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Belgio

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Di Simone Marchetti

 

Cosa facciamo nel ponte? Andiamo a fare un giro in Belgio!
Giretto di Simone, Tamara, Franco e Assunta…

Così abbiam deciso due giorni prima io ed il mio amico Jeans (Francuzzo) mio amico d’infanzia ma nuovo del mototurismo…
I nostri zainetti Tamara e Assunta ci odiano a morte ma ormai son abituati a show di questo tipo…
Partenza Mercoledì sera con breve tappa fino a Seppiana (vicino Villadossola).
Come al solito arrivo tardissimo all’appuntamento, praticamente finisco di lavorare alle 20,00 e alle 20,45 avevo già preparato la borsa, la moto, doccetta e viaaaaaaaa!!!
Il contachilometri segna 97273 km., dai vecchietta ce la puoi fare anche questa volta…
Arrivati a Seppiana pensiamo bene di farci due spaghi con peperoncino, bottiglietta di vino, bottiglietta di birra e subito a nanna.
Neanche il tempo di…. E il caro Jeans si mette a russare come una motosega con marmitta preparata, cazzo mi giro e mi rigiro nel letto per due ore fino a quando scappo giù e mi metto a dormire su una panca di legno…
Noooo lo sento anche qui!!!
Scendo a piano terra con un cuscino ed una coperta e mi metto a dormire per terra.
Gran dormita di due ore sul pavimento e DRIIIIINNNNN suona la sveglia puntata alle 5,30 , miiii cominciamo bene!!!
Con un sonno orripilante mi alzo e bevo un litro di caffè, sento già che sarà una giornata di merda!!!
Carichiamo le moto, il contachilometri segna 97378 km., partiamo verso il Sempione, in frontiera prendiamo l’adesivo dell’autostrada Svizzera, circa 26,00 euro.
Saliamo sul SimplonPass (2005 mt.) e fa bello freschetto, ci dirigiamo verso il FurkaPass (2436 mt.) e fa ancora più freschetto!!!
Nel salire incontriamo solo due marmotte intente a prendere il sole, la giornata è stranamente splendida.
Ci dirigiamo velocemente verso Wassen dove prendiamo l’autostrada verso Lucerna e Basilea…
La strada scorreva veloce, il sole ci coccolava, la brezza ci accarezzava…
Il lavoro fatto da me e dal mitico Uberto nella messa a punto della “belva” si fa sentire, consumi più bassi di quando l’ho comprata, coppia esagerata, rumore rotondo e piacevole, GRANDE UBERTOOOOO!!!
Passiamo in un baleno Basilea e siamo subito in Germania, passiamo di qua saltando per ora la Francia per non pagare l’autostrada e per tenere un passo allegro grazie alla mancanza di limite autostradale…
Passiamo Friburg, intorno alle 13,00 arriviamo a 10 km. da Strasburgo e……
Il mio amigu Jeans si ferma sulla corsia di emergenza dicendomi “Sai, sento un rumore strano sulla ruota, come un tum, tum, tum…”, ed io “che cazzo Jeans avrai dormito male! Vabbo fammi vedere…”…
Incredulo vedo una parte bianca sul copertone, ma cazzooooo!!!
La gomma del suo Varadero (cimitero per gli amici) si è sfogliata, è rimasta solo la tela, me lo sentivo che doveva succedere qualcosa!!!
Vaaaaaaaaaaaaaaa Male!!!
Cerchiamo un gommista in Germania, giriamo Offenborg invani per più di un’ora, nessuno sa niente ma alla fine troviamo un gommista, evvaiiiii…
Andiamo subito a supplicare il tizio ma ovviamente non ha quei copertoni e dice che ci sono solo a Friburg!!!
Decido che sarebbe stato meglio andare a Strasburgo in Francia, città grossa non si sa mai…
Arriviamo e ci fiondiamo subito a chiedere dentro un ufficio turistico, gentilissimi ci danno una mappa della città e ci segnano un percorso per arrivare ad un meccanico.
Dopo varie peripezzie dentro la città, lavori in corso, deviazioni etc un tizio al semaforo scende dalla macchina e ci indica il posto, grazie amigu!
Arriviamo, è un conce Yamaha, speruma ben!
Entriamo ed ovviamente il tizio dopo aver guardato le misure della gomma ci dice che la Yamaha monta fino i 140 e il Varadero ha la 150….
Chiamo mio padre, gli chiedo di dare un occhio su internet per trovare un conce Honda, il più vicino è a Parigi!!!
Che palle, Jeans è visibilmente distrutto, meno male che io ci sono abituato alle rogne…
Chiediamo al mecca se conosce qualcuno nella zona che possa risolvere il problema, gentilmente ci indica un tizio che ripara e vende Honda a pochi chilometri imboscato in un uscita dell’autostrada…
Miracolo, lo troviamo!!!
Entro dentro e Jeans gli fa “io italiano, Varadero, italia, ok?” Jeans ok un cazzo heheheheh!!!
Mi era venuta la voglia di dire in inglese al tizio “questo mio amico è un ricchioncello mi puoi indicare un locale per lui???”.
Gli spiego il problema, esce fuori e ci dice “no problem, one hour, good price!”, mi son detto “questo ce lo spara lungo un metro, hehehe good price!!!”.
Cogliamo l’occasione per mangiare qualche panino e fare una partita a carte sul ciglio della strada…
Bhe, alla fine dopo un’oretta cambia tutte e due le gomme (quella davanti era quasi morta pure lei), ingrassa la catena, gli lava il parabrezza eeeee, incredibile niente inculata, 264,00 euro per tutto, direi che è andata di lusso!!!
Alle 17,30 suonate ripartiamo ma ormai la tappa era saltata, ci intoppiamo verso Saarbrucken (Germania) in una deviazione “consigliata”.
Proseguiamo verso Luxemburgo, alla fine desistiamo e rientriamo in Francia per parcheggiarci a Thionville dentro un Formula1 (catena economica dormi e fuggi).
Siamo a pezzi, andiamo a magnare in un BuffaloGrill li vicino, la tizia ci chiede cosa vogliamo bere, io gli chiedo quattro bottiglie di birra, stupita me le porta…
Mezzo assonnato e limato dalle quattro birre arrivo al Formula1 a passo del leopardo, dormiamo come sassi che domani sarà un’altra giornataccia!
La mattina sveglia presto, il contachilometro segna 98115 km., passiamo veloci Luxemburgo e ci dirigiamo verso Bruxelles, il tempo è ottimo.
Sosta benza, nella piazzola Jeans tira fuori caffettiera e fornelletto, ci spariamo subito un bel caffè doppio!!!
Decidiamo di visitare Bruxelles al ritorno, cerco la deviazione per Bruges ma la salto e finiamo dentro la città, lavori in corso e solito delirio, torniamo indietro e cerchiamo sta cazzo di deviazione!!!
Finalmente la trovo, a palla facciamo il pezzo che manca, solo una breve sosta per gustare le prelibate focaccie fatte da jeans prima della partenza accompagnate da delle scatolette di tonno e fagioli…
Arriviamo a Bruges (a una ventina di km. dal mare), giornata stupenda, troviamo un B&B onesto e subito fuori a visitare la città.
Il centro è veramente bello, bellissimi palazzi, viuzze medievali con caratteristiche casette basse con il tetto a punta, strade di ciottoli.
Arriviamo nella piazza principale e il cielo si scurisce, vabbò andranno via subito ste nuvolacce.
Prendiamo un battellino che fa il giro nei canali della città in mezzo a palazzi antichi e cigni, molto suggestivo maaaa….
Non facciamo tempo a scendere che il cielo diventa nero e comincia a tempestare, cazzo lo sapevo, lo sapevo aaaaaaaa!!!
Dopo una lavata immane ci rifugiamo dentro un Pub, birretta, salamini e formaggini, poi incuriosito dai portaceneri nel locale Assunta chiede alla sciura “ma si può fumare?” questa stupita ci guarda e ci dice “Signori qui siamo in Belgio, certo che si può fumare!”, Sirchia di MERDA!
Premesso che probabilmente il senso civile è quello di farsi una paglia e non mille tantè che il locale aveva l’aria più pulita che fuori…
Una volta facendo un discorso con un mio amico lui mi dice “democrazia e civiltà è difendere i non fumatori”, io gli risposi “democrazia e civiltà è difendere fumatori e non in egual misura”…
Usciamo dal Pub e ci dirigiamo nel B&B dove ci spariamo una santa doccia, smette di piovere ma il tempo è molto incerto, saremmo voluti andare sul mare a mangiare ma…
Ma un cazzo andiamo lo stesso ehhehe!!!
Pigliamo le motorette e via, passando in mezzo ad un sacco di eoliche finiamo a Knokke-Heist a 4/5 km. dall’Olanda.
Cerchiamo un posto in riva al mare per mangiare, la città è deserta…
Guardiamo i prezzi abbastanza proibitivi ma alla fine entriamo da uno che solo dopo averlo guardato mi ha fatto pensare “che faccia da cazzo che ha questo…”.
Infatti appena ci vede entrare con i caschi ci guarda da barboni, ci fa sedere e ci rifila le liste, poi viene ad ordinare gli chiedo il menù turistico più alto (da 40,00 euro!) per non fare il pezzente e mi risponde che il menù turistico si può ordinare fino alle 21,00 ed erano già le 21,10…
Quanto mi sta sulle palle questo…
Un po stizzito ci chiede se desideriamo nel frattempo un aperitivo, gli rispondo sorridente in italiano “sai dove te lo metto l’aperitivo?”, prende e se ne va, secondo me era un ItaloBelga ma non voleva farsi scorpire…
Alla fine, visto che era stato così simpatico mi alzo in piedi e dico agli alti di alzarsi, arriviamo alla porta ed il tizio aveva già i caschi in mano, ma pensa…
Muori te e il tuo ristorante!
Andiamo in un altro posto un po più isolato, magia, due ragazzi semplici e sorridenti ci accolgono alla porta, questo è buon segno, qui se magnaaaaa!!!
Ordiniamo l’impossibile, cozze cotte nel latte con un intruglio di cipolla, sedano e prezzemolo, DIVINE!!!
Poi passiamo ai piatti di pesce sperando di aver ordinato qualcosa di sensato…
INCREDIBILE, piattazzi pazzeschi, squisiti e belli da vedere, vinello bianco da sballo, panza mia fatti capanna!!!
Il ragazzo che ci serviva era splendidamente simpatico, ad ogni cosa che portava aggiungeva al suo sorriso un bel “eeeee voiiiillllaaa” (con la stessa cadenza di vaaaaaaa bene di Ranzani Marco made by Cantù), ho dovuto slacciare completamente i pantaloni, a momenti ci lasciamo le cotenne da quanto abbiamo mangiato!!!
Prima di uscire lo salutiamo e gli diamo anche una mancia, alla faccia di quel lebbroso di prima, ciao amigu!!!
Appena usciti sale un vento fortissimo, facciamo fatica ad arrivare alle moto, pork!
Con la mia fida California inclinata di 45 gradi un secondo a destra, un secondo a sinistra, con uno sforzo immane arriviamo al B&B, cazzarola che vento, speriamo che domattina smetta, buona notte, tutti secchi come sassi dopo pochi secondi.
La mattina una bella colazione con del burro talmente giallo che appena lo mettevi in bocca ti usciva da sotto il tavolo il dottore per dirti che il colesterolo era alle stelle, ma sti cazz!
Il contachilometri segna… bho mi son dimenticato, sarà stata colpa della panza che mi scoppiava ancora da ieri sera ehheh… :¬)
Ripartiamo verso Bruxelles, una lotta contro il vento e l’acqua, non poteva andare “sempre” bene!
Una volta arrivati parcheggiamo di sgamo dietro il Teatre Royale de la Monnaie a due passi dal centro.
Scrocchiamo impunemente delle Sprite regalate davanti un negozio.
Il tempo non ci da tregua, continua a piovere, poi smette, poi vento, poi piove e così via…
Arriviamo nella stupenda Piazza Grande che in alcuni periodi dell’anno viene decorata completamente con dei fiori, bellissima…
Appena ci metto piede una strana sensazione mi assale, faccio un tuffo in dietro con la memoria, a circa 12 anni fa…
Avevo 18 anni, dopo aver preso in “prestito” la Guzzi V35 di mio padre e dopo aver convinto un mio amico con una Honda 350 partivamo per la Francia senza nessuna destinazione, era il periodo che si arrivava ad un incrocio e tiravamo una monetina per andare a destra o sinistra…
Mi ricordo come se fosse ieri, il mio amico non era un gran viaggiatore, da Marsiglia a Parigi decido di fare una tirata dicendogli che ci saremmo fermati per strada a dormire su qualche panchina…
Le moto stracariche all’inverosimile con zaino sulla sella e cuscino di casa a fare da schienale con pentole attaccate fuori con dei lacci, senza orologi, senza cellulari, senza mappe stradali, ma con tanta, tanta spensieratezza, ma chi ci fermava…
Viaggiammo tutta notte dopo la notte prima a ubriacarci e tentare di sedurre delle francesi, non abbiamo neanche dormito un’ora…
Dopo tutto il giorno in viaggio arriva la notte, lui continuava a chiedermi “ma quando ci fermiamo??” ed io “tranquillo tra un po…”, poi esce il sole e lui stizzito mi richiede “ma è l’alba quando vuoi fermarti??”, ehhehe io prestigiatore gli ho fatto credere che “da queste parti il sole sorge di notte, è ancora presto per fermarci…” muhuhauhahaaaa!!!
Ci fermiamo a Parigi stanchi morti, montiamo la tenda, mangiamo e diciamo “facciamo un pisolino poi visita alla città…”, non ci crederete ma ci siamo svegliati che era buoi ed abbiam detto “vabbo la visitiamo domani…” ed invece abbiamo dormito la notte, tutto il giorno e ci siamo svegliati il giorno dopo ancora!!! ehhehehe!!!!
Il V35 aveva avuto dei problemi che dopo Parigi si accentuarono, andammo a Calais convinti di attraversare la manica per andare a trovare un tizio che conosceva il mio amico ma arrivati li ci siam guardati nel portafoglio e abbiam deciso di fare rientro a casa perchè i fondi erano quasi finiti…
Ripartiamo e vediamo un cartello strano con scritto “Bruxelles”, mmmm, mi chiede “ma dove cazzo sta Bruxelles??” ed io “Boh, credo in Belgio, andiamo??”, e lui “ok, anduma a ved sto Bruxelles!!!”
Una volta arrivati giriamo per due ore per cercare un campeggio, mi fermo disperato sul ciglio della strada e come per magia si ferma una macchina belga…
Il tizio tira giù il finestrino e in italiano ci dice “avete bisogno di aiuto??”, minchia la manna!!!
Alla fine il tizio ci porta in uno spiazzo dove l’indomani ci sarebbe stato un motoraduno internazionale, alla sera ci porta a magnare ed offre lui, che culo raga!
Il giorno dopo viene a prenderci e ci fa da guida dentro la città, ci offre da bere e verso sera ci riporta allo spiazzo…
C’erano i classici motociclisti budrillissimi con barba e vestiti di pelle, quelli che farebbero paura a chiunque, venivano dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra…
Io ero il più giovane, con la moto più piccola e quello che veniva da più lontano…
Mi prendevano uno per parte, mi sollevavano e mi obbligavano a bere a loro spese, una piomba memorabile, gente stupenda!
Mi hanno premiato, ci hanno fatto spalmare nutella e panna su qualche donna e poi a nanna…
Che giornate memorabili e che gran CULO! Ciao amicici :¬)
Indimenticabile, quanto pagherei per rifare le cagate che ho fatto allora senza dover pensare a nulla…
Vabbo, ritorniamo a noi…
Visitiamo la piazza e ci dirigiamo alla cosa meno bella ma più famosa della città, il Manneken Piss, una statuetta raffigurante un bambino che piscia in una fontana, c’è un casino strano….
La statua è coperta da una bandiera e ci son degli ubriachi che vuotano delle bottiglie di sidro in una bacinella, ma che cazzè?
Uno di fianco a me dice in spagnolo qualcosa del tipo “siamo dell’Asturia e siamo qua per festeggiare…”, ma che cazzo è sta Asturia, togliete sta bandiera dalle palle che devo fotografare!
Si mette a piovere, io e Jeans troviamo riparo sotto l’ombrello a scrocco di dei Japponesi (stanno ovunque), arrivano delle cornamuse, una folla pazzesca con delle bandiere svolazzanti…
Para, paraparaparaaaaa….. Tolgono la badiera dai maroni e scoprono il bambino a cui avevano collegato la bacinella di sidro, noooo…
Lo fanno pisciare sidro e ci riempiono i bicchieri per festeggiare!!!
Finita la festa gabbato lu santo diceva un proverbio, dopo aver visto codesta festa spagnola in quel di Bruxelles vaghiamo per le viuzze della città e ci accampiamo in una Brasserie per deliziare la nostra ventrazza…
E così sia, altra ottima magnata e bevuta delle migliori birre belghe, spettacolo.
Altro giretto per la città e poi alle moto “dai piccola non fare l’offesa ti ho lasciato da sola per poco, adesso andiamo a farci un bel giro è…?”, il mio cancello ha sempre bisogno di qualche coccola…
E intanto piove (caz!)…
Tagliamo la città per andare a vedere l’Europarlamento e andare a mostrare le natiche a quei burocrati fannulloni dei miei maroni…
Viva la Francia e l’Olanda, viva sopratutto perchè la democrazia gli fa scegliere non come noi che i Signori Prodi e Berlusconi ci hanno fatto digerire l’annessione prima e la costituzione dopo senza averlo chiesto al popolo, aaaaaaa lasciamo stare va!
Per fortuna loro un incidente nel mezzo della città ci fa deviare e per non ritardare ulteriormente ci dirigiamo verso l’autostrada direzione Luxemburgo…
Procediamo a passo d’uomo per colpa del solito vento maligno accompagnato da un’abbondante pioggia che non poteva mancare!
Faticosamente superiamo Luxemburgo e finiamo per cercare riparo in un paesino in Germania.
Nel primo albergo i nostri zainetti incaricati di chiedere i prezzi (chissà perchè le donne hanno sempre le braccine ehhe), si trovano un tizio ubriaco con la patta giù che guardando uno schedario delle presenze completamente bianco continuava a dirgli “double room, mmmm, double room, niet!”, ma vai immona!
Cerchiamo ancora ed alla fine raggiunti nuovamente dalla pioggia troviamo un bel posticino vicino a Saarbrucken con ristorante annesso…
Ci sfondiamo per l’ennesima volta, patate al forno, patate fritte, insalate con dentro il mondo, wurstel, zuppe di asparagi e formaggio, carne di maiale con funghi e sughetto libidinoso e vaiiiii con un bel paio di medie di buona birra tedesca, marò la panza che mi supplica pietà heheh…
Andiamo a dormire secchi e ci alziamo relativamente tardi per farci una bella colazione “dimagrante” tipica tedesca!!!
Il contachilometri segna 98991 km., si riparte direzione casa…
Il tempo è incerto e il vento ci tortura…
In tempi abbastanza umani superiamo Strasburgo e rientriamo in Germania, noto nuovamente il cartello con i limiti dello stato, autostrada velocità CONSIGLIATA 130, la civiltà la si nota anche da questo, la gente non esagera, sorpassa e si mette sulla destra, nessuno che ti arriva a culo e nessuno che ti lampeggia da dietro come un cojone…
E’ chiaro, qui se fai il pirla ti segano le gambe ma poi la maggior parte della gente che fa le cose con civiltà e coscenza non deve subire le regole imposte per pochi, bisognerebbe rifletterci un po…
Ci fermiamo a magnare in Svizzera, poi decidiamo invece di fare ritorno per il Gottardo e Milano di rifare la strada dell’andata per farci l’ultima sfogata di moto su per le montagne.
Questa volta Facciamo il SustenPass (2259 mt.) e il GrimselPass (2165 mt.), fa un freddo cane e con il vento fa ancora più freddo, i bordi delle strade son piene di neve e i nostri zainetti inveiscono contro di noi!
Passiamo nuovamente il Sempione e rientriamo in Italia, neanche a dirlo subito una marea di idioti che lampeggiano e ci arrivano a mezzo metro dalle moto a 130 km/h, siamo proprio in Italia…
Ci fermiamo a Villadossola per una pizza e ritono a casa…
Il contachilometri segna 99745 km., dopo 2472 km. facciamo ritorno a casa, stanchi morti ma molto più pieni (anche di panza)!!!

