa si può fare purchè ad organizzare il tutto sia io perché momentaneamente è molto impegnato. Dopo qualche giorno, navigando su internet, intercetto Armando un ragazzo dell’Aquila trasferito per lavoro a Bolzano il quale saputo del viaggio ed essendo anche lui possessore di una Moto Guzzi Nevada IE come la mia, si entusiasma e si propone come terzo viaggiatore. La cosa ci fa piacere ed iniziamo una fitta corrispondenza via e-mail per pianificare tutto il possibile. Purtroppo circa un mese prima della partenza, un incidente in bicicletta blocca Armando con un braccio ingessato e così tra terapie e riabilitazione sfuma il suo sogno.
Dispiaciuti decidiamo comunque di andare in due, io e Mauro pertanto seguito da solo la preparazione del viaggio. Giunto a tre giorni dalla partenza mi sono bloccato, come gli studenti prima di un esame, non sapevo da dove cominciare a riempire le borse, dove mettere gli appunti presi ecc.. Per farla breve, solo con l’aiuto di mia moglie sono riuscito a preparare le borse laterali, il borsone da posizionare al posto del passeggero, la borsa serbatoio (prestito del buon Gabriele).
Io dovevo solamente pensare alla cartella con tutti gli appunti che avevo preso con mesi di ricerca, ed infatti me la sono dimenticata a casa.
Siamo partiti senza nemmeno la cartina completa dell’Europa che avevo appositamente comperato, avevamo solamente un atlante stradale da cui durante il viaggio ho stappato in sequenza le pagine che mi interessavano per posizionarle sull’apposito spazio nella borsa da serbatoio.
Tutto ciò può far capire la tensione che avevo inconsciamente accumulato in tutto il tempo della preparazione senza rendermene conto.
Comunque si parte ed il viaggio prende sempre di più la sensazione dell’avventura.
Fortunatamente non abbiamo mai avuto nessun problema ma non nascondo che molte sere abbiamo pensato che ci mancavano i nostri amici Gabriele ed Armando, con loro sicuramente tutto sarebbe stato più bello e vissuto più in allegria.

Viaggio
Giovedì 16 giugno 2005

La mattina della partenza, alle ore 730, sento suonare il campanello e, sorpresa delle sorprese ecco Gabriele che è venuto ad aiutarmi a caricare la moto ed a salutarmi, ma la moto era già pronta sopra il carrello così ho proposto a Gabriele di venire fino a casa di Mauro per farci due foto di rito. Gabriele accetta di buon grado ma essendo venuto a piedi ha preso lo scooter di mia moglie ed è partito verso casa di Mauro per farci le foto al momento della partenza.
Mauro era pronto con i bagagli in strada insieme ad Anna, arriva Gabriele e caricate le borse in macchina e fatte le foto ed i saluti di rito, io e Mauro iniziamo questo nostro lungo viaggio anche se fino a Mandello del Lario siamo costretti ad andare in macchina poiché Mauro prenderà la sua moto da Alis Agostini (mitico concessionario di Moto Guzzi) e con la mia sola moto non avremmo potuto portare tutti i bagagli.
Alle 1600 circa arriviamo a Mandello e dopo aver scaricato le borse in albergo e portata la mia moto in officina per il tagliando e sostituzione gomme, facciamo un giro a piedi per la ridente cittadina. Ceniamo insieme ad Alis, Peter e due Guzzisti francesi i quali affascinati dalla nostra meta, ci invitano a passare prossimamente anche da loro in Bretagna. I guzzisti sono fatti così!

Venerdì 17 giugno 2005

In attesa della mia moto, passiamo la mattinata a visitare alcuni dei bei borghi che costeggiano il lago di Como quindi pranzo al “grotto” un tipico locale con uno stupendo panorama sul lago dove mangiamo benissimo e ci ripromettiamo di ritornarci al nostro ritorno. Nel pomeriggio parcheggio la macchina in un piazzale privato e vigilato (grazie all’interessamento di Alis) quindi sbrighiamo le formalità per la “Brevina” di Mauro e prese le moto andiamo in albergo dove ci aspettano una marea di bagagli da distribuire nei baulletti e nelle borse laterali della Breva. Impresa ardua ma riusciamo anche a portarci alcune cose per mangiare e tre litri di vino. Cena al “Riva granda” con pesce tipico del lago e conto abbastanza saporito, poi a dormire.

Sabato 18 giugno 2005 – Como, Chiasso, Lugano, Vaduz, Bregenz, Markbreit.

E’ la vera partenza, Mauro sempre mattiniero, mi sveglia alle 0700 e dopo colazione, caricate le moto partiamo in direzione Como per poi prendere l’autostrada svizzera. Carichi sia di bagagli che di entusiasmo, maciniamo chilometri con una temperatura ideale sui 22°/25° e con sole. Alle 1700 decidiamo di fermarci a Markbreit, una bellissima cittadina con un centro in stile medioevale. Alla solita uscita prima di cena, dopo esserci allontanati dall’albergo, ci accorgiamo della bellezza del piccolo borgo ma con dispiacere ci rendiamo conto di aver dimenticato in camera la macchina fotografica, pazienza sarà per dopo cena. Fatichiamo un poco per ordinare la cena ed in particolare il pane tanto che Mauro telefona a Serena per farsi dire come si dice in tedesco. Dopo cena la stanchezza ci assale e sfuma così l’idea di fotografare quanto di bello avevamo visto.

Domenica 19 giugno 2005 – Markbreit, Hannover, Amburgo, Krusaa

Partenza alle 0800 con direzione Amburgo, autostrada senza traffico pesante data la giornata festiva e considerando che in Germania non ci sono limiti di velocità, rimpiangiamo le nostre ex “Le Mans” con cui avremmo sicuramente fatto più strada, comunque le nostre Guzzine ci portano oltre il confine con la Danimarca, dove cambiamo qualche euro con le Corone Danesi ed alle 1900 arriviamo al campeggio di Krusa e per la prima volta dormiamo in bungalow, doccia e cena con spaghetti alla matriciana (sugo preparato da Mirella) annaffiati con vino rosso e caffè. Dopo cena usciamo per la cittadina ma dopo circa 20 minuti rientriamo al campeggio, era tutto chiuso anche l’unico ristorante. C’èra una sola cosa da fare: andare a dormire.

Lunedì 20 giugno 2005 – Krusaa, Kolding, Odense, Slagels, Copenaghen

Grazie al mattiniero Mauro, siamo pronti per la partenza alle 7.30, la giornata è bella e soleggiata e viaggiamo spediti con soste solamente per i rifornimenti, sui lunghi ponti che ci portano all’isola dove si trova Copenaghen, resistiamo alle forti raffiche di vento inclinando le moto lateralmente. Nelle prime ore del pomeriggio decidiamo di fermarci e prendiamo un bungalow alla periferia di Copenaghen. La visita pomeridiana alla città inizia dal famoso parco Tivoli e prosegue al tristemente rione “Cristiania” poi parchi e canali sono le nostre mete. Ovviamente non ci facciamo mancare le foto con la strafamosissima “Sirenetta” che non sembra artisticamente niente di speciale ma ha comunque un fascino particolare probabilmente dato dalla fama che gli è stata creata intorno. Rientriamo al campeggio, cena e dopo la sigaretta di rito, anche se c’è luce come in pieno giorno, andiamo a nanna.

Martedì 21 giugno 2005 – Copenaghen, Malmo, Helsingborg, Stidsvig, Ljungby, Kolmarrdens

Partiamo alle 0830 ed io, seguendo il meteo inviato via sms da Gabriele che prevedeva pioggia avevo, per prudenza, indossato la tuta antipioggia con la parte interna per il freddo. Ho sudato come un pazzo per tutto il viaggio visto il sole che ci ha accompagnato per tutta la giornata. Comunque passiamo sul famoso e bellissimo ponte di Malmo che ci porta dalla Danimarca direttamente in Svezia. La prima parte del tragitto la facciamo in una galleria egregiamente illuminata poi si risale sulla terraferma (credo sia un’isola artificiale appositamente costruita) quindi si attraversa il vero ponte dove un forte vento ci obbligava a procedere, sul rettilineo, con le moto piegate lateralmente come in curva. Il resto del viaggio è stato un susseguirsi di paesaggi maestosi che si differenziano dai nostri anche per i colori più nitidi e sgargianti. Arrivati al campeggio la triste sorpresa, non ci sono più i bungalow grandi con bagno e doccia interni per cui ci adattiamo in un “loculo” di 2m X 6m e bagni distanti circa 50m. Solita doccia, solito risotto (questa sera milanese) e di conseguenza a dormire.

Mercoledì 22 giugno 2005 – Kolmarrdens, Stoccolma, Uppsala, Sundsvall, Docksta

La giornata sembra promettere bel tempo, si parte alle ore 0815 in direzione Stoccolma che dista solo 130 Km. Alle 1000 entriamo in città per una doverosa visita e si finisce il mondo; pioggia a scrosci, traffico impazzito ed acqua che ci entrava anche dentro i caschi. Abbiamo quindi fatto qualche altro giro senza scendere dalla moto dopodiché siamo usciti con rammarico dalla città per riprendere il viaggio almeno senza traffico. Dopo circa un’ora smettere di piovere e ci fermiamo per un panino veloce, quindi con un sole stupendo riprendiamo il viaggio tra laghi e verdi prati. Alle ore 1800 ci fermiamo a Docksta (al terzo tentativo perché i primi due campeggi avevano bungalow senza acqua corrente e bagno interno) troviamo un campeggio con bungalow da sei persone, due camere con letto matrimoniale a soli 45 €. Doccia di rito poi la spesa perché questa sera decidiamo di cucinare: Ribollita toscana (rigorosamente in busta originale), hamburger con contorno di pomodorini pachino il tutto bagnato con birra. Sono circa le 2200 di sera ed è ancora completamente giorno. Questo non ci disturba più di tanto poiché, vista la stanchezza, appena ci mettiamo a letto ci addormentiamo.

Giovedì 23 giugno 2005 – Docksta, Umea, Skelleftea, Pitea, Lulea, Happaranda, Tornio,
Ylitornio, Turtola, Pello.

Partiti alle 07.00, giornata stupenda, solamente l’aria è un po’ freschina ma con il nostro equipaggiamento non ci sono problemi. Attraversiamo il confine con la Finlandia e alle 16.45 attraversiamo la linea del circolo polare artico con un sole da fare invidia ai turisti di Rimini. Ci fermiamo a Pello in un bungalow vicino alla strada statale ma in aperta campagna dove dopo cena ci viene a trovare un signore con una chitarra in mano e nella pancia alcuni litri di birra perché era ubriaco da non reggersi in piedi. Dopo qualche minuto sono sgattaiolato dalla veranda lasciando a Mauro l’arduo compito di congedarlo. Non so come ma ci è riuscito quasi subito.

Venerdì 24 giugno 2005 – Pello, Muonio, Palojoensuu, Alta, Honningsvag, Skarsvarg
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Oggi giornata mitica, entreremo in Norvegia ed arriveremo alla meta. Piove ma partiamo comunque alle 0645 con temporale che ci accompagnerà fino alle ore 1300, comunque durante la mattinata incontriamo le prime renne che ci obbligano ad una repentina frenata essendo sbucate dal bosco improvvisamente. Il tempo ci grazia per circa un’ora poi ricomincia a piovere ma vicini alla meta nessuno e niente ci fermerebbe. Ad Alta iniziamo a salire sugli altipiani spazzati dal vento dove troviamo anche la neve. All’improvviso ci appare il tunnel che ci porterà sull’isola ma appena entrati ci accorgiamo che l’umidità è altissima e la temperatura è di 7°. All’uscita, pagato circa 10 € di pedaggio, la lieta sorpresa è apparso il sole e possiamo ammirare questo panorama con la strada che costeggia il mare ed attraversa gruppi di case dei pescatori con i famosi essiccatoi per il pesce che non sarebbero altro che bastoni di legno dove vengono stesi i merluzzi. Dopo circa 30 Km. Entriamo nella cittadina più importante dell’isola: Honningsvag dove chiediamo ad un’agenzia dove è possibile dormire. Ci indirizza verso Skarvsvag che si trova in direzione capo nord ed a soli 13 Km dalla rupe. Felici di ciò facciamo spesa per la cena quindi arriviamo in questo bel paese di pescatori dove scarichiamo completamente le moto perché decidiamo di fermarci sull’isola anche domani e di andare in giro con una sola moto. Ceniamo festeggiando con ½ litro di vino lasciato per l’occasione quindi alle 1100 di sera ci prepariamo ad andare sulla rupe per vedere il sole di mezzanotte. Partiamo con il tempo buono ed il sole ancora alto ma nell’avvicinarci alla meta, il tempo cambia e purtroppo all’arrivo troviamo una nebbia talmente fitta che la visibilità si limita ad una decina di metri. Fortunatamente il biglietto è valido per 48 ore per cui dopo circa un’ora e le foto di rito rientriamo in bungalow con la speranza che il giorno dopo avremo trovato bel tempo.

Sabato 25 giugno 2005 – Capo Nord

Abbiamo deciso di fermarci almeno un giorno nell’isola sia per visitarla che per un meritato riposo per noi, inoltre abbiamo intenzione di tornare nuovamente sulla rupe sperando che il tempo sia migliore. Appena alzati cogliamo l’occasione per lavare gli indumenti sporchi accumulati sperando che o il sole o il termosifone riescano ad asciugarli in tempo. Appena finito il “bucato” partiamo per fare rifornimento alla mia Nevada e per la visita ai paesi dell’isola. Il tempo sembra migliorare e dopo aver mangiato partiamo per la rupe ma ancora una volta nell’avvicinarsi alla meta, il sole viene coperto dalle nuvole comunque riusciamo a farci delle foto senza nebbia. Dall’ufficio postale spediamo le cartoline con timbro di Capo Nord poi ricordini di rito quindi andiamo nei sotterranei a vedere il film che ci mostra in 17 minuti tutta l’isola sia di estate che di inverno e ci appare in entrambi i casi stupenda con la sua selvaggia apparenza. Alle 1800 rientriamo in bungalow, controllo olio alle moto e dopo un leggero rabbocco in entrambe di circa ¼ di litro ci prepariamo la cena che consiste in un risotto agli spinaci, formaggio, due birre e caffè. Dalla nostra finestra potevamo vedere tutto il paese e non essendoci anima viva in giro decidiamo la cosa più ovvia: andare a dormire.

Domenica 26 giugno 2005 – Capo Nord, Ivalo, Sadankila, Ollkajarvi, Ravaniemi

Partiamo alle 0745 con tempo pessimo, pioggia battente, vento forte ed una temperatura di 5°C che ci accompagnerà su tutto l’altopiano innevato. Quasi quasi non vediamo l’ora di entrare in galleria dove abbiamo 7° di temperatura ma non tirando il vento ci sentiamo quasi riscaldare. Veramente una giornata tremenda con la pioggia gelida che ci impone di comperare dei guanti da lavoro da inserire sopra i nostri inoltre non potendo chiudere le visiere a causa dell’appannamento, con il vento a raffiche l’acqua circola all’interno della visiera come all’esterno. Arriviamo innervositi a Ravaniemi dove ci consoliamo in un bungalow nuovissimo e molto bello con sauna e mansarda. Stanchi decidiamo di visitare la “città di Babbo Natale” il mattino successivo.

