Home Blog Pagina 43

Charles Krajka

0
2006. Monsieur Krajka, fotografato all'Eicma, stand Moto Guzzi

Sangue Rosso Guzzi

di Goffredo Puccetti.

Intervista a Monsieur Guzzi: Charles Krajka

Foto: Massimo Viegi (Ledzep) 2006 e Archivio Krajka, grazie a Christian Guislain

Tema: Descrivere il Guzzismo.
Svolgimento: Impossibile.

Ecco come ci sente a rileggere gli appunti dopo un pomeriggio passato a intervistare la Moto Guzzi. E sì, perché Charles Krajka non è un personaggio carismatico del mondo Guzzi. Non è un ex pilota, campione, preparatore e storico importatore di Guzzi in Francia e adesso temuto ispettore della sicurezza della Federazione Motociclistica.
No, no, quelli sono dettagli. Krajka è la Guzzi. Charles Krajka è lo zio che ogni Guzzista vorrebbe avere. Charles Krajka è una Guzzi, di quelle che hai l’impressione che siano loro a guidarti: se la stradina laterale è bella la prende. Se c’è un curvone in fondo alla discesa, lascia passare l’altra moto per poi sverniciarla in staccata e quando vuole fare la pausa, si ferma e non c’è verso. Guardo le pagine – quattordici – di appunti presi durante l’intervista e mi rendo conto di essere stato assolutamente inadeguato al ruolo. In ogni pagina una freccetta, una parentesi, una nota: mettere questo prima di questo, ridomandare questo, e così via… Niente da fare. La Guzzi Krajka mi ha seminato.
Me lo dovevo aspettare. Del resto mi aveva avvisato subito, ancora prima di farmi sedere:
– Parliamo di tutto ma attenzione che parlando di Guzzi io divago, va bene?
E via di seguito: “e questo, se per cortesia non lo scrive mi fa un favore” e poi ancora: “posi la penna che le racconto una cosa divertente…” Così, ogni cinque minuti.
E adesso che ci faccio con gli appunti? Provo a rimetterli in ordine? Ma quale ordine? Ma no, del resto, se lo spiegassi non mi capirei, quindi basta con le ciance e mettiamoci a seguire le tracce che la Guzzi Krajka ha lasciato sul bloc notes.

Incontro Monsieur Krajka per un caffé a casa sua, a Fontenay-sous-Bois a pochi chilometri da Parigi. Ancora non mi ero seduto che la Guzzi Krajka già partiva in impennata:

CK: e quella cosa sarebbe?
GP: È la protezione dorsale, chi meglio di lei che…
CK: Proprio perché lo so, le dico che quella non è una protezione dorsale, è una barzelletta. La schiena ha un inizio e una fine, e va protetta tutta, non solo la parte lombare, capito?
Prima che inizi a scrivere, lasci che le spieghi perché sono così fissato sulla sicurezza.

Bene, la prima figura da pirla in meno di dieci secondi… Mi fa posare la penna e mi racconta una storia fatta di sidecar, di velocità, di questa passione folle capace di donare tanto e di chiedere il conto all’improvviso, senza pietà per nessuno. Nell’era di internet è una storia che è si può trovare altrove e della quale qui non parleremo oltre.

GP: Signor Krajka, ho raccolto alcune domande…
CK: Andiamo!

GP: Dunque dunque lei ha ricevuto l’anno scorso il premio Anima Guzzista..
CK: Bellissimo, grazie, ha visto come sta bene in libreria?

GP: Però immaginiamo che molti dei guzzisti, soprattutto fra i più giovani e fuori dai confini della Francia non sappiano tutto di lei. Facciamo un rapidissimo riassunto?
CK: Rapidissimo? Dice? Proviamo, ma veda, se parliamo della mia attività commerciale parliamo di un qualcosa nato nel 1961; se parliamo di corse dobbiamo risalire ancora di qualche anno e ad oggi, nonostante in teoria dovrebbero pensionarmi, sono ancora in giro come Commisario Tecnico con la Federazione… Lasciamo perdere il breve riassunto.

GP: Va bene, allora a domanda risponda: Charles Krajka, campione di moto, come dove quando?
CK: Campione di Francia su Airone Sport, nel 1957, categoria 250. Che moto!

GP: Bella?
CK: Bella? Un colpo di fulmine! Costava più di una Golden Flash!

GP: Ehm di una che?
CK: Una BSA Golden Flash! Una BSA, la referenza. Una 650! E l’Airone pur essendo una 250 costava di più! Ma era una moto eccezionale: Forcelle telescopiche rovesciate, regolabili! E poi il telaio elastico, le sospensioni posteriori a compasso fino ai meccanismi di regolazione della tensione molle valvole.. l’anticipo automatico… E quel motore! Tutti con i loro bei motori verticali et voilà la Guzzi con il suo mono orizzontale… Diversa da tutte le altre. Me ne innamorai subito e ne comprai una usata, nel 1951, a prezzo di notevoli sacrifici.

GP: Certo che l’Airone fu una moto straordinaria ma nel 1957 aveva già una decina d’anni, sulle piste non c’erano già avversarie più agguerite?
CK: Certamente ma le ricordo che a vincere le gare è un binomio composto da una moto e… un pilota! E poi dal punto di vista tecnico, era davvero un’altra epoca. Mi spiego: oggi nessuna gara si vince per un colpo di genio, per una invenzione estemporanea in un paddock. Dal punto di vista tecnico motoristico, da diversi anni siamo vicini alla soglia della perfezione. È una questione economica.
Vuoi mettere su un bel team? prendi il libretto degli assegni, un buon pilota e una buona moto e vai a farti una buona stagione. Non hai bisogno di preoccuparti di nulla. Le moto pronto-gara le puoi acquistare in negozio. La stagione è garantita senza intoppi.
Ma allora era diverso. Gli ingegneri non avevano ancora inventato tutto, anzi, il paddock era il regno delle invenzioni e delle sperimentazioni.
Una messa a punto sbagliata e la gara era bruciata. Il mio campionato lo vinsi grazie alla meticolosità con la quale mettevo a punto la moto. E poi, grazie ai freni e al telaio dell’Airone. Sempre dopo gli altri a frenare al limite. Così ho vinto.
E poi con il mio olio che…

GP: Il suo olio?
CK: Certo. Venga che le faccio vedere una cosa.

In un nanosecondo il distinto gentlement rider con papillon (sempre!) che mi ha accolto si è trasformato in un garzone di officina che mi trascina correndo in giardino, improvvisa una scaletta con tre bidoni, si arrampica e tira giù dal ripiano più alto una tanica d’olio.
Venga. Venga!
Scendiamo in garage. Non ho nemmeno il tempo di posare lo sguardo sulle moto che Monsieur Krajka ha vestito i panni dell’ingegnere meccanico… Un trapano verticale viene acceso in un attimo. In una bacinella viene fatto colare dell’olio motore.
CK: Ecco, vede questo, guardi cosa succede appena entra in contatto con la punta del trapano… Vede? Effetto centrifugo da una parte e olio che tende a salire dall’altra, risultato? Con un olio così, il bol d’or non lo finisci, grippaggio sicuro. Olio buono per friggere questo…
Ora proviamo col mio… stessa densità sulla carta ma attenzione… Et voilà. Il nuovo olio si lascia mescolare dal trapano come uno zabaione, ma è incredibile notare come resti al suo posto, senza schizzare verso l’esterno né salire lungo la punta del trapano.
Gli olii non sono tutti uguali, eh. Oggi forse… Ma ai miei tempi un olio giusto faceva la differenza. Ma bisognava sperimentarle di persona le cose, inventare.
E poi, come le dicevo, grazie al fatto che queste mani sono le mani di un meccanico prima e di un pilota poi; la mia prima moto fu una MR, diciamo che è grazie a tutti suoi guasti che sono diventato meccanico!
Non conosce la MR?

GP: Ehm…
CK: Una marca francese… Io lavoravo da Moto Bastille, più che un negozio, uno dei negozi più importanti d’Europa… Sa quante marche trattavamo?

GP: Ehm.. Diec..
CK: Quarantadue marche! Se lo immagina un negozio con oltre quaranta marche diverse?! Le inglesi ovviamente: BSA, Sunbeam, Ariel, Matchless e poi le francesi, le tedesche, le italiane.
La MR era una marca francese. Ottima per imparare a… riparare moto! Dopo di lei passai alla gigantesca 350 NZ, la moto dell’esercito tedesco. Va da sé che è necessario contestualizzare un pochino. Adesso un giovane fresco di patente che si avvicina a una moto guarda alle 600 come entry level… Mentre allora l’entry level era la 125. Poi c’erano le 175, le 250, le 350 e infine, le maxi, da 500cc in sù!
L’Airone Sport con cui ha vinto il titolo lo conserva ancora, giusto?
Sì è giù in garage. È tornata qualche anno fa.

GP: Prego?
CK: La comprai nel 1951 e la tenni fino al 1960, facendoci di tutto! Dal campionato velocità ai rally, alle corse in salita. Ad un certo punto la vendetti ad un mio amico. Un vero amico, come i fatti mi confermarono in seguito. Un mattino di qualche anno fa, verso Natale… Mia moglie mi dice di andare a prendere qualcosa in garage… Scendo e al centro, coperta da un telo Guzzi… Eccola lì, la mia Airone Sport! Perfettamente restaurata! A mia insaputa mia moglie aveva rintracciato il mio vecchio amico e gli aveva comprato la moto poi un collega era andato a ritirarla col furgone a Bourg Saint Maurice in Savoia… Un gran bel regalo di Natale, non c’è che dire e …

Ma che bella Guzziiiii!!!!!!
Il fulmine che interrompe la conversazione, facendomi un mucchio di complimenti per la mia Breva, parcheggiata davanti casa, è Madame Titi Krajka o come ci tiene a precisare Monsieur Krajka: Madame Guzzi! Veda, questo le deve assolutamente scrivere! se è vero che per un certo periodo in Francia ‘Moto Guzzi si pronunciava Krajka’, come diceva la pubblicità della mia concessionaria, in realtà ogni volta che si citava Monsieur Guzzi ci si sarebbe dovuti ricordare anche di lei, di Madame Guzzi; senza di lei non ci sarebbe mai stato nessun Monsieur Guzzi! Dagli inizi così duri, e poi per trent’anni di carriera sportiva che si accavallava all’attività commerciale, mai un rimprovero, mai una critica. Sempre dalla mia parte! E sapesse quante volte ha gestito lei il concessionario mentre io ero in ospedale dopo qualche gara andata storta. Iniziammo nel 1961. Un gigantesco locale di ben 24m2!!

GP: E che moto vend…
CK: Moto? Ma che moto? All’inizio era solo officina. E per dirle, si aspettava di vendere una candela per comprare la baguette la sera. La mia prima vacanza a mia moglie l’ho offerta dopo 11 anni di attività. Per settimane e settimane si arrivava a lavorare più di 100 ore. Aprivo prima che passasse il carretto del lattaio. Pausa di 15 minuti a pranzo e via. Mai aperto in ritardo. E il weekend si partiva per le corse. Anche a credito!

GP: Prego?
CK: Una volta ho fatto un Bol d’Or pagando l’iscrizione a fine anno.. Gli organizzatori mi volevano, io soldi non ne avevo, feci prima la corsa e poi pagai! Fu una straordinaria epoca, Moto, pane, sardine e patate. Non rimpiango nulla e rifarei tutto, ma era davvero dura.
Per pagarmi le modifiche e la manutenzione della moto da corsa poi si partecipava a tutto quello che si poteva. Tra una gara e l’altra, si faceva magari anche il passeggero nei sidecar.

GP: Il sidecar è noto, è la sua grande passione. Una passione e un impegno che ha portato dei frutti, a giudicare dal numero di sidecar che si vedono ancora in Francia rispetto agli altri paesi europei, nei circuiti e sulle strade.
CK: Effettivamente… nel 1962 proposi una serie per il Bol d’Or. Dovetti garantire la presenza di almeno 12 equipaggi. Li andammo a convincere uno a uno! Negli anni seguenti si arrivò ad edizioni con ben 45 equipaggi!
Poi c’era il sidecar-cross e soprattutto le corse in salita…

GP: Le sue preferite?
CK: Eh, una grande epoca, col sidecar su base V7… Veda, per una gara in salita, la cosa più importante è saper disconnettere completamente il cervello per due minuti e mezzo. Non serve altro. Tieni tutto aperto, non pensi a niente e vai. In quello ero bravino…
Certo, come le dicevo, partecipavo alle gare in condizioni economiche molto risicate… A Calais, non avendo i soldi per affittare un furgone ci andai in treno!!! A spinta fino a Gare de l’Est et voilà! E al ritorno riuscii a piazzarla sul rimorchio di un collega e me ne tornai in autostop… Mano a mano che l’attività prendeva spazio, i weekend di gare lasciarono il posto ai viaggi in Italia.

GP: Ovvero?
CK: Per i ricambi!

GP: In che senso?
CK: Nel senso che per vendere moto bisogna vendere e continuare a vendere. Ovvero bisogna mantenere il cliente contento. E come si fa a mantenere il cliente contento? Lo si fa andare in moto! Il che significa: un magazzino ricambi sempre fornitissimo, la soluzione pronta e immediata per ogni piccolo inconveniente. Così si mantiene un cliente che continua ad avere fiducia nel marchio.

GP: Qual’era la ricetta Krajka?
CK: Come dicevo: i miei pellegrinaggi in Italia. Con l’Italiani gli affari non si fanno per telefono. Bisogna guardarsi in faccia, no? Si partiva in furgone il sabato. Domenica sera, si arrivava a Mandello. Lunedì, giro in Guzzi, per essere al corrente di tutto, martedì i fornitori in zona e in giro. Direttamente alla fonte, eh! Sempre. Servivano scarichi? Pistoni? Dischi frizione? E io partivo e andavo a parlare direttamente con i Gandini, i Lafranconi, da Adige… E poi sempre con un occhio sui cataloghi dei ricambi per automobili, eh! Ma questi cuscinetti… Non sono gli stessi della 131 Fiat? E queste valvole Alfa Romeo non sono identiche a quelle della Guzzi? E le molle? Ma le vado a comprare direttamente in Fiat! E così via. Mercoledì poi, tappa obbligata a Bologna, alla Casa del carburatore, da Malossi: giovedì Milano e, dogana permettendo, sabato si vuotava il camion in negozio.

GP: E questi viaggi avvenivano con che frequenza?
CK: Almeno una volta al mese, ogni due settimane, anche più di frequente se necessario. E poi spesso c’erano gli imprevisti o le occasioni da cogliere al volo. Una volta comprai trecento steli forcella, pagati in contanti e la domenica notte, lucidati, incremati, e incellophanati erano pronti in stock. Ed ecco che, magari nei mesi invernali, a rifornire clienti e concessionari ero direttamente io, che avevo più stock della casa madre! Da Viganò una volta presi cento parabrezza per il California tutti in una volta.

GP: Una routine infernale.
CK: Sì ma indispensabile. E piacevolissima, anche. Le relazioni in Italia sono ancora basate sul contatto umano, sul sorriso. Un magazziniere si affrettava a farmi un pacchetto e io al viaggio successivo gli portavo un vino francese. Mi ricordo una volta dalla Adige che non volevano vendermi i dischi frizione per non so quale accordo di esclusiva con Guzzi. Prendo un disco frizione, esaminiamo la finitura…
– E se me li fa con una finitura diversa? Se non lucidiamo qui e qui…. Non è più lo stesso disco, no… Insomma non è più lavorato come quelli che fa in esclusiva per Guzzi, giusto?
Insomma, per farla breve, la Adige mi faceva dei dischi frizioni direttamente per me.
E ad ogni modo, al di là dell’aspetto commerciale, c’era la frequentazione con la casa madre, con Mandello, che era indispensabile. Una volta ricordo un viaggio in una tirata sola! Io con la V7, mia moglie con l’Aermacchi. Non c’era mica l’autostrada, eh? Arrivati di sera a Abbadia Lariana mia moglie si butta su un prato: io di qui non mi muovo più!” Io che le dicevo: ti giuro, ancora solo due curve e siamo arrivati!!

GP: Ci racconti la sua amicizia con Tonti.
CK: Un personaggio straordinario. Straordinario. Tenga presente che la crisi della Guzzi di cui tutti parlano ora è iniziata senza ambiguità alla fine degli anni 60. Con la creazione della SEIMM, è inutile negarlo, si è interrotto quel qualcosa di magico che aveva costituito l’unicità, la leggenda della Guzzi dalla sua fondazione. L’inerzia che voi lamentate alle dirigenze attuali ha radici antiche. La meravigliosa eccezione fu Lino Tonti, che in quel periodo difficile, è stato di una importanza capitale. Era davvero un genio. Il suo progetto di un V4 era un gioiello! Tra noi nacque un amicizia profonda, sincera, fatta di rispetto reciproco assoluto. Sapeva che per il suo lavoro aveva bisogno dell’opinione di chi veniva dalla pista. Quando andavo a trovarlo al reparto esperienze, mi lasciava vedere anche i bozzetti, i prototipi. Tutto! Sapeva che una volta uscito di lì, non avrei parlato con nessuno. E sapeva ascoltare e fare tesoro dei consigli. Anche se, a modo suo, da genio insomma…

GP: Ovvero?
CK: Beh per esempio i rinforzi laterali al cannotto delle V7 sportive, del Telaio Tonti, ha presente?… In fase prototipale… glieli suggerisco perché in pista il telaio derivato dalla V7 special ballava, eh… e lui nicchia: “mah… non saprei…caro Charles, credi davvero servano?”… Due mesi dopo ecco il telaio del V7 Sport con i suoi bravi rinforzi!!
Ma ancora più spettacolare fu quando andai a trovarlo mentre stavano uscendo le T… Vedo il giro complicato che deve fare l’operaio per assemblare il faro posteriore, chiacchieriamo del più e del meno lungo la linea di montaggio e gli dico che bucando il parafango qui e qui, si farebbe prima e il tutto risulterebbe anche più protetto… Lo vedo che annuisce, e mi fa: ‘adesso però andiamo a mangiare!’ Andiamo al Grigna e rientriamo nel pomeriggio e ti vedo un operaio che era già intento a bucare i parafanghi esattamente nel punto indicato! Con due gesti e uno sguardo, Tonti aveva aggiornato una procedura in catena di montaggio, così al volo! Tonti davvero fu il personaggio chiave di quell’epoca straordinaria per la Guzzi: Il lancio della V7 e gli anni in cui grazie al suo genio se ne testarono le potenzialità in pista… con il Bold d’Or che finalmente tornava a rivivere, dopo ben nove anni di abbandono…

GP: Come mai?
CK: Eravamo più in pista che sulle tribune alla fine degli anni 50!!! 8 categorie, 3 classi, una infinità di manches… E poi gli incidenti, i morti, l’abbandono delle tre grandi marche italiane, l’immagine della motociclismo ai minimi storici… Ma nel 1969, si riprende grazie a Moto Revue, Jean Murti, al Sidecar Club di Marcel Seurat e al MotoClub Chatillone, dove ero dirigente.

GP: Il 1969, uno degli anni più importanti della storia della Moto Guzzi.
CK: Che annata! le due sessioni di record a Monza, il Bol d’Or! Ma anche l’anno successivo con l’iscrizione formale della Moto Guzzi e poi l’anno dopo ancora con l’evento a Monza per i cinquant’anni del marchio. Peccato solo la sfortuna perché per due volte andammo vicinissimi alla vittoria al Bol d’Or. Due moto ottavo e decimo posto, l’anno dopo a Montlhery noni… E se penso a come arrivarono le moto al primo Bol d’Or!

GP: In che senso?
CK: Beh, è una storia che ho raccontato mille volte, diciamo solo che per telefono non ci capimmo con Mandello, io parlavo di endurance, di durata… ed ecco che al mio arrivo a Mandello mi trovo una V7 pronta per… La Milano-Taranto!!! A momenti svengo: valigetta per gli attrezzi, kit per le forature, gomme da strada, manubrio largo, comandi non arretrati…E quindi, cambio di programma, si resta una settimana a Mandello: smonta tutto e rifacciamo le moto per la pista! Il serbatoio da Endurance lo prendemmo da una Linto, con un bel cuscinetto sopra, perché ci si passava parecchio tempo sdraiati sopra, sennò ai semimanubri non ci si arrivava proprio!