Capita a volte

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Di Stefano Bellotti

 
Capita, a volte purtroppo, che non si riesca ad usare la propria amata motocicletta per lunghi periodi. Al sottoscritto per esempio è successo di aver messo il Cali sotto il telo al rientro dal gmg2005 e di non averlo piu’ messo in moto fino all’altro ieri. Momenti di tristezza, dovuti ad intenso lavoro e a un turbinare di impegni di ogni genere, che tuttavia sono ben conscio avranno un’ alba. Ma nel frattempo sabato mattina sono riuscito a togliere quel maledetto telo, spinto anche dalla necessità di un mezzo di trasporto per andare in ufficio dovuto al fatto che la macchina l’avevo lasciata dal meccanico il venerdi sera. Ecco allora ripetersi per l’ennesima volta quell’emozione che mi prende ogni qualvolta schiaccio il pulsantino della messa in moto dopo tanto tempo. Emozione mai uguale. Nonostante i mesi di fermo, il periodo di freddo, le 7.30 del mattino, i 4 gradi e tutto il contorno, il Cali 2 al secondo tentativo prende vita, e si presenta all’appuntamento preciso e puntuale. Come se l’avessi spenta il giorno prima. Fatta scaldare un pochetto, risalgo la rampa del box e sono in strada, con un traffico scarso e assonnato, tipico del sabato mattino nell’hinterland milanese. Il Cali nel frattempo entra in temperatura e mi mostra una regolarità al minimo stupefacente: 1000 giri perfetti che, per una vecchia moto a carburatori, non sono proprio semplicissimi. Una progressione entusiasmante, prima seconda e terza, cambiando a 2000 giri e sentendo un gran bel tiro che mi porta rapidamente all’ imbocco della tangenziale. E qui inizia il momento orgasmico. 3500 giri in quinta a 110 km l’ora con il freddo pungente che mi accarezza la faccia, filtrato dall’ottimo parabrezza e il motorone possente che mi rincuora con il suo borbottìo sornione. Le curve della tangenziale ovest da rho verso cusago vengono pennellate con una naturalezza senza eguali, con il sole freddo che si rispecchia nelle cromaturee il traffico che corre veloce sulle corsie di sorpasso, ma io mi tengo bel tranquillo sulla destra, a godermi questo scorcio breve ma intenso che sono riuscito a ritagliarmi, e che la mia California mi sta regalando. Sono in anticipo sulla tabella di marcia, così me ne esco dalla tangenziale decidendo di raggiungere Rozzano per le campagne. Qui si seguono le indicazioni per Abbiategrasso, quindi Gaggiano e, lasciato il Naviglio sulla mia sinistra proseguo per Binasco. Spingo il Cali fino a 3000 giri prima di cambiare marcia: seconda, terza, quarta e quinta…. Musica per le mie orecchie!!! Arrivare fino all’imbocco della curva, scalare di marcia e WHAAAMMMM, via che il Cali si tuffa nella curva, rialzarsi guardando il rettilineo che si protende e giu’ il gas adocchiando l’ago del tachimetro che supera i 160…. Che goduria, ragazzi!!! Al cartello che mi ricorda di dare la precedenza prima di inserirmi nella rotonda, scalo tutte le marce per seguire la strada con una traiettoria mooolto precisa, mentre vedo la pedana sinistra avvicinarsi rapidamente all’asfalto, con la moto che mi trasmette una meravigliosa sensazione di sicurezza… Arrivo velocemente al Naviglio Pavese, e da lì, rimettendo il Biclindrico a 3000 giri per 90 all’ora, raggiungo Rozzano, dove il magazzino mi aspetta per un’intensa mattinata di lavoro. Entro nel recinto, mentre il cancello si richiude alle mie spalle, posteggio la Moto vicino all’ingresso e giro la chiavetta. Entro in azienda, guardando il Cali sulla stampella laterale che si raffredda, placida e imponente come poche sanno essere. Sarà una buona giornata, qualunque cosa accada.