Lunedì 27 giugno 2005 – Ravaniemi, Oulu, Oravasaari, Pappinen (Jousta)

Alle ore 0800 andiamo a visitare la casa di Babbo Natale da dove spediamo alcune cartoline che verranno inviate nel periodo natalizio, foto di rito sulla linea del circolo polare artico quindi partenza per scendere ancora questa bella e selvaggia terra di Finlandia. La mattina è fresca ma siamo risparmiati dall’acqua cosa che non avviene nel pomeriggio dove veniamo sistematicamente bagnati poi asciugati poi bagnati e così fino alle 1800 quando decidiamo di fermarci. Prendiamo una camera in un vecchio “casale” di circa 500 anni dove diamo fondo alle cibarie portate dall’Italia

Martedì 28 giugno 2005 – Pappinen (Jousta), Helsinki

Partiamo alle 0800 con cielo nuvoloso ed un’aria molto fredda, comunque viaggiamo bene ma dopo circa un’ora comincia la pioggia che ci accompagnerà fino ad Helsinki. Questo tratto di Finlandia è disseminato di laghi di tutte le dimensioni alcuni con isolette da sogno dove dei fortunati hanno costruito una casetta rigorosamente in legno, avrei il desiderio di vederle tutte una ad una e viverci qualche giorno. Quante cose belle che ci sono al mondo e che non potremo mai vedere!. Alle 1600 arriviamo in città accompagnati sempre dalla solita pioggia e ci dirigiamo subito all’ufficio informazioni dove tutte le ragazze che vi lavorano hanno un cartellino sulla camicia con le bandierine delle nazioni di cui conoscono e parlano la lingua. Vi posso assicurare che il minimo erano 4 bandierine ma alcune ne avevano fino a 6 o 7. Prendiamo un albergo per due notti poiché decidiamo che un pomeriggio non sarebbe sufficiente per la visita di Helsinki. Hotel per scarico bagagli, moto in garage e prima uscita alla scoperta della città. Piove e con Mauro passiamo accanto ad un bancomat dove vediamo un ombrello ma facendo le ovvie battute lo lasciamo sul posto. Dopo aver girato per le vie del centro magnificamente abbellite e molto frequentate, ritorniamo in albergo per cambiarci ed uscire a cena. Ripassando di nuovo al bancomat, vediamo ancora l’ombrello e questa volta, visto la persistenza della pioggia lo prendiamo ed a dire il vero ci è molto servito sia la sera che nei successivi giorni quando uscivamo a piedi per visitare le città. Alle 1130 circa, infastiditi dalla pioggia e stanchi rientriamo in albergo per il meritato riposo.

Mercoledì 29 giugno 2005 – Helsinki

Usciamo dall’albergo e ci dirigiamo verso il porto dove passiamo un po’ di tempo a visitare il mercato all’aperto dove vendono di tutto, dai souvenir ai dolci, al pesce, abiti, verdure, frutta ecc. poi decidiamo di prendere un traghetto per fare il giro di alcune delle molte isole che si trovano di fronte alla città. All’imbarco una piacevole sorpresa, sul traghetto siamo solamente io, Mauro con una signora di Roma accompagnata da sua figlia ed una sua amica Finlandese con due due piccoli bambini per cui possiamo scambiare qualche parola in italiano per circa 2 ore quanto dura il giro. Per la prima volta mi pento di non aver preso la telecamera comunque scattiamo diverse foto. Le isole che costeggiamo sono a dir poco stupende sotto un bel sole si presentano con i colori sgargianti, un verde intenso e queste belle casette in legno che si intravedono tra la vegetazione. Vorrei che tutti potessero, almeno una volta nella vita, godere di queste bellezze. Scesi dal traghetto seguitiamo a piedi il giro della città quando ci arriva una telefonata dall’Italia di Serena che dice a Mauro che non è possibile andarsene da Helsinki senza aver visitato il museo di arte contemporanea “Kiasma”. Ci dirigiamo al museo ed al momento di pagare l’ingresso, notando i vari prezzi, faccio presente alla signora che siamo pensionati e sorpresa entriamo con un notevole sconto. Interessante la visita anche considerando la nostra scarsa cultura in fatto di opere d’arte comunque queste opere ci piacciono. All’uscita ci aspetta la solita pioggia per cui utilizziamo ancora il famoso ombrello. Cena in un ristorante che le guide presentavano con cucina italiana ma non avevano nemmeno il menù nella nostra lingua. Comunque come sempre ci siamo fatti capire e riusciamo a mangiare cose di nostro gusto. Sempre sotto la pioggia ci avviamo all’albergo.

Giovedì 30 giugno 2005 – Helsinki, Tallin
Abbiamo il traghetto alle 1130 ed essendo ancora presto, decidiamo di fare un tour guidato in autobus nella parte esterna della città ma giunti al terminal ci dicono che era completo ma il prossimo giro non era compatibile come orario con il nostro imbarco per cui ci rinunciamo.
Il catamarano veloce che ci porterà a Tallin arriva puntuale, l’imbarco è semplice ed immediato e salpiamo all’ora prevista. Il viaggio di circa 2 ore si svolge tranquillamente anche perché il mare era forza olio. La dogana Estone ci controlla solamente i documenti ed in un attimo siamo liberi. Probabilmente l’ingresso di queste nazioni in Europa ha modificato i rapporti di questi paesi con il turista. Anche a Tallin parcheggiamo le moto ed andiamo alla ricerca dell’ufficio informazioni che non è molto lontano. Prendiamo possesso della camera in albergo dove, avendo a disposizione una tavola da stiro con ferro, stiro una camicia precedentemente lavata quindi usciamo a piedi per la visita alla città vecchia dove con sorpresa notiamo che è in corso una ricorrenza infatti ci sono molti drappi esposti e molti locali hanno il personale vestito con abiti d’epoca (stile medioevale). A piedi passiamo per una via dove un lato è solamente occupato da negozi che vendono fiori, mentre nell’altro ci sono prevalentemente bar e ristoranti. Entrando nel piccolo centro storico Mauro vede un trenino su gomma che porta i turisti all’interno di quelle stradine così decidiamo di fare un giro. Ancora una volta rimpiango di non conoscere l’inglese perché durante il tragitto avrei potuto capire le spiegazioni di ciò che stavamo vedendo, pazienza!. Alla fine del giro proseguiamo a piedi fino all’ora di cena dove Mauro sceglie di andare in un ristorante con dei tavoli all’aperto e cameriere vestite con abiti d’epoca. Durante la cena, la tiepida temperatura che ci aveva accompagnato per tutto il pomeriggio sparisce per diventare un fastidioso freschetto tanto che le cameriere portano alle signore ed alcuni uomini delle coperte da mettere sulle spalle. Noi resistiamo stoicamente per circa un’altra ora dopodiché decidiamo di andare a dormire, dopo due giorni di riposo per noi e le nostre moto, l’indomani ci aspettano molti chilometri da percorrere.

Venerdì 1 luglio 2005 – Tallin, Salaspils, Panevezis

La mattina si presenta con temperatura fredda e poco dopo la partenza ricompare la pioggia ad intervalli che ci innervosisce ancora di più. Sosta pranzo in un momento di pausa della pioggia dove spendiamo in due solamente 18 € quindi decidiamo di attraversare la Lettonia senza soste e spingerci direttamente in Lituania dove arriviamo a Panevezis alle 1800 e prendiamo una camera all’Hotel Romantic uno dei due della carina cittadina. Cena in pizzeria, passeggiata per gli stupendi parchi con laghetto, foto e come al solito a dormire.

Sabato 2 luglio 2005 – Panevezis, Suwalki, Varsavia

Partenza alle 0830 con tiepido sole che ci accompagnerà per tutta la giornata. Entrati in Polonia, notiamo subito il cattivo stato delle strade, con dei notevoli solchi creati dai mezzi pesanti, che ci impongono molta attenzione e una bassa velocità di crociera, inoltre vi sono molti lavori in corso che, probabilmente non ben programmati, ci obbligano a transitare per chilometri su sterrati a bassissima velocità e con semafori di decine di minuti. Indubbiamente le strade più brutte fino ad ora percorse. Alle 1930 ci troviamo sul raccordo che circonda Varsavia ed è ancora un incubo, traffico da grande metropoli, strada ad una sola corsia per lavori e soste interminabili quindi, per evitare il surriscaldamento dei nostri motori, decidiamo di andare direttamente in direzione del centro dove prendiamo una camera in un immenso Hotel che occupava la superficie di un intero quartiere. Con una spesa di circa 70 € ci viene assegnata una camera al 36° piano con una vista a dir poco stupenda. Usciti, decidiamo che considerando la vastità della città ed avendo poche ore a disposizione, limiteremo la nostra escursione nei dintorni senza prendere né mezzi né moto. Anche la cena la consumiamo in un ristorantino nei paraggi dove con una modica spesa di circa 28 € mangiamo benissimo ordinando anche una buona bottiglia di vino (il primo ordinato dopo aver lasciato l’Italia).

Domenica 3 luglio 2005 – Varsavia, Breslavia (Wractow), Hradec Kralove

Anche questa giornata è soleggiata e si viaggia abbastanza bene se non fosse per le strade dissestate che ci impongono una bassa velocità ed una estrema attenzione. A Breslavia incontriamo il primo italiano in moto che anche lui rientra da Capo Nord, è di un paese vicino Sulmona e cavalca una Honda Goldwing bianca. Parliamo un po con lui poi ci dividiamo con la promessa di risentirci in seguito. Attraversiamo la frontiera con la Rep. Ceca ed alla prima città che incontriamo ci fermiamo per la notte. Qui facciamo l’incontro più simpatico di tutto il viaggio, fuori dell’albergo veniamo interpellati da un ragazzo di 26 anni accompagnato dalla moglie, che erano venuti per festeggiare il loro primo anno di matrimonio e si erano presi un giorno di festa. Venuti in treno (forse non possedevano nemmeno la macchina) cercavano un albergo economico ma era l’unico della città. Ci dice di essere di Vetralla (VT), di aver conosciuto sua moglie a Praga e di essersi trasferito definitivamente. Lo ritroviamo nel ristorante dell’albergo e ci dice di fare il portabagagli in un albergo di 5 stelle a Praga invitandoci, in caso di nostra visita nella città, a contattarlo poiché potrebbe farci dormire nell’Hotel con solo 25,00 € di spesa. Ci sono piaciuti perché si vedeva che era una coppia semplice con i problemi di tanti giovani volonterosi e bravi, uno stipendio basso (500,00 € mensili) e fatica per tirare avanti. Era molto sincero e ci ha dato la sensazione di essere un bravo ragazzo. Mauro, considerando il nostro imminente rientro, gli ha regalato il caffè che ci era rimasto e lo hanno accettato con piacere. Mi ha lasciato spontaneamente il suo numero di telefono e certamente lo richiamerò.

Lunedì 4 luglio 2005 – Hradec Kralove, Praga, Plzen, Monaco, Bad Feilnbach

Partiamo con la speranza che facendo una lunga tappa possiamo entrare in Italia la sera e magari fermarci a dormire a Bolzano per incontrare Armando. Tutto bene fino a Monaco dove, fermandoci per un rifornimento, veniamo colti da un temporale pauroso. Aspettiamo circa 30 minuti che sfoghi poi Mauro decide di partire dicendo che la pioggerellina rimasta era la coda del temporale. Dopo pochissimi chilometri, appena rientrati in autostrada, entriamo di nuovo dentro il temporale e, ormai bagnati, decidiamo di proseguire ma dopo circa 60 chilometri in direzione Innsbruck ci fermiamo esasperati poiché ritenevamo che fosse pericoloso viaggiare sull’autostrada con quel traffico. L’albergo si trova in aperta campagna, è elegante, in stile locale ed anche le ragazze addette sia alla reception ed al ristorante vestono con abiti che a noi sembrano tirolesi. Il solito problema: non parlano nemmeno una sola parola di italiano. Solito piatto unico annaffiato con birra mentre fuori seguitava incessantemente a piovere anche se con meno veemenza. Quella sera è stata la prima sera che non abbiamo fatto una passeggiata sia prima che dopo cena, d’altronde eravamo in aperta campagna.

Martedì 5 luglio 2005 – Bad Feilnbach, Innsbruck, Bolzano, Verona, Bergamo, Mandello del Lario

Questa giornata risulterà poi essere la più bella e la più brutta di tutto il viaggio ma andiamo con ordine. Facciamo colazione quindi ci mettiamo in viaggio con la solita pioggia che ci accompagna, oltrepassiamo Innsbruck e sul Brennero oltre alla persistente pioggia in aumento, comincia ad essere veramente freddo. Per la prima volta mi entra un po’ di acqua nella tuta che probabilmente non avevo chiuso bene, inoltre mi si bagnano i guanti e con 5 gradi di temperatura mi si gelano le mani al punto che in una sosta non riuscivo a riscaldarle nemmeno con l’aria calda degli apparecchi dei bagni. Questa maledetta pioggia ci ha accompagnato fino alle soglie di Brescia dove ci siamo fermati per mangiare. Dopo pranzo esce finalmente il sole ed arriviamo alle 1600 a Mandello del Lario con un caldo asfissiante. Veniamo accolti da Alis come due eroi ma, questa è la mia opinione, non per l’impresa compiuta ma in considerazione della nostra non giovane età. Lasciamo le moto e con la macchina andiamo al B&B prenotatoci da Alis per prepararci al momento più bello della serata: l’incontro con gli amici.
Andiamo a cena al famoso “Grotto” con Alis Piter, la cugina di Alis e suo marito, una coppia di norvegesi anche loro motociclisti e finalmente Gabriele, Stefano e Sandro.
Passiamo una piacevole serata tra racconti e storielle con persone veramente simpatiche che ci alleviano il dispiacere di aver terminato la nostra avventura.

Mercoledì 6 luglio 2005 –

Mattinata per doverosi controlli alla moto che nonostante avesse percorso in pochi giorni 8747 Km non presentava niente di anomalo. La “motina” si è comportata benissimo. Saluti con Alis ed i suoi collaboratori quindi partenza in macchina con moto sul carrello (finalmente un poco di meritato riposo) e via in direzione Terni per riabbracciare i nostri cari’
Conclusioni

Non posso chiudere questo semplice diario di viaggio senza ringraziare tutte le care persone che mi sono state vicine e che hanno permesso che tutto ciò si potesse realizzare quindi le elenco (l’ordine dell’elenco è puramente causale):

Mauro – mio amico da sempre e compagno di viaggio insostituibile.
Mirella (mia moglie) – perché non ha mai ostacolato questo mio sogno e non mi ha mai fatto pesare questo mio allontanamento da casa per tutti questi giorni.
Massimo (mio figlio) – perché è stato molto premuroso durante il mio viaggio.
Linda (mia nuora) – perché è stata molto presente con la mia famiglia durante la mia assenza.
Anna (moglie di Mauro) – perché ha acconsentito di buon grado che Mauro mi seguisse in questa “pazzia”.
Serena (figlia di Mauro) – perché ci è stata sempre molto vicina telefonicamente dandoci sempre dei buoni consigli sulle cose da visitare nei vari paesi.
Gabriele Nardini, carissimo amico, al quale debbo un ringraziamento particolarmente sentito. Mi ha seguito ed incoraggiato sin dall’inizio di questa mia idea inoltre mi ha informato per tutto il viaggio dandomi in anticipo le previsioni del tempo e tutte le altre notizie a me necessarie, ma la cosa che più mi ha colpito è che mi ha tenuto nascosto un suo personale dolore per non darmi un dispiacere durante il mio viaggio. Credo che persone di così alta sensibilità siano oggi molto rare.
Armando Tunno, l’amico che all’ultimo momento, dopo avermi aiutato e consigliato per l’organizzazione del viaggio, a dovuto dare forfait a causa dell’incidente accorsogli. Gli auguro di tutto cuore di fare quanto prima questo bellissimo viaggio e spero vivamente di passare con lui delle giornate in moto dalle parti della sua nativa L’Aquila.
Alis Agostani e Peter, persone splendide e sempre disponibili, ci hanno preparato le moto con la solita professionalità che li distingue ma oltre a ciò ci hanno calorosamente accolti come se ci conoscessimo da sempre. Grazie ancora con la speranza di rivederci presto.
Grazie di cuore a tutti voi sperando che un giorno io possa, almeno in parte, ricambiare tutto quello che mi avete dato.