GP: Partendo da Mandello, passando ai giorni nostri: sa delle voci sempre più confuse sul futuro della fabbrica di Via Parodi?
CK: Beh, sì ho degli amici che mi rassicurano, però. Pare che il momento sia difficile, con la cassa integrazione, ma che la Piaggio non pensi a chiudere Mandello, giusto?

GP:Non saprei cosa dirle, certo in molti siamo pessimisti. È ormai certo che l’attuale dirigenza contempli anche questa possibilità.
CK: Chiudere Mandello sarebbe una catastrofe. Una catastrofe! Una ca-tas-tro-fe!! Per il marchio Moto Guzzi, ovviamente e per l’indotto della zona. Ma diciamolo, per tutto il Motociclismo!

GP: La Culla del motociclismo italiano, come diceva Duilio Agostini.
CK: Ma certamente! La Guzzi non è una marca come le altre perché è la Guzzi di Mandello del Lario. Se si leva Mandello, il marchio diventa uno dei tanti. E signori miei, il mercato generale è in mano ai giapponesi e agli orientali in genere, le marche europee per sopravvivere devono far tesoro della loro differenza.

GP: Cosa farebbe un Charles Krajka con budget illimitato per risanare il marchio?
CK: Io? Ma cosa vuole che farei? Riaprirei il reparto corse, chiamiamo i migliori giovani che ci sono e via in pista. Cercherei il Tonti dei giorni nostri. C’era quell’americano, Wittner ma non so più che fine abbia fatto…

GP: Eh, non bazzica più Mandello da anni, diciamo. Ma del resto, fino a un paio d’anni fa, c’era anche Ghezzi se per questo, il papà della MGS-01 ma lo hanno lasciato partire… La sua idea è agli antipodi di quanto sta facendo Piaggio
CK: Sulle strategie attuali non sono molto informato, glielo dico francamente. Ho visto una bella gamma ma continuo a non sentir parlare di Guzzi. Non so di strategie, forse ma su come si promuove un marchio di moto qualcosa l’ho imparato… E personalemente penso che abbiano iniziato a sbagliare già molto tempo fa. Con l’arrivo delle SEIMM e la gestione De Tomaso. A parte l’eccezione Tonti, che aiutato da un paio di manager riuscì per un po’ a far passare certe idee, da allora è iniziato il declino. Ma se lo immagina un progettista che vede i suoi disegni buttati nella spazzatura da un capo che arriva con le brochure della concorrenza dicendo: da oggi si fa così! Vidi personalmente trenta telai da gara preparati da Tonti per creare una serie per moto da corsa che ci avevano chiesto alcuni clienti, mandate alla pressa da De Tomaso, per far capire che diceva sul serio, che con tutto ciò che aveva a che fare con le corse si doveva chiudere una volta per tutte! Trenta telai alla pressa: Niente gare qui, capito?! Come dite voi in questi casi: Mavaf… (nota: Monsieur Krajka sa farsi capire in perfetto italiano quando serve…) Senza contare la miopia commerciale. Io avevo clienti che venivano da me anche dal sud della Francia. Io gli garantivo un’assistenza adeguata, evidentemente e loro continuavano ad essere clienti soddisfatti del marchio. Ebbene dall’Italia puntualmente mi telefonavano perché il concessionario di tale o tal’altra città si era risentito! Anziché chiedersi come mai in certe aree proprio la Guzzi non la si riusciva ad imporre, mi rimproveravano di venderne troppe e fuori dalla mia zona. Mi creda, il declino del marchio Guzzi ha ragioni antiche. Senza prestigio e credibilità un marchio di moto muore. E il prestigio e la credibilità si ottengono in pista. Vinci il Bol d’Or, e fai la lista dei nomi di quelli che hai battuto, quando viene in negozio qualcuno a chiedere informazioni. E ripetigliela quando esce. Ecco come si vendono le moto.
Questo contava allora e questo conta oggi! Una volta che si ha prestigio e credibilità si può recuperare terreno, cercare di sconfiggere i pregiudizi. Non è questo ciò che ha fatto Ducati? E Aprilia anche ci sta provando, no?
E pensa che le giapponesi si siano imposte sui cataloghi da subito? Le dico la verità: quando arrivarono le giapponesi i meccanici italiani e inglesi ridevano… E poi sappiamo come è andata. E mi fa male dirlo… Ma se non si capisce questo, ecco che gli affanni continuano.

GP: Ad esempio?
CK: Beh penso ai tentativi ricorrenti di rinascita di marche francesi che non riescono mai a imporsi. Anche se in questo caso c’è anche un’altra ragione.

GP: Cioè la spiegazione non è quella appena enunciata?
CK: Certo. Ma aggiungerei poi nello specifico anche perché siamo dei coglioni!

GP: Ah! E.. che faccio, lo scrivo così?
CK: Scriva, scriva. Lo deve scrivere! Le faccio alcuni esempi: si ricorda la BMG?

GP: Certo, motore boxer, pesantiss…
CK: Ecco, Tipico!! Ma l’ha mai provata?

GP:Ehm.. no ma…
CK: Però si ricorda che la BMG era pesantissima! Et voilà! La Honda tira fuori un catafalco come la Goldwing ma nessuno si sogna di dire che è pesantissima, anzi! Tutti a dire: eccezionale maneggevolezza! Una moto così pesante eppure così maneggevole: brava Honda! Se una marca francese fa una moto che pesa uguale e va pure meglio, niente da fare: è pesaaaaantiiiiisssima e basta!! Come vede, senza argomenti non si sconfiggono i giudizi acquisiti e non ci si impone nel mercato. Il pubblico non si fida, i pregiudizi non si scalfiscono.

GP: E tornando a Guzzi? Si ritorna alle corse e poi?
CK: Si fa quello che si è fatto ininterrottamente fino agli anni 70: si inventa, si sperimenta.

GP: lei vedrebbe bene anche motorizzazioni diverse dal bicilindrico a V in gamma?
CK: E perché no? Guzzi ha fatto talmente tante motorizzazioni che ogni sperimentazione è plausibile.

GP: la sua sfacciata predilezione per la Guzzi è ormai leggendaria in seno alla Federazione…
CK: Io? Ma quando mai? È un caso! Ma lo sa che ieri mi sono punto e guardando il sangue mi son detto: toh, è rosso Guzzi! Ma uguale, uguale, eh!

GP: non lo dubito! Certo è che quando lei nega di essere partigiano dell’aquila, nessuno le crede. Eppure lei sostiene di attenersi solo ai fatti, il suo ormai famoso ragionamento…
CK: Eh, ma non lo sa a memoria?!…

GP: sì ma è sempre un piacere risentirlo, ci spieghi.
CK: Allora premettiamo che non ho assolutamente nessunissima preferenza per la Guzzi! Da motorista, ritengo che il motore bicilindrico sia il migliore che ci sia per l’utillizzo motociclistico, va bene?
Raffreddato ad aria, per la semplicità meccanica e quindi affidabilità. Dal punto di vista termodinamico il miglior motore bicilindrico è quello con i cilindri disposti trasversalmente, per garantire un raffreddamento uniforme;
Come architettura, la migliore per un bicilindrico montato trasversalmente è la disposizione a V, ovviamente di 90 gradi,
Stante questa configurazione, la trasmissione finale ottimale è quella a cardano.
Detto questo, possiamo aggiungere che le moto italiane sono senz’altro le più belle esteticamente. Giusto?
Dunque ricapitolando, obiettivamente, la moto ideale è italiana, con trasmissione cardanica, dotata di un motore bicilindrico a v di 90 gradi, raffreddata ad aria. Che combinazione, la mia Guzzi!

GP: non fa una grinza! Monsieur Krajka, le ho rubato già troppo tempo, la chiacchierata si ferma qui. Le anticipo i ringraziamenti da parte di tutta la comunità di Anima Guzzista per il tempo che ci ha concesso.
CK: Ma si figuri. Quando vuole, io sono qui, e come vede parlando di Guzzi non ci si accorge nemmeno del tempo che passa.
Chiamo mia moglie e l’accompagniamo alla sua moto, è sempre un piacere vedere partire una Moto Guzzi.

Tiriamo le somme

0
immagine-racconto

Di Giuliano alias Calidreaming

 

Ieri, domenica 16 ottobre a undici mesi e 17 giorni dall’acquisto della mia CALIFORNIA ho doppiato quota 10.000 km in sella al Cali… si lo so molti di voi li fanno in meno di una stagione ma per me è un bel traguardo.
È una cifra tonda tonda, 10.000 un bel numerone volendo lo leghi all’anno in corso 2005, al mese, io poi son nato il 5 ottobre pochi giorni fa era il mio 35 compleanno perchè sono del ’70 altra cifrona tonda tonda come le curve che finalmente ho imparato a fare, o almeno così credo.
Sono passati ormai diversi anni da quando un vecchio GT 850 mi ha insegnato cosa vuol dire motocicletta, cosa c’è dietro la parola motociclismo anche se lei era indietro di più di vent’anni rispetto alle moto circolanti la sentivo viva come non mai, provavo a guidare altre moto ma più le guidavo, più ne provavo, più sentivo di essere motociclista solo con lei, ho provato il mito delle Harley e mi sono piaciute subito le good vibe che solo il Milwakee Iron sa regalare ma non ero convinto, ho provato l’eccezionale meccanica teutonica della BMW ma non trovavo neanche l’odore di uno spiritello che mi trasmettesse buone sensazioni, si precisa e facile e affidabile ma poi????, ho provato piccole sincere giapponesine che fanno così bene il loro dovere di motociclanti che tutto sembrano tranne che moto, poi dopo anni di raduni e lettere di complimenti spediti a Mandello un bel giorno mi arriva una email “Moto Guzzi è lieta di invitarla a provare l’intera gamma a Varano de Melegari” dopo un momento di riflessione che mio padre insiste a chiamare stranamente catalessi, e dopo essermi pulito con un fazzoletto l’angolino della bocca come si fa con i bimbi, chiamo in fabbrica e mi confermano che potrò recarmi a Varano a provare i modelli Guzzi.
Provo ovviamente il California, uno splendido Special Sport oro e nero e decido di cambiare moto a metà percorso per provare la nuovissima Le Mans; salgo in sella al Cali e mi sembra di incosciare il GT850 solo che qui ci sono freni a disco davanti e dietro (che mi faranno finire con le balle sopra il serbatoio alla prima pinzata), un motore a iniezione che spinge forte e fluido sempre, sospensioni impeccabili e un telaio che ti legge nel pensiero per iniziare a piegare prima che tu possa anche solo accennare la curva.
Mai stato così bene in sella a una moto, la prima mezzora passa in fretta e le uniche incertezze sono solo il frutto di anni di cambio a destra invertito e di freni che rallentavano e basta, scendo soddisfatto come non mai, salgo in sella al Le Mans ma non mi trovo più…. i pedali sono spariti laggiù in fondo nemmeno fossero le pedaline del passeggero e il manubrio è là davanti lontano … no non è la moto per me, almeno non per ora.
Faccio circa 6 km in terza senza riuscire a toccare il freno dietro e chiedo al tipo con cui ho scambiato la moto se rivuole il LM e lui tutto contento mi restituisce la Special Sport e quello che prima era un buon feeling diventa una totale simbiosi, le curve mai viste prima sembrano sparire per lasciare il posto a curve di tutti i giorni e il Cali scende in piega come se non avessimo fatto altro per anni, sfioravo l’acceleratore e lei andava via liscia e rotonda come solo una signora italiana sa fare … e i vu-undicisti sportivi davanti a me non mi scappano più come prima, ma rimanevano lì vicini come se fossimo tutti in sella alla stessa moto, non avevo freddo ma continuavo ad avere i brividi ad ogni curva, ad ogni accelerata, ad ogni frenata, era gioia e basta.
Finito il giro finita la magia … scendo compilo la scheda di rito, e la guardo andar via cavalcata da un’altro fortunato … e da quel giorno comincia un’attesa, si perchè mentre fino a quel giorno fantasticavo soltanto sulla possibilità di avere una California tutta per me da quel momento le fantasie sono diventate un forte desiderio, un desiderio che finirà soltanto dopo due lunghi anni di sogni, era il 22 marzo 2002, il 2 novembre 2004 ho realizzato il mio sogno e da allora io la macchina la considero un accessorio.
La mia esperienza con il Cali è nata male sinceramente perchè il sottoscritto anziché fidarsi di un brav’uomo, oltrechè bravissimo concessionario, che conosce da anni e che sicuramente gli avrebbe procurato il miglior mezzo possibile per le sue tasche si è lasciato abbindolare dalla prima Cali incontrata, oggi dopo aver sistemato l’albero a camme con l’apposito kit, dopo aver cambiato la frizione perchè montava una monodisco (grazie Beggio) e dopo aver sistemato altre piccole magagne qua e là sono sereno e tranquillo.
Il mio Cali non è silenzioso come dovrebbe essere, anzi un po’ di rumore di punterie c’è ma ho imparato a conviverci e dato che questo rumorino c’è da parecchi km e non cambia ne diminuisce ne aumenta semplicemente lo lascio stare il giorno che ci sarà da fare qualche intervento si farà.
In compenso ho imparato a capire la mia splendida Stone Rosso Corsa che mi ha insegnato a piegare e a guidare decisamente meglio di prima, ho imparato a farle scegliere la velocità di crociera quando sono in viaggio, lei sa sempre qual’è la velocità giusta da tenere in ogni momento e sono sicuro che almeno in un paio di occasioni non so come mi ha avvisato che stavo andando lungo ad una curva.
Non so come sia possibile ma da quel giorno di novembre è cambiato tutto, è come se in moto non ci fossi mai andato eppure di strada anche con il GT ne avevo fatta e parecchia anche… ma il California è un mondo a se, è unica da tanti anni, non c’è nessun’altra moto che possa vantare un connubio di pregi e bellezza come lei, da tanti anni cambiano un piccolo particolare un parafango, un nuovo colore, ma il suo spirito è sempre lo stesso, un implacabile motore che non si ferma mai, una ciclistica talmente sincera che ti ci puoi confessare, un impianto frenante che nonostante manchi di sistema di frenata integrale è comunque sufficiente per levarti di impiccio anche in situazioni estreme con passeggero, bagaglio e velocità non proprio da codice (ehm), una moto che a distanza di anni dalla sua prima comparizione continua a venire considerata un punto di riferimento del settore.
E mi ritrovo a essere contento e felice per tutto quello che questa moto mi ha saputo regalare in questi 10.000 km, perchè dopo averla spenta sotto il sole riesco a stare dei minuti fermo a guardarla come se non l’avessi mai vista prima, e mi domando come mai una persona come me, uno come tanti altri, una persona comune insomma, non riesca a rendersi conto che ci sono moto migliori a questo mondo che sono più comode, costano meno, non si guastano mai o quasi, e fanno le stesse strade che mi fa fare la mia Cali magari in meno tempo, con più sicurezza…. poi lo sguardo finisce su una delle tante aquile presenti sulla rossa Stone e le mie domande spariscono, e inizio a sorridere, sorrido per quel poco di cultura che mi son fatto in questi anni di Guzzi, una cultura che non è semplice affetto o amore per un marchio ma è comprensione, è percezione dello spirito del motociclismo, è capire che andare in moto non è solo guidare un mezzo a due ruote ma è molto di più, non è qualcosa che puoi spiegare puoi solo provarlo e quando l’hai provato hai trovato la tua dimensione.
Il motociclismo per me non è solo dimenticarsi della meta, ma è viaggiare per percepire, tutti i miei sensi si acuiscono e si fondono, quando arrivi ad avere un sesto senso sai di essere in sintonia con la tua moto e smettete di essere due cose distinte, e da quel momento non vuoi altro che poter ritornare a fonderti con la tua moto e il motociclismo diventa una necessità, una droga, non sai stare più di qualche giorno senza moto, e il freddo e la pioggia che già ieri erano dolci compagni di viaggio che mi distinguevano da altri simil-motociclisti, sono compagni ritrovati e diventano anche loro sensazioni piacevoli da percepire.
Ecco cos’è il mio California per me, una maestra di vita che ogni domenica sale in cattedra e cerca di insegnarmi un po’ dei tanti significati di quella parola che molti stravolgono per il vile denaro ma che per molti fortunati è invece uno stile di vita, il Motociclismo.
E oggi una volta di più sono contento, sono contento perchè mia mamma mi ha fatto Guzzista, perchè adoro la mia moto, perchè dopo un anno ormai finisco con il fermarmi a guardarla rapito dalle rosse rotondità del serbatoio lungo le sinuose curve di parafango e rimango come avvolto dal riflesso nero del motore nel cromo del Lafranconi e mi perdo dietro a minuti particolari che sono uguali da lustri, e che sembra siano stati messi lì un attimo prima che ci posassi sopra lo sguardo.
Oggi una volta di più sono contento perchè ho provato il confort e l’efficacia della Breva e ho scoperto cosa vuol dire godersi una strada senza pensare alla guida, ho scoperto cosa vuol dire viaggiare in due senza preoccuparsi di buche, buchine buchette, ho scoperto un cambio che è talmente ben fatto che hai il dubbio di non aver inserito la marcia, ho scoperto un nuovo modo di viaggiare che sicuramente un giorno sarà anche il mio ma quando sono risalito in sella al mio Cali ho riscoperto un mondo moderno ed efficace ma antico e ricco di sapori e di ricordi e di sensazioni uniche.
Oggi una volta di più sono contento perchè ho provato Il Griso, ho provato una moto che sa dare emozioni forti, con un carattere deciso che ti porta a spingere più di quanto sapessi fare fino a ieri catapultandoti in avanti dopo ogni curva come se avessi passato giorno e notte a provarla, ti ritrovi con quel manubrione largo in mano e ti chiedi cosa farci come se fosse un giocattolo sconosciuto poi giri la chiave nel quadro premi lo start e un nuovo mondo si apre davanti a te, un mondo fatto di curve impostate come mai prima d’ora, un mondo fatto di staccate (???) e di un sound che non è quello dei vecchi Le Mans ma che comunque è bello forte e rauco come si deve; poi ritorni in sella alla California e riscopri un amica che è lì come sempre ad aspettarti per portarti dove vuoi, con lo stile che solo lei può avere e mi ritrovo a fare tutto come se fosse un automatismo le mani e i piedi si muovono da soli senza pensare questa è una California.
Oggi sono contento perchè c’è qualcuno che nonostante questa mia strana malattia mi sopporta lo stesso e mi aiuta anzi a godermi ancora di più questa splendida moto, che ha imparato a sua volta ad amare, perchè quando sono fermo a guardare la nostra Cali arriva mi prende per mano e come si fa con i bambini mi porta in casa perchè sono le nove di sera e non possiamo passare la notte in garage o nel vialetto di casa, grazie Nadia ti amo ogni giorno di più.
Oggi sono contento perchè da oggi incomincio a contare la strada fatta a suon di 10.000 km alla volta.
Ciauz

Tunisia

0
AnimaGuzzista Racconti Tunisia

Di Antonio “Guzzino”

 

Durata del viaggio: 7 giorni, dal 15 al 22 Agosto 2005
Km percorsi: 1700 circa di cui 140 km di pista (sterrato e sabbia)
Itinerario: Palermo – Trapani – Tunisi – Sfax – Gabes – Douz – Ksar Ghilene – Douz – Matmata – Kairouan – Tunisi . Trapani – Palermo

Partiamo il 15 mattina da Palermo destinazione il porto di Trapani dove ci aspetta la nave per Tunisi, le operazioni doganali (controllo passaporto e biglietto) devo dire che durano parecchio, infatti la partenza che era prevista per le 11:00 è slittata alle 14:30 circa!! Dopo la traversata in nave molto stancante con nessun tipo di comfort arriviamo a Tunisi verso le 23:00 e dopo le stressanti operazioni doganali dei poliziotti tunisini riusciamo ad essere finalmente liberi! Visto la tarda ora cerchiamo un posto dove poter passare la notte, chiediamo ad un ragazzo tunisino in moto che era sceso dalla nostra stessa nave e si offre subito di ospitarci a casa sua. Arrivati a casa troviamo tutta la famiglia che ci accoglie come fossimo dei parenti, ci fanno entrare le moto dentro casa e si sacrificano a dormire per terra pur di offrirci i loro letti! Questo è solo il primo episodio di grande ospitalità e generosità del popolo tunisino!!! Al mattino ci alziamo di buon ora e troviamo pronta una colazione veramente squisita che ci dà la carica per affrontare la lunga giornata “on the road” che ci aspetta.
Da Tunisi percorriamo l’unico pezzo di autostrada che c’è, quello che va da Tunisi a Sousse, continuiamo per la statale direzione Sfax, ma comunque la maggior parte delle strade statali sono molto buone, si percorrono benissimo anche ad una media di 110, 120 Km/h. Lo spettacolo che si vede ai bordi di queste strade è pittoresco, quasi indescrivibile, si incontrano bambini che galoppano in sella a dei somari, scene di pastori che lavorano le pelli delle pecore o capre appena scannate, piccoli villaggi pieni di colori. Arriviamo giusto ad ora di pranzo a Sfax, il caldo inizia a diventare abbastanza pesante, pranziamo con del bel pesce fresco in un ristorante pagando quanto avremmo pagato un panino in Italia! Passiamo le ore più calde del primo pomeriggio girovagando per la cittadina e chiaccherando con dei ragazzini che nel frattempo si erano radunati attorno alle moto! La sera ci troviamo già a Gabes, ci sistemiamo in un campeggio dove gli unici ospiti siamo noi ed una coppia di fuoristradisti torinesi, paghiamo in tutto 10 Dinari circa (1,00 € = !,60 Dinari). Facciamo un giro per il paese e incontriamo un ragazzo che ci porta in un locale per offrirci da bere, passiamo una serata piacevole parlando del più e del meno, religione, politica e del nostro viaggio, ci dice che il padre aveva un negozio di tappeti a Douz e che lo avrebbe avvertito che noi il giorno successivo saremmo stati da lui. Così la mattina successiva ci mettiamo in marcia verso Douz, e qui iniziano le strade desertiche e affascinanti, strade rettilinee per centinaia di kilometri dove ai lati puoi incontrare solo qualche cammello o dromedario, li percorriamo pieni di emozione sentendoci come in un film! Arrivati a Douz nella tarda mattinata troviamo il negozio di tappeti che ci aveva indicato il ragazzo di Gabes e il padre ci accoglie offrendoci qualche tazza di tea. Finalmente siamo al sud, alle porte del deserto, qui il caldo è davvero insopportabile e passiamo il pomeriggio gironzolando per le strade del mercato, fra odori, colori, sapori… poi si va a vedere da vicino i cammelli!