V
ste

Un pomeriggio infrasettimanale a Casa Moto Guzzi

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… dopo il primo editoriale dell’anno da una storia dispersa nel web
di Paolo Gambarelli

 

Interpreti:

La Follia è la Moto Guzzi.

La Curiosità, la Tristezza, la Fretta, la Sapienza, la Pigrizia, la Gioia, la Timidezza, la Modestia, la Paura, l’Imprecisione, la Popolarità, la Bellezza, l’Operosità, l’Indecisione, la Seduzione, l’Appropriatezza, l’Ingordigia, la Disperazione, la Competizione, Il Dolore, l’Invidia, la Saggezza, il Dubbio, la Forma, l’Ingegno, la Stanzialità, l’Accordo, la Minchioneria, l’Inquietudine, l’Ossessione, la Pazienza, l’Arrendevolezza, la Memoria, la Corruzione, la Spensieratezza, la Felicità, il Trionfo, la Superficialità, la Precisione, l’Agilità, la Lungimiranza e l’Orgoglio, i suoi amici e dipendenti.

L’Amore, le sue Anime Guzziste.

La Follia, come ogni pomeriggio, decise di invitare i suoi dipendenti e tutti i suoi amici a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè, la Follia propose: “Si gioca a nascondino?”.
“Nascondino? Che cos’è?” – domandò come ogni volta, la Curiosità.
“Nascondino è un gioco. Io conto fino a 1957 e voi vi nascondete. Quando avrò terminato di contare, cercherò e, il primo che troverò, sarà il prossimo a contare”.
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia.
Anche la Sapienza e la Saggezza, da sempre amiche inseparabili, da tempo dopo il caffè preferivano farsi i loro bellissimi giri lungo il lago con le loro antiche moto.
La Lungimiranza era talmente avanti che a quel gioco giocava sempre il giorno prima, perciò, anche questa volta, come tutti i giorni prima, non poté giocare.
“1, 2, 3.” – la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
L’Ingegno, dopo poco, disse alterato: “Non rompetemi l’anima che ho altro da fare” e se ne andò.
L’Indecisione, che grazie al suo nome, fin dalla nascita si era posta l’obiettivo di aderire, come un camaleonte ostaggio della sua pelle, alla tendenza del suo tempo, anche quel giorno non era riuscita a scegliere un colore dominante per i suoi abiti. Vestita così come ogni volta dei mille colori dell’arcobaleno, intuì che non sarebbe riuscita a mimetizzarsi come tutti avrebbero voluto.
L’Operosità, con la medesima solerzia di ogni pomeriggio, pretendeva di giocare compilando alacremente nuove regole senza capire che il gioco consisteva semplicemente nello nascondersi.
Precisione e sua sorella gemella Imprecisione erano grandi giocatrici. Non solo in questo divertimento pomeridiano, ma soprattutto in quello serale, dove ogni volta si giocavano d’azzardo quell’-im- di troppo che le contraddistingueva; sera dopo sera, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Alla Memoria, quella storica, legarono subito un lungo filo al dito per ricordarle almeno dove si sarebbe nascosta.
In questo gioco l’Appropriatezza si applicava finalmente in modo appropriato; tuttavia in molti, tranne lei, avevano intuito che anche il solo giocare con un semplice modellino di una Moto Guzzi e le sue caratteristiche tecniche, richiedeva un’identica anche se speculare appropriatezza dei propri comportamenti. Colei che dunque avrebbe dovuto benevolmente contagiare, contaminava ed infettava, e per questo, forse, era sempre quella che si nascondeva, a suo dire, nel modo più appropriato poiché erano gli altri a nascondersi da lei.
La Superficialità era super come il suo nome. Ma proprio la continua ed ottusa brama di superarsi in ogni cosa, le impedì anche questa volta di intravedere il significato nascosto di quel gioco; si mascherò così, senza nemmeno toccarla, con la superficie del primo oggetto che le capitò sotto gli occhi.
L’Orgoglio non ebbe dubbi e come ogni volta andò a nascondersi al Museo; ma dato che ormai tutti sapevano dove si sarebbe nascosto, lo abbandonarono al proprio destino museografico lasciandogli comunque intendere che avrebbe fatto parte del gioco. Lo avrebbero poi recuperato a fine giornata.
La Corruzione, anche quel pomeriggio aveva uno strano comportamento; è probabile che non avesse ancora ben capito le regole del gioco.
La Seduzione era un mistero un po’ per tutta la compagnia. Da tempo in molti si chiedevano il perché, anche se tutti erano indistintamente attratti dai suoi nascondigli; probabilmente perché non erano mai completamente nascosti, ma semplicemente velati.
Dell’Ossessione, si diceva che in questo gioco era quella più preparata e colei che conosceva il maggior numero di nascondigli; ma quarda caso, utilizzava sempre lo stesso. Anche lei era un mistero un po’ per tutti.
L’Agilità, che ormai aveva la sua indubbia età, si mise a correre come gli altri ma con una scioltezza mai vista. Tutti allora compresero che il suo era un problema squisitamente mentale e non motorio.
Anche la Bellezza, senza proferir parola, iniziò a correre; sembrava non fermarsi più tanto era bella, fino a quando, incontrando una grossa duna di sale vi si nascose dietro e poi dentro. Forse per conservarsi meglio e nulla di più.
Il Dolore, incurante di tutti e di tutto, corse per la prima volta in mezzo al prato e incontrò la Gioia; lì, ora, mentre l’uno inchiodava l’altra riannodava, finchè entrambi finalmente compresero l’inutilità del loro reciproco nascondersi.
L’Arrendevolezza era ormai da tempo diventata l’unica rappresentazione possibile dell’indulgenza che permeava quel luogo ora dedito per convenzione allo svago costruttivo. Il gioco del nascondersi era allora di fatto per molti il teatro di quella rappresentazione.
La Timidezza, timida come sempre, si nascose dietro il suo sguardo.
La Popolarità, era ormai un caso clinico non avendo ancora compreso che il continuo nascondersi l’avrebbe prima o poi portata all’autodistruzione.
Ogni giorno che passava, l’Ingordigia era sempre meno sazia di vittorie; da tempo, anche in questo gioco del nascondersi aveva smesso di correre. Ora, si adagiava sul terreno e su se stessa si rotolava sempre più veloce verso il lago come fosse una palla di neve che rotolando, sempre più s’ingrossa e si sazia del proprio unidirezionale destino.
La Modestia che per sua stessa ammissione non anelava a più di tanto, era amica un po’ di tutti, forse proprio perché non dava e chiedeva più di quello che ciascuno si aspettava. Non era mai sola nello nascondersi; un giorno con uno ed un giorno con l’altro.
Per la Forma, il progetto del nascondersi, era divenuto sempre più una formalità e sempre meno una questione di qualità; purtuttavia, non aveva ancora ben compreso se tutto ciò fosse positivo o negativo. Nel frattempo continuava a nascondersi come meglio poteva.
La Stanzialità, dopo essersi separata dal Nomadismo per probabili incompatibilità logistiche, si stabilì definitivamente in questo luogo chiamato Moto Guzzi. Per realizzare questo sogno vitale aveva avuto bisogno di tutta la sua arguzia ed intelligenza. Ben presto infatti, plagiò di sé tutta la compagnia fino a quando, come un mollusco, iniziò a mangiarsi il cervello poiché non aveva più necessità di usarlo per trovarsi un posto migliore. Inutile dire che in questo elementare gioco del repentino nascondersi trovava ora molta difficoltà.
La Competizione sembrava invece essere quella più a proprio agio; era talmente scaltra e veloce nello spostarsi da un nascondiglio all’altro, che fu subito ovunque e al contempo in nessun luogo.
La Tristezza cominciò a piangere, perchè non trovava un angolo adatto per nascondersi. Sembrava non la finisse più finché, come per incanto, trovò alcuni ridenti salici piangenti.
La Spensieratezza, da sempre abituata ad aleggiare, implacabilmente inciampava in un pensiero altrui, ma anche questa volta, senza pensarci più di tanto, riuscì a nascondersi.
L’Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui dietro ad una grande coppa.
La Felicità che in Casa Moto Guzzi doveva essere, per forza delle cose, il connubio tra lo spirito d’animo e lo spirito di corpo, era sempre più triste ogni volta che vedeva riflessa l’incompletezza del suo volto. Decise allora di rimanere immobile ed invisibile nascondendosi nella sua intimità.
L’Inquietudine ogni pomeriggio era solita venire a giocare in quiete. Questo insolito e contraddittorio atteggiamento causava a coloro i quali trovavano il coraggio di guardarla negli occhi, un tale turbamento che ben presto quasi tutti smisero di cercare di capire, così, lei, sempre più sola e incurante degli altri continuava il suo segreto gioco.
La Minchioneria, era ormai divenuta un’importante e riconosciuta studiosa delle cose guzziste. In molti la cercavano e l’adulavano, tanto che quel gioco pomeridiano era per lei l’unica occasione per emanciparsi dalla notorietà; l’unica allegorica occasione per nascondersi dalla pressante ribalta internazionale. Anche per quel gioco era diventata subito un riferimento assoluto.
La Pazienza, era stata eletta da alcuni giorni capo della banda di Sopportazione, Tolleranza, Obbedienza, Riguardo, Longanimità, Subordinazione, Soggezione, Adattamento, Clemenza, Indulgenza, Diligenza, Assiduità, Sottomissione e Rassegnazione. Tutti intuirono la gravità e la pericolosità immanente della situazione anche se quel pomeriggio, forse l’ultimo, la banda andò comunque a nascondersi.
La Follia continuava a contare mentre tutti si nascondevano.
La Disperazione era disperata vedendo che la Follia era già a 1956.
L’Accordo, ogni volta attendeva le prime sillabe del 1957 per andare a nascondersi dietro la grande statua di Olimpia dea e città del sogno olimpico. In questo luogo dell’antico equilibrio instabile delle due ruote divenuto ora luogo del disequilibrio stabile, Olimpia si mostrava sotto le sembianze di una moto da corsa. Una motocicletta rossa come il fuoco della passione, verde come la speranza, bianca come candida è la purezza, infine azzurra come azzurro è il cielo che tutto contiene e al contempo tutto dipana. Olimpia, monito per il nuovo millennio cui nessuno, tranne l’Accordo, aveva finora osato avvicinarsi.
Per tutti, ogni angolo della mente ed ogni anfratto del corpo erano pervasi dalla presenza di un’assenza: il sogno fatto speranza che ciascuno custodiva come proprio personale segreto. Era il sogno dell’eterno ricongiungimento del passato col futuro; era la speranza in un sogno, ora riposta in colei che sempre tutto ciò rese facile.
“MILLENOVECENTOCINQUANTASETTE! – gridò la Follia – Comincerò ora a cercare.”
La prima ad essere trovata fu la Curiosità, poiché non aveva resistito ad uscire per vedere chi sarebbe stato il primo ad essere scoperto. Guardando da una parte, sopra un recinto di pietra imbrattato con il titolo del primo editoriale dell’anno, la Follia vide il Dubbio che non sapeva ancora da quale lato si sarebbe meglio nascosto. E così di seguito scoprì la Gioia, la Tristezza, la Timidezza e tutti gli altri.
Quando tutti furono riuniti, la Curiosità domandò: “Dov’è l’Amore?”.
Nessuno l’aveva visto.
La Follia cominciò allora a cercarlo.
Cercò in cima alla montagna, nei fiumi, nel lago, sotto le rocce, ed anche dietro gli enormi ammassi rottamati di ferro, alluminio ed altre leghe. Ma non trovò l’Amore.
Cercò per tanto e tanto tempo, ovunque, finché un giorno vide un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò con foga a cercare tra i rami, allorché ad un tratto sentì un grido. Era l’Amore, che gridava perchè una spina gli aveva forato un occhio. La Follia non sapeva che cosa fare. Si scusò, implorò l’Amore per avere il suo perdono e arrivò fino a promettergli di seguirlo per sempre.
L’Amore accettò le scuse.
Oggi, l’Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.