Dettagli statistici

AppuntidiViaggio

nuova intervista a Marabese Design

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…A colloquio coi creatori delle Guzzi del futuro

di Goffredo Puccetti e Alberto Sala
Siamo tornati a trovarli.

La scusa è la consegna del Premio Anima Guzzista 2005, visto che alle GMG dello scorso anno non c’era stata l’occasione. Ma è evidente che, già che siamo lì, magari non sarebbe male riprendere in mano alcuni discorsi, che per ogni appassionatodi design e di Moto Guzzi diventano addirittura indispensabili e pressanti. Stiamo parlando di Marabese Design, i creatori di fulminanti emozioni bicilindriche come Griso, Breva, e andando più in là nel tempo, V11 Sport e Centauro. Entrare in questo magico angolo di ingegno e creazione è occasione di accrescimento culturale, di confronto di idee con persone che stanno lavorando alle motociclette del domani (e non solo alle motociclette): significa confrontarsi con chi ha capacità di sentire, vedere, intuire, sognare, tracciare e realizzare i nostri desideri di bambinoni sognanti la vigilia di Natale.

Come sempre, ci accolgono con grande piacere e disponibilità, per le quali non smetteremo mai di ringraziarli. Non è da tutti ricevere in omaggio un intero pomeriggio, disponibili alle nostre domande e naturalmente alla smodata ed imbarazzante curiosità dei nostri occhi. Così diamo innanzitutto ruota libera alle chiacchiere attorno al tavolo della loro sala riunioni, con la Marabese Design al gran completo: assieme a Luciano Marabese e a Rodolfo Frascoli ci sono anche i due figli di quest’ultimo: Roberto, anche lui designer, e Riccardo, che si occupa del commerciale e delle prove e collaudi
su strada e pista.

GP: Come si dice in questi casi: dove eravamo rimasti? Mi sono stampato l’intervista di quattro anni fa e…

RF: Come quattro anni fa?

GP: E sì, settembre 2002, diciamo tre anni e mezzo…

RF: Ah però, come passa in fretta il tempo!

GP: Per darvi un idea di dove eravamo, ecco le domande dell’epoca: ma allora il quattro valvole resta in produzione? Il telaio della Griso esiste davvero?

RF: Mamma mia!! Effettivamente ne sono successe di cose da allora!

GP: Comunque non è una cattiva idea cominciare proprio da alcune domande che lasciammo in sospeso l’ultima volta… Vediamo, ecco qui, vi leggo la domanda e la risposta che ci deste allora:

Estratto dall’intervista del settembre 2002:

G. Esiste uno zoccolo duro di appassionati che per ragioni anagrafiche è convinto che Guzzi sia sinonimo di bicilindrico trasversale.

M. Scherziamo? Se proprio vogliamo essere precisi, il bicilindrico famoso della Guzzi, quello che ha vinto piu’ gare di tutti e’ quello longitudinale e infatti io ho disegnato la nuova Guzzi con il motore longitudinale e sara’ una cosa… anche a livello aerodinamico’ Stiamo facendo degli studi di aerodinamica molto complessi; avra’ una carrozzeria che’ non e’ piu’ una moto ma una Formula Uno (sorride).

G: E a quando tutto questo???

M. Ci stiamo lavorando; per ora esiste solo una mezza maquette in poliuretano. Ma ora basta, basta! Non vi dico altro: se vi dico tutto, poi voi non ritornate a trovarci. Torniamo a parlare delle moto di adesso.

Ecco, così ci lasciammo nel 2002. Adesso siamo tornati a trovarvi! Ci dica tutto!

LM: Ah, iniziamo subito con delle domande un po’ delicate… Diciamo che da allora l’idea di motore longitudinale non è più la sola idea che stiamo esplorando e…

RF: Guarda che questi scrivono tutto, eh!

LM: (Sorride) Allora diciamo che c’è un nostro studio in corso; stiamo lavorando per fare qualcosa di davvero diverso, qualcosa di unico. Vi posso dire che stiamo lavorando alacremente, con tutta l’anima. Da anni, appunto, per realizzare un qualcosa di… interessante, ecco!

GP: Il progetto è quello di una Guzzi sportiva, giusto?

LM: Non proprio. Diciamo che è un nostro progetto per una motocicletta sportiva. Poi, voi lo sapete, se io penso alla moto sportiva italiana, penso a Moto Guzzi: ho iniziato con la Le Mans 850 e mi sono divertito. Trent’anni fa c’era la Le Mans… Mi pare che manchi adesso, insomma, la Moto Guzzi 850 Le Mans del duemila, o no?

GP: Quindi sempre lì torniamo: ci sono spiragli per una moto del genere marchiata Moto Guzzi?

RF e LM: Speriamo (ridono)

RF: Per capirci, la Le Mans 850 alla fine degli anni ’70 era la R1 di adesso. Quando parliamo di sportiva intendiamo la stradale alla quale levi le frecce e specchietti e vai in pista la domenica… Io una Guzzi del genere la vedrei bene, voi no?

GP e AS: Eccome!

LM: Ecco, diciamo che il nostro studio va in quella direzione.

GP: Però! Davvero interessante. Facciamo un passo indietro. Nel 2001 Roberto Brovazzo affida a voi e a Ghezzi due compiti assolutamente folli, commissionando la realizzazione di un prototipo di sportiva e di una roadster partendo dalla base meccanica della Centauro, che non godeva all’epoca di chissà che reputazione… Se fossi stato un consigliere di Brovazzo avrei tentato in tutti i modi di dissuaderlo: ma che cosa mai si poteva tirar fuori di interessante con tali premesse? Ebbene, lo sappiamo adesso: questa sfida si è rivelata un colpo magistrale: la MGS-01 e la Griso, non solo sono state immediatamente percepite come plausibili, ma si sono guadagnate l’entrata in produzione in seguito all’entusiasmo con il quale vennero accolte. Cosa ci dobbiamo aspettare allora adesso, sapendo che ci sono mezzi nuovi e premesse ben più evolute rispetto ad un vecchio motore che non si sapeva nemmeno se si sarebbe omologato o meno…

RF: Ma onestamente, per la Griso il 4 valvole non è stato un ostacolo ma uno stimolo, viste le sue caratteristiche. Per la sportiva, è stato bravo Giuseppe Ghezzi: la MGS-01 è una sportiva vera, credibile, che va bene in pista! Poi magari alle volte ti diventa uno stimolo fare una moto quando attorno hai cento tecnici che ti dicono che con quello che hai a disposizione non vai da nessuna parte.

GP: Mmm… Vedo che non c’è modo di tornare sul vostro progetto di sportiva… AS: Ok, messaggio ricevuto: ci toccherà ritornare a trovarvi!

LM: Eh sì, sì: e tra poco, dai..

GP: Va bene, proseguiamo, riprendo di nuovo dalla vecchia intervista:

G. Una moto che una discreta porzione di guzzisti attende è una turistica; un’erede della SP che possa rivaleggiare con le BMW…

M. (sorride) Riccardo, chiama Rodolfo… così ve lo presento e vi faccio vedere qualcosa. Però, il registratore e la macchina fotografica restano qui, mi spiace.

GP: E allora, effettivamente questo qualcosa lo abbiamo visto! la Breva V1100 è una realtà e adesso la Norge: la vedremo così come l’avete presentata a Milano o state ancora ritoccando qualcosa?

RF: Sostanzialmente sarà quella presentata a Milano. Non si trattava di un prototipo ma di una moto allo stadio abbastanza avanzato. Alcuni dettagli li stiamo rivedendo: alcune forme nel faro, troppo durette le stiamo smussando, verificando gli effetti di insieme
e altri dettagli.

AS: Siete contenti del risultato finale?

RF: Molto. La moto mi sembra ben riuscita, ha delle proporzioni molto filanti. Nel corso del progetto non abbiamo mai guardato troppo a concorrenti come le BMW RT, per dirti; anzi ci sono studi che poi son rimasti nel cassetto, con solo mezze carene e così via. Durante il corso del progetto è cresciuta la voglia di eleganza e classe ma senza stravolgerne i volumi. Credo che questo in qualche modo sia visibile nella moto finita: mantiene un aspetto abbastanza filante nonostante masse e ingombri da vera GT, intendiamoci. Però non è uno di quei cosi plasticoni che, insomma…

GP: Hai accennato ad una semicarenata? È rimasta un prototipo o ci dobbiamo aspettare una versione “light” della Norge?

RF: No, no, era un’idea tra le tante portate avanti durante il progetto.

GP: Parliamo allora di questa piacevole novità: le moto escono come i designer le disegnano, senza il passaggio a sorpesa dal colorista di fiducia!

RF (risate) Uh, mamma, quel verde sulla Breva a Milano… Le piastre rosse della Griso… No, no adesso c’è molta attenzione. Siamo ascoltati, proponiamo, verifichiamo, siamo molto allineati, poi noi, soprattutto per Guzzi siamo abbastanza semplici, eh e le nostre proposte vertono quasi sempre sul monocolore delle carrozzerie.

LM: Che poi, quando c’è il disegno, se c’è la linea… Serve solo il colore che la esalti, certe sfumature servono a poco…

RF: certamente anche perché poi, dopo un certo punto, le possibilità di abbinamenti creativi finiscono e si esagera. L’Aprilia ha inventato tantissimo nella grafica delle moto. Scooter e sportive, dei successi incredibili, delle pagine gloriose di design innovativi, incredibili. Ma non necessariamente esportabili su altri marchi.

AS: È certamente una questione di tipologia di moto: su un modello giovane Aprilia, che si rivolge ad una certa clientela che cerca il prodotto alla moda, è corretto l’uso di tinte particolari, di azzardi cromatici ma su una Guzzi…

RF: Io i colori Guzzi, per tutte le Guzzi li farei un pelino metallizzati. Non metallizzato brillante accecante, ma un po’ più metallizati di adesso, mi piacerebbero.

RM: Mamma mia i colori della Breva a Milano… Come l’avevate chiamato, Grigio topo?

AS e GP: Pantegan Grey!  Ufficialmente noto come Grigio Sasso del Lario…

RF: Beh, l’ultima gestione molto ha tolto, eh! Mi sembra che ci sia più attenzione anche a questi aspetti.

AS: Oddio, ogni tanto qualche perla la fanno uscire ancora come la Nevada Rosso Corsa…

RF: comunque c’è molta condivisione di idee adesso, ad ogni stadio del progetto. Per esempio la Norge, tanti dettagli sui colori sono stati loro a suggerirli e noi ad accettarli al volo.

GP: quattro anni fa affrontammo l’argomento del design delle nuove Ducati. Eravamo tutti più o meno d’accordo nel considerare azzardate alcune scelte di Terblanche. Adesso il mercato ha confermato che certi azzardi, certe scelte non pagano. Come vedete i trend attuali del design motociclistico: da un lato Ducati corre ai ripari ricorrendo ad un richiamo al retrò quasi sfacciato mentre dall’altro abbiamo le ultime tendenze giapponesi tipo la MT-03.

RF: Non farmi parlare delle moto degli altri che non è educato!

GP: Riformuliamo: dove trovate l’ispirazione per la prossima moto? Cosa guardate, magari nel lavoro di altri colleghi o in certe mode, per poi arrivare a risultati come la Griso. Che poi la guardi e ti chiedi ma a cosa si sarà ispirato?

RF: Per la Griso non c’è stato un percorso, una valutazione delle mode…

GP: Quindi se adesso ti commissionassero una moto, che ne so, per fare la guerra alla MT-03?

RF: ma per che marca?

GP: Guzzi, diciamo Guzzi!

RF: Con che motore? Il bicilindrico a V?

GP: Ah, non lo so! Ditemelo voi!

RF: Beh, per adesso quello c’è! Ve la faccio io a voi la domanda: come la vedreste una Moto Guzzi monocilindrica tipo Pegaso per fare la concorrenza alla Yamaha?

GP: Dipende? Con che motore?

RF: Eh, quello che c’è, diciamo il Minarelli Yamaha Aprilia, quello della Pegaso per capirci.

GP: Mamma mia! Una Guzzi con motore non Guzzi! Mai! Ma io parlavo comunque solo di design, senza preoccupazioni di carattere commerciale. Non sono un venditore ma solo a sentire Yamaha…

RF: Te la rifaccio allora la domanda: come la vedi una Moto Guzzi monocilindrica, motore italiano, diciamo.

GP: ah, non saprei, forse bene! Sono un ex possessore di Pegaso, la prima moto italiana che è andata a disturbare le giapponesi su un terreno, quello delle enduro stradali, abbastanza difficile  e quindi direi perché no… Però mi interessava più il discorso sullo stile, sul design.

AS: mettiamola giù così: c’è qualcosa che avete visto di interessante, di indicativo sul design degli ultimi anni, qualcosa che vi ha colpito. In generale intendiamo, senza impicazioni o valutazioni di merito. Pensiamo per esempio alla Hypermotard Ducati…

GP: a me pare un XT…

RF: Mah, ci vedo una sorta di applicazione del KTM-pensiero ma… Insomma non è che tra gli addetti ai lavori abbia scaturito chissà quali reazioni. Mi avevi chiesto qualcosa di interessante, ecco: la MT-03, quella è interessante. Con un bicilidrico piccolino… Sarebbe la moto perfetta. Tra l’altro l’abbiamo anche guidata a lungo, molto divertente. L’unico limite è il monocilindrico che è un motor che ti stufa; dopo un po’ inevitabilmente ti fa venire voglia di passare
a qualcosa di più.

LM: Mmm… Non è necessariamente una cosa negativa. Dipende dall’approccio: mi compro il mono proprio perché ha certe caratteristiche, mi da certe sensazioni, lo guido in un certo modo. È una caratteristica più che un limite.

AS: Restiamo sul design e passiamo un attimo alle Cruiser: la California è sì una di quelle moto delle quali si dice che ha una linea eterna, ma la verità è che inizia davvero ad accusare i segni del tempo. Le Cruiser di adesso stanno andando in una direzione ben precisa, mi riferisco alle Power Cruiser giapponesi per esempio. C’è qualcosa che avete visto, che avete fatto, che avete in mente anche per la California.

RF: C’è una strada segnata. Un’unica strada. Indipendente dalle strade seguite da altri. La California è nata bellissima. Perfetta.
Quella è la strada da seguire. L’evoluzione del modello, in alcuni casi ha dato esiti un po’ pesanti per alcune versioni. Ma la prima, la prima California è una base ottima, un punto di partenza ideale per disegnare la California di adesso. Non serve altro, se parti da una California non devi guardare nient’altro.