L’indomani mattina prima di partire per Ksar Ghilene facciamo un giro per il surreale mercato degli animali. Ci prepariamo per quella che sarà la tappa più dura del nostro viaggio ma forse la più bella. Si offre di accompagnarci una ragazzo del posto che ci dice di avere suo fratello che lavora a Ksar Ghilene, cerchiamo di dissuaderlo e di convincerlo che con quella strada sul mio sellino posteriore avrebbe solo sofferto, non ci riusciamo ed eccolo con noi sullo stradone polveroso che va da Douz a Matmata, dopo 70 kilometri di questa strada deserta, polverosa ma abbastanza scorrevole ci troviamo a deviare a destra e imboccare la pista di 70 km che ci porterà a Ksar Ghilene, qui inizia la sofferenza, la pista è veramente messa male, sterrato con tanti piccoli dossi distanti circa 30cm l’uno dall’altro che provocano il cosiddetto “effetto frullatore”, a tratti è piena di sabbia e le nostre moto fanno fatica ad andare avanti, è difficile rimanere in piedi! Dopo una trentina di chilometri ci fermiamo al famoso “Cafè Bir Soltane”, tappa fissa per chi va a Ksar. Dopo aver preso qualcosa di fresco ripartiamo, la velocità è molto bassa, non più di 10, 15 Km/h e la strada va peggiorando diventando sempre più piena di sabbia. Le moto si insabbiano continuamente e la moto di Geppetto ha avuto un piccolo problema elettrico, decidiamo che non si può operare sotto il sole cocente (54°C) e con una corda traino Geppetto e la sua moto ritornando indietro di qualche kilometro al Cafè Bir Soltane. Mi appisolo un pò sdraiato sui tappeti mentre Geppetto risolve il problema. E’ da poco passato mezzogiorno e rimetterci in moto sotto quel sole sarebbe un suicidio quindi rimaniamo bloccati altre 4 ore al Cafè. Riprendiamo la nostra marcia che diventa sempre più faticosa, il caldo è insopportabile, la stanchezza ci assale e far stare la moto in equilibrio è quasi impossibile, per la strada ci raggiunge un motociclista italiano che si allena per la Parigi-Dakar che guarda le nostre moto e ci dice: “Con quelle lì non ci arrivate a Ksar Ghilene” Ci saluta e riprende a sfrecciare su quella pista come fosse in autostrada. Ci fermiamo quasi ogni centinaio di metri, siamo sfiniti, disidratati, scoraggiati… per fortuna è una pista abbastanza trafficata dai fuoristrada delle agenzie che portano in giro i gruppi di turisti e ne fermiamo qualcuno per farci dare dell’acqua fresca. Gli ultimi 13 kilometri che portano a Ksar Ghilene sono asfaltati e stiamo quasi per arrivarci. Finalmente vediamo l’inizio dell’asfalto che ci appare come un miraggio, la sensazione è difficile da esternare, abbiamo quasi le lacrime agli occhi e arrivati sul primo pezzo di asfalto ci fermiamo e troviamo ad accoglierci un gruppo di turisti italiani che vedendoci si erano fermati ad aspettarci per farci i complimenti, l’emozione confusa alla soddisfazione è stata enorme! Finalmente Ksar Ghilene, un’oasi a cento chilometri nel deserto, ci rilassiamo un pò alla sorgente d’acqua, mangiamo e scherziamo con il ragazzo di Douz che ci ha accompagnato e suo fratello, dormiamo nella tenda dei beduini. Il paesaggio è sublime, siamo praticamente in mezzo al deserto, vedi distese di sabbia tutt’attorno ad una piccola oasi con una sorgente e delle palme, cose che avevo visto solo nei films!

Nella tarda mattinata ripercorriamo nel senso opposto la strada del giorno prima. Siamo così di nuovo a Douz! Passata un’altra notte a Douz iniziamo a risalire pian piano la Tunisia, E’ la volta di Matmata, famosa per le case troglodita scavate nel terreno e per il set di Star Wars, ma dopo aver fatto un giro per il paese hai già visto tutto quindi è inutile rimanere ancora. Dopo pranzo ci mettiamo sulle moto verso Kairouan, Troviamo un albergo che con dieci dinari a testa ci offre una camera, colazione e parcheggio per le moto, abbiamo fatto un giro per il centro storico, ci siamo intrufolati in una festa di matrimonio e stanchi siamo andati a letto. Al mattino di nuovo in moto verso tunisi dove ci aspetta il ragazzo che ci ha ospitato la prima sera. A casa sua la madre ci fa trovare un bel cous cous da leccarsi i baffi, passiamo la sera in giro per Tunisi, ma dopo esseri stati in paesi come Douz, non ci colpisce molto, una metropoli come tante altre!
Al mattino salutiamo il nostro amico e la sua famiglia e andiamo a visitare Cartagine, bella la città antica di cui ne avevo sentito parlare sempre a scuola! Beh sui nostri volti un pò di tristezza perchè siamo giunti al termine del nostro viaggio, tristezza che si confonde con la stanchezza, con quei profumi, odori, colori, sapori e quelle sensazioni che vorresti condividere con altri, ma ci provi e non riesci a tirarle completamente fuori perchè ti rimangono dentro, e li custodisci lì dentro di te!!!

Il giorno in cui vidi la Griso

0
Il giorno in cui vidi la Griso

di Mario Fedeli

Ieri 5 Agosto 2005, primo giorno di ferie (che giorno, lo ricorderò a lungo… penso di avere trovata la mia futura moto: un amore a prima vista) ero in giro con la mia piccola Breva – un anno al 29 Agosto e quasi 15000 KM.
Stavo facendo il passo San Marco – per chi non è dei luoghi: è il passo che dalla Valtellina scende in Val Brembana – e, fermo ad ammirare il paesaggio ed a scattare qualche foto, ho sentito un suono – che dico?- una musica, venire dai tornanti più a valle e tre moto zigzagare tra essi con una naturalezza quasi le moto stesse conoscessero la strada e fossero nate solo per far quella.
Non riuscivo a capire che moto potessero essere, sicuramente non delle jap, quelle stridono, nè delle tedesche… quelle frullano, ma non mi sembravono delle Ducati il cui suono è inconfondibile così come lo è il suono dell’amata Moto Guzzi; non riuscivo proprio a capire, senonchè, quando ormai avevo dato per assodato che fosse qualche ducatista smanettone e perfezzionista, con mia somma sorpresa quando mi hanno raggiunto, il cuore ha iniziato a battere a mille: sì era proprio Lei , l’ultima creazione di quel di Mandello, inconfondibile e dal vivo ancora più bella, in azione ancora più eccitante… era la GRISO, anzi non una ma ben TRE Griso, condotte dai rispettivi collaudatori i quali, riconosciuto che ero uno della famiglia, mi hanno salutato con molto entusiasmo e io a sbraccirami e saltare dalla gioia!

Allora mi è quasi scappata una lacrima per la gioia, sentendo forte quel sentimento di appartenenza che vuol dire avere una GUZZI ed essere GUZZISTA, anche perchè mi è tornato in mente che un desiderio si stava avverando: la mattina infatti attraversando Mandello sono passato davanti allo Stabilimento (è un vizio che ho quando passo da Mandello, anche prima che mi comprassi una Guzzi) e vedendolo ancora aperto (mi aspettavo di trovarlo già chiuso per Ferie invece no tutto era in fermento anche la facciata stanno riportando a nuovo così come hanno rifatto il sito… che bello rivedere tutta questo ripartire e rinascere), mi sono detto: “sarebbe bello incontrare qualche collaudatore” ed ora erano lì, con ben tre moto non ancora in produzione, niente male per il primo giorno di ferie.
Appena mi hanno passato, intuendo che si sarebbero fermati in cima al passo che distava pochissimo da lì, mi sono precipitato sù (penso di non aver mai smanettato così!!!) e arrivato in cima le ho trovate lì che facevano bella mostra di sè.

 

STUPENDE, le foto non le rendono giustizia: MERAVIGLIOSE… non ci sono termini per poter esprimere quello che provavo, ho tentato di condividere la mia grossa emozione con la persona più importante della mia vita, mia moglie Cristina, ma ahimè non c’era campo al cellulare e allora ho inziato a scattare foto per avere un ricordo.
Ho avuto anche la tentazione di salirci ma non ho osato, non per timore di essere rimproverato , ma perchè troppo belle e quindi quasi un peccato toccarle.
Con lo sguardo sempre sulle tre Griso mi mangiavo un panino al punto di ristoro mobile che sosta in cima al passo; sempre restando a due passi dalle tre – un vero peccato abbandonarle! – e le ho guardate una per una, quasi fossero diverse, quasi per vedere se c’era una differenza tra esse.
Con lo sguardo perso davanti a una delle tre mi sono sentito rimproverare da uno dei collaudatori, perchè stavo mangiando e non avevo aspettato loro per mangiare insieme al ristorante che stà poco più sotto! Ho rifiutato ma non stavo più nella pelle: dei collaudatori della GUZZI mi avevano invitato a pranzo con naturalezza, come se fossimo dei carissimi amici e ci conoscessimo da una vita… anche questo vuol dire avere una GUZZI.
Ho chiesto com’era da guidare e che particolarità aveva rispetto alla mia e uno dei tre mi ha risposto con disponibilità.
Poi a conclusione lo stesso mi ha chiesto se mi piaceva ed io gli ho risposto che vista dal vivo è molto più bella che in foto, poi scherzando mi ha detto: “allora l’anno prossimo ti vendi la Brevina e ti pigli questa e magari ci reincontriamo qui”.
Poi hanno acceso: che SUONO, che…MELODIA! Sembrava il battito di un cuore come se qualcosa di umano si risvegliasse e rendesse onore all’impegno di tutti quelli che credono e continueranno a credere in questo mito del motociclismo italiano e… in un attimo sono scomparsi dietro la prima curva dopo un ultimo saluto.
Non stavo più nella pelle, mi sono precipitato a cercare campo per il cellulare perchè dovevo raccontare a mia moglie quello che mi era capitato.

Ho provato delle sensazioni che solo in pochissimi e importanti momenti della mia vita avevo provato, è per questo che ho deciso di scrivervi, per condividere con Voi e con tutte le persone che vi seguono e amano la GUZZI, i sentimenti che ho provato e la fortuna che ho avuto; penso che mi sia capitata una di quelle cose belle che un GUZZISTA sogna gli possano succedere.

Ciao e grazie per avermi ascoltato

Viaggio a Capo Nord

0

Di Davide Pizzocaro

 

Io e la mia V11 Scura.
Si una Moto Guzzi, di quelle d’annata.
Decisione presa ad inizio anno. A dir la verità dovevo andarci con Impe, che poi ha dovuto dare “liscio”. Dopo una breve discussione con mia moglie: semaforo verde.
Preparazione minima, solo itinerario Michelin, d’altronde, non mi serviva altro.
Programma: andata via Norvegia e ritorno via Finlandia e Svezia, per passare dall’Europa continentale alla Scandinavia avrei fatto due ponti in Danimarca, quello tra l’isola di Fyn e Sjelland e quello sull’Oresund (Danimarca-Svezia) che, fino a sette anni fa era il più lungo d’Europa.

Lunedì 6 Giugno
Partenza ore 6.20 Bresso, appena finito un temporale. Brogeda, S. Bernadino, Breganza e poi tutta autostrada, fino in Danimarca. Arrivo ad Odensa alle 22.30.cena frugale e a letto.
Totale: km 1.462; ore di guida: 16,10 di cui 12 sotto forte pioggia.

Martedì 7 giugno
Partenza alle 8.25 da Odensa,
Tempo terso ma vento a circa 40 nodi, al traverso, ci sarà da divertirsi sui due ponti…

Primo ponte e lascio l’Europa continentale.

Secondo ponte… In effetti la moto è inclinata costantemente e devo farmi proteggere dal vento da un fuoristrada

 

Svezia, Malmoe, Goteborg e poi Norvegia. Oslo, il tempo tiene, si prosegue verso nord. Poche foto, guidare è una libidine e poi oggi vorrei fermarmi solo per i rifornimenti. Non sono i paesaggi il motivo per cui sono qui.
Dopo Oslo cominciano le montagne. Non sono come le nostre ma hanno il loro fascino. Sono antiche, le cime sono molto arrotondate dal tempo. Lungo i fiordi la strada è un misto velocissimo, da sballare. Faccio fatica a non fermarmi ad ogni chilometro, il paesaggio dei fiordi è stupendo con questo tempo.
Arrivo a Lillehammer che il sole comincia a calare, faccio un paio di passi di montagno (600 m), traffico scarso, proseguo per Oppdal, dormirò lì stanotte.

Totale km. 1.215; ore di guida 14.

 

Mercoledì 8 Giugno
partenza alle 9.55: ho fatto fatica ad alzarmi…
Inizia a piovere, niente di speciale, sono poco più che spruzzi, anche se freddi (5 gradi circa). Mentre proseguo la pioggia aumenta, fa freddo, per strada incrocio qualche camion e camper Tedesco od Olandese. Faccio quattro passi di montagna, sono abbastanza agitato, non c’è praticamente nessuno! Neve tutto intorno, nuvole basse e piove… praticamente ghiaccio! La strada fuma (si, fuma veramente, qui le riscaldano sui passi montani più freddi, con resistenze annegate nell’asfalto, almeno credo). Mi rendo conto che il mio abbigliamento non è proprio dei migliori: maglietta di cotone pesante, maglione zip di cotone (Guzzi of course…), giubbotto di pelle e cerata; sotto, Levis 501 e antipioggia senza imbottitura (zioporc… che freddo!!). Mani fradicie perché i copriguanti tengono le prime due-tre ore, poi si allagano e si inzuppano anche i guanti di pelle…Bravo, proprio ben attrezzato! Mi vengono in mente i tre tedeschi che ho incrociato in Germania: quello sì che era un abbigliamento adatto, bravi loro, stupido io, avanti lo stesso.
Finalmente un punto di riferimento per il mio viaggio: il circolo polare. Nel piazzale ci sono tre camper Tedeschi e due macchine di ragazzi locali che si fanno una birra; se ne vanno appena arrivo. Neanche un cristiano per farmi fare la foto, vabbè, no problem, faccio io.

AnimaGuzzista Racconti Viaggio a Capo Nord 5

Continua a piovere che dio la manda, sono stanco, finalmente arrivo a Moi-rana e vedo un albergo con tutti i crismi. Sono le 9.30 di sera, guido da quasi 12 ore sotto un’acqua d’inferno ed ovviamente mi pregustavo già la doccia calda ma: “I’m sorry, it’s fully booked” (Spiacenti, l’albergo è al completo).
Mi indica un albergo a 70 km che è l’unico ad avere stanze libere. Piove così forte che è da non credere. Alternative zero; un’altra ora e mezzo di guida in montagna con una serie infinita di tunnel stretti e bui, freddi come un congelatore e con parecchie buche. Arrivo a destinazione alle 22.45. Totale km 672 ore di guida: 13.
Una media devastante, sono distrutto, infreddolito e bagnato fino al midollo, il tempo sarà così anche domani, dicono i Norvegesi. Tra l’altro mi sono perso per strada i due bulloni che tengono il silenziatore destro. Ho dovuto fissarlo col fil di ferro che devo curare praticamente ad ogni buca (e sono tante!); sembra un viaggio all’inferno…basta: rinuncio!
Mando un sms a pochi intimi per l’annuncio funesto. Devo comunque arrivare ad Alta.

Giovedì 9 Giugno
Partenza h. 8.25
Continua a piovere, i Norvegesi avevano ragione, ok, tanto ho già rinunciato.
Traghetto, tempo di attesa mezz’ora, si può fare qualche foto, e bere un caffè caldo.
Il paesaggio cambia, la vegetazione diventa più rada e cominciano a vedersi le renne. Per fortuna si tengono lontane dalla carreggiata.
La pioggia cala, ogni tanto il sole si fa vedere. Mi fermo per qualche scatto.

Avanti, manca ancora un pezzo ad Alta.
Lungo la strada il tempo migliora, ancora qualche scatto, tanto adesso ho tempo.
Arrivo al Alta alle 7 di sera, albergo, mangiata con tutti i crismi e senza guardare il conto: da queste parti è facile spendere 100 Euro per una cena normalissima. Mi concedo della carne di balena, squisita. Sono triste, se non fosse stato per il tempo – ho pensato – ce l’avrei senz’altro fatta.
Qualche foto del fiordo di Alta

Totale km 747 ore di guida 9,35.

Credo sia stato in quel momento che ho deciso di proseguire. Era ancora presto quando sono andato in camera, rifocillato e asciugato ed ho deciso di proseguire.
Avrei dovuto svegliarmi presto, programmo per le 4.00 la partenza. Al Plateau di Capo Nord sono circa 260 km. Il sole, come si vede, è già in alto.

Venerdì 10 Giugno 2005 ore 3.54
Mi butto per strada a tutta manetta, trovo un tempo strano; nuvole bassissime che contornano una valle in mezzo alla quale corre la strada dritta come un righello. Fa un freddo cane e a 200 all’ora ancora di più.

Arrivo ad Hammerfest alle 6.00 ed il benzinaio è chiuso, proseguo per Honnisvag ed alle 6.30, mi scrive che apre alle 7.00. Una corsa per nulla. Non ho più benzina.

La prendo con calma e mi faccio una sigaretta con in vista l’aereoporto. A proposito, chi è capace di atterrare qui deve avere un gran manico, i piloti capiranno il perché guardando la foto. Tenete presente che, di solito, qui la visibilità è di 50 m e tira pure vento; ma oggi il tempo è discreto, a me sembra bellissimo.

AnimaGuzzista Racconti Viaggio a Capo Nord 9Faccio rifornimento e riparto per la destinazione finale, sono 40 km, ci sono quasi!
La strada è bella, purtroppo un gabbiamo decide di fare una virata troppo vicino alle mie forcelle e… ci si stampa contro. È stupendo, bianco, con le ali grigie. Devo fermarmi per toglierlo ed adagiarlo sul ciglio della strada.