Ma la Passione, lei, non si è mai saputo dove fosse. Si dice solo che sia un’Anima libera e vagabonda.

dedicato a Cecilia

La sindrome da “Guzzismo”

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(Mentalis Putrescentia Inter Cilindres”) nella storia della scienza: visioni ad uso e consumo dell’ufficio marketing-comunicazione Guzzi

di Davide De Martin

 

Nei secoli passati Cesare Lombroso, famoso italico criminologo, propugnò e ribadì la convinzione che fosse possibile, sulla base di tratti somatici ben distinti, stabilire la propensione a questo o quel crimine dei diversi individui. In pratica chi aveva il naso così era un potenziale pedofilo, chi ce l’aveva cosà un potenziale omicida, e così via. Negli anni seguenti ci fu chi stabilì che nasi adunchi e profili slavi erano degni di frequentare campi di rieducazione di massa sparsi tra la Germania e la Mitteleuropa. Ma questa è (purtroppo) un’altra storia. Quello che pochi sanno è che la teoria di Lombroso non andò in crisi a causa delle teorie evoluzioniste darwiniste o per chissà quale altra pensata, bensì sull’infido concetto di Guzzismo.

La storia ci dice come in occasione di un convegno tenutosi il 14 marzo 1897 presso l’Università di Trieste, tale teoria venne contestata da parte del professor Gucanti, esimio ed illustre ricercatore della libera università di Mandello, sulla base di un semplice assunto: perché non era possibile riconoscere e riportare una chiara devianza come quella del Guzzista all’interno di concetti pur teorici che altrimenti dimostravano di funzionare? Perché la sindrome da “Guzzismo”, nota col nome scientifico di “Mentalis Putrescentia Inter Cilindres” rimaneva al di fuori di questo schema? Lombroso non seppe mai dare risposta a questo quesito, arrivando a suicidarsi gettandosi nel vulcano di Iwata in sella ad un velocipede giapponese viola e verde dall’esoticissimo nome di Minghya, senza avere capito che nella vita esiste sempre una eccezione che conferma la regola. La crisi di tale lombrosiana teoria resta, al pari della sacra sindone e dei templari, un mistero ancora oggi irrisolto, che proveremo qui di seguito a sviscerare.

Partendo dall’assunto che per anni il marchio Guzzi ha fatto la storia, resta innegabile che, dalla fine degli anni ’50 in poi, ha giocato, tra alti (non tanto) e bassi (molto), un ruolo che rispetto ad altre case anche meno blasonate, è sicuramente di secondo piano. Triumph, Laverda, Ducati, e addirittura BMW hanno ottenuto sicuramente risultati maggiori. E allora, dove sta il perché della succitata sindrome? Il premio Nobel 1974 per la medicina, il dottor Torcazzi, formulò la teoria del “Sexual and Vibrational Thrill”. In pratica dimostrò che chi ha chiara la sintesi tra il concetto di vero uomo e quello di pupazzo (termine scientifico atto ad identificare un individuo dalla non stimabile moralità ed attitudine, oppure, secondo la definizione che ne dà il Devoto-Oli “colui che propende al mero e vuoto possesso di moto jappanise”), è più portato alla sindrome da Guzzismo. Simile teoria venne in periodi simili fomentata anche dal Doctor John, ma con il nome di “The Lion and the Sheep Syndrome”. Approfondimenti successivi a questi studi portarono altresì alla scoperta del fattore SVS (Sound & Vibration Syndrome); in pratica, una volta usi ed assuefatti al suono ed alle vibrazioni del lacustre mezzo, poche o nulle risultano le possibilità di salvezza (ciò nonostante una visione avversa del Dottor Yoshimura, i cui argomenti sono stati facilmente confutati a colpi di biella del Trialce). Nella realtà dei fatti negli anni ’80 il professor Hyfra dell’Università di Parigi, mostrò come si stesse assistendo ad uno strano fenomeno, che pareva contraddire gli studi precedenti; tale fenomeno, meglio noto come JVT-AUXALL (“Je vends tout aux allemands”) spinse molti soggetti “Guzzisti” a disfarsi dei loro mezzi per acquistare zappe, frullini, e montagne russe japponesi.

Con l’inizio degli anni ’90 l’allora Papa Giulio Cesare II, nella sua celeberrima enciclica “De infidele motociclo” arrivò addirittura a scomunicare chi negli anni precedenti aveva compiuto l’insana bestemmia di vendere una Guzzi per una jap. L’attuale Papa Bruno XVI, ha deciso, con un atto di clemenza che ci rende non degni di lui, di stabilire che anche i bambini morti prima del battesimo, gli ex-Guzzisti ed i poliziotti motociclisti della Polstrada, possano accedere al Paradiso. Ciò non spiega comunque il tutto, ma concorre ad alleviare le nostre coscienze.

Alle soglie del XXI° secolo infine, il celeberrimo teorico della scienza arabo Ab-Bah-Din, nel riportare dopo 3 decenni una Guzzi alle competizioni internazionali, ha propugnato il ritorno della sindrome sportiva Guzzista, stabilendo e ribadendo vieppiù, che il “(…) il Guzzismo in quanto tale non esiste, è una sana deviazione della mente e dello spirito (…)” e che “(…) solo chi è stato un buon Guzzista potrà alla morte essere accolto da 40 Guzzi(…)”. Sembrerebbe che nelle ultime settimane lo stesso Ab-Bah-Din abbia lanciato una Fatwa contro la dirigenza mandellese per l’uso “(…) indegno ed immorale (…)” che si apprestano a fare delle MGS. A questo riguardo recenti ANSA ci dicono di un vastissimo movimento di opinione e di pellegrini già in viaggio verso il museo Guzzi, al fine di potere ricevere un atto di clemenza e la benedizione, direttamente da quegli iniettori MGS che da Albacete non potranno che finire a fare di sé stessi bella mostra nel museo Guzzi, sotto lo sguardo compiaciuto ed invidioso del Diavolo Nero. Come per la sindone e per i templari, tanto inchiostro è stato versato e tanto lo sarà, ma il mistero del “Guzzismo” resta aperto. Si aprono oggi nuove scuole di pensiero sul come vada affrontato e fomentato: la Casa della Trippa di Verano sostiene la teoria della “competizione duodenale selettiva”, mentre la nuova dirigenza Guzzi quella del “mottecopioabiemvù”. Difficile dire chi abbia ragione, come possano convivere e dove andremo a parare, ma tra tanti punti di domanda vi sono almeno 4 punti fermi, che fanno la storia della Guzzi degli ultimi 40 anni, e che con buona pace di tanti ne rappresentano il futuro:

* il pubblico Guzzista è un malato, da non curarsi
* meglio una Graziella di una moto Jap
* meglio una sportiva Guzzi da 100 cv che la Norge coi vetri elettrici
* se la Guzzi fosse femmina saresse la Bellucci, se fosse Jappa la Lecciso

E’ da questi assunti che possiamo financo asserire che il Guzzismo è una delle pochi sindromi dalle quali non solo non è possibile guarire, ma che addirittura meriterebbe di essere fatta peggiorare. Non sappiamo quali siano le percezioni e le considerazioni di questo fenomeno all’interno della ennesima Guzzista Dirigenza. E’ a lei però che auguriamo di farsi cogliere nella giusta misura da questa sindrome, nella speranza che finalmente tutti i malati possano contare su un(a) Bandiera altamente infetta e dai chiari intendimenti aquileschi.

Breve cronaca di una giornata qualunque

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Di lupastro

Ricordo la donna, quella grassa, di nero vestita, seduta sul legno di una panchina sopravvissuta all’inerzia del tempo, immobile nell’immutabilità della piazza, le mani unite sul grembo e gli occhi fissi a terra quasi a cercare nella polvere le ragioni della propria esistenza.
Ho il timore di pigiare lo start, il pollice indugia sul tasto mentre i miei occhi cercano invano nell’intorno un movimento che giustifichi il mio gesto, qualcosa che spezzi il ritmo sonnolento e ripetitivo che invade l’aria ferma in quel calore che brucia.
Ho l’urgenza di sudare dentro il casco, di allontanarmi contando con gli ammortizzatori le pietre lucide del selciato, di trovare la strada che mi porti lontano, non so dove ma so come.

Devo andare, devo placare la mia fame di asfalto.
I raggi delle ruote si muovono lenti tra i vicoli, sfioro appena la manopola del gas, il cigolio delle molle accompagna il mio passare, da una finestra un bambino affaccia il cuoio bianco di un pallone mentre un gatto randagio esplora i limiti del cortile.

Ho visto un gatto,
un gatto con gli occhi di caffelatte,
girare i vicoli annusando le pietre

ho visto un topo,
un topo contratto dietro le carte,
maledire il mondo
per non saper volare

ho visto un uomo,
un uomo seduto sulle proprie scarpe,
con lo sguardo scaduto
nel nulla guardare

ho visto un gatto,
un gatto con gli occhi di caffelatte,
rizzar la coda
nel rapido balzare

ho visto un topo,
un topo chiuso dentro l’angolo,
maledire il mondo
per non saper volare

ho visto un uomo,
un uomo seduto sulle proprie scarpe,
con lo sguardo scaduto
nel nulla guardare

ho visto specchiarsi negli occhi di caffelatte
il terrore di chi si vide al finale
e ho visto volare in un taglio di sole
un topo ferito che non voleva morire.

In questi vicoli pieni di gatti
esistono molti più topi,
in questi vicoli pieni di topi
esistono molti più uomini,
in questo paese pieno di vicoli
esistono molti più gatti, topi e uomini,
che nulla, intorno, da guardare.
I frutti di cactus appaiono rossi alla forte luce del giorno e le ombre disegnano dure geometrie sulle pareti delle case che si rimpiccioliscono dentro gli specchi retrovisori, davanti a me una striscia grigiastra si arrampica sulla collina, ai lati balle di fieno esposte all’avidità degli insetti sui prati ingialliti.

Inizio ad aumentare la velocità, le buche danzano davanti alla ruota e beffarde si spostano al mio procedere, percepisco nel motore la voglia di esplodere tutta la sua rabbia e sento forte in me il desiderio di assecondarlo.

Ora la strada si allarga, si fa più sicura, le curve sono dolci e invitano ad allentare la presa, gli alberi proiettano a terra oscuri ricami, buchi neri dentro i quali mi tuffo sempre più rapidamente.
Continuo ad aprire mentre sacrileghe le marmitte sporcano il silenzio.
Ho gli occhi sbarrati, fissi sul nastro rossastro che spacca la valle, il sole davanti a me lento cala sull’orizzonte, il contakilometri misura il tempo che mi separa dal mare.