LM: Poi, magari se spengete il registratore vi fa vedere qualcosa…

AS: Ah si? C’è già un progetto?

RF: No comment (ride!) C’è come dicevo un’idea forte sulla quale mi sentirei molto tranquillo.

GP: Che cilindrata immagini per la Eldorado del 2006?

RF: Mah un 1200, qualcosa in più forse…

GP: In sostanza se sei una Guzzi California non serve inseguire giapponesi o la Triumph su certe strade legate a cilindrate esagerate…

LM: La Guzzi California è la portavoce di un modo di andare in moto unico. Deve restare una moto simpatica, divertente, amichevole. Guzzi California vuol dire gioia di guidare, non moto che ti fanno paura anche da ferme… Certi concetti di moto semplicemente non ci appartengono.

RF: Soprattutto se parliamo di moto per le nostre strade, se le Guzzi escono da Mandello del Lario, devono andar bene e farti divertire sulle strade che trovi appena varcato il cancello. Quindi il California deve essere una moto divertente da guidare nel misto. Poi una volta che vanno bene lì. Oh, sia chiaro: io ho guidato la Rocket ed è una roba straordinaria, però… Solo a pensare ai consumi è un qualcosa di chiaramente diverso da quello che abbiamo in mente per una California.

GP: A proposito di questo discorso: io mi ricordo quando andare in moto era economico! Si andava in moto anche per risparmiare, e parecchio, rispetto alle auto. E adesso? Moto con i consumi come quelli che avete ricordato che senso hanno?

LM: Ma dipende dalla tipologia: una Guzzi deve innanzitutto garantire quella soddisfazione quel piacere unico che il motociclista si attende dalla Guzzi! Certo che un giorno anche Moto Guzzi avrà la sua ipersportiva per la quale nessuno guarderà ai consumi, ma se parliamo di una California con la quale fare o il giro del lago o il giro d’Europa è chiaro che non deve bere, non serve una soglia di cavalli inutile che serve solo per la brochure…

RF: Noi seguiamo molto anche il campo auto, e se solo confronti le tabelle dei consumi con quelle di venti quindici anni fa, siamo messi male… A parte qualche esempio ancora più o meno sperimentale, come le auto giapponesi ibride, le annunciate BMW ad idrogeno, per il resto… Vedi in giro pneumatici che li vedevi solo nel Super Turismo! Ad oggi, la domanda è ancora sulla potenza, che poi magari resta sulla carta, e prestazioni. I consumi non sono ancora una priorità. Pensa persino ai maxi scooter. Ce ne sono da 9 chilometri con un litro! E che pesano come un tir! Magari la priorità percepita è quella della potenza, dettata dal “dominare la rotonda”, dal non perdere mezzo metro dal semaforo a semaforo…

LM: Auto e moto hanno subito un’evoluzione molto simile. Le cilindrate erano ridotte, le potenze ridotte. Le moto si guidano in un modo diverso, i tempi sono cambiati. Dalla cilindrata 600 in su, trent’anni fa si parlava di maxi moto…

GP: E questo come lo vedete voi? Come un trend stabile o magari nel giro di qualche anno qualcosa cambierà? Lo vedete nell’immediato futuro un brief tipo: moto ibrida semiautomatica da 80 chilometri al litro?

LM: Forse bisognerà aspettare una nuova crisi pretrolifera, ma al momento non si vedono segnali di un cambiamento di rotta.

RF: Quello di cui parli sta già avvenendo in India e in Cina. Siamo appena tornati da un viaggio in India e laggiù i costuttori si sfidano a colpi di motori da 50, 100 chilometri con un litro.. Con cilindrate ovviamente da 100 cc, ma dei motori quattro tempi che sono dei gioielli e che lì fanno colpo.

GP: E qui da noi?

RF: Da noi nessuno ci bada, nessuno ci chiede interventi in tal senso. Qual’è la marca che promuove questo o quel modello mettendone in valore i consumi poco elevati? Nessuna.Al momento, evidentemente, tutta l’attenzione del consumatore è orientata altrove. Certo che se continua così, prima o poi qualcosa cambierà…

GP: Io spero che qualcosa cambi. Per farti un esempio personale non avrei mai pensato di dovermi fare i conti in tasca per la benzina prima di decidere se partecipare o meno ad un raduno ma visto il prezzo attuale…

RF: certo che il primo produttore che puntasse ad una cosa del genere, offrendo un mezzo credibile, capace di consumi ridottissimi, potrebbe pure fare un bel colpo…È un dato di fatto che il numero crescente di auto in circolazione porterà a sempre più frequenti situazioni di collasso. Roma e Milano assomiglieranno sempre di più a Bombay, dove sopravvivi solo con una moto larga cosi, che non consumi nulla.. E se arrivassimo a quello, magari arriveremo al paradosso che saranno loro, le industrie cinesi e indiane a proporci delle soluzioni alternative che saranno assolutamente imbattibili per noi occidentali.

GP: Dopo la crisi petrolifera la ricerca europea era arrivata a soluzioni interessanti. Solo che le renault da 50 km al litro, le auto ad idrogeno le abbiamo lasciate nei musei…

LM: Significa che c’è ancora molto petrolio.

RF: per noi sarebbe affascinantissimo puntare su tecnologie e soluzioni alternative… Pensa ad una 400 semiautomatica, una tutto-terreno, inventarsi un concetto proprio nuovo di mezzo a due ruote per la mobilità urbana…

AS: È il campo che interessa a Piaggio, più che a Guzzi.

RF: Senz’altro. Certo qui adesso ne stiamo parlando a ruota libera ma si tratta di progetti per i quali si mettono in gioco capitali enormi per tempi molto lunghi…

GP: A proposito di tutto-terreno e maxi enduro. Diciamo la moto per fare concorrenza alla BMW GS, la vedete fattibile a partire dalla base meccanica e ciclistica della Breva?

RF: Non saprei. Bisognerebbe lavorare molto sul peso… Poi quel motore già lo abbiamo alzato sulla Breva e gli ingombri con le ginocchia, diciamo che siamo al limite. Vedere come ci può stare lì una ruota da 19… Studi senz’altro ne abbiamo fatti parecchi.

LM: Ma poi tante volte le moto bisogna vederle fuori, vive, in strada. Qui si parla di design ma è solo davanti alla moto che si vedono un sacco di cose, tante cose che in un bozzetto, o anche in una maquette non si vedevano per niente. Ho visto stamattina un prototipo alla prima uscita. Erano venti giorni che lo vedevo ogni giorno e visto in movimento era tutta un’altra cosa, certe proporzioni, certi dettagli si vedono solo in movimento.

GP: Mi viene in mente di come i primissimi commenti per la carena della V11 furono negativi di fronte alla prima foto rubata del prototipo: una foto presa da davanti, con un obiettivo che deformava la carena. Adesso per la Norge la prima foto che è circolata è una gran bella foto, di tre quarti, con la luce giusta…

RF: Per riallacciarmi al discorso di prima: nessuno adesso va in galleria del vento per verificare i consumi. La Norge, che è stata sviluppata in galleria del vento per migliorare il confort di viaggio, quindi eliminazione turbolenze e fruscii ma senza quell’attenzione al CX, e quindi alla riduzione dei consumi che c’era anni fa. Nessuno adesso va in galleria del vento per verificare i consumi. L’ultima moto con una carena studiata in funzione del cx è stata la RSV 1000. Adesso se non fai la moto bella, puoi avere il cx che vuoi ma…

LM: Fino a che qualcuno non romperà questa spirale si continuerà così: avevamo la moto da 175 cc che faceva 40 chilometri con un litro. Adesso la vogliamo da 1200 cc… Le automobili erano 500, 600 o 750 cc che già cominciava ad essere una cosa grossa. Adesso si parla di berline 4200 con tranquillità. Qualcuno un giorno romperà e si tornerà indietro.
GP: Torniamo all’accenno di prima: adesso se non si fa la moto bella non si va da nessuna parte. Quattro anni fa, ùnon c’erano gli spigoli che vediamo adesso imperanti, adesso si parla di “edge”, cinque anni fa si parlava di “bio”. Voi in che direzione andate?

LM: Si cerca sempre di fare cose diverse ma la tendenza generale la senti, ne fai parte. Sono usciti fuori gli spigoli, e tu ti metti a disegnare e ti accorgi che saltano fuori, perché certe forme ti hanno colpito, perché certe tendenze erano nell’aria e senza nemmeno volerlo in un certo senso ti sei adattato… Esistono le mode, dei cicli anche nel design, così come c’era il momento del tutto tondo, adesso ci sono gli spigoli. Senza contare poi la relazione col cliente che vuole vendere, nel momento! Spesso ha in mente dei riferimenti ben precisi. Ma spesso lo si fa inconsciamente, lo vedo seguendo i loro lavori, che pure sono sempre innovativi, ma tante volte inconsciamente restano dentro certe forme, certe proporzioni che sono chiaramente riconducibili ad una tendenza in atto, in testa hai sempre e comunque una moto che vorresti vedere in strada immediatamente, che sia attuale.

RF: Diciamo che non puoi non vedere quello che ti succede intorno. Gli eccessi spero di evitarli, non li ho mai digeriti… Certe tendenze recentissime di certe marche non le condivido. È vero che in questo il marchio ti aiuta. Ogni marchio ha la sua personalità. Il Marchio Guzzi ti permette tante cose ma non gradisce gli eccessi.  Alcuni stili si adattano più ad un marchio che ad un altro. Pensiamo ai più recenti successi del design cosidetto “edge” come la Kawasaki Z1000: è una linea perfettamente compatibile con il marchio. Molto giapponese, e il mercato gli da ragione. Adesso nelle auto per esempio sta esplodendo questa tendenza detta di muscle design, con questi passaruota sportivi dappertutto, una reazione al minimalismo della Audi, Volkswagen, pensa alla Passat. Alcuni marchi si tengono al di fuori e impongono il loro design.
Un marchio come Guzzi è in questa posizione. Poi, quando vuoi fare un veicolo di rottura, se vuoi… Se vuoi rischiare, se il cliente ci sta, quando è lui che te lo dice: ok , adesso esageriamo! Allora tutto diventa possibile! Moto Guzzi è un marchio che può farlo, vedi Griso. Presentare un modello del genere marchiato Guzzi, come dire: è tutto in discesa, tutto è possibile! Se pensiamo per esempio al classico motore a V, è già l’architettura del bicilindrico a determinare certe scelte, non è una configurazione neutra, diciamo, con la quale puoi fare di tutto ma un insieme che già ti da delle indicazioni.

LM: il design finale è ovviamente condizionato dalla tecnologia, dalle potenze dalle tipologie di motore. Il giorno in cui ci mettiamo in testa di disegnare una Moto Guzzi da 200 cavalli viene fuori una moto diversa… Porquoi pas?

 

L’intervista prosegue seguendo ritmi inaspettati. In diverse occasioni Rodolfo Frascoli ci chiede come vediamo il design di moto come la Breva a distanza di anni, chi chiede dei commenti dei proprietari, confrontiamo esperienze e sensazioni: siamo anni luce lontani dal cliché del designer di lampade prestato al motociclismo…
Quando l’argomento tocca i nomi delle moto, gli tocca risorbirsi le litanie mie e di Alberto contro i deliri di marketing che produssero le Le Mans Tenni, le California Sport, il V11 Coppa Italia; contro i dirigenti che a priori devono cassare quello che è stato fatto prima di loro. Rodolfo è molto sicuro: Breva, Griso, MGS-01 erano prodotti nati e portati avanti dalla precedente gestione. Nessuno di questi è stato cassato a priori, anzi! Questo è un buon segno. Siamo ottimisti.

LM: senza contare che il successo di una moto è anche figlio di un ambiente, di un modo di lavorare.. Adesso che le moto sono lì, sono visibili, la Breva, la Griso, le vedi, le provi, il modello in strada, con le vendite che parlano chiaro, manda dei segnali molto netti, e quindi anche tu poi di rimando lavori in maniera migliore.

RF: C’è molto ottimismo. Eh, guardate che poi la cosa bella è che parliamo di Moto Guzzi che come marchio ha una forza… Guarda secondo me con un bel motorino nuovo, nuovo eh. Nuovo. Senza quel carter lì che…

GP: che grida “Reali Fonderie Lecchesi 1880”…

RF: per carità, con certe fusioni fatte per pizzicare il motore in catena di montaggio… Roba di cinquanta anni fa… Guarda con un motore ben disegnato, con i dettagli giusti, senza fare un’astronave, intorno ci fai una moto che ti permette di fare numeri… Non dico da Monster ma insomma…

GP: In attesa di arrivare lì: quanto ha significato per voi vedere, in un modo o nell’altro, vedere il progetto Griso realizzarsi?

RF: La risposta precisa te la darò a fine anno. Con davanti i freddi dati di vendita. Volente o nolente, così va il mondo adesso. Come designer, sono contento. Il disegno regge bene anche nella versione 850, che hanno appena finito. Insomma, è stata una bella scommessa.

AS: Da questo punto di vista, io ricordo di aver avuto due sensazioni distinte a Monaco, la prima volta che la vidi: da un lato paura, perché era troppo bella, troppo diversa, troppo sensazionale. Quei prototipi che li vedi e sai che non saranno mai messi in produzione. Dall’altro lato però, ammiravo la ressa… Una folla esagerata intorno…

LM: Rodolfo andò parecchio fuori da quelli che erano i canoni Guzzi…

GP: Ma come designer? È sempre valido quello che lei ci disse quattro anni fa? Disegniamo per tante case ma… Guzzi è un’
altra cosa.

LM: È sempre valido. Ma io non lo so… Solo a dirlo: Moto Guzzi, mi da già una garanzia. Non so, io sono italiano, per me Guzzi è la marca di moto italiana per eccellenza, È una storia d’amore, insomma, e come nei matrimoni, ci stanno pure i periodi di passione e quelli dove le cose vanno un po’ a rilento. Ma la Moto Guzzi è un qualcosa di così affascinante… Adesso, come vi accennavo, ci stiamo divertendo intorno ad un’idea di quelle che ti prendono allo stomaco… Venite, che vi faccio vedere qualcosa.

 

E così, partendo dalla sofferta genesi della Griso, ritorniamo di nuovo a parlare del rinato entusiasmo, dei progetti in corso, di quelli passati, di quelli rimasti nel cassetto e di quelli che verranno. Luciano Marabese ha un impegno e deve lasciarci a questo punto ma prima di congedarci, ci apre una cartellina. Dentro ci sono alcuni suoi schizzi a matita. Per una moto sportiva.Non ci sono parole. E non ce ne devono essere visto che si tratta di uno studio top secret. Roba forte, ragazzi! Di nuovo, ci tocca spegnere registratore e posare la macchinetta fotografica per seguire Rodolfo nel suo sancta sanctorum. Di nuovo, come quattro anni fa, Rodolfo ci stordisce a forza di studi, bozzetti, fotomontaggi, versioni scartate…

Ogni volta che hai la fortuna di stabilire una connessione con grandissimi designer come loro, con in più la grandissima passione che hanno per la Moto Guzzi, i megabyte di pensieri, idee, visioni che ne ricavi diventano gigabyte, terabyte, fino a colmare il serbatoio delle emozioni e delle idee che magicamente, per osmosi naturale ti riempiono.