Dicono che a Capo Nord il tempo sia sempre pessimo. Quattro anni fa, in camper, con mia moglie, Irma e Silvio avevamo trovato nebbia fitta per due giorni e chi ci è stato può confermare.
Invece, man mano che proseguivo, il tempo migliorava. In vista del Plateau faccio una foto, è quel promontorio in fondo al fiordo, la meta è in vista.
Arrivo alle 7.30, le biglietterie sono chiuse, molti camper nel piazzale ma in giro due o tre persone.
Faccio qualche foto; riesco anche a trovare un Inglese che mi fa lo scatto di rito, vicino al monumento.

 

Vento gelido, mi riparo all’interno del edificio (bruttino, non c’è che dire) e qui, la cerniera del mio giubbotto di pelle si incastra. Non c’è verso ci perdo quasi mezz’ora ma non faccio che peggiorare la situazione; pazienza.
Sono pronto a ripartire quando sento il rumore inconfondibile di moto. Una Harley e – udite udite! – una California II!!

Ho parecchia strada da fare ed oggi è Venerdì, sono le 8 di mattina, devo arrivare almeno fino a Tornio se voglio essere a casa per Domenica prima delle 10 di sera. Sono 3.800 km.
Manetta spalancata. Praticamente tutta d’un fiato fino a Kautokenio (Lapponia); pieno, caffè e vediamo come va la gomma dietro… caz.. ! sono sulle tele, si vedono già tre strisce di tessuto!

AnimaGuzzista Racconti Viaggio a Capo Nord 013Chiedo al service di fianco al distributore e mi dice che in “città” c’è solo una moto e nemmeno immatricolata; deve fare arrivare la gomma da Alta, sempre che ce l’abbiano.
Da Alta sono 300 km e non è detto che abbiano la gomma. Decido di continuare a 70/80 all’ora.
Telefono all’importatore Moto Guzzi di Turku che mi dice che posso proseguire fino alla “città” successiva (100 km circa) così lui mi fa avere la gomma via posta espressa. Devo solo trovare il meccanico attrezzato per montarla. Il problema è che, bene che vada, la gomma arriva Sabato, forse in tarda mattinata. In alternativa, proseguire fino a Rovaniemi, dove lui conosce un gommista attrezzato e con la gomma in magazzino – probabilmente; comunque sono 250 km a 80 all’ora.
Decido di fermarmi a Pellio; arrivo in hotel alle 20.15. Non sono stanco; incazzato, quello sì. Potevo controllare prima, potevano darmi una gomma a mescola più dura (già, ma poi sul bagnato, a 180 non sarei mica riuscito ad andare…).

Totale km 795 ore di guida 16,15

Sabato 11 Giugno

partenza ore 7.25 locali (1 in più per noi)
Arrivo a Rovaniemi. Il gommista è ancora chiuso alle 8.30 ma sembra un posto serio
Hanno la gomma che mi serve, stessa marca e modello: ma vieniiiii!!!
Cambio gomma in un ‘ora e riparto alle 10.00.
Allora: è sabato, sono le 10.00 ed ho… 3.400 km da fare. In totale ho a disposizione 36 ore per arrivare a Milano; devo assolutamente tenere presente che, il lunedì mattina ho l’aereo per Dusseldorf che parte da Malpensa alle 7.30, riunione in giornata e ritorno a casa…

Kari (l’importatore di Turku) mi consiglia di lasciare la moto a Rovaniemi, me l’avrebbe spedita a casa lui ed io avrei preso l’aereo.
Non mi andava. Non so perché, ma proprio di lasciare la Scura, dopo che siamo stati insieme sei giorni con tutto quello che era successo, non mi andava.

Decido di farla tutta d’un botto. Bisogna considerare che, anche in Svezia, ci sono i controlli di polizia e qui non scherzano niente.
Già mi è andata bene in Norvegia martedì: mi hanno fermato (andavo a 87 col limite a 60) e me la sono cavata con una ramanzina (sarebbero stati 1.000 euro, per la cronaca), non volevo perdere tempo per un’altra ramanzina o peggio.

Quindi il problema più grosso era riuscire a tenere la velocità sui 170 senza farsi beccare. Ovvio che, nei centri bisogna rallentare, ma poi, i centri non sono così tanti da queste parti.

Fino a Sundsvall tempo ok. Da lì in poi, acqua, tanta, tantissima.
Arrivo a Stoccolma alle 10 di sera, mi faccio un “big mac” (non c’era proprio altro a quell’ora) e mi preparo a passare la notte alla guida.

Arrivo a Jonkoepping alla 1 di notte circa, smette di piovere, meno male, e invece no, comincia la nebbia. Accidenti qui siamo anche più a sud ed è quindi, normalmente, buio. La nebbia è gelida, entra nelle ossa (col giubbotto senza cerniera poi…) e non si vede una mazza; di sonno neanche l’ombra, per ora.

Si fanno le sei quando divento matto, dalle parti di Malmo, per trovare un distributore con la carta di credito automatica. Arrivo al pelo. Alle 4.51 di mattina passo finalmente il ponte sull’Oresund. Il tempo è finalmente bello anche se ventoso.

AnimaGuzzista Racconti Viaggio a Capo Nord 014Via così fino alla Germania, sonno ok.
Fino alle 11.00 non ho avuto problemi poi, un paio di colpi di sonno mi hanno obbligato ad una sosta che non fosse solo per il pieno.
Un paio di telefonate per informare la dolce mogliettina ed un panino. Incontro un motociclista tedesco. Quando gli dico da dove vengo mi guarda strano e non pare crederci molto. Francamente, non ci credo neanch’io.
Sono le 13.30 e sono a Kassel, in piena Germania. Traffico tanto, pioggia violenta a tratti e sono stanco, parecchio.
Dopo la fermata a Kassel decido di smanettare un po’. D’altronde, se non lo fai in Germania…
Soddisfazione maxima passare la polizia a più di 200. Curvoni da paura, veramente divertente.
Fino a Breganza, guidare è un piacere.
A Breganza, in prossimità delle montagne, temporale stile diluvio universale. Dura poco ma è violentissimo. Per fortuna mi premia con un incredibile arcobaleno tridimensionale che non mi ricordo di aver mai visto prima!
Sul S. Bernardino freddo ma niente di speciale. Dopo il passo l’ultimo rifornimento e poi, via fino a casa dove arrivo alle 21.30.

Tutto qui, niente di più e niente di meno.

Esperienza grandiosa, posti favolosi, peccato per il tempo, peggio di così non poteva essere; moto grandiosa (chi mi tocca la V11 lo sego in quattro!), grande Kari, senza il suo aiuto, sarei ancora in Lapponia.
Mia moglie, poi, è stata semplicemente grande: sopportare un marito che, a 40 suonati, ha ancora la sindrome di Peter Pan, non deve essere facile, mentre per lei sembra sempre una gioia. Anche se mi è mancata, è meglio che non sia venuta: troppo freddo, troppa acqua, troppe ore in moto; troppo di tutto, se non ti piace guidare.

Non voglio fare un libro e quindi mi fermo qui anche se di cose da raccontare ne avrei un vagone.

Tagliacozzentreffen 2005

0
AnimaGuzzista Racconti Tagliacozzentreffen 2005

Di Vladimiro Corbari

 

Non ha smesso di piovere un momento da ieri sera.

Questo pensiero continua ad affacciarsi nella mia mente mentre preparo le cose per la partenza.
Sono le 6.30, la citta’ e’ ancora silenziosa e visto che e’ sabato mattina, nemmeno il traffico degli uffici e’ gia’ cominciato.
Nel silenzio, anche per non svegliare i figli e la moglie, mi metto alla ricerca dei guanti pesanti, delle scarpe impermeabili e della tuta antipioggia.
Ma dove cazz…qui no. Qui nemmeno. Tiro giu’ le borse nello sgabuzzino, le apro. Niente. Ah, che scemo, le avro’ messe nell’armadio!
Dopo mezz’ora che mi aggiro come un ladro per casa, alla fine, trovo tutto… meno i guanti.
Ok, vuol dire che andro’ con quelli estivi. Ma si, quelli da fighetto, di pelle nera coi buchini per far passare l’aria sul dorso. Quelli di pelle nera e lo “strèp” sul polso…
Però siamo a dicembre e andando in montagna con la moto, forse, un pò freschetto farà!
Vabbè, visto che diluvia, pure, metterò sotto dei guanti di lattice. Si, quelli monouso che si vedono anche alle mani dei dottori mentre operano…
Grande! Così la mia guida precisa, pulita e “chirurgica” ne verrà esaltata…
Ma perchè mi dico ‘ste cazzate alle 7.00 che non ho preso nemmeno il caffè?
Inizia la vestizione. Tuta intera di micropile. Sembro la brutta copia di diabolik…però tiene un caldo…
Poi i jeans. La tuta pesante non la metto, che con l’imbottitura che ha, giusto all’Elefantentreffen andava bene…
Camicia felpata alla boscaiolo e poi il giubotto di goretex con l’imbottitura (il pezzo sopra dei calzoni che dicevo prima, per intenderci).
Niente maglione. Però il pile me lo porto e lo tengo nella borsa che non si sà mai…
Poi è il turno dei calzoni impermeabili. Sante cose nuove… si infilano con tutti i scarponi e in un attimo sono belli che infilati, con le cerniere chiuse e belli stretti sulle caviglie.
Per ultimo il giubotto impermeabile (abbinato ai calzoni) lo indosso sopra al giaccone che con gli anni il goretex non tiene più e mi entra l’acqua…
Ok. Sono pronto. Sudato come ad agosto, ma pronto per uscire.
Scendo e arriva Fabio col V11. Cinque minuti, e anche Attilio si unisce a noi. Chiudere lampo. Indossare casco. Guanti. Mettere in moto.
Si parte! Il caffè lo prenderemo all’appuntamento con gli altri…
La pioggia continua iperterrita, un pò di traffico c’è e dopo mezz’ora siamo al distributore, luogo dell’appuntamento.
Andrea è già lì. Ci accoglie con un sorriso e una battuta delle sue “Ahò! Mortacci vostra e del Tagliacòzzentreffen! Ma proprio oggi ‘o dovevamo fà?!”
Gli rispondo a tono “Ci sono momenti in cui un uomo deve andare. Quel momento è…mò!”.
Scoppiamo a ridere e ci avviamo verso il bar per un caffè.
Fuori, mentre…indovinate?…piove!, arrivano gli altri.
Il Comandante col Cazzillo, Ettore e Nello con l’SP dal serbatoio ancora sbafato dalla benzina persa in Atlantide…ormai un’icona.
Siamo in sette. Dovevamo essere in 16 ma…
L’amico del Comandante col Bmw non viene perchè piove (sic!), Fange ha detto che viene, ma in auto (poveri noi!), Alme non s’è fatto nemmeno sentire, le mogli (visto che piove…) e il Berghella come le mogli…
L’unico è Massimo che mi ha già telefonato dandomi appuntamento direttamente a Tagliacozzo.
Ok. Allora, “benzina ragazzi! Chi deve, faccia il pieno così partiamo!”. Dieci minuti dopo usciamo dal distributore in fila indiana. Il Comandante in testa che fa l’andatura col Cazzillo e noi a seguire.
Intanto piove che “Dio la manna…”
Le mani sono zuppe ma addosso sono asciutto. Gongolo al tepore che il pile rilascia mentre guido in autostrada a 100 all’ora. Non ho freddo e il cappuccio dell’antipioggia l’ho indossato sotto al casco. Nemmeno un pò d’umido dietro al collo. Sapete, quel simpatico ritorno, quei schizzetti, quell’aria molto umida che in velocità riporta delle miiiiinuscole goccioline d’acqua…proprio tra casco e colletto della tuta, sulla nuca?
L’unico inconveniente è la visiera che s’appanna. La alzo e torna la visibilità…ma anche gli schizzi d’acqua che la velocità mi porta direttamente in faccia…
O asciutto e col nebiùn o limpido ma bagnato. Non c’è scampo.
I cento all’ora del Cazzillo diventano centoventi nei falsopiani in discesa, il Comandante non si fa pregare ad aprire il gas, ma il povero V35 fa quello che può soprattutto col quintale più che abbondante del Comandante in sella.
La colonna di moto, inondata da Giove Pluvio senza sosta, arriva al casello di Vicovaro. Si esce dall’autostrada e si prosegue sulla Tiburtina.
Finalmente, dopo anni, anche le moto possono usare il Telepass. Ok è un pò da frocetti. Volete mettere, specie se piove, tirar fuori con le mani vizze, appena tolte da quella paccottiglia di guanti, quel biglietto umidiccio e spiegazzato e passarlo al casellante con un sorriso alla “ti piace èh? Vorrei vedere te dopo duecento chilometri in moto sotto st’acqua!”.
Ma, almeno per me, è un toccasana. Non solo non devo aprile la lampo della tasca, cercare il biglietto tra le chiavi di casa, il coltellino svizzero e gli spiccioli ma nemmeno aprire il giaccone e tirare fuori il portafoglio, cercare la banconota e aspettare il resto…cercando di rimettere tutto a posto con una mano sola e completamente bagnato…
Quindi, dicevo, al casello di Vicovaro un brivido di compiacimento, ma anche di profonda comprensione, mi assale mentre guardo, immobile sotto la pioggia scrosciante, i miei fratelli fermi ad armeggiare con biglietti, portafogli e resti davanti alla barra chiusa del pedaggio.
La Tiburtina. Finalmente qualche curva. Non è esattamente il clima migliore per guidare una moto, ma la passione, la voglia e la compagnia istigano il pilota che è in me. L’asfalto bagnato richiede una guida pulita e solo spostando il corpo all’interno della curva si riesce a percorrerla a velocità “decente”.
Seguo sempre il Comandante. Mi diverto un mondo vederlo da dietro a spostare il suo culone sulla sella ad ogni curva. Gli altri li perdiamo subito negli specchi. Solo Attilio, per un pò rimane in scia. Piuttosto, ma Andrea, prima di salire in moto, si ingoia una scopa? Capisco che piove e non ci si muove volentieri, ma la rigidezza (da non confondere con la compostezza) mal si sposa con la guida sul bagnato. Vabbè, pure Ettore e il Reverendo non osano nulla e le medie orarie crollano. Solo Nello, confondendomi da dietro con Ettore (ma sono così grasso? :)))))) rimane in coda peplesso dall’andatura, per come mi conosce, insolitamente pacata…
Da Arsoli inizia un bel pezzo di misto che ci porta verso Carsoli. La guida è brillante e anche potendo superare agevolmente il Comandante (lui sul V35 io sul LeSPans 1000 twin spark, OSS, ecc, ecc, ecc,…) resto dietro a godermi la guida tonda e pulita da “bagnato”.
Passiamo Carsoli e poi verso Tagliacozzo. Questo pezzo di Tiburtina è, o meglio sarebbe, velocissimo. Curvoni in salita e gas spalancato fino a che la pompa regge…ma non è il caso.
In salita il Cazzillo ulrla la sua fatica e a 90 all’ora “fissi” arranca col Comandante che ripetutamente si muove avanti e indietro a mò di spinta. Non c’è niente da fare. Povero V35 più di così non ce la fa. Complice la velocità ridotta la fila rimane compatta. e negli specchi imperlati di gocce e semiappannati dall’umidità vedi i fari degli altri. Ma la montagna, di solito, ha due versanti, così se da una parte si sale dall’altra?…si scende! E allora ecco che la media passa ai centoventi e anche più…col Cazzillo che ruggisce come un leone e il culone del Comandante che pendola di qua e di la… I fari negli specchi sono spariti, piove ancora parecchio ma l’asfalto è ben drenato e in curva, nonostante gli angoli di piega limitati, teniamo le stesse velocità del rettilineo. Niente male.
Arriviamo a Tagliacozzo. Ci aspettiamo ma Ettore e Fabio non ci sono. Aspettiamo un pò e poi ci avviamo verso il bar “istituzionale” per l’aperitivo.
Ettore ci raggiunge il Reverendo, completamente zuppo, con l’acqua negli stival, nei guanti e perfino nel giaccone tira dritto fino al ristorante per asciugarsi un pò.
Diurno giorno. Bar. Bancone, cassa, caramelle e schedine del superenalotto. Vecchietti seduti che parlottano guardandoci. Entriamo così gocciolando nell’esercizio pubblico deputato all’erogazione alcoolica precedente al pasto. L’aperitivo appunto. Ci spogliamo di qualche “strato” e faccio il giro per gli ordini…nessuno vuole il prosecco, nè il Campari…propongo, quindi, l’aperitivo dell’alpino infreddolito che già feci conoscere a Filippo e a Gianni er Clavicola Cesaroni. La China Martini calda. Una bomba di alcool, zucchero e china calissaia che riporta l’estate dentro di voi. Sigaretta, sorso di china, chiacchiera. Altra sigaretta, altro sorso…riprendiamo un colorito umano sul volto e qualche sorrisetto, all’inizio, forzato lascia il posto a qualche sana, sguaiata, sincera risata. Aspettiamo che il mix faccia effetto e ripartiamo alla volta del ristorante. Ci rimettiamo l’antipioggia, i guanti zuppi d’acqua e via in direzione Colli di Montebove!
Mancano ancora 7 chilometri ma ci avviciniamo ad uno dei pezzi di curve che solo in Atlantide ce n’è. Al bivio aspetto l’ultimo (Andrea!!!!!) e poi vado…
I colori della pioggia non cambiano questa strada. Mi sento quasi euforico. La conosco curva dopo curva. Vado. Sorpasso Andrea (ci vuole poco, no?:)))) e aumento la velocità. Il LeSPans, dopo la cura ricostituente, non richiede grandi cambi di marcia per salire rapido. La terza è perfetta, abbastanza lunga da tenere velocità giuste e sufficientemente corta da non “strappare” in uscita.
2000 giri entro in curva e mi sporgo all’interno. Azz! Mi stò piegando quasi come sull’asciutto!…e tiene! Apro il gas e mi allargo per impostare la prossima. 3500 giri. 4000. 5000. Chiudo. Il rombo sordo degli scarichi si sovrappone al rumore della pioggia sul casco. Favoloso! Curva a destra, rettilineo e curva a sinistra. Il fanalino rosso degli altri mi appare poche curve più avanti. Mantengo il mio ritmo e in poco li raggiungo. Li supero in un lampo alla prima curva e mi accodo al Comandante. Gli altri erano stati facili da sorpassare ma Stefano col Cazzillo in salita sparisce dagli specchi in un attimo. Non pensavo di poter guidare così con tutta quest’acqua…ehi! Ma chi c’è lì davanti?…Apro il gas a velocità warp sul rettilineo e mi avvicino ad una sagoma inconfondibile. E’ Nello! Anche lui sembra aver mangiato una scopa ma a differenza di Andrea riesco a stargi dietro solo con molta concentrazione e pulizia di guida. St’infame dell’Aniello sembra che vada a passeggio mentre attorno alla strada appare la neve. Prima qualche chiazza e poi, nel giro di pochissimo, veri e propri mucchi lasciati lì dalla pulizia della strada. La velocità non diminuisce ed è strano guidare tra il grigio della strada, il bianco della neve e il cielo piovoso e plumbeo. Vista dal casco sembra di essere in un cinema d’essai. La cornice della visiera racchiude le immagini di un film in bianco e nero. Se non fosse per la moto che mi precede potrebbe essere un film russo.
Ecco il ristorante. Parcheggiamo le moto mentre Fabio e Massimo, che già erano lì, si affacciano sorridendo.
Entriamo sgocciolando dappertutto e la scena che segue resterà negli annali del “pietoso”. Scatta la caccia al termosifone acceso nel ristorante vuoto. Gente che si spoglia di qua e gente mezza nuda di là. Ettore si toglie perfino la camicia e la maglietta davanti al camino…’ bagnato e tremante. Gli presto il mio pile. Dopo cinque minuti il locale pubblico sembra un bivacco di rifugiati. Guanti, giacce e maglioni occupano tutti i caloriferi. Gente scalza lascia impronte bagnate in giro e accanto al nostro tavolo in un laghetto creato dallo sgocciolio delle tute nuotano i salmoni.
A turni ci avviciniamo al fuoco del camino per scaldarci un pò. Finalmente Attilio tira fuori la bottiglia di grappa e (rigorosamente a digiuno) ci facciamo un sorso ciascuno.
Finalmente ci sediamo a tavola. Ehi! Ma Fange? Almerico? Che fine hanno fatto?
Immediatamente scatta la telefonata dal cellulare. Di Alme nessuna
traccia…bho’? Fange, invece, e’ passato a prendere Claudio. Si, Claudio Petrassi in arte CP Racing.
I tre (c’e’ anche un amico di Claudio) stanno per arrivare in…Mondeo! Che figuraccia Fabri’!
Noi bagnati, con le mani vizze e i piedi a mollo nelle scarpe ormai “fraciche” e tu in macchina…
Vabbe’ ‘sta storia te la porterai dietro per un po’…e lo sfotto’ avra’ un altro elemento da sfruttare.
Arrivano gli antipasti. Per un attimo cala il silenzio. Solo rumore di ganasse e di vino versato nei bicchieri.
Le finestre appannate mostrano la montagna (il ristorante e’ a quota 1200 metri) con i boschi e i prati imbiancati di neve nonostante la pioggia a catinelle che viene giu’.
Affettati. Mozzarelline. Fagioli con le cotiche. Peperoni. Carciofi. Impossibile resistere a qualche fetta di pane per accompagnare il saporitissimo antipasto. Le bicchierate di vino rosso vanno giu’ come l’acqua. Burp!
Ed ecco il primo. Uno “scifo’ a testa… Cos’e’ uno scifo? Ve lo faccio spiegare dal poeta Remo Fagiolo (un nome un arte!) in dialetto Segnino (Segni paese vicino a Colleferro la cui strada e’ famosa per le corse in salita…azz! Che cultura eh?)
I cazzacci