Gocce di sudore mi calano dalla fronte, girano intorno alle orbite e salate si depositano sulle mie labbra, le mani sono bagnate dentro i guanti e la pelle dei pantaloni mi si appiccica sulle gambe,
la polvere sale da terra e vela la visiera.
Mi sento inghiottito dal nulla, mentre il mio polso continua ad aprire.
La strada, sempre diritta, separa i ruvidi ulivi e le righe bianche veloci mi corrono incontro, sembrano arrotolarsi sotto le ruote, l’aria spinge forte il mio petto come una mano che vuole separarmi dalla sella e il casco butta la mia testa dentro le spalle.

Il motore tuona, odo sfogarsi la collera dei due cilindri, i paracarri sfilano lasciando bianche scie sui bordi dei fossi mentre il cuore pompa sangue alle tempie martellanti.
Dallo stomaco mi sale un grido, prima lento poi urgente, apro la bocca e urlo dentro il casco, urlo a spaccare la gola, urlo a coprire il rombo, urlo nel nulla a raggiungere l’orizzonte che lontano si bagna nel mare.
E l’urlo mi copre, mi avvolge, vorace mi ingoia per poi vomitarmi, sfinito e ubriaco, sul confuso limite delle mie emozioni.

Esausto mi siedo sul bordo del mondo.
Seduto fisso il tormentarsi dell’acqua.
Seduto ascolto le chiacchere dei gabbiani.
Il cielo si scurisce, mentre l’onda, frantumandosi sullo scoglio, mi rimanda il fragore di mille pesci d’argento.

Questo è un buon posto,
un posto giusto per fermarsi a dormire,
un posto amico per continuare a sognare.

Raid Norge 2006

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Raid Norge 2006

Come alzarsi alle 4 del mattino senza nemmeno andare a Capo Nord

di Iko

Dunque… mumble mumble… domani è lunedì, lavoro ce n’è poco… qua nella “Bassa” fa caldo… cosa fare per rilassarsi? Mettersi in moto alle 5 del mattino per andare a vedere le Norge che partono per il Raid a Capo Nord! Che diamine! Il MINIMO che qualsiasi guzzista di buon senso farebbe! Ecceccacchio! ;-P

Infilatomi in autostrada alle 5 del mattino capisco che fa caldo anche per i moscerini che sono tutti ancora in giro pronti ad “abbracciare” la mia visiera… vedersi un’alba in moto, comunque fa sempre un certo effetto.
Presa la superstrada per Lecco, più o meno all’altezza di Seregno vengo “spettinato” da una Griso a tutta birra… Muttley secondo me sei in ritardo… Mi accodo al “socio” ed arriviamo a Mandello in poco tempo.

A Mandello c’è aria di festa, come di ricreazione: per la partenza del Raid? No. In stabilimento è saltata la luce ed è tutto fermo (chissà perché capita sempre al lunedì mattina, neh?). Prontamente consiglio uno sguardo al fusibile del generale od ai relé sotto la sella… 😛 (corso intensivo per Bastard Inside: Diventa Guzzista!)

Poteva essere la mia, ma una “svista” del centro stampa mi ha escluso… SABOTAGGIO!!!

Le altre Norge pronte a partire

Le Norge sono lì allineate subito dopo l’ingresso: ce ne sono anche due rosse. Sarà, ma secondo me fa effetto “caramellone”. Al solito piacerà ai nostalgici un po’ NAIF espatriati, tipo Gandalf o Goffredo per intenderci… :-PPP

Arrivano i “giornalisti”* (ma chi era quello tatuato? Secondo me da come camminava aveva più fratture lui della faglia di S.Andrea) e preparano le moto. I furgoni di supporto, opportunamente, sono già partiti il giorno prima…

*(leggi: paraculati, li odio li odio li odio, NON SONO UNO SPORTIVO)

Incontro Marsa, Rugi, Arnamolder, Giancarlo, il Krime che al solito, mi spiega, riuscirà a farsi 8.000,– Km per 5 giorni di vacanza in giro in Europa, e Muttley naturalmente che intuita la mia “sete” di gadget mi rifila una maglietta GMG 2005 prima che abbia finito di grattare con le unghie l’adesivo del Raid da una delle moto.

Naturalmente, parlando di Guzzi, i guasti gravi non mancano: “ben” due giornalisti non riescono a partire immediatamente: lasciano il cavalletto aperto con la prima marcia inserita; come recita un prestigioso rotocalco da parrucchieri famoso per i confronti appropriati: “le borse della Norge sono capienti, MA quelle di BMW sono belle; il logo BMW è audace e aviario, MA Guzzi usa l’ANTIPATICO interruttore di sicurezza per la marcia inserita…” 😉

La partenza tutto sommato è molto tranquilla, nulla di particolare (pochi “storditi” come noi in giro…), la festa grossa è stata alla presentazione il giorno prima. Il “corteo” viene accompagnato nei primi chilometri dalla scorta del Moto Guzzi Club Mandello. Mi accodo anch’io fino a quando non entrano in superstrada sopra a Bellano.

Bella idea, bella avventura: è cosa buona ed auspicabile che Guzzi riscopra e usi la propria incredibile storia. Si potrebbe recriminare sul corso molto “patinato” e un poco paludato scelto dalla nuova Gestione (magari coinvolgere anche degli appassionati tramite i Club non sarebbe stata una cattiva idea, IMHO) che pare scelga soprattutto di focalizzarsi sui nuovi obiettivi (target, per chi non capisce) di clientela… ma questa non è la sede…

Lascio Mandello con il pensiero a Giuseppe Guzzi che in sella a quel “trabiccolo” (si fa per dire) di 500 cc se ne parte per Capo Nord, con strade sconnesse e spesso non asfaltate, vestito di lana e pelle… Impresa che proporzionalmente dovrebbe vedere le Norge impegnate nel giro del mondo a marcia indietro per eguagliarla… Ma ora è un’altra storia, sempre di Guzzi però!

Un pomeriggio di berna al lavoro: Venerdì Santo 2006

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Un pomeriggio di berna al lavoro

di Giovanni Rizzardo

Qualcuno non originario dalla scaligera città si chiederà cosa voglia dire “far berna”. Qualcun altro, stavolta sì di origini scaligere, si chiederà il perché un concetto tipicamente scolastico nonché infantile, venga utilizzato in ambito lavorativo, ancorché professionale.
Diciamo subito, onde sgomberare il campo da strane idee di edificazioni di città elvetiche, che “far berna” vuol semplicemente dire “marinare”. Laddove, ovviamente, il termine “marinare” venga associato a “scuola”.
Bene. Sulla soglia dei 40 anni, con un discreto cammino scolastico alle spalle che mi ha condotto attraverso conoscenze in campi economici, giuridici per giungere a mete “manageriali”, mi è tornata quella sana voglia di far berna. Sì. Però a cavallo di una bella rossa di 24 anni. La V65SP dell’82.
Da convintissimo abitante della Bassa che sono, quale miglior ambito per far berna di un sano giretto al Lago di Garda?
Bene. Ore 14,30. Voglia di lavorare saltami addosso, che mi sposto prima!! Chiedo ai ragazzi dell’ufficio di coprirmi mentre mi assento per qualche ora in uno dei primi splendidi pomeriggi del 2006, e subito dopo mi sentono turisticamente passare prima di loro (una volta tanto) la soglia del fine lavoro insieme alla bella Rossa di Mandello.
Imboccata la 434 in direzione Verona raggiungo un altro centauro. Ma che mi sembra? Sì: è proprio il retrotreno di una Guzzi!
Una fiammante 750 Nevada condotta da un teutonico omone! Dopo una ventina di chilometri i nostri rispettivi itinerari ci separano al suono maestoso delle trombe anni ’70 di equipaggiamento reciproco! Ciao, compagno di un momentaneo viaggio!
Proseguo tranquillo in questa strada che, per noi abitanti confinanti del Polesine, è come un profondo solco che taglia in due il Sud della provincia di Verona, avvicinandoci da un lato al capoluogo scaligero, e dall’altro al capoluogo palesano. Strada che, purtroppo, in troppe occasioni si è rivelata maledetta ladra di affetti talvolta vicinissimi!
Lambisco la cintura sud di Verona per immettermi sulla SS11, tristemente nota per le sue caratteristiche notturne, e giungere così alla meta di Affi. Quasi d’un fiato giungo ad Albisano, da dove è bello fotografare uno scorcio di lago in controluce: si nota la traccia di un traghetto ormai approdato a Torri del Benaco. E’ lì, mentre faccio un saluto a quel Cristo che troppo spesso dimentichiamo come spirituale sostegno, per ben ricordarlo in pesanti sequele, nella bella chiesetta di Albisano, che squilla il telefono (la mia croce, appunto!!)

Un pomeriggio di berna al lavoro
E’ una telefonata di lavoro per farmi tornare bruscamente alla realtà: è un amico di una notissima ditta cliente che mi chiama per farmi gli auguri di buona Pasqua. Ciao, Sandro! Auguri a te!! A presto! (Meno male che non erano rogne…)! Di certo sto meglio io, una volta tanto!!

Un pomeriggio di berna al lavoro
Esco dalla chiesetta e risalgo sulla mia amata Rossa per riprendere il cammino che mi porterà giù fino al ristoro dell’oasi benacense. Torri si profila come splendida cittadina mittleuropea: i giovani ormai parlano almeno anche il tedesco, oltre al brenzonal! Ecco allora approfittare della scarsità di turisti (e di controlli) per intrufolarmi lungo la spiaggetta antistante ad Aquefredde: quante nuotate il giorno prima degli esami! Da lì la vista del castello della cittadina regala sensazioni degne di uno scenario da film.

Un pomeriggio di berna al lavoroLascio lo sdrucciolevole pietrisco della spiaggetta di Torri per incamminarmi alla volta di Garda, ed ecco profilarsi all’orizzonte lo sperone dietro al quale sappiamo ergersi la magnifica Rocca di Garda.
Quanto avrei voluto, in un tempo ormai andato ed impossibile da ricuperare, poter passare qualche giorno nella solitudine di questa grandissima realtà spirituale guidata dai Camaldolesi!! A me è stata fatta bensì la grazia di poter respirare qualche alito di questa vita che sembra così impossibile a viversi, ma che così tanto dà a chi riesce a slegarsi dalla materialità di un mondo alla deriva di principi.

Un pomeriggio di berna al lavoroSplendidi ricordi che affiorano alla mente quando ormai oltre tre lustri or sono, su un’altra gloriosa cavalcatura (Vespa PX125) transitavo per questi posti in compagnia di quella che sarebbe diventata la straordinaria ed impareggiabile compagna della mia vita: a te, Paola, dedico questo momento di evasione dalla frenesia dei comandamenti del nostro mondo, esclusivamente imperniato su valori materiali (e quindi passeggeri). Sì: in sella alla V65SP vivo momenti di totale immersione nella purezza di un angolo che così tanto ha segnato nella mia vita: durante gli studi prima, e con la persona della mia vita subito dopo. Dio ti ringrazio di farmi tornare in questo Venerdì Santo alle origini del percorso che mi sta portando alla maturità umana.
Mi giro e vedo lo splendido porticciolo di Garda che porta in cornice lo sfondo dell’aristocratica Punta San Vigilio, che per qualche estate vide la bella Lady Diana riposarsi (serena?) nella villa reale.

Mi giro ancora e non posso fare a meno di notare la bellezza dei cromatismi della chiesetta che sta di fronte al porto di Garda.

Un pomeriggio di berna al lavoro

E’ difficile disgiungere la nostra natura umana dal forte senso di presenza del soprannaturale: ovunque ci si rivolga è presente una sorta di richiamo, direi quasi di richiesta di motricità che l’uomo, nelle sue espressioni artistiche, vuole fare all’Infinito.