Ma su quello che abbiamo visto non possiamo dirvi nulla. Stiamo già mettendo da parte alcuni soldini, ma non possiamo dirvi nulla.
Stiamo già scattando le foto per l’annuncio di vendita delle nostre moto, ma non possiamo far trapelare nulla… 😉

LA MIA FUGA CON BREVA

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La mia fuga con Breva

di Lucio Aiello

E’ la fine di aprile del 2006, ho trascorso una settimana in Baviera con 11 amici (Antamotoclub, Cosenza).  E’ stato proprio bello, col tempo quasi sempre sereno abbiamo attraversato il Tirolo lungo la vecchia statale, siamo passati nella neve  delle
Alpi  Bavaresi fra ripidi torrenti e laghetti gelati


abbiamo visitato i castelli di Ludwig a Schwangau (io sono quello in alto a sinistra),

La mia fuga con Breva

abbiamo vissuto l’accogliente vitalità di Monaco (memorabile la serata all’Offbrauhaus) con i
suoi monumenti ed i musei.

La mia fuga con Breva

Poi di nuovo la Romantiche strasse con i suoi borghi e castelli,  il giovane Danubio, l’incanto medioevale di Rotheburg

La mia fuga con Breva

ed il fascino tedesco di  Norimberga.

La mia fuga con Breva

Siamo tutti amici, alcuni intimi, ci sono due fratelli e tre cognati, ma nonostante l’età media (ben oltre i 50) spesso prevale  uno spirito goliardico per cui molto del viaggio viene lasciato all’ispirazione del momento e non di rado è l’idea più strampalata a ricevere i maggiori consensi.  E’ così che la proposta di Francesco, il più giovane del gruppo (perché non andiamo a trovare mia cugina, che ha un ristorante a Stoccarda?) viene presa in seria considerazione e, nonostante le proteste di Ettore (l’altro guzzista del gruppo) e mie, approvata con una schiacciante maggioranza.
Dopo una mattinata di sole per le vie e le piazze di Norimberga ci trasferiamo velocemente a Stoccarda mentre il  cielo si riempie di nuvole (e il mio umore pure).
La cugina di Francesco è molto gentile e ci ospita a cena, la serata continua in un luna park e poi in una birreria piena di ragazzi, vado a dormire ma sono contrariato. La mattina dopo ci sono tante nuvole, mi affaccio dalla finestra e guardo le moto, ho solo voglia di ripartire……
Verso le nove comincia a piovere, giro a vuoto per un po’ e poi torno in albergo, tra l’altro mi si è risvegliato dopo diversi mesi un intenso dolore alla spalla destra (sarò operato ai primi di novembre).  Sono partito incurante di una fastidiosa sciatica che a poco a poco, grazie ai farmaci ma anche al piacere del viaggio si è risolta, ora questo dolore alla spalla proprio non ci voleva. Una parte del gruppo è andata in centro, a vedere non so che cosa, con i presenti passiamo tre ore a discutere la strada del ritorno. Le previsioni meteo sono pessime, Ettore ed io ci lamentiamo di non aver visto  Ratisbona e Passau (dove tra l’altro il maltempo non è ancora arrivato), Antonio è depresso, è evidente che aveva accettato di venire a Stoccarda per allungare il viaggio di ritorno passando per Strasburgo e la Svizzera e l’idea non era niente male…In linea di massima si va verso Monaco per poi  fare un giro più largo verso Rosenheim con destinazione Innsbruck, sempre in autostrada evitando le strade di montagna. Alle tre del pomeriggio ci avviamo, non piove ma la spalla mi fa un male cane, sbagliamo direzione, ci fermiamo sul ciglio della strada con i TIR che ci sfiorano, il GPS di Gaetano non funziona per le troppe nuvole.  E’ chiaro che abbiamo sbagliato ma io insisto per proseguire in quanto la direzione secondo me è comunque giusta, Ettore mi appoggia ma non riusciamo ad  essere convincenti, discutiamo discutiamo e all’improvviso vediamo Mino che “è andato in ricognizione” e ci fa grandi segni sfrecciando sulla corsia opposta. Il tempo passa e Mino non torna, i TIR continuano a sfiorarci,  decidiamo di aspettarlo alla prima stazione di servizio, ripartiamo. Sono sempre convinto che la direzione è giusta, ci sono indicazioni per Ulm ed Ulm è ad est, più o meno all’altezza di Augsburg e quindi prima o poi la via per Monaco si trova. L’autostrada a un certo punto finisce in un paese, ad un semaforo quelli  in testa strombazzano, fanno grandi segni  e invertono la marcia, forse hanno avuto notizie da Mino, certo è che dopo qualche minuto imbocchiamo a tutta velocità l’autostrada di prima in direzione…Stoccarda! A questo punto mi incazzo davvero, rallento e maturo la mia decisione mentre mi faccio superare dagli altri: torno a casa da solo. Al primo svincolo esco e torno indietro. Sono solo e su una piazzola d’emergenza riguardo la carta: mi sembra chiaro che mi trovo su quella che viene indicata come “strada con caratteristiche autostradali” e corre parallela alla A8. Mando un SMS a Riccardo, gli spiego che a furia di fermarci a bordo strada qualcuno potrebbe farsi male, lo prego di salutarmi tutti e di scusarmi, se è possibile. Riccardo è l’anima del gruppo, mi conosce da quando avevamo i calzoni corti, è una persona straordinaria, capirà… Spengo il cellulare e vado avanti, raggiungo il paese di prima e proseguo seguendo le indicazioni per Ulm su una strada che sale in un dolce paesaggio collinare, peccato che il cielo sia così grigio ma almeno non piove, ogni tensione è scomparsa, a un certo punto trovo le indicazioni per la A8, quella che avremmo dovuto prendere all’inizio. E’ fatta, ma perché non mi sono stati a sentire? Dopo Augsburg il tempo migliora, il cielo è azzurro e non fa freddo, aumento l’andatura, sono sui 160 quando vedo delle moto su una piazzola, freno, non sono loro… peccato, proseguo di buon passo, sono quasi a Monaco, mi chiedo se sia davvero necessario fare il lungo giro programmato stamattina, ovviamente non mi sembra il caso e punto a sud, il tempo è bello e Breva fila che è una bellezza. Quanto ho sbagliato lo capisco dopo una cinquantina di km., quando comincia a piovere a dirotto. Le montagne sono nascoste  da nuvole nere, farei bene a fermarmi a Garmisch ma proseguo, se arrivo a Mittenwald senza problemi potrei raggiungere Innsbruck…

Mentre la strada sale la pioggia diventa torrenziale, alla luce dei lampi leggo il nome “Klais”, entro nel villaggio, parcheggio e mi fiondo  nel caldo della Posthotel Gasthof. La stanza è accogliente e c’è una  vasca dove faccio un magnifico bagno dopo aver  messo i vestiti  sui termosifoni  e da dove telefono a casa (il tempo è discreto,  va tutto bene…). Prendo un antidolorifico, scambio qualche SMS con Riccardo, abbiamo fatto la stessa strada ma loro si sono attardati nei dintorni di Monaco e sono molto indietro.
La stagione invernale è finita, quella estiva è lontana, credo di essere l’unico ospite dell’albergo, a parte un paio di anziani del posto seduti al bar. La cena è ottima, i compagni di viaggio mi mancano ma ogni tanto un po’ di solitudine ci vuole, non provo più senso di colpa ma una leggera sensazione di libertà, strana se penso che sono prigioniero della pioggia fra mura sconosciute, in un paese praticamente deserto. Sulla strada non passa nessuno, si sente solo la pioggia che scende fitta, vado a meditare  in camera, non faccio in tempo a infilarmi sotto le coperte che dormo.
Mi sveglio che è ancora buio, ma sta smettendo di piovere. Rimango sotto le coperte ancora un’oretta, starei divinamente se non fosse per la spalla,  mi preparo lentamente, faccio una magnifica colazione, saldo il conto (mite), saluto  e mi avvio mentre, naturalmente, ricomincia a piovere.
La strada sale fino al passo Shamitz dopodichè comincia una discesa tipo otto volante, all’andata non mi ero accorto che era così ripida, c’era il sole e Breva volava leggera, come ignara della legge di gravità, fra il verde e verso l’azzurro… ora è veramente grigia, dietro una curva una colonna di auto scende a passo d’uomo; mentre le sorpasso con cautela sento  una forte puzza di bruciato: ad aprire la fila è un camion ungherese che scende di prima e coi freni tirati, l’autista lo vedo solo per un attimo ma mi sembra terrorizzato… Nei dintorni di Innsbruck piove ma l’autostrada, alla quale guardiamo sempre con antipatia, mi accoglie amichevole, vado avanti sui 110 e penso all’infinito su e giù dei pistoni della Breva, all’albero motore che gira e gira come la vita, come questi giorni  passati in un attimo. Le indicazioni sono nomi che ho letto pochi giorni fa, lungo l’altra strada, ma i luoghi da qui non li riconosco, la pioggia è fredda ma ho come un senso di leggera euforia, mi viene di aumentare l’andatura ma mi trattengo, con la coda dell’occhio vedo il paesaggio che corre e mi abbandono ai pensieri, non mi accorgo di aver passato il confine e dalle parti di Bressanone esce addirittura il sole. Anche a Bolzano c’è il sole, mi fermo all’autogrill per un cappuccino e cornetto, mi sgranchisco un po’, chiamo Riccardo ma non lo raggiungo, mando un SMS, faccio benzina e riparto mentre tornano le nuvole. Trento, Verona, Modena è tutta una tirata, vado svelto, la spalla mi fa meno male, mi sento in forma, mi fermo solo per la benzina mentre gli altri stanno partendo da Innsbruck, vedo lo stabilimento Ducati a Borgo Panigale mentre ricomincia  piovere. Vado svelto, devo fare la Ravenna-Orte e prima ci arrivo meglio è, penso all’ultima volta, di ritorno dall’Austria insieme a mio figlio, era l’agosto del 2003 e non vedevo l’ora di lasciare l’aria rovente della pianura… sento che oggi sarà diverso. La imbocco che piove a catinelle, vado a 50 all’ora dietro  un fuoristrada che non si vuole spostare dalla corsia di sorpasso. Lampeggio, suono il clakson, lampeggio e rilampeggio ma quello… niente! Alla fine sorpasso sulla destra e capisco perché quel villano non mi dava strada: l’asfalto è un susseguirsi di buche, che con quest’acqua non si vedono. Piove un po’ di meno, prendo un minimo di velocità (non più di 70-80 km/h) e a un certo punto la moto si impunta e il posteriore si solleva, non so precisamente cosa ho fatto ma la moto mi parte davanti, sono attimi di terrore puro, sbando ma ho fortuna, non sbatto da nessuna parte, mi fermo sotto un cavalcavia. Riprendo fiato, le gomme sembrano a posto, è un miracolo poterla raccontare, il dolore alla spalla è violento, vado avanti fino a Verghereto dove c’è un’area di servizio sull’altra corsia, per raggiungerla devo percorrere una stradina piena di ghiaia. Al bar sento tanta gente che si lamenta, io sono abituato alla Salerno-Reggio ma questa Orte-Ravenna è veramente incredibile. Mi riscaldo con un the bollente e chiedo se non sia il caso di deviare  sulla viabilità ordinaria, mi dicono che il peggio è passato e che dopo, specialmente dopo S. Sepolcro, tutto è normale. In effetti  è così e arrivo rapidamente a Perugia e da mia figlia che ovviamente, dato il tempo, stava in pensiero. Lascio Breva in un parcheggio e mi rimetto un po’ in sesto, Francesca cucina, per me è sempre la mia bambina anche se ormai ha 23 anni, mi piace vederla che si prende cura di me, è bello stare con lei. Per sperare di prendere sonno è indispensabile un altro antidolorifico, vado a letto e penso alle tante strade che potrei fare domani mattina, vado ad Orvieto passando da Marsciano, vado da Terni a Rieti passando per il lago di Piediluco, nel frattempo finisco fra le braccia di Morfeo. La mattina dopo è presto quando mi sveglio col pensiero della moto che non ho potuto lasciare in un garage custodito, metto i pantaloni e un maglione sopra il pigiama e vado al parcheggio; lei è lì che mi aspetta, è sporca da fare pena ma mi sembra contenta di ripartire. La riporto sotto casa e rientro senza fare rumore, mi lavo, mi vesto mentre preparo la colazione, sveglio Francesca con un caffè, l’abbraccio, scendo giù e carico i bagagli, monto in sella e la guardo affacciata alla finestra, le faccio un saluto alzando la mano destra…il dolore è così acuto che perdo l’equilibrio e cado come uno stupido. Mi aiutano a rialzarmi e a rialzare la moto, per fortuna ho solo graffiato la borsa destra, cerco di prenderla con spirito e mi avvio, salutando per precauzione con un cenno del capo. Il tempo è grigio e non ho compagni, tanto vale scegliere la via più breve, esco da porta S. Pietro e giù verso Orte, c’è poco traffico e non piove ma vado avanti a velocità codice e mi godo questa strada che ho fatto tante volte ma mi piace sempre, con i suoi panorami e i borghi sospesi in lontananza. Da Orte in poi non c’è storia, solo traffico e nuvole, vado avanti a 130-140 di tachimetro, ogni tanto piove e rallento ma non ci sono problemi fino in Basilicata, dove la pioggia si fa intensa. Il mio vecchio casco modulare proprio ora comincia a cedere al peso degli anni, e dalla visiera si infiltra un po’ d’acqua. Ora che ci penso anche l’ultima volta che ho fatto questa strada in moto, alla fine di maggio dell’anno scorso, pioveva a dirotto, ma subito dopo il valico di Campotenese ha smesso. Il miracolo si ripete anche quest’anno, a mano a mano che salgo la pioggia diminuisce, a quasi 1000 metri d’altezza l’autostrada percorre un piccolo altopiano, faccio una galleria e scendo a valle mentre mi asciugo col vento,  vado svelto ma senza correre, ormai sono certo che la pioggia non mi raggiungerà un’altra volta, rivedo il viaggio come in un film, i panorami, la natura, le soste e le belle serate, mi torna il senso di colpa nei confronti degli amici ma in fondo la parte piacevole del viaggio l’abbiamo condivisa e ci siamo divertiti insieme. Poi, in questi giorni di maltempo per unica compagna di strada ho avuto  Breva, siamo partiti che aveva meno di 2000 km., ora di strada ne abbiamo fatta e mi sembra di conoscerla da sempre. In poco più di due giorni  abbiamo macinato oltre 1600 km., non molti in assoluto, ma tanti se consideriamo le condizioni meteorologiche e la Orte-Ravenna.
Tra poco saremo a casa, sono contento ma con una vena di malinconia, il viaggio è finito… andiamo lisci come l’olio, il motore quasi non si sente ed io penso di nuovo ai pistoni che vanno su e giù, su e giù, trecentomila volte in un’ora, milioni di volte in questi giorni  che mi sembrano un sogno fra la neve e il sole, la pioggia e il verde della campagna, i distributori di benzina e le antiche mura, l’urlo degli 8.000 giri e la voce del vento.

Un giorno con Osvaldo

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Di Maurizio ‘Ponant’ Vallebona

 

Ci sono momenti della vita in cui ti costruisci in testa l’idea che niente delle cose che potresti fare possa ancora stupirti e sorprenderti.