Farina de rano setacciata
‘n cima alla spianatora a ffuntanella;
coll’acqua chiara i ppoàcuteco salata
ammassa fice’gravenno a ppantan’egravella.(1)
Quanno la pasta è bbe’gravene lavorata,
pe ffa’ i cazzacci è pronta i ppreparata.
Stacca la pasta a fforma de n’oacuteci
i cce’graverca d’allongà comme ‘no spido;(2)
‘ntanto jo suco se finisci còci.
Stira jo cazzaccio non tanto fino;
ma ta remanì ruzzo i ggrossolano
da sentiglio struppià’ sotto la mano.
Quanno de cazzacci ne si ffatti tanti
i ll’acqua coménza a ffa’ la tarantella,
e’gravettaj trénto, non tené’ rimpianti
i dde scifa (3) capa la ppiu bbella.
Venuti ggalla, scòacutelaj per bene:
si repacata la fatica e ppéne.
Suco i ccaso come se ppiovésse;
rapi la a’cutecca i smòacutevi le canasse.
(1) fice’gravenno a pantane’gravella= mescolare la farina con l’acqua alla
stesa maniera del ragazzino che gioca scavando piccole fosse nel terreno,
le riempie d’acqua e poi continua impastando terra e acqua.
(2) spido= spiedo
(3) i dde scifa= recipiente di legno più o meno profondo e lungo. Qui il
poeta usa un termine “scifa” o “scifo”, che normalmente serve a contenere
il cibo per i maiali; il trògolo.
Insomma un piccolo trògolo ciascuno con sopra: Polenta e sugo con spuntatura, tonnarelli ai funghi porcini, raviolone con ricotta e gnocchi al sugo (almeno mi pare, che con la fame che c’avevo…la bocca e’ stata piu’ rapida dell’occhio!). La fame, quella vorace che t’assale quando ti siedi a tavola dopo un bel giretto in moto e’ passata. restiamo in attesa del secondo quando…ecco materializzarsi una Mondeo! Sono loro. Fange, Claudio e il suo amico (aho’! non mi ricordo il nome…sara’ l’eta’?).
Entrano nella saletta che il gestore (previdente) ci aveva riservato e dopo aver attraversato il laghetto, scansato i salmoni ma soprattutto evitato gli orsi appostati sulla riva, si siedono al tavolo. (con voce alla Fantozzi che racconta) E subito una rafficona di battutacce da osteria
accolse i tre poveracci giunti in auto…
Tra gente che sfotteva o si alzava per andare davanti al camino a controllare il maglione fradicio sul termosifone o il guanto poggiato accanto alla brace…e ancora bagnato! Passa il tempo che ci porta al secondo. Scamorzina, salciccia, braciola di maiale e abbacchio e al centro tavola un bel piattone di patate al forno.
Altro giro di bottiglie di vino. Risate. Vetri appannati e fuori tanta pioggia. Arriva il caffe’. L’amaro. Il conto. Inizia il rito della rivestizione. Sorrisi a denti stretti rimettendo il maglione ancora umido, smorfie da tortura chiudendo i calzoni col cavallo bagnato, mugolii (di piacere?) nell’infilare i guanti zuppi…e le moto, imperterrite, ferme e stoiche da piu’ di due ore sotto la pioggia battente.
Paghiamo il conto e Fabio ci delizia con la scoperta di aver lasciato il portafoglio nella tasca chiusa male. Uno strano oggetto di pelle marrone che lascia dietro un “pisciarello” d’acqua e’ quello che resta del denaro e i documenti del Reverendo. Non vi dico la faccia del gestore quando con “noscìalàns” li buon Fabio gli ammolla 50 Euro gocciolanti dicendo: Mi scusi ha da cambiare?
Asciutti o bagnati, cinquanta euro, sò sempre buoni, quindi il resto (in banconote asciutte) fu reintrodotto nel portafogli assorbendo l’acqua che era restata dentro…quando si dice che il portafogli del Reverendo è pieno di liquidi!
Inizia l’accensione delle moto di fronte agli “autodotati” che da sotto la pensilina guardano con…invidia? Commiserazione?…’stardi!
Partono tutte meno la mia. Claudio sorride (è già un evento!). Fange guarda interdetto. Alla fine un solo cilindro si avvia. Gli altri, intanto partono, solo Ettore e Massimo mi aspettano.
Ancora a uno. Porcoqquà e porcollà!!!!
Già lo sapevo. E’ l’acqua nei carburatori. Mi è già successo. Quando piove il carburatore dx si riempe di pura, chiara, incombustibile (?) H2O. Spengo la moto. Apro la sella e prendo la chiave Guzzi (quella 22/24 con i due occhi tondi che serve per smontare le ruote, i dadi dell’olio,…bellissima! Oddio…simpatica! Ecco.).
I carburatori da 36, che monto sul leSPans, hanno il dado da 22 per togliere la vaschetta.
Sotto una pioggia battente, col vento che trasporta le gocce sul viso nonostante il casco con la visiera semichiusa, smonto la vaschetta.
Impetositi, a quel punto (‘stardi e asciutti!) si avvicinano i tre automobilastri alla moto. Fange, subito, dice “lascia faccio io”…Grazie! la vaschetta l’avevo già levata e il guantino da fighetto s’era già riempito di benza per benino…comunque, meglio tardi…
Appena rimontata la vaschetta la moto parte a due… finalmente vado! Ettore e Massimo (con l’Honda Africatwin…bella moto, peccato i colori! :)))))) mi seguono.
Seguono un corno! Abbiamo deciso di passare da Colli di Montebove, cioè per la montagna, accorciando di una decina di km. Il percorso, sotto tutta quell’acqua non perde il suo fascino. Un susseguirsi di curve da lasciare senza fiato! Ma dopo le prime tre… negli specchi “quei due” sono già spariti!
La legge della fratellanza motociclistica impone pazienza. Loro hanno aspettato me, io aspetto loro. Non c’è cazzi.
Un pò allungo, un pò aspetto.
La strada è spesso tagliata da fiumi d’acqua che trasportano terra e fogliame. Più che misto di curve sembra un misto di entro-fuoristrada.
Però la conosco a menadito. Curva a sinistra, questa non chiude, il motore singhiozza un pò…però và. Allora dai de’ gas! 3000, 4000 giri, chiudi e imposta. Piega. Pelo il gas e mi sporgo fuori. ‘Ste cacchio di gomme tengono!…Vaiiiiiiiii!!!! 4000, 5000…singhiozzo, 5500, brat! Sput!
Curva. Piega. Rallento e aspetto. Vedo i fari che si avvicinano. Riapro. Aprire visiera.
Passare dito su visiera e togliere le gocce. Ok, s’è spannato. Vado. Curva. 3000 giri. Mi sposto. Piega. Carsoli. Con Ettore e Massimo percorriamo gli ultimi chilometri fino al casello assieme.
Faccio un cenno di saluto e allungo.
Oh, non piove più! L’asfalto a tratti inizia ad asciugarsi. I due binari lasciati dalle impronte delle auto diventano la traiettoria ideale mentre il motore sale di giri. 4000. 5000. 6000. 120. 145. 180. Sorpasso tutte le auto che incontro. Ma due fari mi appaiono dallo specchietto. Azz! E’ Fange con Claudio!
Apro deciso il gas. Sput! Brat! Porc… ma cazz… la moto singhiozza. C’è ancora acqua nei carburatori.
Tengo spalancato. I fari della Mondeo mi seguono a poca distanza. Sento le loro voci. Guarda ‘stò matto quanto cammina (Ah, se potessi farlo davvero!). Le battute di Fange e i silenzi eloquenti di Claudio.
Non stò eccedendo. La moto vola a velocità ben oltre il codice ma allunga soltanto. Ad ogni apertura del gas il motore singhiozza e riprende a fatica.
La spinta brutale del LeSPans agli alti regimi si stempera con la miscela acqua/benzina che gli arriva.
Tunnel. In uscita la sagoma di un motociclista è sulla corsia di sorpasso.
E’ Fabio col V11. Gli piombo alle spalle a velocità warp e mentre lui accenna a spostarsi…zac! lo brucio passandolo a destra. Lo so che Fabio non s’arrabbia per queste cose, ci conosciamo da troppi anni. E’ solo il mio modo di salutarlo.
Inizia una serie di curvoni in discesa. Li conosco bene. Mi allargo e negli specchi vedo la Mondeo che si fa sotto. Ma quanto cazzo cammina ‘sta macchina?
Il mio contachilometri segna 170. Entro in curva e apro il gas quel tanto che serve a far accucciare la moto sulle sospensioni. Ma…orc…brat!
Sput!…niente da fare il motore non spinge e sono costretto ad allargare… la Mondeo passa. Rettilineo. Scalo in quarta. 170. Quinta. 190. Sorpasso l’auto di Fabrizio (avrà alleggerito sul pedale?) il motore allunga di più. Forse un pò d’acqua è stata aspirata via dai carburatori.
Allungo. Vedo i 7000 giri. Il contachilometri segna 200. 210.
Certo è un pò ottimistico. Filo come il vento ma non a 210! Ma che figurone!
Vabbè ecco il tunnel prima di Tivoli. Discesona e curva sulla destra e poi il rettilineo in falsopiano in discesa. Non ho mai allungato tutto il LeSPans col nuovo motore. Vediamo un pò se il vecchio guzzone bastona ‘sta cacchio de Mondeo quà dietro come Fange fece col Comandante (il rettilineo è lo stesso).
Allungo in discesa. 6500. 7000. Brat! Splut!…Azz! Tengo aperto. Faccio il curvone a 190 indicati. Sorrisetto beffardo. Inizia il rettilineo e la discesa…210…220…7500 giri (mi sembra…non è che a 210 mi metto a guardare per bene il contagiri eh?). La velocità, anche a “pelle” è notevole. Le auto spariscono dietro in un attimo. Roma apare in fondo al rettilineo. Siamo a casa.
Passo il casello col Telepass e non vedo nessuno (poi ho saputo che il Comandante e Andrea ci hanno aspettato…forse stavano facendo “roba” dietro una siepe!).
Il traffico di Roma è una pacchia senza pioggia e dopo aver parcheggiato sotto casa…mi sono ricordato di quello che mi aspettava. La doccia calda. Ahhhhhhhhh! Libidineeeeee…..
L’ho preannunciato, la prossima volta…alle terme!
Tenetevi pronti!

Terremoto d’inverno

0

Di Luigi Di Virgilio

VENERDI 18/12/04. SERA

La rognaccia nera… ecco che abbiamo noi.
L’unico appuntamento invernale che ci facciamo da tre anni, e stavolta la veggo davvero buia.
Bojano, montagne molisane, sede di un bel motoclub (www.motoclubbiferno.com). I ragazzi sono molto attivi, e x l’ultima domenica dell’anno mettono su un piccolissimo appuntamento x chi non ha paura dei pinguini: il Terremoto d’Inverno. La trovata simpatica che lo distingue è il motogiro fino alle piste da sci di Campitello Matese.

Piove a dirotto da giorni su tutto il centro, ma soprattutto c’è un ventaccio infame.

Passo la serata a casa di amici ,mangiando un’orribile pizza fredda, pregando che qualcuno non metta su la partita e masticando silenziosamente sentenze a nastro e maledizioni varie contro tutti gli anticicloni delle azzorre, la pioggia, la tramontana, il garbino, gli Tsunami, il grande fratello, Pippo, Pluto, Paperino e Qui Quo Qua. Ogni tanto arriva un SMS con le condimeteo da un amico in zona: catastrofi in corso.

A Campitello nevica (e va bè..). Tempesta di acqua e vento su tutta la zona sottostante… mi sa che ci becchiamo un osso… L’acqua passi, per il freddo non c’è problema, ma il vento me le fa girare… sorrido a tutti ma a momenti mi stacco da terra x quanto girano. Meno male che non conosco i riti Vodoo.

E invece…

 

19/12/04 DOMENICA

E’ piovuto fino alle 3 di notte, alle 07.00 guardo fuori, bestemmione in canna pronto contro Giove Pluvio… il cielo è perfetto! Vento quasi a zero… Giornata perfetta dopo una settimana sotto l’acqua… Zyc 1 !!

Per scaramanzia lascio anche i coprimanopole montati all’andata: non sembra vero. Convinto che si partiva sott’acqua. Su tutto il percorso sole + strada per un buon tratto …asciutta! Ci saranno intorno ai 5-7°C… di lusso.

All’arrivo a Bojano la solita buona accoglienza, con vin brule’ a caduta libera… (anche self service). Non fai neanche in tempo a toglierti il casco che ti ritrovi con il bicchiere bollente in mano! Sai… fa freddino…

I ragazzi del club sono tutti simpatici e cordialissimi. Nei 10 euro d’iscrizione ci sono la colazione, il rinfresco in quota, biglietto lotteria del club e lo scaldacollo/cappellino in Pile. Non male davvero. Con l’aumentare della popolazione nella piazza del paese, Terremoto in persona/speaker fa notare una nutrita presenza di …Moto Guzzi ? Però, 13 cancelli… decisamente bene per questa zona.

 

 

…….???…….

E quello chi è? Fange???

Mentre faccio la conta un rumore familiare ma un po’ soffocato richiama la nostra attenzione e Lei fa la sua apparizione… una Le Mans rossa 1976 con corpulento pilota, targata Roma ! Ma no, la LM di Fange è targata Pescara, ha le Lafranconi e poi a questa manca un certo tubo verde …

C’è anche ELVIS!! (noto e simpatico casinaro della zona)

E’ messa maluccio, ma è lei. Mi piazzo in mezzo al parcheggio mentre tutti i guzzisti presenti convergono, lo chiamo e lo faccio parcheggiare tra le altre Guzzi. Gli scarichi Stucchi… ecco xchè suonava strano. Il simpatico signore di Roma ha qualche moto (18!) e dopo una brutta avventura insieme, ha ripreso proprio il LM x farsi un giretto.

 

“Si, ma ora la porto al restauro…”. Ecco bravo, che se lo merita.

Conosci Guzzisti.it? E dai,vienici a trovare. Chiacchiere varie, qualcuno sbircia la toppa di Anima Guzzista sul mio copriserbatoio, io sbavo vicino ad un trio di RSV1000 tra cui una R, un altro paio di mestolate dal pentolone di Amelia la strega per tutti… meno male che ho fatto colazione nordica.

Partiamo x il giretto fino alle piste di Campitello Matese. Ma cos’è, fa caldo adesso? Capitiamo davanti, proprio vicino alle staffette che aprono la strada, e ci godiamo la salita a velocità zero contemplando il panorama e i contrasti tra i colori lasciati dall’autunno e le spruzzate di neve, sorpassando allegramente astronavi stradali che ci superano sui rettilinei e che si inchiodano in mezzo (ma proprio in mezzo…) ai tornanti che scolano acqua. Dopo un po’ non superano più….

Mi riguardo due tipi “very bikers” che guidano appesi a degli apehanger da paura.
(vedi: Mani in alto, questa e’ una rapina!).

 

 

Che ci avranno capito su quei tornanti? Forse si sono divertiti più di me. Ha ragione Andrea il Tatuato: la vita è varia e molteplice!

Ormai è tutto bianco, mentre mi godo i colori del monte di fronte con cresta alla panna, capito dietro ad un soggettone con una Valkirie 1500. Bella, quel sei cilindri è l’unico jap che digerisco. Però… tra lui, moto e signora peseranno quasi sei quintali… se incontriamo del ghiaccio l’amico sarà l’unico ad arrivare alle piste.

Ghiaccio? …Cavolo! Eccolo! Il motopeschereccio mi si inchioda su un po’ di neve pestata proprio davanti! Ma no, dai vai ! E’ neve!

No, non va.

Intorno e’ ancora più sporco, qualcuno si spaventa, qualcun altro rischia… Tappo!

Io e Jerry (ex compare di uscite in campagna, ora su Madame Bonneville) schiviamo e filiamo via dietro alla staffetta che essendo prima della fila s’era scelta il passaggio migliore. Il California ronfa tranquillo in seconda e trita quel po’ di ghiaccio che non riesco ad evitare. Ringrazio il Grande Capo che mi ha fatto nascere zompafossi e mi ha messo anche sul cancello. Vai che è più pulita ora, stiamo arrivando alle piste e guardo dietro…

Quasi nessuno?! La staffetta che ha il suo da fare x tenere su il Fazer davanti noi, Jerry che sogghigna sotto il casco, un Varadero molto indietro e in mezzo… il Le Mans del romano!!! Con quei mezzi manubri li ha fregati tutti !!! Che ridere ragazzi!

Arriviamo su solo in cinque. Appena parcheggiato arrivano anche gli altri. Marcello con il T5 polstrada, Gennaro con l’X11… il Cali 2 di Luca… la Stone… la mukka di Tony Royal. Noi ci siamo tutti. Qualcuno se la ride per gli show visti lungo la salita, qualcun altro sacramenta sui “piloti di traverso”. Penso a quei due con gli stendi panni… ci sono anche loro!! Grande! Alla faccia di chi le definisce “beach-to-bar bikes”.

 

 

Foto di rito, un paio di tuffi sulla neve, doppia tirata dalle fiaschette e decidiamo di dribblare il rinfresco: se guadagnamo tempo possiamo prendercela comoda a pranzo e sciacquare le moto una volta a casa (con tutto sto’ sale a terra non si scherza…).

I ragazzi del M.C. Biferno si sanno divertire e sicuramente la tireranno x le lunghe. Saluti!! Maiala che caldo!

Giù per la discesa qualcuno memore del suo passato decide di provare Bonnie sulla neve.

Tirato fuori lo scienziato, fatte le foto da perculeggiamento, scopriamo dove era il resto della truppa. Fermi a metà strada su un curvone, intorno ad un bel boccione di grappa fatta in casa si stanno godendo il panorama. Eh… quando si dice organizzazione… Diamo anche noi il cicchetto al carburatore, due risate, complimenti e ripartiamo. Eh sì, fa proprio caldo… non ci sono più gli inverni di una volta.

 

20/12/04 LUNEDI mattina

Aripiove di nuovo… di brutto…

Ore 08:20 SMS di Gennaro: “Lassù qualcuno ci ama…”

Sì, proprio un bel film… statemi freschi.

Nordkapp 2004

0

Di Wild Goose

 

Non importa a quanto, ma dove stai andando…

Una sera d’inverno
A casa, una sera d’inverno, Simona fa esplodere una macchia iridescente nel mezzo di una sbiadita chiacchierata a tavola su cose quotidiane: “Perché quest’estate non andiamo a Nord Kapp in moto?”
Studio il suo sguardo per cogliere eventuali segni di coscienza alterata, ma lei mi fissa seria e lucida.
Io ho sempre desiderato raggiungere Capo Nord in moto, lei ha sempre desiderato visitare l’Europa del Nord. “Affare fatto”.
Da quella sera iniziamo a costruire, mattoncino su mattoncino, il nostro viaggio. Istituiamo il “Fondo Norvegia” (rivelatosi provvidenziale…) nel salvadanaio a forma di coccodrillo, approntiamo la fida Moto Guzzi, prenotiamo i traghetti ma… sorpresa: non c’è posto sul traghetto Helsinki- Rostock, che ci avrebbe riportato sull’ultima tappa di ritorno. Decidiamo così di prenotare il tratto Helsinki-Tallinn, e chiedere un ulteriore sforzo al Guzzone per attraversare Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Germania e Svizzera. La cosa si fa ancora più interessante.