Giunge ormai al termine anche questo Venerdì Santo 2006 e gli obblighi e le responsabilità familiari e professionali impongono di collimare la via del ritorno a questo strano pellegrinaggio.
Grazie, Dio, per la possibilità che mi hai dato di vivere qualche ora in modo splendido, e di saper cogliere il momento; grazie ai miei carissimi collaboratori che riescono a crearmi questa possibilità; grazie alla mia amata Paola che mi lascia gli spazi (ergo: vita) per me indispensabili per queste gite e grazie a Moto Guzzi: un sogno-realtà che possiamo godere appieno nella modestia dei nostri mezzi quotidiani.

Quando la moto chiama l’arco

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Di Rinaz
Marcello è bello, proprio un bel ragazzo… dico sul serio io dipingo e sono abituato a valutare le proporzioni del corpo umano. Per esempio io faccio schifo, quelle rare volte che sono stato magro dopo i vent’anni facevo cagare lo stesso ed ero comunque sgraziato, ad esempio ho un testone enorme per giunta adesso anche pelato, mentre Marcello ha un scatola cranica simile a quella di Marlon Brando… fateci caso Marcello ha la stessa testa quadrata ma con gli angoli rotondi di Marlon Brando, dentro Marcello ci tiene tutto il suo sapere di tecnica motociclistica ed immagino centinaia di manuali d’officina.

Marcello oltre che bello è un vero genio.

Che meraviglia! oggi è il dieci di agosto… estate piena …. fa un caldo… il caldo opulento e tafano del Chianti… la mia moto sembra sentire questa placida armonia gravida e ronzile … la mia Guzzi si sottomette volentieri alle cure di Marcello che l’avvita …la svita, la riempe, la rabbocca la stringe e la tocca con le sue braccia forti e ben fatte… più lo guardo nella sua maglietta “metallurgica romagnola” più mi vien voglia di piazzarlo in un quadro nelle vesti di San Sebastiano… la sua anatomia potente e rotonda sarebbe esaltata dalle linee rigide delle frecce che lo trafiggono… ma Marcello si asciuga il sudore, scaccia i tafani e prova la Guzzi… torna ed instancabile si rimette al lavoro… oh! non c’è verso… potete portare Marcello al Louvre… anche in presenza della Gioconda se vede il motorino del custode ci si attacca e per lui non esiste piè niente…

“…Marcello hai fatto tanti chilometri per venire qui …perchè non vai su almeno a vedere il castello? “… il castello?… Rinaz lascia stare il castello… come fai ad andare in giro con il manubrio messo cosi’?…” “…Marcello nel castello ci hanno deciso l’unità d’Italia…” “…scolta me Rinaz con un manubrio messo così rischi anche di far lavorare male la frizione…”
non c’è storia e non c’è castello, chiesa o monumento che tenga … oh ragazzi neanche se la buttate in politica ce la fate …e oggi che fa caldo per la politica la televisione parla solo di un testa di cazzo che si fa saltare in aria… mentre pelo le patate grido dalla finestra “… Murry cosa ne pensi di questi KAMIKAZE?…” ” …penso che fanno un gran botto … come quando la benzina nella camera del bicilindico esplode e porta giù il pistone… ci vuole una forza… ma oltre alla benzina c’è anche un discorso di compressione e lè le valvole se non sono registrate bene…”… eh vabbuè …getto la spugna e pelo le patate… Marcello parla solo di moto e si interessa solo alle moto, in particolare alle moto Guzzi.

Ma dai di cacciavite e dai di chiave inglese arriva il momento che Marcello, ribaltato un paio di volte la mia moto e la 125 di mio figlio, non ha più niente da smontare e da riparare … è un momento tragico … e allora che si fa? che si fa oggi che gli alberi sono carichi di frutta e c’è tanta luce fino a tardi? Marcello troneggia maestoso ed inoperoso in mezzo ai miei troiai di campagna dove spuntano tre archi scuola ed un monolitico da caccia da 70 libre… “… Marcello hai mai tirato una freccia?…” “…io non tiro mai come una freccia… io di solito vado piano … che a parte la sicurezza il motore va rispettato…” “… NO MARCELLO!!!! L’ARCO E LE FRECCE COME GLI INDIANI… hai mai caricato un arco e scoccato una freccia?”

In questo pomeriggio di caldo e sole qualcosa di diverso da una moto ha fatto breccia nell’attenzione di Marcello.

Marcello, che come Galileo è sostanzialmente uno spirito scentifico, sovraintente a tutta l’operazione di caricaggio e messa in tensione dell’arco… gli passo un arco scuola a basso libraggio, facile da tendere e governare, dopo aver sistemato ad una ventina di metri il paglione nella abbrustolita oliveta di agosto. “… dunque Marcello… piedi paralleli e sguardo sopra la spalla…” era un pò il mio sogno creare una compagnia di arcieri nel Chianti …quando i bambini erano più piccoli stavamo sempre dietro casa a tirare con l’arco …e si diventò anche bravi che si cominciò a prendere la strada del bosco con l’arco e di mira i fagiani, le starne e qualche volta le imprendibili lepri finchè non si prese la faccia severa di un maresciallo dei carabinieri che ci ammoni’ ” L’ARCO PER LEGGE E’ EQUIPARATO AL COLTELLO! …chiaro? SE LO USATE IN CUCINA VA TUTTO BENE SE VE LO TROVO IN DISCOTECA SIETE NEI GUAI! …chiaro? LA PROSSIMA VOLTA CHE VI TROVO CON L’ARCO IN ATTEGGIAMENTO VENATORIO SIETE NEI GUAI! …chiaro?” Chiarissimo signor Maresciallo e intanto prendo la mira e per tre volte faccio una figura di merda perdendo tutte e tre le frecce nel bosco dietro il paglione… “…Insomma Marcello hai capito come si fa no? prova te”… Marcello prende in mano l’arco e lo tende senza nessuna fatica. Per lui tendere un arco scuola e come per noi tirare le stringhe per allacciarsi le scarpe. Marcello infila con precisione tre frecce in successione nel paglione a venti metri… “… brutta merdaccia eri già capace eh?..” ” NO Rinaz è la prima volta…” …cambiamo arco, ma lui sempre piantato sulle sue robuste gambe tira una freccia via l’altra verso il bersaglio… fino all’arco monolitico da 70 libbre particolarmente duro da controllare in tensione ma Marcello non fa nessuno sforzo… d’altronde ci ha certe spalle e certi avambracci il Marcello che tira su un California da solo. Quella notte del dieci di agosto aspettammo le stelle che San Lorenzo fa cadere dal firmamento… frecce infuocate a colpire i nostri desideri… Marcello il miglior meccanico di moto che conosco ne espresse uno: al rientro avrebbe cercato un arco… gli è piaciuta questa cosa dell’arco che un pè ricorda la moto.


Oggi è il venticinque di novembre e in Toscana fa un freddo che solo chi abita in Toscana sa che freddo può fare in Toscana. La mia moto gode ancora dei benefici massaggi estivi di Marcello e come una freccia divide il freddo sulla superstrada, fa un gran freddo oggi ma noi Guzzisti quando il bicilindrico gira anzi canta così bene ci sentiamo consolati e ripagati da tutta questa vita amara e grama, ed oggi la mia Guzzi per merito del mio amico Marcello fa il suo bel BRUBRUBRUBRU sulla superstrada gelata, mentre le macchine mi sorpassano e qualcuna addirittura mi saluta… anche perchè adesso sto entrando nel mio bel paesino toscano, tutto abbracciato dalle mure del castello dove tutti ci conosciamo e viviamo in tante anime come se fossimo una famiglia sola… ed io qui non sono neanche Rinaz, il nipote di zingari, ma sono Guzzi, ognuno di noi dentro le mura si porta una sorta di nuovo battesimo a volte anche duro per esempio c’è un signore che si chiama LA MAIALA perchè ha una teoria: gli affari sono buoni se figliano tanto quanto una maiala …o un altro che si chiama LASSASSINO … l’unica sua colpa è stato di tornare al paese dopo venti anni di gabbia per aver ammazzato l’amante della moglie. Io per i miei compaesani sono Guzzi, Guzzi è un po’ matto, Guzzi a cinquantanni va ancora in moto, Guzzi va in moto anche d’inverno, Guzzi ci ha sempre scritto Guzzi adosso da qualche parte, Guzzi ha una Guzzi con la statua della Madonna, Guzzi non parla con nessuno ma è Guzzi e da una mano a tutti… GUZZI è IL MOTOCICLISTA DEL PAESE.

Infatti Guzzi (il vostro Rinaz) entra nel castello seguito da un nugolo di ragazzini che lo chiamano e gli corrono dietro la moto… “Guzzi”, “Cuzzi”, “Uzzi”, “Gutti” e via berciando… a me Guzzi questa cosa piace molto… anche perchè riconosco il mio bambino di dieci anni con gli altri e sono una nuvola bella di speranza, gioia e colore … ci sono bambini Magrebbini, Kossovari, Albanesi, Indiani, Americani e oramai pochi italiani… ma a me piace così mentre posteggio circondato da tutta questa ammirazione per la mia moto e le mie toppe sulla giubba. ” … non toccate la moto che scotta! avete capito?” Entro in casa con il naso freddo ma il cuore pieno di calore… lei è sul divano e sta piangendo. Ha quel modo suo di piangere che non conosco in nessun altro essere umano… piange leggendo carte o lavorando… ondeggia i bei capelli neri che non si arrendono al grigio degli anni nascondendo questo suo pianto che rende il suo viso ancora più bello ma durissimo e severo… ora mi si è gelato anche il cuore… “…è successo qualcosa ai ragazzi?…” lei scuote la testa e non risponde… poi dice: ” è tornato..” e si asciuga una lacrima.

Dunque è tornato.

Quel ragazzo di soli sedici anni è tornato dal viaggio piè terribile che un motociclista puè fare. Quel ragazzo è partito in moto con un amico ed è tornato cinque mesi dopo in paese su una carrozzina a rotelle. Quando a primavera era caduto non muoveva più le gambe e tutto il paese trattenne il respiro… mia moglie spiegava ed incoraggiava, forse era solo un brutto ematoma che premeva sui nervi della colonna vertebrale… forse una volta riassorbito… forse… in paese la gente non parlava più o meglio la gente ancora si salutava o parlava del tempo ma si capiva che non frecava più niente a nessuno del tempo che faceva … tutti aspettavano da qualcuno quella notizia che doveva arrivare da Firenze … il nostro ragazzo ha mosso le gambe… passavano i giorni e le stagioni ma le gambe restavano immobili … la frattura non solo c’era ma era molto in alto, io non sono medico ma mi sembrava di aver capito che la colonna vertebrale è come un palazzo del dolore più è alta la frattura più tremenda sarà la tua vita, nei piani alti delle colonna ci sono sempre meno funzioni… l’ascensore per lui e per nostra disperazione si era fermato molto in alto restavano “per fortuna” respiro ed arti superiori con tutta la via crucis di infezioni e riabilitazioni che ne conseguivano …ed il ritorno a scuola su una carrozzina ed un autobus speciale che gli amministratori avevano approntato…

Tutti avevamo sperato che questo momento non arrivasse mai… un nodo alla gola mi strinse cosè forte che mi impedì di dire qualsiasi frase di circostanza… rimasi sulle scale appoggiato al muro cercando di fare come lei… di resistere al pianto … ma non sono bravo come lei ed il casco mi pesava in mano e la mio moto mi aspettava fuori… fu allora che mia moglie disse ” …a Firenze gli hanno consigliato di fare il tiro con l’arco… mi chiedevo se tu potevi…” non aspettai la fine della frase scappai piangendo come un bambino ferito mentre i bambini che discutevano della mia moto restarono ammutoliti davanti alle lacrime di un adulto… misi in moto e corsi di rabbia nelle crete… antico fondo del mare che pure una volta doveva esserci e dove avrei voluto sprofondare… ma il solitario parlare con se stessi che accompagna tutti i motociclisti si fece greve ed insopportabile cosi fui costretto a fermarmi a piangere dando le spalle al mio paese… la mia moto mi guardava silenziosa ed impotente… non aveva consolazione da porgermi… però uscì il sole mi feci forza e mi voltai … un raggio di sole illuminava il mio paese stretto attorno al campanile della Chiesa di San Lorenzo… mi chiesi come fosse possibile che un posto cosè bello riuscisse a contenere tanto dolore.ù

ùu allora che mi tornò alla mente Marcello e mi consolò il pensiero che quando la moto chiama l’arco non sempre è una tragedia ma qualcosa di misterioso e profondo.