Oggi è domenica. Non me la sento di andare fino al raduno a bracciano. Non ho voglia di farmi travolgere dall’orda festante del raduno… So che arriverà ancora il momento per festeggiare, ma adesso no, è ancora troppo presto per me e sento che devo ancora recuperare qualcosa.

Il sole filtra dalle tapparelle, è un giorno buono per una scampagnata, una cosa tra vecchi amici io, il mio guzzi ‘Osvaldo’ e il plaid di tante scampagnate e un nuovo amico, il libro che mi porto dietro.

E, perchè no, anche un po di musica.

Oggi rispetterò tutti i limiti di velocità. Non ho fretta, non ho una sensazione. E dal momento in cui apro lo zainetto a quello in cui sento il ‘cloc’ della prima marcia del Guzzi, tutto è ovattato e impersonale.

Oggi Osvaldo è ancora più ‘rotondo’ del solito… Ronfa come un gatto al quale sto ‘grattando’ il punto giusto, si distende con quel suo pulsare ritmico regolare, abbandonato come se nient’altro ci fosse al mondo in quel momento. Osvaldo mi rimanda la ‘sua’ vibrazione, e come un grosso gattone caldo non si preoccupa di quello che sta facendo o di come lo sta facendo ma mi segue e mi asseconda in modo misurato e lievemente distaccato aumenta le fusa… e di colpo, la strada diventa il pensiero.

Non c’è nient’altro che la musica ed il calore del motore che mi trasporta e mi impone il suo ritmo da assecondare, da approfondire e riconoscere…

Canta guzzone bello canta… fammi ascoltare la tua canzone con quella nota infinita che cambia di tonalita e di ritmo al comando di una manopola… portami via con te, una cambiata dopo l’altra, e fammi dimenticare questi ultimi mesi…

Qualcosa intorno alla strada, un gioco di luci, di geometrie, di proporzioni di orizzonti che la mia vista coglie ma il mio cervello registra, mi colpisce così proseguo, su strade che conosco bene e che una mano invisibile modifica ogni stagione, sempre diverse e sempre uguali come se fossero vive, e se una strada davanti a me dicesse: ‘non ti preoccupare, ti porto al solito posto ma ti faccio fare un giro diverso’ mi fiderei di lei come di un vecchio amico dal quale è bello lasciarsi trasportare…

Osvaldo, lui, continua la sua corsa, mi chiama un pò alla volta. Mi ricorda, tenendomi per mano come sapevo guidare un tempo e come mi venisse istintivo e naturale fare certe cose… e un po’ per volta mi torna la ‘mano’ la ‘voglia’ di essere lì e fare strada… Arrivo alle salite, e la ‘coppia’ mi porta su… questo borbotto cupo ma costante mi fa salire, e ringrazio nella mente un meccanico brianzolo che con il suo talento mi regala un’emozione da lontano.

Sali guzzone, sali.

Portami ancora dove lo sguardo fissa il verde che accarezza le vallate, e svuotami la mente lasciamoci alle spalle tutto quanto. Lasciamo indietro, là nel basso nelle nebbie le mie preoccupazioni. Lasciami respirare gli odori di questo bosco, del suo fresco, dell’umido che resiste ancora dietro a ogni foglia sotto ogni muschio.

Sali Guzzone, Sali amico senza parola che dà sicurezza e calore…

Continua a salire e a cantare la tua cupa e misurata canzone che tanto bene si intona alla mia anima… fammi pensare ad una foto che ricordo, una persona in Vespa con gli amici, ad una Vespa che ho comprato e che non ho fatto in tempo a regalarti…

Oggi se fossi qui con la tua Vespa su questa strada di montagna ti starei dietro e ti accompagnerei.

Ma un po’ più da lontano, per stare lontano dagli scarichi a due tempi… E per non farti fretta. E tu saresti lì come ti vedo nella foto che mi è rimasta con i tuoi amici con la scritta “carogna 1” sul fianchetto… Io e Osvaldo li rispettiamo questi vespisti… e questo più degli altri… e intanto la cima si avvicina e mentre la strada finisce in uno spazio e mi obbliga a fermarmi, la riesco a immaginare questa Vespa che continua a salire e va in alto dove non la posso seguire…

Io mi fermo qui, sulla cima di questa montagna, con i miei pensieri, con i ricordi di quello che son riuscito a fare e con il rimpianto di quello che non c’è stato il tempo di fare… da qualche parte, lassù, c’è un gruppo di vespisti con scritto “carogna n°…” sul fianchetto e stanno andando a ballare ad una fiera di paese come ti piaceva fare quando hai conosciuto la mamma.

Buon viaggio papà.

Report Sicilia

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Report Sicilia

Di andre1100sport

Sono tornato ormai da una settimana da un’indimenticabile (anche perché per me è il primo viaggio così lungo in termini di tempo e km) vacanza in Sicilia in due: io e il mio 1100 Sport.

Cercherò di non tediarvi con gli aspetti turistico-balnear-gastronomico-sentimentali, e di limitarmi invece agli aspetti più strettamente tecnico-motociclistici e all’itinerario (per sommi capi).

Parto con due borse flosce laterali: da una parte tenda e sacco a pelo, dall’altra tuta&stivali antipioggia (mai usati, ha piovuto due o tre volte ma sempre di notte), scarpe da ginnastica e bottiglia di olio motore di scorta (neanche aperta a fine viaggio!); legato sopra una borsa laterale il materassino da campeggio. Nella borsa centrale, fissata sulla sella passeggero, tutti i vestiti. Il peso si sente, soprattutto nei cambi di direzione, ma la moto si guida bene lo stesso.

Addosso tuta di pelle in due pezzi (marrone quasi nera, ideale sotto il sole), guanti e stivali, che userò sempre nei trasferimenti e invece lascerò in campeggio nei brevi spostamenti locali. Casco apribile, sarà anche meno sicuro ma con l’integrale sarei morto dal caldo.

Primo giorno (5 agosto): autostrada da Bergamo a Parma (l’unica che farò fino al tratto che mi porterà a Palermo) e poi solo strade normali fino a Castiglion della Pescaia (GR). Ma che bella è la Cisa? non l’avevo mai fatta; e le stradine tutte curve della Lunigiana e Garfagnana?

km 570.

Secondo giorno (6 agosto): via per le ancora più splendide strade del senese e le altrettanto belle strade per Orte, Narni, Terni, Rieti e L’Aquila, per arrivare per la seconda notte al raduno sul Gran Sasso chiamato “Piccolo Tibet” organizzato da Motociclisti Imprevisti, di cui avevo saputo grazie alla segnalazione di Dav850T3Cali sulla mailing list di AG.

Ed ecco la prima magagna : poco prima di arrivare al raduno, mi fermo a chiedere un’indicazione e, al momento di ripartire, premendo lo start il motorino gira ma non ingrana sulla ruota della frizione, ne esce un rumore tipo mitraglia e la moto non parte. Parto a spinta (in discesa) e arrivo a Fonte Vetica (nei pressi d Campo Imperatore), sede del raduno, quasi senza benza perché piuttosto che fermarmi al distributore e ripartire spingendo con la moto stracarica preferisco rimanere a piedi!
Neanche il tempo di arrivare (cazzo che posto, e sì che ne ho viste di montagne… sembra di essere su uno di quegli altopiani in Kyrghizistan, nel cuore dell’Asia Centrale: avete presente, no?) e subito un team di meccanici preparatissimi e ben attrezzati comincia ad armeggiare intorno al 1100. Che sia la batteria scarica? Colleghiamo coi cavi la batteria a quella di un’altra moto e proviamo, stesso risultato. Ma il capo meccanico (Marcellino Faletto su Yama XJ750 Turbo!!!) ha le idee chiare: nota che, dalla molla della serratura della sella passeggero, ad ogni tentativo di avviamento esce una fumatina e, prima ancora di averlo individuato fisicamente, capisce subito qual è il problema: la batteria non è collegata bene a massa e disperde. A questo punto è fin troppo facile accorgersi che la treccia metallica della massa della batteria è avvitata a un punto di attacco della piastra reggi batteria che si è dissaldato dal telaio, quindi la corrente passa, attraverso la suddetta molla e gli altri punti di attacco della piastra al telaio (infatti la moto e tutti i servizi funzionano regolarmente), ma quando ne deve passare tanta (per l’avviamento) disperde. Avvitata la treccia a un altro attacco della piastra reggi batteria, il problema è bell’e che risolto.

km 1022.

Terzo giorno (7 agosto; e qui mi sto sforzando per tenere fede alla parola data e evitare di dirvi qualcosa degli arrosticini, della grappa e del dopo grappa al raduno…): Marcellino non è tipo che si accontenta di una soluzione di emergenza, sa che ho ancora tanta strada davanti e girare con la batteria che saltella nel sottosella non è bello. Così mi invita a casa sua dove, come se fosse la cosa più normale del mondo, crea dal nulla due piastrine a U di acciaio, le fora e mi rifissa perfettamente la piastra reggi batteria al telaio (penso che la terrò sempre così, a imperituro ricordo della sua maestria). Non contento, mi invita a pranzo (e sua moglie cucina davvero bene) e mi dispensa saggi consigli per il percorso a venire.

La prossima tappa è a casa di una mia amica in Puglia, parto che è già pomeriggio ma resto fedele al progetto no autostrada e mi faccio le varie statali x Chieti, Popoli, Sulmona, Roccaraso, Isernia (quest’ultima parte splendida; tra l’altro non ci passa nessuno perché, come mi spiega un benzinaio, hanno appena aperto una nuova strada a doppia corsia che copre lo stesso tratto; in pratica la strada vecchia è diventata un circuito per motociclisti, particolarmente indicato per supermotard; peccato che una CBR uscita larga da una curva mi stava centrando in pieno, c’è mancato davvero un pelo!), Campobasso, Foggia e Ruvo di Puglia.

km 1500.

Un giorno di sosta a Ruvo di Puglia (8 agosto) e poi il quinto giorno (9 agosto) via per la Sicilia, passando da Matera, Metaponto e Sibari, poi scavalcando i monti della Calabria e sbucando sul Tirreno a Guardia Piemontese, a nord di Tropea. Sempre solo statali fino a Villa San Giovanni, breve traversata in traghetto e ancora statali da Messina fino a Riposto, “Il porto dell’Etna”, pochi chilometri a nord di Catania (cazzo, ma che traffico nei paesini lungo la costa!).

Si manifesta la seconda magagna (che poi si rivelerà essere dipendente dalla quarta, ma non anticipiamo i tempi…): in Calabria, scendendo verso il Tirreno, il freno dietro comincia a mollare. Sul 1100 Sport non è rarissimo, ha una pinza dietro da motorino, la moto è stracarica, io sono abituato ad usare tanto il pedale del freno dietro (retaggio della frenata integrale del Lario?), la discesa era lunga … insomma penso a una bolla d’aria nel circuito idraulico.

km 2105.

Il sesto giorno (10 agosto) vado a Catania a cercare un’officina, un gentilissimo Guzzista locale su T3Cali mi accompagna prima dal concessionario Guzzi (chiuso), poi in un’officina multimarche, che mi indirizza a sua volta all’officina autorizzata Guzzi Nunzio Moto di Acireale (il cui meccanico mi mostra con giusto orgoglio un Daytona Limited Edition che hanno in officina). Qui prima tentano di rimbalzarmi in un’altra officina, poi di fronte alla mia disperazione mi lasciano fare da me lo spurgo dell’impianto (fornendomi molto gentilmente cavalletto, attrezzi, liquido freni e il cosiddetto “cicciamerda”, cioé una tanichetta con tubetto dove far defluire il liquido che esce). Risultato scarso: il freno frena solo dopo una prima pedalata a vuoto, e dopo un po’ di chilometri ricomincia a non frenare più del tutto come prima. Pace, c’è sempre il freno motore!

km non pervenuti (2200?)

Settimo giorno (11 agosto) dedicato alla visita dell’Etna: sono arrivato fino in cima (anche se purtroppo la Guzzi l’ho dovuta lasciare alla partenza della cabinovia! ) , ed è davvero uno spettacolo. Peccato che il tanto camminare tolga spazio alla guida, perché la strada che sale da Zafferana Etnea al rifugio Sapienza sembra un circuito x moto: larga, bell’asfalto (che in Sicilia è un po’ una rarità, purtroppo) e disegnata da uno che non può non essere un appassionato di moto.

Freno dietro sempre assente, in più ( terza magagna ) inizio a sentire uno strano rumore dalla ruota (o dai freni?) davanti, la sera in campeggio smonto un po’ di roba e credo di capire che il responsabile sia un cuscinetto del perno ruota. Niente da fare, siamo a giovedì sera, lunedì prossimo è ferragosto e ho già constatato che in questi giorni le officine sono tutte chiuse.

km 2305.

Ottavo giorno (12 agosto): sperando che il cuscinetto regga, parto per la prossima tappa, l’angolo sud-est della Sicilia, località Isola delle Correnti (zona Portopalo di Capo Passero). Giusto a metà strada, appena fuori Siracusa, su una superstrada a circa 120 km/h, il cuscinetto se ne va. L’effetto è simile a quello di una foratura prima che inventassero le gomme tubeless, la moto di colpo diventa incontrollabile, ma per fortuna è un 1100 Sport, la moto più stabile del mondo: resto in piedi, mi fermo e do un’occhiata, dal cuscinetto escono pezzi della guida delle sfere triturata, sembra anche che manchino alcune sfere. Trotterello a 30 km/h fino alla prima uscita, con la ruota che sfarfalla vistosamente e anche i freni davanti che, di conseguenza, non frenano più; disperato, trovo un’officina auto, mi ci fermo frenando coi piedi come si faceva con la bicicletta da ragazzini e imploro i meccanici di aiutarmi. Tra l’altro è quasi l’una e stanno chiudendo per il pranzo. Sulle prime mi dicono di lasciare lì la moto e tornare dopo pranzo (ed è già una pacchia, mi aspettavo che mi cacciassero via; tra l’altro in fondo all’officina vedo fare capolino una Monster S4, sta a vedere che tra i meccanici di questa officina c’è qualche appassionato motociclista…), poi decidono di cominciare a vedere che cos’è e dopo neanche un’ora il cuscinetto morto è sostituito con un altro nuovo fiammante… anzi, prelevato dalla cassa del rottame e proveniente dall’albero a cammes di una Ford Mondeo! Il tutto per l’esorbitante prezzo di 15 Euro (roba da non credersi; ho già scritto a Motoschifismo per ringraziare).

Riparto e arrivo alla meta (Isola delle Correnti, gran bel posto) neanche troppo tardi.

km 2563.

Nono giorno (13 agosto): torno verso nord fino a Siracusa e, quando ci arrivo, noto ( quarta e ultima magagna ) che anche un cuscinetto della ruota dietro (quello lato disco freno) ha deciso di imitare il collega all’anteriore: gira male e fa un brutto rumore. Provo invano a girare un po’ di officine, ma è il venerdì pre-ferragosto, e quando finalmente ne trovo una disposta a guardarci sono le dodici e mezza e i ricambisti sono già chiusi, dove lo trovo un cuscinetto di ricambio?

Decido di fare come per l’altro cuscinetto (l’esperienza insegna!): non si può riparare? Fanculo, proseguo la visita di Siracusa e incrocio le dita.

km non pervenuti

Decimo e undicesimo giorno (14 e 15 agosto): tutto bene, giro nei dintorni di Siracusa (assolutamente da vedere, oltre ai soliti posti che sono su tutte le guide, la valle del fiume Anapo e l’annessa necropoli preistorica di Pantalica) e Ragusa.

km 3076.