24 Luglio: Milano-Hannover (960 Km)
La sveglia suona alle 6.30 del 24 luglio, le borse sono pronte, la moto ha il pieno. Il tempo è incerto. Ci accorgiamo che il peso dei bagagli eccessivo manda a raso terra il Guzzone. Lasciamo a casa qualche maglione e finalmente partiamo. Sulla Milano-Laghi veniamo colti da una serie di secchiate d’acqua dal cielo, che ci costringono a rallentare e sostare per indossare le tute. La pioggia è talmente fitta e battente che mi sale la preoccupazione per le infiltrazioni d’acqua nei conetti di aspirazione. Ma la moto avanza ostinata e ignorante come un mezzo anfibio. In Svizzera ci fermiamo a mangiare un Hamburger di plastica spendendo 30€. Era meglio la fame.
Il maltempo ci accompagna attraverso la Svizzera e parte della Germania. Abbiamo anche problemi di itinerario: sbagliamo più volte strada e accumuliamo ritardo. Decido di spronare il Guzzone: carico alla morte, sulle salite chilometriche dell’autostrada tedesca, a 150 all’ora, sento attraverso le ghigliottine spalancate dei Dell’Orto i pistoni che ringhiano.
Raggiungiamo a fatica l’albergo di Hannover alle 11.00 di sera.


25 Luglio: Hannover-Kiel (250 Km)
La stanchezza della sera prima si attenua dopo una notte di sonno e una splendida colazione al mattino. L’albergo, il cui personale è gentile e l’atmosfera accogliente, ci offre un buffet comprendente vari tipi di affettati, formaggi, frutta, marmellate e yogurt, tutto di ottima qualità. Partiamo sereni e raggiungiamo Kiel senza particolari problemi, salvo, per nostra inesperienza, la ricerca del terminale per il Check-In. All’imbarco leghiamo la moto di fianco ad una meravigliosa Harley aerografata di un Ancient Trooper norvegese, il quale ci ha pure salutato cordialmente (…proprio non era italiano…). Sul traghetto ceniamo nel lussuoso ristorante, serviti da un cameriere che parla perfettamente italiano. Filetto alle verdure ottimo, accompagnato da altrettanto eccellente vino rosso. Ci voleva, visto che, per le poltrone scomode, decidiamo di dormire sdraiati per terra.
Alle 3.00 del mattino vengo svegliato dal molestissimo rollio della nave. Penso subito al cavalletto centrale della SP, notoriamente instabile, e immagino la moto che cade rovinosamente sulla meravigliosa Harley a fianco. Passo il resto della notte ad escogitare varie ipotesi su come si dovrebbe affrontare un energumeno norvegese inferocito che alza di peso la tua Moto Guzzi intento a scagliartela addosso.

 

26 e 27 Luglio: Oslo
Ci svegliamo alle 7.00 e, giusto il tempo che occorreva al traghetto per raggiungere il porto di Oslo, facciamo colazione nel bar di bordo. Incontriamo 4 ragazzi di Bergamo, di “Mucche” dotati, diretti verso Capo Nord. Mi ricorderò sempre lo sguardo allucinato di Simona quando ha sentito parlare di manopole riscaldate e parabrezza regolabili, per non parlare del fatto che uno di loro ha lasciato a casa la fidanzata per fare spazio alle provviste di pasta e pesto alla genovese!
Allo sbarco trovo la moto ancora al suo posto, e il grizzly norvegese ci sorride ignaro del pericolo che ha corso il suo destriero.
Sbarchiamo ad Oslo, e subito riceviamo l’impressione di una città splendida e vitale.

 
Facciamo fatica a trovare un albergo con una stanza disponibile. Fra l’altro, sui passaggi di porfido e piccole asperità delle strade cittadine, avvertiamo i primi preoccupanti “fondo corsa” del retro treno. Finalmente troviamo un buon albergo.
Il personale dell’hotel ci permette gentilmente di parcheggiare la moto all’interno del cortile di servizio.
Incominciamo ad esplorare Oslo, e mentre Simona si lustra gli occhi con il passaggio di locali vichingoni biondi e fieri, io rimango un po’ deluso dalla fauna femminile: a parte i visi molto piacevoli, le ragazze hanno per lo più il fisico dell’orso Yoghi.
Dopo la cena ad un Burger King, torniamo in albergo per svenire sul letto.
Alla mattina ci ammicca un bellissimo buffet a base di uova, pancetta, polpettine, formaggio, aringhe in salsa dolce e marmellate.
Andiamo a visitare la zona di Bygdøy, dove si trova il Folk Museum e il Museo Navale Vichingo. In quest’ultimo rimaniamo colpiti dal buono stato di conservazione delle due navi vichinghe e ne subiamo davvero il fascino. Solo quei pezzi di legno erano in grado di trasmettere il senso di fierezza ed il coraggio (o incoscienza?) degli esploratori del Nord.

 

Ci spingiamo poi fino al Vigeland Park, molto ben tenuto e suggestivo: costellato di statue di granito antropomorfe , dallo stile tondeggiante, realizzate dallo scultore norvegese Gustav Vigeland, rappresentano gli innumerevoli sentimenti umani nelle relazioni di amicizia e di eros fra le persone. Rimaniamo perplessi per ò sul gusto dell’opera.

A pranzo ritorniamo in centro città, al Johnas Gate, dove troviamo una tavola calda all’aperto dove servono ottimi spuntini a base di gamberetti, salsa rosa e aneto. Ne conservo un bel ricordo, forse perché associato all’idea di aver fatto colpo sulla cameriera (niente male…)…eh eh, il fascino del terùn incomincia a seminare disordine…
Occhio al prezzo della birra però: una pinta costa il corrispettivo di 8 (OTTO!) euro!!!

 

28 Luglio: Oslo-Trondheim (516 Km)
Al check-out dell’albergo, mentre stavo radunando le valigie, la coda dell’occhio viene interessata da una figura che passa fuori dall’albergo: una meravigliosa creatura di sesso femminile, altezza approssimativa di 1.80m, dalle forme che neanche il più dotato designer mondiale potrebbe replicare, mi induce ad una reazione poco ortodossa, trasformandomi in una bestia delirante, non cosciente degli apprezzamenti dal dubbio gusto che devo aver pronunciato con la schiuma alla bocca in presenza delle receptionist e dei clienti presenti in quel momento. Ma vengo subito richiamato ai ranghi da Simona perchè era ora di partire.
Il viaggio è faticoso, anche perché all’arrivo, all’ora di cena, facciamo ancora più fatica che a Oslo a trovare un albergo. Grazie ad una botta di chiappe veniamo rincorsi da una receptionist che ci aveva appena rimbalzati per dirci che in un hotel vicino è stata cancellata la prenotazione di una stanza. Che gentile!
Salendo di latitudine diventa più evidente la tarda luce. Ne approfittiamo per fare un giro per la città, molto piacevole, ma un po’ deserta. Carina la cattedrale. Rinuncio all’idea di bere una birra insieme ad uno dei miei gruppi preferiti, i Motorpsycho, originari di Trondheim, visto che in quei giorni sono a Rimini…
E’ stata una tappa un po’ ardua, e ci viene il dubbio se non sia il caso di arrivare fino a Tromso per poi stoccare a Est verso la Finlandia. Capo Nord? Troppo male alle chiappe.

29 Luglio: Trondheim- Mosjøen (390 Km)
Continuiamo il viaggio verso nord fino a Mosjøen, un piccolo e tranquillo paese situato alla fine di un fiordo. C’è pochissima gente, e troviamo un piccolo ristorante in una costruzione in legno, vicino all’acqua, in cui abbiamo assaggiato un eccezionale filetto di renna. Sappiano che mettiamo in atto una discriminazione: nel menu era presente anche la bistecca di balena. Non ce la siamo sentita. Forse perché di renne ce n’è a bizzeffe. Di balene no.
La pace in quel paesino è commovente.

 

30 Luglio: Mosjøen- Narvik (473 Km)
Lungo la tappa attraversiamo paesaggi magnifici, dove il verde intenso dei boschi e il viola vivace dei fiori abbraccia laghi e fiordi che attingono dal cielo un colore blu intenso. La Moto Guzzi, anche se appesantita, pennella le curve con dolcezza e armonia, quasi come se conoscesse la strada, e Simona accompagna le pieghe con maestria, alleggerendomi non di poco la guida.
Verso metà del tragitto, i boschi iniziano a diradarsi, il verde diventa più chiaro e l’orizzonte si espande. In pochi chilometri gli alberi e i fiordi lasciano il posto alla Tundra e alle dolci colline ancora innevate. Il clima è splendido, e il vento leggero e piacevole fa da sfondo ad una sensazione di nulla, ma nulla pieno (frase ad hoc di mio suocero che ho riciclato…). E’ la linea di confine col Circolo Polare Artico.
Proseguiamo il viaggio sulla E6 verso Narvik, che troviamo un po’ vacua, così decidiamo di andare poco oltre e fermarci in un campeggio dove troviamo un bungalow. Qui decidiamo che a Capo Nord ci andremo eccome. Dormiamo discretamente.

 

31 Luglio: Narvik- Alta (513 Km)
Prima di iniziare il viaggio, facciamo un salto allo Zoo Polare. Dopo aver avvicinato le renne, la lince, il bue muschiato, rimaniamo affascinati dall’orso bruno, possente, bellissimo, anche se sembrava un po’ accaldato (c’erano 27 gradi).
Ripartiamo verso nord e non ci stanchiamo di ammirare la danza di linee e colori vividi fra acqua e terra. Senza difficoltà arriviamo ad Alta, una cittadina tranquilla e ben tenuta, dove troviamo un confortevolissimo albergo dal personale squisito. C’era anche a disposizione gratuitamente un internet point da dove abbiamo segnalato ad Anima Guzzista la nostra posizione: 240 km a Capo Nord.

 

1 Agosto: Alta – Nordkapp (240 Km)

Prima di metterci in viaggio visitiamo il museo antropologico di Alta. All’aperto, attraverso un sentiero pieno di vegetazione, vicino al fiordo, sono visibili le rocce dove, circa 6000 anni avanti Cristo, gli abitanti incidevano scene di vita quotidiana, caccia e pesca. Nell’edificio del museo erano esposti, invece, tanti reperti e varie ricostruzioni dai modelli di vita norvegesi, dalla costruzione di capanne primitive, agli strumenti di esplorazione, e all’armamento dell’esercito fino al secolo scorso. Molto suggestivo.
Risaliamo sul Guzzone e riprendiamo il viaggio. Dopo aver raggiunto il casello per accedere al tunnel che porta a Magerøya (dove stiamo per ipotecare casa e parenti), raggiungiamo Honningsvåg, un paese caratteristico, abitato per lo più da pescatori e poco altro. Pochissima gente in giro, mentre i gabbiani sono i protagonisti. Molliamo i pesanti bauli in albergo e risaliamo in moto. E qui il momento è catartico: se già il circolo polare artico era spettacolare tanto minimale, la strada di 30 Km che porta a Capo Nord si snoda lungo un paesaggio che sembra appartenere ad un pianeta di galassie sconosciute al genere umano, dove il verde chiaro, maculato dal color argento dei laghetti, veniva tagliato solo dal nastro grigio dell’asfalto, che si perdeva in un orizzonte in continua trasformazione. A parte la fase poco poetica del biglietto di accesso all’ultimo tratto (altro che ipoteca…), la magia si ripresenta quando parcheggiamo la moto e arriviamo a piedi fino al famoso globo di metallo, costellato di adesivi e testimonianze di persone che hanno seguito la stessa meta. Alcune di queste testimonianze sono davvero commoventi, accompagnate da dediche di amici a persone che non sono potute venire, o persone che non potranno mai, ma guardano dal cielo.
Siamo contenti di essere arrivati al …secondo punto più a nord d’Europa (il primo è poche centinaia di metri più a ovest, ma non è raggiungibile con mezzi di ogni sorta). Tuttavia il bello deve ancora arrivare, perché dopo le foto di rito sotto quella costruzione, volgiamo lo sguardo ancora verso nord, e veniamo rapiti dalla spietata e brutale immensità, dalla meravigliosa desolazione del Mare Artico. Rimaniamo per diversi quarti d’ora a contemplare in silenzio il dio blu.

 

2 Agosto: Honningsvåg- Inari (351 Km)
Riprendiamo il viaggio verso Karasjok e quindi verso la Finlandia. Superato il confine ci troviamo in Lapponia a percorrere una strada piena di lavori in corso. Abbiamo dovuto affrontare qualche tratto sterrato non divertendoci, visto che la Guzzi stracarica storce il naso. Per manifestare in segno di protesta, ha pensato bene di mandare al creatore il cavo del contagiri che, allo smontaggio, è sembrato malconcio già da tempo.
Ci fermiamo ad Inari, presso una sorta di Motel curioso: le stanze, quasi perennemente soleggiate, sono piuttosto calde. Per questo i clienti, quasi tutti finlandesi, tengono la porta aperta. L’aspetto generale era una specie di caserma, ma dal clima vacanziero….
Inari è una specie di non-luogo, dove non ci sono praticamente abitazioni, ma solo qualche supermercato, due o tre alberghi, e una strada che lo attraversa. E’ un posto di solo passaggio, che in fin dei conti ha il suo fascino.
Ceniamo a base di spezzatino di renna e birra nazionale Lapin Kulta. Ci accorgiamo subito che i prezzi sono molto più contenuti.

 
3 Agosto: Inari- Rovaniemi (327 Km)
Scendiamo sotto il circolo polare, facendo una breve sosta al villaggio di Santa Klaus. Speravo sinceramente di trovare qualcosa di più prettamente storico-antropologico-folkloristico… invece è un’americanata pazzesca, cioè un villaggio artificiale di legno costellato di immagini di Babbo Natale coi colori della Coca Cola. Va beh, rimane lo stesso un posto interessante.
Arriviamo a Rovaniemi, dove ceniamo nel ristorante dell’albergo, con un ottimo buffet. La città non è niente di particolare.

 
4 Agosto: Rovaniemi-Oulu (225 Km)
Ci svegliamo con la pioggia. Aspettiamo che migliori per compiere il breve tragitto fino a Oulu, patria dei gruppi preferiti da Simona: i Sentenced ed i Poisonblack (per la cronaca: non ne abbiamo trovato traccia, col disappunto di Simona…)
L’Hotel ci offre una stanza a prezzo mooooolto conveniente, anche perché è dotata di sauna! Al momento di sperimentare il congegno, consistente in un box di legno situato nel bagno e provvisto di contenitore per l’acqua e scaldatore elettrico dentro una scatola metallica piena di pietre, rimango timoroso di fronte all’eventualità di versare l’acqua sulle pietre stesse (e sulla resistenza che le scalda) e mandare in corto l’intero stabile, rimanendo entrambi folgorati, nudi biotti, dentro un box di legno. Decido di scaldare le pietre fino a farle diventare roventi e poi spegnere l’impianto per versarci l’acqua. Funziona: ci facciamo una sudata pazzesca e poi una bella doccia fredda. Vi assicuro, è un’autentica goduria.
Dopo la sauna facciamo un giro per la città che è davvero carina, a misura d’uomo. Ci fermiamo al Kauppatori, il mercato all’aperto, a bere una birra, e poi esploriamo il Kauppahalli, cioè il mercato coperto, dove assaggiamo degli ottimi bocconi di salmone impanati. Trovandosi a dover fare un po’ di economia, il nostro consiglio è proprio quello di cenare a base di questi assaggi del mercato coperto, gustosi, abbondanti ed economici (un po’ di braccino corto non fa mai male….)
All’ora di cena ci dirigiamo verso un ristorante turco. Il centro della città è davvero carino, ma è sconvolgente come già nel tardo pomeriggio si trovino per strada persone completamente ubriache di birra o acquavite. Fa davvero tristezza vedere questa gente che, forse depressa dai lunghi e rigidi inverni poveri di luce, si annulli completamente, come se volesse “affittare” dall’alcol una giornata di non-esistenza o, se vogliamo, di rateo suicidio.
Al ristorante, locale arredato con gusto e dal personale cordialmente professionale, mangiamo a testa un antipasto, un secondo abbondantissimo a base di kebab molto sofisticato, accompagnati da un buonissimo vino turco rosso. Il tutto a 60€. Poco, considerato lo stile del ristorante e le porzioni abbondanti.

5 Agosto: Oulu- Kuopio (289 Km)
La destinazione è Kuopio, la città delle fragole. Troviamo un albergo un po’ demodé ma piacevole sulla piazza del kauppatori. Posiamo le nostre zavorre nella stanza e usciamo nuovamente per fare una passeggiata fino al lago, trovando un porto di traghetti pieno di locali e chioschi. Allontanandoci dal porto, andiamo a mangiare nel più antico ristorante di kuopio, che ha aperto i battenti 70 anni fa. L’ambiente è davvero bello, di quel fuori moda piacevolmente nostalgico. Si respira l’aria di un locale storico. Il padrone è di una gentilezza e discrezione disarmante, e ci ha messi a nostro agio immediatamente. Il menu è tutto a base di Muikku (Coregone: pesce di lago), davvero squisito.

 
6 e 7 Agosto: Kuopio- Savonlinna (160 Km)
Lo spostamento è breve. Qui c’è il Festival dell’Opera, e troviamo alberghi al completo e persone incravattate. Riusciamo a trovare una stanza di confort nella media, ma il prezzo, proprio in occasione dell’evento, è assurdamente imposto a 150€! Un furto. Decidiamo comunque di rimanere due giorni.
Visitiamo la Castello medievale di Olavinlinna, ultimato nel 1472 dai finlandesi, ma nel posto sbagliato: il Lago Saimaa a quell’epoca, era in territorio russo, a 5 km dal confine. Per questo il castello è stato spesso causa di conflitti e rivendicazioni fra i due popoli confinanti. Questa fortezza, arricchita e rinforzata nei secoli, risulta la costruzione medievale meglio conservata dell’Europa del Nord.
La città è molto bella e rilassante. Girando per il Kauppatori, Simona si ferma ad una bancarella che vende camicie e bigiotteria Made in Nepal. Compra una camicia ricamata perché cede alle lusinghe del bellissimo mercante finlandese “molto uomo”. Io, stizzito, vado a comprare i francobolli in un bar e pareggio con la ragazza al bancone.

 

8 Agosto: Savonlinna- Helsinki (325 Km)
Diciamo “ciao ciao” ai 300 euro di conto dell’albergo e ripartiamo in direzione Helsinki.
Arrivati a destinazione e trovata una camera piuttosto confortevole, esploriamo la città, ma non da turisti. Forse per la stanchezza, o perché è la città stessa a suggerircelo, la giriamo in lungo ed in largo senza cercare musei né monumenti, ma ci limitiamo a svaccarci nel marco Esplanade in mezzo ai finlandesi, ciondoliamo per il kauppatori a mangiare squisitezze e diamo un’occhiata ai grandi magazzini Stockmann. Si dice che non c’è abitante di Helsinki che non abbia mai comprato qualcosa in questo mega store. Camminando sulla strada incrociamo un tizio in bicicletta vestito di nero, col cappellino nero e il viso familiare. Azz! Era il cantante dei Rasmus!