Questo pensiero mi diede la certezza che “Guzzi” il motociclista del paese avrebbe trovato la forza di porgere un arco a quel ragazzo sulla carrozzina.

 

Rinaz 2006
Fatti e persone sono frutto della mia fantasia le coincidenze sono del tutto casuali.
Dedico questo raccondo a quel tale che scrisse che un Guzzista a volte ha la necessità di lasciare indietro qualcuno.

Il Mio Primo Anno da Guzzista

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di Enzo Nasto(enas84)

Premetto due cose: non sono un grande scrittore, e ho 22 anni, scusate qualche mia banalità…
Anche se che l’arrivo, o meglio, l’avvento, della mia prima guzzi, un V35 Imola II del 1984 (visto che siamo coetanei, la chiamo “imoletta”…), è del luglio 2005, questo che sta per chiudersi è il mio primo anno intero da guzzista! E così ho deciso di raccogliere e raccontare le mie emozioni con tutti coloro che avranno il piacere di leggere queste righe. Si, perché di emozioni si tratta, e trovo che sia bello condividerle con chi ti capisce e non ti chiama pazzo (almeno spero…).
Oddio, parlare di certe cose, direi a cuore aperto, è sempre difficile…cercherò di farmi capire il più possibile!

In questo 2006 i chilometri non sono stati moltissimi, con mio vivo dispiacere, anche per le scarse doti di macinatrice di km della mia imoletta, (ma tant’è, bisogna anche accontentarsi…), ma sono bastati a far “cementare” in me la passione, anzi, l’amore per l’aquila di mandello! Forse però l’amore verso la propria moto non dipende solo dai km percorsi. Infatti, devo ammettere che di tanto in tanto, specie quando piove, vado nel garage, la metto in moto, e ne ascolto la sua voce…ecco, questa è una delle tante cose che mi fanno chiamare pazzo da chi non capisce la mia passione. Ma come diceva un certo Enzo Ferrari, “non si può spiegare la passione, la si può solo vivere”. No, non dipende dai km. Una guzzi la ammiri e la ami anche se sta sul cavalletto…
Già, e di guzzi sul cavalletto in questo anno ne ho ammirate tante, nei raduni cui ho partecipato! Che bello andare ad un raduno! Si comincia la mattina, con la “vestizione” (il gilet in pelle con le toppe cucite è un “must”), poi si fa riscaldare un po’ il bicilindrico, e dopo via, verso l’ammassamento…e qui cominci a fare conoscenza con gli altri centauri (magari molto più grandi di te…), e con le loro moto, magari anche con la gente di passaggio che ammira questi strani personaggi che “contemplano” le loro creature e quelle degli altri. Senza contare la goduria del classico giro turistico, anche se a volte “bollente” o “umido”.

Volete sapere la mia definizione di raduno? Eccola: raduno motoguzzistico è il luogo di ritrovo ideale per quelli che sono affetti da una cosa inspiegabile e incurabile: la guzzite acuta. Mi verrebbe da dire una sorta di paese dei balocchi temporaneo, dove chi, pazzo e innamorato come me, trova gioia e sollievo nel vedere tante aquile tutte insieme! Credo che il guzzista abbia in se la propensione al ritrovo, allo stare insieme, magari a tavola (fidatevi, è così….). Anche se, pensandoci bene, credo proprio che il motociclista in generale sia portato anche all’andare in giro in solitario (almeno per me è così…). Che poi non si va mai in giro in solitario, visto che ci sono sempre due cilindri (anche uno, rispettiamo la storia), e tanti sentimenti che ti fanno compagnia!
Certo, questi mesi non mi hanno risparmiato qualche dolore, tipo le filettature delle candele che mi hanno abbandonato, la batteria che ogni tanto fa le bizze, così come l’avviamento a freddo…ma lo sapevo, ero preparato a qualche sofferenza! Amare significa anche soffire…
Ok, credo di essere stato abbastanza romantico, basta così!

Ora passiamo a qualche ringraziamento. Eh si, ne ho di persone da ringraziare! Vediamo un po’…non vorrei dimenticarmi qualcuno!
Il primo grazie (ma non è una classifica, sono tutti al primo posto), va al virtual fun club di moto-guzzi.it, direi il primo nido che mi ha allevato, guzzisticamente parlando! Come non citare tepes, numero8, frizz, insieme a loro abbiamo ormai occupato il bar diventando come i 4 amici al bar di “ginopaolesca” memoria. E poi wvilla, che mi ha omaggiato della prova su strada della mia imoletta lasciandomi senza parole! Fabio Baldrati con i suoi magnifici racconti! “Katia la piratessa”, o meglio la poetessa (il suo “buon natale” dello scorso anno l’ho tenuto appeso in camera anche a ferragosto). Senza dimenticare tutti gli altri (non posso nominarvi tutti, perdonatemi), con i quali ho condiviso tante discussioni che senza dubbio mi hanno arricchito! Grazie a loro ho capito davvero che puoi considerare amico anche chi non hai mai visto negli occhi! Si, ma quanto mi siete costati di connessioni a internet (lo so, è una battutaccia, chiedo scusa…).

Come non citare il forum di animaguzzista, che frequento da poco, ma che ho subito apprezzato per il gran numero di partecipanti e di discussioni (sono davvero tante, a volte mi ci perdo…). E’ da apprezzare l’impegno dello staff che manda avanti un sito, un forum, e una famiglia di 3000 persone!
Un capitolo a parte meritano i “Guzzisti Partenopei”, anche loro amici veri e fidati, anche se non ci vediamo spesso. Il mio primo gruppo in carne ed ossa (molta carne, ricordo un pranzo eccezionale…)! Willy, Antonio, Nicola, Claudio, Pasquale, Rosario, Gennaro, Fabio, e tutti gli altri che conosco di meno. Li ringrazio di cuore, spesso sopportano i miei tormenti di giovane, per di più guzzista! E le mie domande a volte stupide…
Beh, come non ringraziare i miei genitori. Mio padre, ex guzzista, talvolta costretto a fare l’aiuto meccanico, e mia madre, obbligata ad “allestire” il su citato gilet in pelle!
Un pensiero direi particolare va a “G”, amica vera, che mi ha dato lo spunto per questo racconto e che mi ha fatto capire che si può essere amici anche vedendosi poco. E che un amico lontano può essere davvero importante…

Vi abbraccio tutti!
E auguri di un 2007 pieno di felicità!

enzo nasto, o meglio, enas84!

p.s.: lo ammetto, un po’ mi sono emozionato scrivendo queste righe!

Was Ist Das

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di Rinaz
Dedicato a Lorenzo Camunci.

In piedi, ritto sul parapetto, osservavo la statale curvare ed entrare nel paese, dietro di me nel parcheggio il vento della primavera a scatti puliva l’aria alzando vortici di sporco.
Ogni tanto davo un’occhiata al grosso bicilindrico nero della Guzzi, non avevo paura che me lo rubassero, che le Guzzi non se le frega nessuno, solo un matto può pensare di fregare un California vecchio di cinque anni con la statua della madonna inchiavardata sul parafango, ma c’è sempre qualche testa di cazzo che si frega il casco o i guanti, magari non gli servono, lo fa così per spregio o chissà perché.

Alle quattro calcolai che erano tre ore che aspettavo e mi rassegnai, Woizec non sarebbe più arrivato. Facevo fatica ad arrendermi all’idea, non per le cose che mi aveva promesso, cioè anche per le cose ma se non arrivava con il suo furgone bianco significava che era finito nei guai. ” …merda d’un Woizec mi sei finito in gabbia un’altra volta..”, saltai giù dal parapetto con un “… ma vaffanculo…”. Alla moto mi aspettano i soliti due vecchietti. Fateci caso quando lasciate parcheggiato un Guzzi al ritorno trovate sempre due vecchietti che parlano di moto e dei bei tempi andati. I miei stavano dicendo
“… macchè ì Galletto, Nedo aveva ì Falcone… ì Galletto… te tu ci avevi ì Galletto…”
” ettu ti sbagli… ti dico che ni cinquantasei alla festa a Campi del primo maggio Nedo venne co ì Galletto… “.

Il mio arrivo li zittisce e gli stampa in faccia un sorriso ebete. Brutta bestia la pensione, forse peggio della galera, così la compassione me li fa salutare per sentirmi chiedere le solite cose “…ma la Guzzi esiste ancora…”, “… indollè ì volano…”, ma oggi non ne ho proprio voglia, il bidone di Woizec mi pesa, così conto i miei soldi e decido rapidamente il da farsi… andrò a San Giovanni da Maurizio, da Maurizio c’è sempre un buon motivo per sbattere via i soldi. Deludo i nonni facendo girare i pistoni. La polpetta di carne congestionata che è la faccia di Maurizio mi aspetta giusto sulla porta.
“Oh zingaro! dove tull’hai lasciato ì carrozzone?”
“L’ho lasciato alla tu mamma che aveva da ricevere dei camionisti, mi ha detto di dirti di non aspettarla che farà tardi”.

A Maurizio la mia Guzzi piace molto, esce dal suo magazzino e si avvicina alla moto mentre scendo e metto il cavalletto.
” … la mi mamma l’era una maiala ma la tua un si sa manco chi l’era, per me te non sei zingaro, te tu sei un bimbo rubato dagli zingari in un bordello!”
” oh brutta merda vuoi vedere che sono il tu fratello… Maurizio fa un piacere al tu fratellino vendimi qualcosa di bello… che ci hai oggi di bono?”
” io ci ho tutta roba bella… sei te che fai fatica a tirare fori ì quattrino, si vede che ì bordello della tu mammima l’era frequentato da un rabbino”
” rabbino icché? ci ho un nome arabo”
” si vede l’era di bocca bona e sbocchinava gli uni e gli altri”
” ma vattela a stroncare al culo, sei il solito pezzo di merda…”

… sbrigato il protocollo dei saluti e dei convenevoli entriamo nello schifo del suo capannone dove nel caos più totale trovi veramente di tutto, affogati nel lerciume più assoluto trovi oggetti sublimi e cacate inutili. Fingo di girovagare a caso nel suo universo arredato alla rinfusa da grandi armadi d’epoca ma anche rottami di moderni frigoriferi, improbabili lampadari e divani sfondati di ogni era e stile. Maurizio mi segue… cerco di depistarlo zigzagando ma so esattamente dove voglio andare a parare, Maurizio ha un oggetto che tengo d’occhio da diverso tempo e io so che più passa il tempo più Maurizio è disposto a trattare il prezzo.