Dodicesimo giorno (16 agosto): mi trasferisco oltre Agrigento, a Eraclea Minoa.

km 3338.

Tredicesimo giorno (17 agosto): visito Agrigento e la Valle dei Templi.

km 3388.

Quattordicesimo giorno (18 agosto): mi sposto con armi e bagagli a Selinunte (con strizza incredibile sui tornanti in discesa che da Menfi portano verso la foce del Belice: l’asfalto sembra di vetro e, avvicinandomi al primo tornante, che gira a destra, ogni tentativo di frenare si risolve in un bloccaggio della ruota anteriore; per fortuna riesco ugualmente a impostare la curva senza invadere più di tanto l’altra corsia). Appena arrivato in centro di Marinella di Selinunte, mentre vado a 5 km/h dietro una fila di auto, la ruota dietro di colpo si inchioda (è la definitiva conferma della quarta magagna ). Il cuscinetto ha fatto la fine di quello davanti, ma da come si è bloccata di colpo temo il peggio, cioè che si sia danneggiata la coppia conica! Per fortuna proprio lì davanti abita un Guzzista (mi pare Nevada), che almeno mi aiuta a spostare la moto a lato della strada e mi dà indicazioni sui meccanici della zona. Però siamo a giovedì della settimana post ferragosto, officine chiuse fino a lunedì.

Troppo incazzato per guardare i km, ma così a occhio direi 3500-3550.

Tanto per non starmene con le mani in mano, il 19 vado in treno a Trapani e in traghetto sull’isola di Favignana, poi il 21 me ne torno a Selinunte in treno.

Diciottesimo giorno (22 agosto): alle 14 il meccanico del posto (Castelmoto di Castelvetrano, bravo e gentile) viene a recuperare il 1100 col furgone. Peccato che in questo periodo lavorano solo mezza giornata, al pomeriggio l’officina è chiusa.

Diciannovesimo giorno (23 agosto): la mattina, di buon’ora, mi presento in officina e smonto la ruota dietro. Tolta la ruota, provo timidamente a far girare a mano l’albero di trasmissione, pronto al peggio, e invece gira tutto come l’olio, era solo il maledetto cuscinetto, la coppia conica è OK! Con l’aiuto del meccanico cambio il cuscinetto, anzi già che ci siamo li cambiamo tutti e due, per un totale (compreso il recupero della moto col furgone e i due cuscinetti) di 75 Euro. Altro bell’esempio di onestà. Magicamente, anche il freno dietro torna a funzionare normalmente: evidentemente la magagna n. 2 dipendeva dalla n. 4, nel senso che il bastardo cuscinetto stava già cominciando a partire fin dalla Calabria, faceva sfarfallare la ruota, e quindi anche il disco freno, le cui oscillazioni impedivano al circuito idraulico di funzionare correttamente (infatti, come ho già detto, anche quando era saltato il cuscinetto della ruota davanti non funzionavano più i rispettivi freni).

Pronti via, me ne vado a Palermo: sono in ritardo sul programma e quindi, dopo essere passato dai ruderi del paese di Gibellina, distrutto dal terremoto del Belice del ’68, mi concedo il secondo tratto di autostrada della vacanza (il primo era stato Bergamo-Parma!). Monto la tenda all’Isola delle Femmine (un nome ingannevole, non se ne vede una…) e vado subito al porto di Palermo per prenotare la nave x Genova della sera dopo. Poi mi getto nella Palermo by night, davvero intrigante.

Troppo felice per guardare i km, ma così a occhio direi 3800

Ventesimo giorno (24 agosto): la mattina in campeggio vedo un Hayabusaro che lubrifica la catena e gli chiedo da dove viene, in un italo-inglese malcerto ma efficace quello mi risponde: da Finlandia tutto on the road except boat from Zara to Ancona!!! La mia autostima per i tanti km fatti cade sotto zero.

Palermo by day mi intriga un po’ meno della sera prima, comunque sempre molto bella e mille cose da vedere. La sera a malincuore mi imbarco.

km 3840.

Il ventunesimo giorno (25 agosto) non si conta neanche: nave Palermo-Genova, arrivo alle 17 e via in autostrada fino a Bergamo. Minaccia pioggia, quindi vado allegro e, sulle curve della Milano Genova, sono anche tentato di gettarmi all’inseguimento di una Hornettina volante che mi passa beffarda; ma poi mi chiedo: chi me lo fa fare, con borse, borsoni e 4000 km sul groppone, di rischiare la vita per star dietro a un pirla? Non mi riconosco più, sta vedere che ‘sta vacanza mi ha maturato!

km finali 4040.

Bilancio: ho lasciato in Sicilia (e ci metto anche il Piccolo Tibet-Gran Sasso) un pezzo di cuore e due cuscinetti. Ho conosciuto gente splendida, generosa, disponibile e cordiale. Ho scoperto (a 34 anni!) che una vacanza in moto (naturalmente Guzzi) & tenda, specialmente se in solitaria, è un’esperienza da fare nella vita.

P.S.: Ma ’sti cavolo di cuscinetti del perno ruota, è così comune che si rompano? Due in un viaggio di 4000 km? Forse che, in un periodo di magra, a Mandello al posto delle sfere gli operai nei cuscinetti ci mettessero le caccole del naso? Credo proprio di essermi strameritato sul campo i galloni di Gran Maestro della Loggia del Cuscinetto.

Ci si vede alle GMG (se riesco a arrivarci… mi porterò dietro un paio di cuscinetti di scorta)!

In Guzzi we trust

Andre1100Sport

Report Sicilia

Le sorprese della vita. Una favola dei giorni nostri.

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di Maurizio Suppo

 

A mia madre.

Vroom vroom vromm, il piccolo Giovanni correva sempre ad affacciarsi alla finestra che dava sul grande cortile quando sentiva il vecchio signore che accendeva il suo Falcone. Giuseppe andava ormai per i settanta ma sembrava un ragazzino. Alto, con un fisico asciutto ma ancora incredibilmente atletico, tutte le domeniche mattine da quando era vedovo dopo la messa andava a casa, metteva il Guzzi bello fiammante in mezzo al cortile rivolto verso l’uscita e dopo un bel cicchetto al carburatore via un bel calcione deciso sulla pedivella, mai che lo tradisse una sola volta, partiva sempre e il suo borbottio lo salutava dicendogli che era pronto. Appena lo sentiva Giovanni correva e si sbracciava urlando un sonoro ciao. Giuseppe lo salutava con il suo solito sorriso, un sorriso alla voglia di vivere, gli ricordava tanto lui da piccolo, ai suoi tempi nemmeno si vedevano le moto, vere e proprie mosche bianche. Giovanni, quando i suoi genitori lo permettevano, correva giù per le scale e si fermava a pochi metri dalla stantuffante motocicletta e rimaneva lì incantato con la manine dietro la schiena a guardarla mordicchiandosi il labbro tutto preso dalle sue emozioni da bambino. Giuseppe allora lo prendeva in braccio e lo sedeva sulla sella, il piccolo tutto teso si aggrappava al manubrio e proprio come l’anziano signore gli aveva insegnato, dava dei piccoli colpetti al gas, per lui era importante perchè Giuseppe gli faceva scaldare la sua moto, poi dopo pochi minuti, eccolo di nuovo che ridente tornava di corsa su per le scale tutto felice. Ed eccolo pronto a partire, caschetto, occhialoni e una borsa di cuoio a tracolla, e via. Lasciava le vie di Vercelli per prendere la statale che collegava la città al Monferrato, su per le colline il mono borbottava vivace e prendeva con calma i giri. Giuseppe rimaneva incantato dai pendii coltivati a grano e a vite, e guardava quel paesaggio che conosceva a memoria, per anni aveva fatto su e giù per quelle strade con il suo Sport 15 prima della guerra. Arrivava sempre al solito punto panoramico dal quale si vedeva l’ìmmensa pianura tutta lì sotto ai suoi piedi e in quel momento si sentiva il re del mondo, pensando che nessuno poteva pretendere di più di quello. Il muretto lo aspettava sempre lì fermo e fedele, tirava fuori il suo bel pane e salame, anche il pranzo domenicale era servito, erano lontani i tempi delle tavolate piene di parenti, ora lui era solo, e così gli bastava. Finito il pranzo si ripeteva la procedura del cortile, fatto salvo per il piccolo Giovanni, ma il ritorno se lo faceva allegro, trotterellando di buon passo e mettendo a dura prova il suo fedele rapace. Rientrando nel cortile il motore calava di giri fino a smettere di borbottare, “Alla prossima” gli diceva accarezzandogli la sella e via a casa, ma era felice sebbene fosse sempre stato solo, era felice perchè sapeva che di lì a poco avrebbe sentito il festoso scampanellio di Giovanni, che correva a casa sua ogni domenica per sentire gli incredibili racconti di motori e viaggi che aveva fatto in giovinezza, di quella volta che in pieno inverno rimase senza benzina ad Alagna, di quella volta che lui e sua moglie Claretta andarono a trovare un vecchio cugino a Venezia facendo un viaggio di due giorni,di quelle “volte che…” avevano reso incredibili tanti viaggi agli occhi di un piccolo uomo di quattro anni, racconti che facevano assumere a Giuseppe agli occhi di Giovanni un alone eroico e magico, che gli facevano pensare che anche lui quando fosse stato grande avrebbe voluto fare tutte quelle avventure. Poi arrivò un inverno,freddo e pieno di neve, il vecchio Giuseppe un giorno prese il suo Falcone per fare il suo solito giro, Giovanni non scendeva più per le scale perchè la mamma non glielo permetteva per il freddo, tirava un’aria rigida, ma a lui non importava, calzoni di lana, doppio maglione e un bel montone rovesciato. Ma quella volta non bastò. Il giorno dopo gli prese una gran febbre, e si ammalò di polmoni. Rimase vivo per un pelo dopo quasi tre mesi di malattia, la sua medicina migliore fu il piccolo Giovanni che tutti i giorni gli portava la minestra calda fatta dalla sua mamma, e che gli dava la forza di non lasciarsi andare, viveva per lui, era il figlio, o meglio il nipote che non aveva mai avuto. Gli pianse il cuore quando fu costretto a vendere la sua moto, pianse di dolore perchè era un’amica per lui, una fedele compagna. Passarono gli anni e purtroppo Giuseppe se ne andò lasciando dietro di sè un gran vuoto nel “piccolo” bambino, ormai adolescente. Per Giovanni arrivò il primo motorino, un fiammante M50 della Garelli, poi con il suoi risparmi decise che era ora di comprare una moto. Le sue finanze non gli permettevano molto e quando vide da un meccanico un Falcone con un cartello vendesi, gli venne in mente Giuseppe, e la sua moto, il ricordo delle emozioni che provava quando sentiva le parole del motore e quelle del suo amico lo convinsero ad entrare a chiedere il prezzo. “E’ un pezzo vecchio e malandato, sei sicuro giovanotto?” gli disse il meccanico, “Sì, quanto?” – “Ma non posso chiederti più di centomila! Ha quindici anni!”. L’affare fu concluso, e Giovanni si portò la vecchia moto a casa con un po’ di apprensione dei suoi genitori. In effetti era un po’ malandata, e spelacchiata nella vernice ma il motore stantuffava come se lo ricordava lui e ciò gli bastava. Guardò il libretto e vide scritto in cima alla fila di proprietari il nome del primo :”Vercelli, 22 ottobre 1954. Generalità del proprietario: Giuseppe Mazzeri …” Rimase fulminato, non riusciva a crederci, era la moto del suo amico, e ora era sua, gli occhi gli diventarono lucidi dall’emozione, il vecchio meccanico non sapeva quale tersoro gli aveva ceduto a così poco prezzo. Dopo otto padroni che le avevano ormai fatto sputare l’anima, ora lui un, ventenne studente, aveva ritrovato una parte del suo migliore compagno d’infanzia di sempre e per nulla al mondo l’avrebbe ceduta. Era vecchia e malconcia ma non ai suoi occhi.Trent’anni dopo Giovanni la restaurò, ridonandole lo splendore che ricordava quando era bambino. Ad ogni giro Giovanni non manca di passare per il punto panoramico tanto caro al suo amico, e ogni volta il suo sguardo e quello del Falcone si perdono nell’immensità della pianura. Oggi nel vecchio Falco rivive la memoria di Giuseppe, e delle tante fantasie fatte dal piccolo Giovanni accoccolato sulla sua sella intento a dare dei colpetti di gas sognando le avventure del suo grande amico.

In viaggio

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AnimaGuzzista Racconti In viaggio

Di Cesare Abbate

 

Partimmo al sorgere del sole, nel cuore delle montagne che catturano il vento per coprire col loro manto le piccolissime città, tra le nuvole che quasi ci sfioravano mi sentii protetto come un bimbo nell’incavo dell’ utero materno. Durante il tragitto udivo come una eco lontana di antiche voci semicoperta dal rombo della moto. Lo sguardo che anticipava ogni curva era la sorta di un antico esorcismo, la mente in direzione delle montagne violate dall’empia strada fantasma. Ad ogni sguardo pellegrino pareva apparire e riflettersi all’infinito, come in un gioco di specchi, la stessa identica curva: la curva dei miraggi che conduce per piste fantasma in una sorta di inferno, nel quale non vorresti mai arrivare…

Viaggiamo, inizialmente, per perderci. E viaggiamo, poi, per ritrovarci. Viaggiamo per aprirci il cuore e gli occhi, e per imparare più cose sul mondo di quanto possano accoglierne i nostri giornali. E viaggiamo per portare quel poco di cui siamo capaci, nella nostra ignoranza e sapienza, in varie parti del globo, le cui ricchezze sono variamente disperse. E viaggiamo, in sostanza, per essere giovani e sciocchi, per rallentare il tempo ed esserne catturati…

…mai come sulla strada ci convinciamo di quanto le nostre fortune siano proporzionate alla difficoltà che la precede. E mi piace l’enfasi su una vacanza morale perché ci abbandoniamo alle nostre abitudini etiche, così come la sera ci abbandoniamo nel nostro letto. Pochi dimenticano il nesso tra viaggio e travaglio. E io so di viaggiare in gran parte alla ricerca di una sana sofferenza, la mia, che voglio sentire, e quella degli altri, che ho bisogno di vedere. Viaggiare in questo senso ci conduce ad un migliore equilibrio tra saggezza e compassione, fra vedere il mondo chiaramente e sentirlo veramente. Perché vedere senza sentire può portare all’ indifferenza, mentre sentire senza vedere può renderci ciechi…

A volte l’Aquila ti porta dove meno te lo aspetti

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AnimaGuzzista Racconti Rinaz