 

10 Agosto: Helsinki- Riga (323 Km)
Prendendo il Super Sea Cat da Helsinki a Tallinn, passiamo tangenti al centro di quest’ultima. Una fiaba. Torneremo a visitarla, promesso.
La strada per Riga è piuttosto accidentata. Gli ammortizzatori dell’SP, già di per loro scadenti, vanno subito in crisi e le nostre colonne vertebrali collassano. Entriamo in Riga che siamo a pezzi. Girando la città abbiamo percepito la sua bellezza. Ma è priva di segnalazioni adeguate ed il traffico è peggio rispetto a quello di Milano in corso Venezia alle 17.00. Bestemmiamo nel cercare l’albergo che avevamo prenotato da casa: è situato nel centro, in una zona più o meno pedonale (non era chiaro). Con la magnanimità di un vigile locale, passiamo per la via interdetta e troviamo finalmente l’hotel… CHIUSO!
Momento di panico. Cerchiamo di chiedere spiegazioni ma nessuno parla inglese. L’unico che sembra spiccicare qualche parola ha il cervello imbevuto d’alcol, ed è riuscito solo ad alzare i pollici in alto e a biascicare: “Italy?… Super!”
Infine qualcuno ci fa capire che il proprietario era semplicemente andato… a mangiare un boccone.
Dopo un’ora di attesa lo vediamo arrivare: un signore anzianotto, che parla un inglese improvvisato. Simpatico e gentile. Solo al ritorno avremmo scoperto che non ci aspettava perché la pensione non aveva ricevuto la nostra conferma della prenotazione.
Fantastica una sua espressione: lui ci spiega che le luci del corridoio si accendono premendo un interruttore situato all’inizio. Io gli chiedo come devo poi spegnerle. Lui riflette un po’, poi gli si illuminano gli occhi e aprendo le mani alzate al soffitto dice testualmente “Automatic… PIC!”. In quel momento capisco che l’onomatopeico “PIC” è più internazionale di qualsiasi parola nelle lingue diverse.

 

11 Agosto: Riga- Varsavia (663 Km)
La strada è qualcosa di paradossale. Maledico quegli ammortizzatori, che andando a pacco tiravano botte violente al telaio e alle nostre schiene. Già immaginavo di rimanere in panne per una foratura o, peggio, la rottura del cerchio posteriore. Ma la Guzzi resiste.
La Polonia ci trasmette una strana sensazione. Dal punto di vista paesaggistico è davvero piacevole. Ma la gente ha qualcosa di amaro nello sguardo, anche quando sorride. Le strade e le città sono un continuo cantiere. Forse, dopo anni di regime comunista, ora i polacchi si sentono come appena svegliati da un lungo letargo, e si sono accorti che il mondo è andato avanti. Questo è il motivo per cui, a nostro parere, i numerosi lavori in corso sulle strade, le città in ristrutturazione, gli sforzi per recuperare terreno, sono affrontati in maniera quasi caotica e affannosa. Evidentemente non hanno un solido background di piani regolatori e viabilità. Tuttavia è ammirevole la loro determinazione, e le persone che abbiamo incontrato sono di genuina curiosità e gentilezza. Tifiamo con tutto il cuore per la Polonia.
Arrivati a Varsavia, un po’ più ricca di segnali e nomi delle vie, troviamo a due isolati prima di raggiungere l’hotel, un semaforo rosso. Nell’attesa, accorrono quattro bambini a guardare la moto e cercare di capire da dove venissimo. Mentre tenevo d’occhio uno di loro che giocava con l’acceleratore, sento un improvviso aumento di peso verso destra. Mi volto e vedo uno di loro accovacciato sulla borse laterale. Infine il semaforo ha dato il verde, e loro sono scesi per farci proseguire. E’ nostro dispiacere non aver avuto il tempo di scattare una foto tutti insieme.
Ceniamo nel ristorante dell’albergo, dove gustiamo un ottimo gulasch a bagno di un sugo di carne e contenuto in una forma di pane che fungeva da zuppiera.

 

12 e 13 Agosto: Varsavia- Praga (615 Km)
Usciamo dalla Polonia soffrendo ancora per le strade disastrate. Passato il confine con la Repubblica Ceca, la musica cambia: riapro la manetta e faccio galoppare un po’ la Guzzi. Malgrado questo, ci sciroppiamo otto ore di viaggio.
Arrivati alle otto di sera sfiniti, facciamo gli ultimi 30 metri spingendo la moto a motore spento, visto che l’albergo si trova in una via del centro che, da dove veniamo, risulta contro mano.
Malgrado la stanchezza, veniamo colti dalla ricchezza di palazzi e monumenti splendidi. La mattina dopo, infatti, dedichiamo la giornata intera a visitare la città.
Non basterebbero mille pagine per descrivere le sensazioni che trasmette ogni singola prospettiva di Praga. Tuttavia, basti sapere che malgrado il carnaio di gente, le visite guidate e i locali pieni, la città riesce lo stesso ad avere la meglio,lasciandoci senza fiato, ed essere commovente da ovunque la si guardi.
La sera prima di ripartire troviamo un ristorante dall’ambiente molto piacevole, dove, dopo un ottimo gulasch, assaggiamo… (On. Fini tappati le orecchie o ti viene una crisi epilettica per lo scempio da noi commesso)… l’Assenzio!!
Questa terribile droga dall’effetto micidiale, che avrebbe dovuto portarci in una dimensione paradossale e ci avrebbe dovuto far compiere atti inconsulti, altro non è che un liquorino alle erbe, a base di assenzio appunto, piuttosto forte (70 gradi), dalle qualità digestive meravigliose. Nulla a che vedere quindi con la storica bevanda, effettivamente tossica e dannosa, che bevevano artisti maledetti, come Loutrec, Baudelaire, Verlaine, Van Gogh e Rimbaud. Sarebbe bello che anche in Italia questo liquore venisse ammesso nella legalità. Ma l’intelligenza nel mondo è distribuita a macchie.

 

 

14 Agosto: Il ritorno a Casa (790 Km)
Qui non c’è molto da raccontare, se non il fatto che, come siamo partiti con la pioggia, torniamo allo stesso modo. Soprattutto in Germania sembra di essere fra le spazzole di un autolavaggio, ed il clima è maledettamente freddo. Solo dopo il traforo le Alpi bloccano le nuvole, ed il cielo ci offre nuovamente il suo azzurro. Stringendo i denti, maciniamo i chilometri, chiedendo alla miracolosa SP un’ultima corsa a ritmo sostenuto e lei, per convincerci una volta per tutte che non le importa un fico secco della velocità, manda in congedo anche il cavo del tachimetro. Giri al minuto “0”, chilometri all’ora “0”. E così, ascoltando il suo rumore quasi esoterico, abbiamo la sensazione che ci avesse voluto dire: non importa a quanto, ma dove stai andando.

Considerazioni:
– Non esistono “zainetti”, ma solo persone poco coinvolte nel viaggio.
– La Moto Guzzi, continuo a ripetere, pesa 21 grammi in più rispetto alla somma delle sue parti.
– L’Italia si vanta della sua cultura e civiltà. Sotto certi aspetti, rispetto a molti paesi da noi snobbati, siamo nel Medioevo.
– La gente del nord è molto più calda e passionale di quanto si pensi.
– Viaggiando in un certo modo, si incontrano dei veri amici, anche se per pochi istanti.

Mojoli Engineering

0

Intervista di di Wild Goose

 

Io, vi confesso, ricevuta la notizia dello “stop” al progetto VA10, mi si è aperta una ferita davvero dolorosa. Da allora mi sono chiesto spesso se il “padre” di questo motore ne sapesse il vero motivo, se potesse dirci a che punto fosse lo sviluppo, e cosa ci si potesse aspettare se fosse stato prodotto in serie e montato sulle Moto Guzzi del XXI secolo.
Flashback: 19/05/2004
Lavorando a Cernusco S/N (MI), vengo a sapere che nella stessa zona del paese ha sede la Mojoli Engineering. Così, timidamente e senza pretese, mando una e-mail all’indirizzo che ho trovato sul loro sito proponendo una breve intervista e fornendo i miei dati per contattarmi, dando per improbabile una risposta (dicasi: sindrome di Calimero).
Il giorno dopo ricevo una telefonata sul mio cellulare, non riconosco il numero sul display ma decido di rispondere.
R: Pronto?
DM: Sì, sono Danilo Mojoli (Oddio, lui in persona… mi si gela il sangue: e mo’ che gli dico?) ho ricevuto una vostra e-mail per un’intervista…
WG: Eh sì… sa, è per Anima Guzzista: ormai comprende una comunità piuttosto vasta di appassionati… (volevo andare avanti a spiegare l’argomento dell’intervista, ma lui mi interrompe educatamente e con voce più vivace)
DM: Sì sì, vado spesso in quel sito. Eh, io devo confessare, la mia origine non è Guzzista, prima ho lavorato per Gilera… però sono molto affezionato alla Moto Guzzi, e ho lavorato su molti progetti di motori e componenti… non so se ha visto su Internet i nostri lavori, fra cui, ad esempio, un motore bicilindrico a V raffreddato a liquido…
Inizia una piacevolissima chiacchierata per telefono, in cui già si giunge nel vivo dell’argomento “motori per Guzzi”, così, cercando di tamponare il magnifico entusiasmo di Danilo Mojoli, senza apparire brusco, propongo di proseguire a quattro occhi. Così ci diamo appuntamento per Martedì 25 maggio.
Il colloquio che segue non sarà accompagnato da fotografie o effetti speciali. Ma vi assicuro che sarà piuttosto improntato sulla tecnica: Danilo Mojoli ha voluto descrivere il comportamento, i numeri, i calcoli fatti sul motore che abbiamo sognato per qualche mese: il VA10.
Ma non tutti hanno sentito parlare di un motore che avrebbe potuto fare ancora meglio per la casa di Mandello. Leggete un po’…