È un inginocchiatoio francese di fine ottocento. A ben guardare è un oggetto troppo pesante ed è il motivo per cui Maurizio fatica a venderlo, troppo grande, tutto di noce ebanizzato con il nero che ha preso una patina grigio scuro. Le corte gambe a tortiglioni tozzi reggono una seduta imbottita in velluto rosso, liso e consunto da chissà quante ginocchia dolenti, ogni volta che lo vedo cerco di immaginare quanti peccati siano stati espiati su questo oramai sudicio velluto rosso fermato al bordo da grosse borchie d’ottone; nell’alto schienale campeggia un grossa croce nera, sempre a tortiglioni, sovrastata da un cassettino anche lui nero come la morte ripostiglio dei libretti liturgici e come se non bastasse all’interno del cassettino è fissato un piccolo crocefisso in metallo di epoca più recente, forse un ex-voto per una grazia ricevuta in cambio delle tante orazioni; lo schienale termina in un fagiolo imbottito ricoperto dello stesso velluto rosso rubino anche lui con la trama sfinita dal continuo appoggiare di mani giunte in preghiera … un oggetto difficile da mettere da qualche parte in una casa, però se si arriva al prezzo è un oggetto sicuramente da comperare. Girato un angolo mi trovo davanti l’oggetto dei miei desideri…
“toh guarda chi c’è!… oh Maurizio, figlio di un cane, ma questo inginocchiatoio non lo dovevi vendere la settimana scorsa agli americani?”
” un cominciamo a fa i bischero… lo voi o no?”
” quanto costa oggi?”
” un mi fa girà i coglioni che oggi non è il giorno… tu lo sai quante costa… costa uguale a ieri”
“non mi ricordo più… e qui da così tanto tempo che ti si fa un piacere a portarlo via”
” ma va a cacare… sono sempre cen’cinquanta euro…se tu lo voi, se poi tu sei venuto a far girare i coglioni e un altro par di maniche”
” cencinquanta sta merda che non riesci neanche a regalarla?”
” sai zingaro che a volte riesci a starmi sui coglioni? siccome t’hai studiato tu pensi io sia bischero?”
” ma che cazzo dici? sei figliolo di una lorda ma il tuo lo sai fare… ma cencinquanta non te li darò mai!”
” senti, brutto muso di merda, si fa centoventi lo metti sulla tu moto del cazzo e tu ti levi di culo! va bene?”
” non ci penso nemmeno a centoventi lo si lascia qui che quando la tu mammina ha finito co’ camionisti ci viene a recitare il rosario”
” sarai figliol di troia eh? “.

Ma detto questo Maurizio si accorge che sono entrate due clienti, due ragazze sui quaranta, una è un un vero cesso con un grosso naso torto e i denti da cavallo, i blue jeans neri attilati non gli nascondono le brutte gambe secche. L’altra è un vero angelo, un apparizione di grazia ed eleganza che stride nella fogna che è il magazzino di Maurizio, la signora ha lunghi capelli biondi a incorniciare un viso bello e regolare illuminato da due occhi grigi che irradiano tristezza ed infelicità nell’ambiente, una gonna al ginocchio lascia vedere due belle gambe ben disegnate infilarsi in scarpe basse un pò scollate, l’angelo parla anche e dice ” ciao Maurizio” “buon giorno a voi bella donna”.
La ragazza vestita di sensualità scivola, matura e consapevole, sullo schifo circostante accompagnata dallo scorfano goffo, posando la sua tristezza educata sugli oggetti di Maurizio. E’ così bella che né io né Maurizio riusciamo più ad insultarci, ci guardiamo a vicenda vergognandoci di essere così brutti e malridotti. Due veri straccioni. Mentre la bellezza naturale e pulita della signora levitando avanza lentamente tra la merda di Maurizio spargendo i suoi malinconici feromoni su tavolini e comodini dalle gambe spezzate e i cassetti mancanti, noi come ipnotizzati sentiamo tutto il fallimento della nostra vita dove certi piaceri e certe bellezze ci sono sempre stati preclusi, ci risvegliamo solo quando ci ripassa accanto ” ciao Maurizio ” ” ciao a te bella signora ” in una scia di profumo e tristezza esce con il suo scombinato cavallo al seguito.
” … maiala che topa!..” esclamo io, Maurizio fa ” pensa zingaro s’era ragazzi assieme… poi… una fica a quella maniera… c’era da aspettarselo… ha sposato ì figliolo avvocato del Moretti… prima cì fatto du figlioli e adesso l’ha mollata…”
“ma chi lei o lui?”
“no… no… l’ha mollata lui… il vecchio Moretti l’è morto e lui se messo con la ragazzina moldava che, dice, gli faceva da segretaria… pensare che da ragazzi ci ho avuto una mezza storia”
” ma va a cacare, merdaiolo, ma ti sei guardato? ma sei proprio una testa di cazzo”
” che c’entra? s’era ragazzi mica contava ì quattrino…”
” allora se il quattrino non conta perchè non mi lasci sto sgabello merdoso per cinquanta euro? ”
” muso di merda un tu sei altro, bastardo fatto e finito, cinquanta euro per un mobile francese dell’ottocento! ”
” Maurizio ma chi lo vole? chi te lo piglia? ”
” ci posso fare trecento euro quando mi pare ”
” e allora perchè è ancora qui? cosa fai… ti ci sei affezionato? ”
” senti, pezzo di merda che un tu sei altro, tu mi dai settantacinque euro, te ne vai a fanculo, te e la tu moto Guzzi di merda, che un posso più vederti. E unne voglio più parlare, chiaro!?. Ultimo prezzo!”
” Si ma c’è un problema… ”
” basta problemi! settantacinque prendere o lasciare! ”
” oh Maurizio! cerca d’ascoltarmi ti dico ho un problema! ”
” icché t’hai? ”
” ne ho solo cinquanta “…………………………………………..

Maurizio resta impietrito, mi guarda fisso con rabbia, ho paura che la polpetta congestionata della sua faccia esploda e mi insudici con un paio di chili di carne trita di prima scelta ed invece esplode in un ” PORCA MAIALA! ” teso sulle gambe si gira ad osservare l’ingombrante ed incolpevole inginocchiatoio nero ” PORCA MAIALA! D’UNA PORCA MAIALA! ” un po mi spaventa ma non trovo niente di meglio che dirgli
” …dai Maurizio non fare così… ”
” QUELLA PORCA D’UNA MAIALA CHE T’HA MESSO AI’ MONDO! CINQUANTA EURO! ”
” … allora Maurizio lo porto via? “,

Maurizio sta per cedere. Come lo conosco… sta per cedere. Non sembra ma io lo conosco, con Maurizio bisogna fare così, portarlo sul prezzo… se ci arrivi è fatta.
” … allora Maurizio lo porto via? ”
” … per quella troia della tu mamma che non hai mai conosciuto portatatelo via! “.
Maurizio con dispetto mi lascia solo a portare il pesante inginocchiatoio fino alla porta dove tiene la cassa. In silenzio aspetta che metta mano al portafoglio. Dopo aver estratto lentamente il portafoglio sono costretto ad ammettere ” … Maurizio ne ho solo quarantasei… ” Maurizio molto calmo risponde ” … bene l’ho riporti indoe tu l’hai preso… oppure tu mi dai cinquanta euro. ”
” Ma ne ho solo quarantasei! non fare lo stronzo… ”
” che me ne frega? hai detto che ne avevi cinquanta? ”
” Si ma mi ero dimenticato che ho giocato al superenalotto… Maurizio lasciami andare via con lo sgabello… se vinco ti compro tutto il magazzino e ti compro anche la moglie dell’avvocato…”
” sarai un pezzo di merda? ”
” ma Maurizio… ”
” sei un gran pezzo di merda? ”
Maurizio prende i soldi, due da venti, uno da cinque e vuole anche la moneta da un euro, senza dire una parola prende l’inginocchiatoio per le gambe io mi precipito a prenderlo per la testa dalla croce nera e ci avviamo alla moto senza parlare. Appoggiato per terra il pesante catafalco risulta evidente che non sarà facile portarlo via sulla Guzzi. Maurizio non muove un dito e con un sorriso vendicativo guarda i miei goffi tentativi di carico. Non c’è verso che vada bene, se lo sdraio al centro sono largo come un furgone e poi pesa troppo sulla parte inferiore e di sicuro lo perdo anche se lo lego bene. Se lo metto bilanciato sbuca troppo fuori dalla parte dell’alto schienale crociato. ” … tu lo sai zingaro che un vale un cazzo vero? te l’avrei lasciato anche per trenta euri solo per vedertelo caricare ” gli mando un sorriso amaro mentre mi rassegno all’unica soluzione possibile… sederlo a cavallo del sellino posteriore ed il piccolo portapacchi.

Adesso la moto è alta due metri e mezzo e dietro la schiena sono sovrastato da un imponente croce nera di legno di noce. Mi rimetto la giacca nera, indosso gli occhiali neri e mi infilo il casco nero dal quale sbuca la mia fluente barba bianca. Contento e sazio del mio affare, faccio rientrare il cavalletto e giro la chiave… il bicilindrico da la solita scossa che fa traballare l’alta croce. Con un cenno della testa saluto Maurizio che come un ratto rientra nella sua tana, do un po di gas e camminando piano piano mi immetto nel traffico di San Giovanni. Al mio maestoso incedere la gente resta ammutolita sui marciapiedi o al volante delle macchine che mi vengono incontro o che mi sorpassano. La povera gente della Valdarno torna dal lavoro in questo pomeriggio di primavera mentre io butto via il mio tempo in cazzate inutili. La processione della grande croce con seduta rossa attraversa mesta tutto il paese e finalmente, con mio sollievo, imbocca la strada delle colline del Chianti. La croce comincia a salire ed ora svetta tra le cime degli ulivi, si confonde tra lecci e querce dei primi boschi che abbraccio, ascolto il canto d’amore di fagiani e ghiandaie. Ora che posso rilassarmi torna nei miei pensieri il povero Woizec… poveraccio sarà ‘briaco da qualche parte sul Brennero, la mia roba chiusa nel furgone in qualche deposito di tribunale. Ogni tanto qualche grossa macchina tedesca, lucida come un altare, mi affianca, mi osserva per bene, sorride, forse commenta “italianen” e poi mi sorpassa correndo verso la ricca e lussuosa pasqua in agriturismo che il Chianti promette. Povero Woizec, si sarebbe fatto pasqua insieme con una bella bottiglia, come quell’anno che tentò di uccidermi perché non cantavo assieme a lui un inno sacro in polacco, come cazzo facevo a sapere le parole? era così ‘briaco che alla fine cercando di colpirmi cadde immobile per terra, accertato che non era morto lo infilai sotto il furgone dove dormì per un giorno ed una notte.

Mentre la Guzzi arranca con il suo traballante carico spirituale, mi torna alla mente anche la bella e triste signora di San Giovanni, che gusto ci sarà mai ad essere una topa a quella maniera se si è anche sfigati? in fondo io e Woizec quando riuscivamo a piazzare qualche bel colpo si era più felici. E’ proprio vero che la vita è un mistero. Una macchina familiare mi affianca incrocio prima il viso sano e giovane di una tedesca che mi sorride, al suo fianco nell’aria condizionata un marito sportivo ride incredulo alla mia visione, un po mi stanno sul cazzo… che cazzo avranno da ridere? un po mi rendo conto che in effetti non capita tutti i giorni di trovare un mostro gigante che porta a passeggio in moto un inginocchiatoio. La macchina tedesca avanza quel che basta e adesso sono all’altezza del faccino del piccolo figlio che gesticola e cerca di dirmi qualcosa. Ma tra il rombo della Guzzi e i finestrini chiusi non sento un bel niente, così mi
limito a guardarlo minaccioso con la mia barba bianca ed i miei occhiali neri. Il padre gli fa scendere il vetro giusto quattro dita “…was ist das?… herr… …was ist das?”.

Was ist das?. Fermai la moto al lato della carreggiata mentre la macchina si allontanava accelerando, il bambino mi guardava dal lunotto continuando a ripetere “was ist das?”…”was ist das?” Rimasi in silenzio a guardare la mia moto con la piccola Madonnina davanti e la grande croce dietro, osservai il parafango scolorito, presi in considerazione anche la mia giubba sdrucita con le decine di toppe Moto Guzzi scolorate e scucite. Was ist das? “Cos’è questo” mi chiesi? avevo più di cinquanta anni e non solo non avevo una macchina ne una moglie giovane ma neanche un lavoro ne un impegno serio. Cos’è questo?. Non trovai una risposta, rimisi in moto e andai per la mia strada.

Rinaz (2006).

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