Di Rinaz
Fa freddo questa mattina e’ l’otto dicembre festa consacrata all’Immacolata.
Fa freddo e sono solo le sei del mattino, mi aspettano i mutandoni di lana ed un Chianti sotto una gelata che sembra proprio la reclame del Natale piu’ scontato, patinato e finto dei grandi magazzini.
Aspetto la luce di una tersa giornata di sole e accendo “Igiakal” che non mi tradisce piu’ da quando i miei amici Pietro e Marcello ci hanno messo le mani. Fuori fa davvero freddo e mi aspetta l’attraversamento dell’alto Chianti sulla direttiva Gaiole – Badia Coltibuono – Cavriglia poi da li raggiungero’ Ponte a Sieve dove mi aspetta Lorenzino alle nove. Nelle borse ho messo un po’ di speranza perche’ da Ponte a Sieve io e Lorenzo raggiungeremo Nonnoenio ed andremo al Toy Run con quelle “trunce” degli Harleysti.
Di mezzo c’e “solo” l’Appennino con il passo del Muraglione o il passo dei Tre Faggi da superare per raggiungere Nonnoenio a Meldola provincia di Forli’.
Sembra tutto deciso e segnato ma l’Aquila a volte ti porta dove meno te lo aspetti.
Oggi mi ha portato in un posto imprevedibile quanto incredibile.
Seguiteci fratelli, seguite me e Lorenzo in questo viaggio che solo le Guzzi possono fare, seguiteci se anche voi avete una Guzzi… perche’ se l’amate qualche volta avra’ portato anche voi in posti che non vi immaginavate.
Verso Gaiole comincio a salire, il ghiaccio dalle olivete e dai vigneti si trasferisce sulla strada, IGIAKAL scivola ma non cade… devo fare attenzione e recito il rosario per non pensare al gelo… ma nonostante il freddo, l’Immacolata e la statua della Madonnina sul mio fanale provo ancora lo stupore a guidare la mia moto perfettamente funzionante… non riesco ad abituarmi.
Curva gelata dopo curva gelata scendo nella Val d’Arno dove mi aspetta la nebbia, aumentando la velocita’ aumenta il freddo … maledico i miei cinquant’anni e la mia scarsa forma fisica ma resisto. Lorenzo arriva carico di borse e doni per i Bambini della Casa famiglia che il Toy Run ci porta a trovare… abbiamo freddo ma loro stanno peggio di noi e Nonnoenio era stato chiaro ” … al di la’ di quello che portiamo ai bambini piace stare con noi e guardare le nostre moto… ” l’anno scorso Nonnoenio ci era andato in moto sotto l’acqua… le moto erano poche e forse i bambini un po’ delusi… abbiamo freddo io e Lorenzo ma NIENTE MACCHINA costi quel che costi…
Ora c’e’ il sole ma le previsioni danno il cambiamento del tempo per il pomeriggio: pioggia e neve su apennino emiliano e Toscana… Lorenzo forse per pieta’ mi caccia la balla che su Sky ha visto il sole tutto il giorno mentre prendiamo un caffe’ nel bar dove lavora Leo presidente del Guzzi Fiorenza Club… Leo non c’e’ e le signorine (molto carine) ci porgono il caffe’ con una domanda ” … ma siete grulli? dove andate con sto freddo?..”
Lorenzo ride e rilancia “… ma e’ ovvio facciamo il Muraglione!…” Si passa Rufina e si comincia a salire la nebbia avvolge il paesaggio indefinito e spettrale di faggi e pini … ad un certa altezza sbuchiamo al disopra della nebbia ed il panorama si fa maestoso ed invernale… cazzo Lorenzo e’ proprio Natale e siamo in moto… ma siamo gia’ a San Godenzo e dobbiamo prendere una decisione: salire per il piu’ alto Muraglione o fare il piu’ basso passo dei Tre Faggi… Lorenzo scruta la cartina sul serbatoio e decide per i Tre Faggi… ci facciamo piu’ di 20 chilometri su una lastra
di ghiaccio a passo d’uomo le poche persone che incontriamo scuotono la testa ma la strada franata in piu’ punti alla fine ci sputa sani e salvi a Premilcuore… Lorenzo che non ha il parabrezza come il mio preso da Vincenzo Crea ha molto freddo soprattutto alle mani … decidiamo quindi di fermarci per un caffe’ (corretto) per scaldarci ma anche per stemperare la tensione accumulata nel fare il passo sul ghiaccio, regalo a Lorenzo due scaldamani che mi aveva regalato GIGINEVADA e cerco di guardare come sta’ … lo sorprendo che guarda il posteriore di una bella valligiana che va a Messa… scoperto e imbarazzato dice “…si vede che con il freddo si mantengono bene…” OK Lorenzo sta benissimo ed eccoci adesso guardare il mare Adriatico … sembra una cartolina tipo ” SALUTI DA RIMINI” facciamo
l’ultimo salto verso Nonnoennio ed il Toy Run, passata Predappio c’e’ il sole e la temperatura e’ gradevole sembra proprio una ricompensa divina per tutto il freddo mangiato. Lorenzo volteggia come un angelo sulla sua Special
bianca tra le curve mentre io arranco e faccio fatica.
Eccoci a Meldola ci presentiamo puntuali alle undici sulla bellissima piazza principale e… E NON C’E’ NESSUNO!
Giusto il tempo di disperarci… Nonnoenio non risponde al telefonino … Pietro nemmemo… ma ecco il rombo amico che annuncia l’arrivo di un California a carburatori lucido come un altare, aerografato e radiomunito:
NONNOENIO!
Con Nonnoenio andiamo ad aspettare il gruppo piu’ avanti sulla statale ed intanto cominciamo a fare amicizia “NON VIRTUALE” … Nonnoenio mantiene le promesse del Web e’ davvero un grande personaggio. Quando arriva il gruppo
mi sono emozionato … ho stimato circa 60 maestose moto tra Harley e Guzzi e qualche Giap (molto pochi ma buonissimi).. c’era un rombo un suono nell’aria che mi piacerebbe farvelo sentire… vederli cosi’ sembrava che
andassero a mettere a ferro e fuoco un tranquillo paese come nel film IL SELVAGGIO con Marlon Brando ed invece andavano a portare speranza e qualche regalo ai bambini di una suora.
Gia’ questo meritava il viaggio.
Io credevo di essere venuto da lontano… c’era gente che veniva da Roma e da Venezia!!!
All’aperitivo facciamo conoscenza e comunella con gli altri Guzzisti dove su tutti svetta Lino “il Duca” … ci presentiamo compatti alla casa Famiglia di Galeata. Le moto che ci stanno vengono parcheggiate direttamente nel cortile della casa a portata dei bambini.
Con Lorenzo entriamo nel cortile carichi delle cose che abbiamo portato ed il cuore mi si e’ fermato… anzi …non fermato …peggio a cominciato ad andare indietro.
Lei era bella ed in piedi nella sua tunica bianca con tre bambini attaccati alle sottane… era come l’avevo lasciata otto anni prima… Suor Lucia mi vede e la commozione si fa forte… scende il silenzio sul popolo dei bikers che adesso fa cerchio attorno a noi.. ” MA SAPETE CHI E’ QUESTO SIGNORE? ” esclama suor Lucia “…Rinaz ma cosa e’ successo cosa fai qui?..” mi volto di spalle e gli mostro la grande toppa sulla mia schiena MOTO GUZZI. Otto anni prima Lucia faceva l’angelo in un paese della ricca provincia tra Milano e Bergamo, terra dura di tossicodipendenze e guai, lei era forte come l’ho vista forte oggi… ma Lucia non aveva paura di niente ne’ della fatica ne’ della violenza. Per loro dipinsi una crocifissione che potete ancora oggi vedere nella chiesa dell’Oratorio di Ciserano Bergamasco e per lei per
i suoi orfani dipinsi una Madonna con Gesu’ e San Giovannino… inoltre andai diverse volte a far dipingere quei ragazzi e la mia anima si fuse con la loro e con quella di Suor Lucia e Don Angelo Riva ma anche di Nazzarena che vidi morire di AIDS in un letto che la suo fianco vedeva solo Suor Lucia e Don Angelo. Andate affanculo voi che avete costruito questa moto che oggi mi ha portato in un posto che non so reggere dal dolore. Andate affanculo voi che credete che nei nostri cuori non c’e’ nient’altro che rabbia, gas e strada.
Lorenzo e Suor Lucia portano i doni in qualche posto mentre Lino il Duca si e’ messo un cappellino da Babbo Natale ed un paio di occhiali con gli occhi finti per far ridere i bambini… va bene asciughiamoci gli occhi ed andiamo
a mangiare che siamo pur sempre Guzzisti.
Il pranzo e’ sobrio e non alcolico offerto e servito dalla casa famiglia nel suo refettorio.
Ancora piu’ sobrie le poche parole che Nonnoenio dice al popolo dei Bikers ringrazia tutti anche la recalcitrante Gemma l’Harleysta che ha sognato e costruito il Toy Run… una bella bikers apparentemente durissima che e’
stata capace di radunare un centinaio di persone attorno a questi bambini…
Nonnoenio dice solo “… grazie che per un giorno non conta quello che c’e’ scritto sul serbatoio…” ma non vi confondete Enio e’ una persona che sa parlare ed infatti tra una pennetta al ragu’ e l’altra riusciamo a parlare di etica e di morale, fede e passione.
Ora Nonnoenio gira con un bottiglione da cinque litri tristemente addobbato con carta stagnola a raccogliere offerte per la casa famiglia (unico costo del Toy Run… ci tenevo a scriverlo) mentre Lucia mi raggiunge.. “… sei
diverso Rinaz…” ” … sono invecchiato Lucia ma sono sempre innamorato del Signore” “… come stanno i bambini?…” “..Bene Lucia sono cresciuti Caterina fa gia’ l’universita’… e i tuoi bambini? e tu come stai qui Lucia come ti trovi?…” Lorenzo silenzioso ascolta anche la sua California Special gli ha tirato un brutto scherzo “… lassu’ erano orfani, potevi
tentare di consolare questa mancanza … questa nostalgia che avevano dentro… qui e’ piu’ difficile … per legge sono solo undici ma me li manda il giudice e sono tutti bambini con delle storie spaventose di abusi alle spalle… a volte non so neanche da che parte cominciare..” “…Lucia ora che la mia Guzzi mi ha riportato a te non ti abbandonero’ piu’…” ” …verrai a dipingere per i miei bambini?” “.. certo!.. guarda ho gia’ un assistente!” ed indico Lorenzo che commosso e confuso non sa dire di no… TORNEREMO LUCIA TE LO GIURIAMO. Il tempo di abbracciare Nonnoenio e Gemma il Duca e tutti gli altri Guzzisti riminesi e siamo sull’autostrada il cielo e’ sempre piu’ minaccioso ed infatti comincia a piovere… merda quanta acqua che ho preso.
Lorenzo mi accompagna fino a Firenze Certosa dove ci abbracciamo e ci lasciamo sapendo che qualcosa e’ cambiato per sempre nei nostri cuori grazie a Nonnoenio, Gemma e le nostre Guzzi.

Rinaz

AnimaGuzzista Racconti Rinaz

Una V7 a testa o croce

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Di Martino

 

Chissà perchè le storie delle Guzzi sono sempre “speciali” Quella che vi racconto è la storia di una Guzzi molto speciale, una 850 GT california del 74. Tutto è iniziato da un regalo di compleanno. Allora avevo una california III (la roccia) e conoscendo la mia passione per le Guzzi mi è stato regalato un modellino da montare (scala 1:6 x770 pezzi della Protar) della mitica 850 gt california. Errore fatale, non si fanno di questi regali a un guzzista dichiarato. Non vi dico il tempo che ho impiegato per montarla, anche perchè è un modello realistico al massimo, comunque questa cosa mi ha fatto nascere la voglia di possederne una reale. Così comincio a scandagliare gli annunci dei vari mercatini. Era passato oltre un anno e non avevo trovato niente, ossia niente che potessi permettermi visto le quotazioni. Quando ormai non ci speravo più, eccola lì: V7 anno 74, ferma da quattro anni, cedo al migliore offerente, quotazioni a partire da 1500 euro. Dopo varie peripezie e contrattempi (sembrava quasi che fossi destinato a perdere questa occasione) finalmente ho la possibilità di vederla. Stava lì in un angolo del giardino di una villetta a due passi dal mare, appoggiata sul cavalletto laterale e coperta da un telo impermeabile. non era una V7 qualsiasi, ma Lei, l’antesignana delle Califiornia. Di metterla in moto, neanche a parlarne, gomme a terra, tutte le fusioni “infiorate”, cromature opache e rugginose e un’ incredibile “cosa” attaccata al retrotreno (una specie di paraurti alto 15 cm. che avvolgeva tutto il posteriore, cosparso di fanalini rossi e gialli) aggiungiamoci borse laterali, un baule da 50 lt. parabrezza, due enormi antinebbia gialli e delle strane serpentine avvolte sui collettori di scarico e otterrete un “bisonte” mostruoso. Il venditore mi aveva dato appuntamento Insieme a un’altro “pretendente”, unici sopravvissuti alle peripezie accennate. Il tipo aveva l’aria di un professionista, era arrivato a bordo di una citroen DS a dir poco fantastica. Ho pensato subito che non l’avrei spuntata, ma ero deciso a giocarmela fino al massimo delle mie possibilità. Partiamo con le quotazioni, il tizio si rende conto che non mollerò e mi fà una proposta che mi lascia perplesso, per evitare di farci eccessivamente male, perchè non ce la giochiamo a testa o croce? Non ricordo cosa scelsi, fatto stà che mi andò bene, e ora la “bestia” sonnecchia nel mio garage. Tutto questo accadeva tre anni fà e sono convinto che un’occasione del genere non mi capiterà mai più. Sono quelle cose che non si spiegano, che ti fanno sospettare che “doveva andare così”. Ne è seguito un faticoso (e costoso) restauro che mi ha impegnato per circa un anno, poi finalmente il battesimo della strada. Guidare una moto d’epoca è un’esperienza che definirei “rivelatrice”, se poi è una Guzzi dei tuoi sogni…

Gli stessi itinerari che conosci a memoria per averli percorsi innumerevoli volte assumono un sapore diverso. La guida è necessariamente più tranquilla, ad ogni cambiata devi aspettare che il motore, con il volanone, cali di giri. La potenza disponibile non è quella a cui sei abituato, e anche i freni……sono d’annata, ma l’insieme dell’erogazione e del tipo di guida sono una cosa goduriosa. A dire il vero c’è un’altro sogno (che credo proprio resterà tale) rimasto nel cassetto. Diciassettenne, per andare a scuola prendevo il tram sulla Casilina, e all’altezza di Torpignattara c’era il negozio, perchè più di tanto non era, di Napoleoni. Era appunto un negozietto buio con le moto ammassate a destra e sinistra di un corridoietto che dava sul bancone di vendita, il materiale attaccato dappertutto, perfino appeso al soffitto. All’improvviso in quel buco è apparsa una…

una V7 sport. era splendida, verde metallizzato e telaio rosso. Ricordo che siccome non aveva posto, ogni mattina la sistemava a metà trà la saracinesca e il marciapiede, che era piuttosto largo. Era un evento, e trovavi spesso la ressa intorno a quella magnificenza. Al ritorno da scuola scendevo dal tram e passavo non sò quanto tempo a divorarla con gli occhi. Comprai il n. di motociclismo che la riguardava, e non sò quante notti agitate mi fece passare, oltre a quelle che mi procuravano le amiche della cugina o le studentesse di ragioneria dell’istituto di fronte al mio. Fino ad allora vedevo la Guzzi solo come fornitrice della polizia, ma quella moto fù una rivoluzione, una cosa dirompente, che voltava completamente pagina con il passato (almeno per me, all’oscuro allora dei passati sportivi e delle vittorie della Guzzi). Come fosse arrivata a Napoleoni è per me un mistero, dopo una ventina di giorni qualcuno se la portò via (trà la costernazione del sottoscritto) e non se ne videro più.

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