25/05/2004
Raggiungo lo studio di Danilo Mojoli, che mi accoglie gentilmente. All’ingresso noto una bacheca di vetro contenente vari componenti e organi meccanici, fra cui una biella che sembrava di un camion. Ma non faccio in tempo a chiedere nulla, perché l’ing. Mojoli mi fa accomodare sulla poltrona di fronte alla sua scrivania. Probabilmente ha voglia di riprendere il discorso iniziato durante la prima telefonata, e infatti riattacca esattamente dove l’avevamo interrotto.
DM: …volevo farti vedere come avrebbe dovuto essere il VA10…
(da una cartella estrae un foglio con uno schizzo di un motore bicilindrico a V, dalle linee pulite e dalle dimensioni evidentemente compatte… )
DM: …questo sarebbe uno schizzo a mano, doveva essere un bicilindrico a V, ad acqua, ma anziché essere di 90 gradi come i motori tradizionali Guzzi, questo è un V a 75 gradi, con il blocco motore ruotato di 10 gradi in avanti, in modo da allontanare le teste dalle ginocchia.
WG: Certo…
DM: e poi la trasmissione finale è a catena perché per una moto sportiva pensavo di non usare il cardano….
WG: Come veniva girata la trasmissione da longitudinale a trasversale?
DM: con una coppia conica all’interno del motore.
WG: Guardando solo il primo disegno penso che questa (indicando lo schizzo) sarebbe dovuta essere la nuova filosofia Moto Guzzi, in linea con le concorrenti.
DM: Sì, doveva essere un po’ la novità, il rilancio perché… il discorso è stato che nel ’96 io sono entrato in Guzzi, in quell’epoca c’era il dottor Sacchi come Amministratore delegato, Ferrari all’ufficio tecnico; l’obbiettivo era quello di costruire una moto iper-sportiva per un uso “Sport Production”, poi stradale chiaramente, e un occhio alla SuperBike.
(Spalanco gli occhi. Mi rendo conto del potenziale economico e creativo ancora presenti in quegli anni, pur difficili)
DM: …ed è nato poi questo progetto…
(estrae un altro schizzo di una moto sportiva carenata, dalle linee piuttosto filanti ed aggressive, il monobraccio, e modeste aperture ai lati della carena che lasciano intravedere le teste del VA10…)
DM: …adesso questo era fatto a suo tempo in cui c’era il monobraccio, in realtà poi la moto doveva venire con il forcellone doppio, da questa parte c’era una capriata (a sinistra).
(altro schizzo riguardante il VA10 applicato sulle linee del telaio a lui dedicato, con relative proiezioni su avancorsa, escursione ruote e geometrie variabili)
DM: …questo è lo schizzo del motore… vedi, 10 gradi girato in avanti, in modo che le teste non possano interferire con le ginocchia, il cambio ad ingranaggi sovrapposti, in modo da ridurre la lunghezza del motore; si è cercato insomma di compattarlo il più possibile.
WG: da questo progetto cosa è stato realizzato infine? Fin dove si è arrivati?
DM: Il motore esiste come prototipo, funzionante naturalmente, è stato provato al banco. Il telaio invece non è stato realizzato perché lo stop è arrivato prima che riuscissimo fare la moto completa.
(Rimango composto, ma mi mordo la lingua dalla rabbia)
DM: Però il motore ha girato circa 70 ore al banco, per vedere diverse cose, come la curva di potenza, ed era partito bene, perché l’obbiettivo era di farne tre versioni: la SuperBike, la SP (Sport Production) e infine una versione più tranquilla, turistica. I tre step di potenza dovevano essere di 110 Cv per la versione più tranquilla, 130 per l’SP e poi l’obbiettivo era di 168 per la Super Bike. Con l’SP, al primo avviamento, siamo arrivati a 134 cavalli e mezzo.
WG: (Sento la mia lingua a brandelli) figuriamoci con un’adeguata messa a punto! (ora si soffre davvero).
DM: Eh, sì. Tant’è vero che la Weber Marelli, quando siamo arrivati a quella prestazione, ci ha comunicato che dovevamo cambiare gli iniettori perché quelli montati non erano più in grado di alimentare il motore per quelle potenze. Poi ci hanno fornito degli iniettori tipo quelli per le Ducati SuperBike per far andare avanti quello sviluppo, e invece ci hanno bloccato in quella fase. Non abbiamo neanche potuto provare quegli iniettori, che sicuramente sarebbero andati oltre.
(Segue un breve silenzio, per evitare che mi mettessi a piangere, rivolgo nuovamente lo sguardo sullo schizzo del VA10)
WG: …anche il percorso degli scarichi è diverso rispetto ai tradizionali Guzzi, è laterale.
DM: Sì, sono laterali, girati di 90 gradi, escono lateralmente. Comunque questi erano gli scarichi utilizzati per il banco, quindi non erano disegnati per stare in un telaio da moto. Questo motore era stato voluto appunto da Sacchi, l’Amministratore delegato, poi, via lui, arrivò Cecchinato, e anche lui spinse per fare questo motore, tant’è vero che l’abbiamo presentato poi… (riflette) nel giugno del novanta… novantanove. L’abbiamo presentato alla stampa a Mandello.
WG: Mi ricordo l’evento. Su Anima Guzzista ho visto le immagini e ho sentito la registrazione… (la sua espressione si fa perplessa: non dovevo forse parlare della registrazione del motore sul banco?)… eh, non mi ricordo in che occasione…
DM: (sorride) beh, in effetti, anch’io ogni tanto vado su Anima Guzzista, e mi ricordo che era uscita la registrazione di quel motore, ed era una delle registrazioni che avevamo fatto durante quella prova… non so da dove…
WG: (sorrido anch’io) dovevo tacere eh?
DM: No, anzi. Però c’ero rimasto, perché era una cosa che si era svolta tra noi quel giorno…
WG: forse l’entusiasmo era tanto anche tra i Guzzisti da volerlo sentire a tutti i costi.
DM: In effetti in Guzzi era molto sentito questo progetto, e c’era molta gente appassionata.
WG: Ma quindi cosa o chi ha decretato le stop al progetto? Motivi economici?
DM: No, beh, lo stop del VA10 è stato dato da Scandellari, nuovo Amministratore delegato, perché secondo lui quest’impostazione non era l’ideale per andare alle competizioni. Ora, siccome il marketing… siccome nel ’96 c’è stata una ricerca di mercato in 4 stati, ed era venuto fuori che la moto sportiva di Guzzi doveva avere quest’impostazione di due cilindri tipo tradizionale, insomma, allora abbiamo cercato di fare questo motore, restringendo la V a 75 gradi per ridurre gli ingombri laterali, raffreddato a liquido per la ricerca delle prestazioni… insomma, un motore moderno. Invece Scandellari riteneva che su una moto sportiva fosse da fare un motore con un’impostazione tipo Honda VTR o Ducati, così siamo passati a progettare il DM10…
(estrae uno schizzo a mano di un motore a V 90 gradi longitudinale, anche questo molto sobrio. Io non resisto alla tentazione e gli chiedo l’impossibile)
WG: C’è qualcosa tra questi schizzi che potrei eventualmente… fotografare?
DM: (in imbarazzo) eh, sarebbe roba riservata…
WG: Capisco, ci mancherebbe… (sigh). Solo un’altra cosa sul VA10: ho sentito molti appassionati sostenere che l’impostazione trasversale dei cilindri non è l’ideale per le competizioni non solo per un discorso di ingombri, ma anche per l’aspetto giroscopico che il volano comporta, non favorevole per leggi fisiche…
DM: (mi guarda con espressione tipo “cxxxo dici?”) Ora ti faccio risentire come girava questo motore… (dal PC apre l’mp3 con il suono del VA10 sul banco. Il motore tuona, aprendo una danza vertiginosa di giri al minuto).
WG: praticamente è come se non ci fosse un volano?
DM: …e calcola che questa era la versione SP, con il volano più pesante diciamo…
WG: non sento neanche un’esitazione…
DM: infatti, e pensa che non era neanche carburato. Erano i primi avviamenti.
WG: comunque ha girato in tutto 70 ore? E dopo?
DM: …e dopo sarebbe seguito il test di durata, di, diciamo, 250 o 300 ore, dove si fanno tutti i cicli per vedere se c’è qualche organo sottodimensionato… tieni presente che nelle 70 ore abbiamo distrutto tre volte l’albero del freno del banco! Il motore era talmente rapido a prendere i giri che l’inerzia del sistema del freno, siccome il banco era per 160 cavalli ed aveva una grossa inerzia, si era rotto tre volte. Quindi l’effetto giroscopico era davvero basso, perché il momento d’inerzia era davvero basso. Fra l’altro, per il fenomeno della coppia di rovesciamento, avevamo fatto un’altra cosa: l’ingranaggio che porta il moto alla distribuzione, aggiungendo massa, creava un effetto opposto per riequilibrare l’eventuale effetto giroscopico del motore.
WG: …una sorta di contralbero…
DM: esatto, anche se la massa non era pari, ma essendo contro-rotante, attenuava l’effetto giroscopico. Poi la frizione, che nei motori tradizionali svolge l’effetto “volano”, qui è laterale a dischi multipli, quindi non influisce sull’albero motore. Quindi su quel discorso lì son solo voci.
WG: Dunque, dopo 70 ore di lavoro com’erano le condizione del motore?
DM: I punti critici potevano essere l’albero motore perché aveva le manovelle disassate per equilibrare le forze di primo ordine. In effetti non si sono verificati problemi, malgrado il motore avesse rotto l’albero del banco e avesse quindi preso delle botte all’albero motore, perché nel momento che viene a mancare il freno del banco i giri del motore partivano alle stelle, quindi nel tempo di reazione per spegnere il banco si son sentiti dei bei fuorigiri. Ma non ha mai avuto problemi né di bielle né di altro. L’unico problema è stato per un errore nostro: un meccanico si era dimenticato di montare un sieger sullo spinotto del pistone, durante uno smontaggio di verifica, e non è successo niente di grave perché lo spinotto è venuto fuori lateralmente, il pistone aveva delle rondelle all’interno e una di queste rondelle si era staccata ed era andata in giro per il motore e si era infilata nella pompa di recupero dell’olio. Ce ne siamo accorti perché l’olio non ritornava più indietro nel serbatoio. Così abbiamo spento il motore e abbiamo controllato. Ma non ci sono stati danni nonostante il motore abbia girato con la biella che si era portata da una parte del pistone. Persino il tendicatena della distribuzione, che era un pezzo prototipale ricavato dal pieno, quindi di qualità abbastanza scarsa, non aveva dato il minimo problema. Insomma, era partito davvero col piede giusto.
WG: I cavalli erano arrivati a 134, 5. A quanti giri?
DM: Noi avevamo dei break-point di mappatura. Con quella configurazione il break-point era fissato a 9700 giri. I 134,5 cavalli erano a 9700 giri. Purtroppo però c’era il problema di portata degli iniettori, per cui il motore girava tranquillamente fino agli 11.000 giri, ma la potenza era limitata in quell’arco di giri. Invece aumentando la potenza… il problema era che non potevamo aumentarla noi perché eravamo già ad un tempo di iniezione piuttosto lungo, che sono 15 millisecondi. Era necessario quindi aumentare la portata degli iniettori e ridurre il tempo di iniezione: di solito si sta dagli 8 e gli 11 millisecondi. Alla fine non abbiamo avuto il tempo per provare i nuovi iniettori, se no eravamo oltre i 140 CV di potenza tranquillamente.
WG: Prima abbiamo accennato al…
DM: …al DM10, sì…
WG: Del DM10 se n’è parlato molto meno, è un motore ancora più misterioso…
DM: (sorride) …sì, era più misterioso perché il DM10 è questo… (mi propone uno schizzo del motore a disposizione longitudinale completato da un bellissimo telaio a tubi nella zona canotto e serbatoio, e a piastre in quella delle pedane, bello e originale )… questo doveva essere un motore a V longitudinale, un po’ del tipo “VTR”, con gli alberi sovrapposti così da compattare il più possibile le dimensioni, e qui la soluzione del telaio doveva essere un po’ questa, mista tubi in acciaio e piastre d’alluminio, infatti volevamo mantenere l’originalità della soluzione.
WG: anche se questa soluzione era destinata ad una moto carenata?
DM: Era prevista anche una versione naked… (mi mostra uno schizzo di una delle naked più belle che avessi mai visto. Non c’era Brutale né TNT che tenessero. Linee affilate e pulite, telaio in vista a tubi e un bellissimo bicilindrico V90 ad acqua; da ciascun cilindro usciva lateralmente un doppio condotto di scarico che si univa per poi proseguire pulito fino al silenziatore) così dava un senso di corposità, poi le pompe dell’olio esterne, il filtro dell’olio frontale, comodissimo da smontare, cioè con tutta la parte tecnologica in vista, con questi due scarichi che andavano in uno, poteva essere una cosa molto grintosa.
(segue qualche secondo di contemplazione…)
WG: Sono senza parole. Sarebbe stata una Guzzi modernissima, mantenendo però certi elementi suoi. Cosa dicevano le indagini di mercato?
DM: Nelle indagini di marketing sono state coinvolte Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Due volevano la versione più sportiva, e altre due volevano una moto di questo livello, per questo è stata pensata anche la versione nuda che, per dire, alla Monster avrebbe fatto senz’altro una bella concorrenza.
(…)
WG: Stavamo dicendo che, dopo lo stop al VA10…
DM: Scandellari aveva voluto questo motore. Però la cosa poteva essere una buona idea, anche per una questione di costi: col DM10 poteva essere anche questa moto (altro schizzo con lo stesso motore ma girato trasversalmente). Utilizzando gli stessi contenuti, l’albero motore, le teste, le bielle, si poteva fare un bicilindrico trasversale a V di 90 gradi, con trasmissione a cardano, che concettualmente ricorda la Honda CX con la frizione anteriore, ma più moderna.
WG: Mettendo la frizione sulla parte anteriore si poteva guadagnare spazio per attaccare un forcellone in una posizione ottimale, e si poteva avere così un interasse accettabile.
DM: Sì, l’interasse infatti doveva essere…(ci pensa un attimo) 1409 millimetri, oltretutto con un bel forcellone lungo, in modo che si può creare una buona sospensione per rendere più confortevole il veicolo. Infatti qui il forcellone veniva tipo 600 mm di lunghezza, una cosa che Guzzi…
WG: …non conosce…
DM: (sorridiamo entrambi)… il motore veniva bello compatto, anche se l’ingombro delle teste laterali c’era, ma trattandosi di una moto turistica… che però (estrae un altro schizzo con lo studio dinamico della moto) poteva piegare fino a 45 gradi con le sospensioni schiacciate a 2/3, che non è male!
WG: Senza aver fatto prove sul banco, perché questo motore è rimasto solo in fase di progetto, a grandi linee come si sarebbe comportato?
DM: Come prestazioni? Non si sarebbe discostato di molto rispetto al VA10. L’unica differenza sostanziale poteva essere che sul DM10 si sarebbe usata una biella più corta, per ridurre gli ingombri. Sul VA10 si montava una biella da 130 mm, sul DM10 era mi pare 124. Una biella più corta aumentava leggermente le forze di secondo ordine, però su un V a 90 non erano poi così elevate. Comunque 124 mm non sono poi pochi: se andiamo a vedere nelle moto da cross giapponesi a 4 tempi, hanno dei rapporti corsa/biella che fanno spavento.
WG: Adesso, in effetti, vi siete concentrati sui motori da cross a 4 tempi…
(Si apre una parentesi sul mondo fuoristradistico, in cui io ho parlato delle mie effimere esperienze nei campetti di periferia con la Gilera NE250, il cui motore era stato progettato in Gilera nell’83 o ‘84, su cui aveva lavorato anche Danilo Mojoli. Era davvero piacevole aver rispolverato un periodo bellissimo, su una delle mie moto più amate, parlando con la persona che ha contribuito nella sua creazione. E lo stesso Danilo Mojoli sarebbe andato avanti a raccontare i suoi anni ’80 in moto, ma ho dovuto riportare il discorso sulle nostre amate Guzzi.)
DM: dicevamo, questo motore l’avevamo anche denominato V-front, perché era appunto disposto in posizione frontale, e come dicevo, tutta la parte ferrosa era la stessa del DM10, ma sostituendo solo le parti in alluminio si potevano ottenere due motori al prezzo di uno e un quarto.
Infatti questa proposta era nata perché Scandellari avrebbe voluto un motore sportivo e uno turistico, ma non c’erano abbastanza capitali da investire.
WG: Sembra incredibile che anche per queste soluzioni sia stato dato lo Stop.
DM: (sospira)… eh, poi è arrivata Aprilia, Scandellari è andato via, e anche questa attività si è fermata per un cambio di strategia.
WG: Oltre a questi progetti, la Mojoli Engineering ha contribuito per la Moto Guzzi anche nella realizzazione delle punterie idrauliche.
DM: Mah, lo studio delle punterie idrauliche era stato fatto da una società esterna, perché con l’avvento di Aprila, si era incominciato a lavorare parecchio con società esterne. Noi abbiamo in seguito lavorato in Guzzi per l’affinamento perché c’erano un po’ di problemini di realizzazione. Alla fine ne è uscito il miglior compromesso. C’è da dire che in fase prototipale i test non avevano più dato problemi. Però ho sentito in seguito che alcuni California avevano dato qualche noia…
WG: In effetti, non si sa se sia un problema di progettazione o di realizzazione, ma in alcuni esemplari rimane facilmente inciso o usurato prematuramente l’albero a camme…
DM: …pressione specifica troppo elevata… però i prototipi avevano superati i test di durata, che simulavano in pratica il ciclo vitale di un motore. Non saprei dare un motivo dei problemi registrati negli esemplari di serie, anche perché dopo il passaggio alla produzione non abbiamo più seguito questa attività.
WG: Se dovesse esserci una nuova apertura e nuove richieste da parte di Moto Guzzi, voi ci sareste?
DM: Volentieri! Se Guzzi decidesse di portare avanti nuove iniziative e rilanciare… noi non avremmo alcun problema insomma.
WG: Riprendereste eventualmente lo sviluppo dei motori che abbiamo visto oggi?
DM: Andrebbero aggiornati. Quando è nato il VA10 aveva un alesaggio e corsa che era un 100×63,6, che poi è stato utilizzato anche dalla Honda VTR, successivamente è arrivata anche Ducati col 100×63,5 e adesso sono arrivati al 104 di alesaggio, quindi sono andati più avanti. I parametri del VA10 erano molto avanti nel ’96, ma parlando del 2004, anzi del 2005, bisognerebbe ritoccare alcune cosettine. Speriamo che chi entrerà in Moto Guzzi rilanci un po’ quest’aspetto.
WG: A proposito, qual è il parere dell’Ing. Mojoli sul futuro prossimo della Moto Guzzi?
DM: Mah, nel ’96 era stato fatto questo ragionamento: la Moto Guzzi ha delle moto tipo California, stava per nascere la V11, ma mancava un veicolo trainante come immagine, mentre Ducati aveva il 916. Quindi il VA10 doveva essere un veicolo dalle alte prestazioni, un motore con tecnologia moderna, da mettere su una moto molto sportiva. Poi da questo veicolo si poteva fare una serie di veicoli più tranquilli, come una naked, e poi continuare con i vari California, che il classico motore Guzzi è un po’ l’ideale per quel genere di moto, magari rivisto in chiave un po’ più moderna, perché ormai sente gli anni del progetto.
WG: Li sente anche parlando del California?
DM: Secondo me sì. Comunque l’importante era realizzare del veicoli un po’ più sportivi e trainanti come immagine, ecco.
WG: La MGS è stato un tentativo.
DM: La MGS è stato un buon “esercizio”, però c’era il grosso limite del motore, che non consente uno “sportivo moderno”. E’ paragonabile ad uno sportivo BMW, ma non ai modelli sportivi che ci sono adesso in giro. Credo che sia necessario che esca un veicolo che faccia concorrenza alla Honda SP2, alla Ducati 999 e cose del genere, per rilanciare l’immagine di Guzzi, che viene ricordata anche nelle competizioni. Il motore tradizionale Guzzi ha dei grossi limiti strutturali, non si può pensare di aumentare più di tanto i giri con un “aste e bilanceri raffreddato ad aria”.
WG: Neanche con la soluzione a camme rialzato?
DM: Quello era il motore Daytona del dottor John, ma ora ci sono in gioco le emissioni inquinanti, i consumi… quel motore ha dei limiti. Pensando al “camme rialzato” anche noi avevamo fatto un studio…
(io spalanco gli occhi per dire “ma quanta roba avete fatto??”, Danilo Mojoli sorride e prende un ennesimo schizzo)
DM: Pensavamo ad un veicolo chiaramente non ad alte prestazioni… perché in quegli anni, nel ’96 o giù di lì, avevamo lavorato veramente tanto. Dopo il VA10, il DM10 e il V-front, avevamo ideato il V12 a due valvole, in cui avevamo pensato alla distribuzione non più a catena, ma ad ingranaggi, svincolando però il comando delle pompe con un’altra coppia di ingranaggi, insomma… Poi abbiamo fatto anche il 4 valvole su questa impostazione.
Avevamo lavorato davvero tanto. Fra le altre cose avevamo pensato anche ad uno studio per una coppa dell’olio con filtro esterno e per una disposizione migliore per l’alternatore.
WG: avevate pensato a qualcosa anche per la serie piccola?
DM: No, per la serie piccola non avevamo fatto niente, anche perché già per quella grossa c’era parecchia carne sul fuoco. Fra l’altro anche le piccole cilindrate avevano parecchi limiti.
WG: Ma se dovesse ideare qualche soluzione al fine di concorrere con classi del tipo Hornet o SV650, a cosa penserebbe?
DM: Eh, a questo punto bisognerebbe arrivare ad un motore raffreddato a liquido, cosa a cui stanno arrivando un po’ tutti, come BMW. Bisogna fare un motore nuovo dopo aver capito cosa il mercato vuole.
WG: Tornando alla serie grossa, la Grezzi & Brian ha sviluppato modelli molto validi come ciclistica e rapporto peso/potenza. Questo grazie all’essenzialità del telaio rispetto al motore, sfruttando quest’ultimo come elemento stressato…
DM: Mah, c’è da fare molta attenzione a fare cose del genere. Io sono sempre stato un po’ contrario a rendere il motore un elemento stressato, nel senso che se il motore nasce con una certa struttura e una certa rigidezza può diventare al massimo semi-portante, ma un motore normale, dove, tanto per fare un esempio, tra gli interassi degli alberi del cambio si dà una tolleranza di più o meno 3 centesimi, se lo facciamo diventare portante vuol dire che tutto il carico che vede la moto viene trasferito, passa attraverso il motore. Allora capisci che una fusione in cui tu imposti una tolleranza di 3 centesimi per avere il cambio che lavora perfettamente, vai a sollecitarla con dei carichi dell’ordine di 400 chili, quei 3 centesimi lì… rischiamo di far lavorare male gli organi meccanici del motore. Quando noi progettiamo gli ingranaggi, cerchiamo di fare tutti i calcoli possibili per avere il maggior scorrimento, per avere una pressione specifica per dente molto bassa e così via; montiamo il cambio calcolando una tolleranza fra gli interassi, se poi ci applichiamo un carico di centinaia di chili si va a vanificare tutti gli studi fatti in precedenza.
WG: Ia ringrazio davvero tanto per il tempo…
DM: No no, per me è stato un piacere fare questa chiacchierata perché abbiamo dato un po’ sfogo ad anni di lavoro intenso.
WG: Già, solo che non riesco a capire se ora sto meglio o peggio, visto tutto quello che potrebbe aver avuto di buono Moto Guzzi, ma ha “goffamente” evitato.
DM: …immagina le persone che ci hanno lavorato. Io ho una persona con cui sono molto legato in Guzzi, che è Panizzo dell’attrezzeria: lui è il capo dell’attrezzeria. Ed è una persona speciale, oltre a Bruno ed Umberto Scola, con cui abbiamo condiviso il progetto e il montaggio del motore, e l’attrezzeria cercava di allineare i vari pezzi, perché i componenti principali venivano realizzati da società esterne specializzate, ma altri accessori venivano realizzati in Guzzi. E dovevi vedere il sig. Panizzo e gli altri che ci mettevano l’anima a realizzare quel motore. C’era una partecipazione eccezionale. E al primo avviamento erano accorsi tutti ed era stata stappata una bottiglia insieme a tutti gli altri che lavoravano in Guzzi, perché da anni non si sentiva girare un motore nuovo.
Andiamo ancora un po’ avanti a parlare della “maledizione” che continua a colpire la nostra Amata. Ma ormai è quasi ora di cena, e ad un certo punto dobbiamo proprio finire la chiacchierata. Esco dal suo ufficio con molta soddisfazione, anche se, a causa della mia inesperienza in campo giornalistico, non sono riuscito a convincerlo a farsi derubare di qualche immagine interessante. Ma è giusto così, Danilo Mojoli ama le sue creature, e ne è giustamente geloso.
Ma al di là della soddisfazione per l’intervista, che ha sicuramente prodotto cose interessanti, mi rimane una strana sensazione di malinconia, sapendo di quante cose buone poteva godere il marchio dell’aquila, e per ragioni ridicole non ne ha avuto modo. Penso a come la gente potesse guardare la sportiva Guzzi con un motore bicilindrico ad acqua, aggressiva, accattivante… prendersi la rivincita su tutti questi anni di illusioni e delusioni. Sicuramente Danilo Mojoli e le persone che hanno lavorato con lui ci credevano veramente, e quei motori sembravano essere ideati davvero bene.
Nei giorni in cui ho travasato a computer questa intervista, la MGS-01 Corsa, nata dalla passione di Grezzi & Brian, allevata da altri personaggi storici del marchio, e voluta anche dalla enigmatica volontà di Ivano Beggio, ha tirato fuori gli artigli nella 12 ore di Albacete. E senza gli esuberanti 160 cavalli del VA10, ma spinta dal buon vecchio ma rivisto 8 valvole del dott. John.
Allora la questione si riapre: se non venisse a mancare la passione, se si attuasse un sano, schietto, lungimirante e neanche fantasmagorico piano di marketing (e devo dire che da De Tomaso in poi è successo di tutto per far affossare il marchio) sarebbe così impossibile vedere la Moto Guzzi tornare a combattere?
Sapete a cosa apparteneva quella biella nella bacheca dello studio di Danilo Mojoli? Era la biella del VA10. Bellissima, pulita, perfetta. Mi piange il cuore sapere che quella biella non sfiderà mai la tortura inflitta dalla manetta delle prossime Moto Guzzi.

 

BARCELLONETTE 2004

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Geronimo e Ilenia Guida

 

….OVVERO , MA LE UOVA SODE COSA C’ENTRANO ??

Siamo negli anni intorno al 1830, l’Europa di allora vive fermenti delle nazioni che la compongono e le grandi monarchie fanno il bello e cattivo tempo sulle spalle della gente comune che deve mettere assieme il pranzo con la cena (come in tutti i tempi d’altronde, fin da Adamo ed Eva…).

Al di là dell’Oceano esiste un altra frontiera che promette ideali di successo e di benessere, un nuovo regno del Bengodi: i fratelli Arnoux decidono così di abbandonare il loro paesello natio a ridosso delle Alpi Francesi e di prendere il mare alla volta del Nuovo Mondo.
Il loro sogno li porterà in Messico dove inizierà per loro una nuova vita, ma mai avrebbero pensato, con la loro impresa, di cambiare il destino di altre migliaia di persone.

Difatti ritorneranno al paese d’origine fortemente arricchiti ed il loro percorso verrà imitato da altri abitanti della zona: una popolazione di 11.000 abitanti assisterà alla partenza di circa 5.000 di loro alla volta del Messico nell’ottica di dar vita laggiù a fiorenti industrie tessili portando il dinamismo e la tenacia tipica delle popolazioni alpine.

Questa in sintesi la storia di Barcellonnette, ridente cittadina a circa una cinquantina di chilometri dal più noto centro di Gap, nella zona bagnata dall’Ubaye, una quarantina di chilometri dopo il Colle della Larche (per i francofoni) o Colle della Maddalena per i piemontesi.

Geronimo racconta che vent’anni fa (la prima volta che si fermò con il suo V35 C) si respirava di primo acchito l’aria “mexicana” (ristoranti con menù a base di guacamole e fajitas, negozi con chincaglieria turchese ed abiti multicolore), mentre oggi di tutto ciò rimane ben poco, soffocato dalla “grande distribuzione” dei Carrefour e degli Ipermarchè.

Ebbene, come non portare un po’ di colore italico e di sano e robusto appetito motociclistico a questa località soggiornandovi dopo un itinerario di sogno fatto di curvoni veloci, pieghe e contropieghe di vario tipo e natura ??

Ed è così che gli “amichetti” di Aste & Bilancieri (una “brigata” di dodici persone tra maschietti e femminucce a bordo di otto rombanti Guzzi) sabato 12 giugno 2004, partono dalla periferia sud di Torino. Ci troviamo alla Loggia (già il nome:-)) … stranamente siamo in orario (beh… inizialmente… poi riusciamo a fare tardi con una colazione veloce all’autogrill). Al ritrovo le facce sono tutte sorridenti e desiderose di iniziare il viaggio… le moto scalpitano, questa cosa mi colpirà sempre: è l’entusiasmo del sapere che stai per vedere cose nuove e di farlo in compagnia di persone con cui stai bene e ti diverti. L’itinerario prevede km prima fino a Cuneo, abbandonando la troppo trafficata SS 20, per dedicarsi a più sane stradine alternative (non ce n’è uno di loro che rinuncerebbe ad una statale per un misero tratto di autostrada) e poi alla volta di Vinadio.

Qui ci fermiamo per il pranzo in una bellissima area attrezzata. Vinadio è conosciuta per le terme e per l’acqua minerale e le mura che la circondano sono stupende…
L’ing. stranamente non ha i panini con sè questa volta 🙂 in compenso c’è da stupirsi dell’organizzazione di questa che, a vedersi, sembrerebbe una banda di sciammannati all’avventura… LuPirata ha un kit da “rancho” a cui mancano probabilmente solo le bacchette cinesi e da buon amante di cibo e vino prepara manicheratti pronti a condividere con tutti… Ube e Frida hanno addirittura fette di pane differenziate “lui e lei”… Luca e Simona hanno addirittura la borraccia!!

Diventa molto difficile condensare in poche righe l’atmosfera goliardica che ormai è nata e cresciuta tra di noi: via via che i chilometri percorsi dalle nostre amate moto aumentano, emergono sempre di più i nostri caratteri, ci si intende al volo da uno sguardo degli occhi o da una battuta, segno che la moto è molto di più di un semplice mezzo di locomozione, è un “transfert” di emozioni e sensazioni.

Se andare ad un “raduno” significa semplicemente cercare altri “malati” come noi e “stazionare” in una località per un certo numero di ore, un week-end come questo è molto di più: il percorso è stato concepito per “gratificare” il mototurista godendo di curve e panorami magnifici (il lago di Serre Poncon con le sue “madamoiselle” di pietra sono ASSOLUTAMENTE da vedere, così come il Parco Naturale del Queyras), ma sono le varie tappe, le varie esigenze di ciascuno di noi lungo il viaggio che ci fanno CONOSCERE veramente.

Un tempo estivo bello caldo con un cielo azzurro da favola ci accompagnerà all’andata e ci dovrà (ahimè) scaldare per ambedue i giorni visto le temperature “polari” che dovremo subire il giorno successivo.

Dopo un sabato sera passato a gustare le “delizie” francesi e messicane in un ristorante sulla piazzetta di Barcellonnette, con la compagnia del cuoco (naturalmente l’immancabile napoletano emigrato), la stanchezza si fa sentire e si cerca il meritato riposo, chi in tenda e chi in un bed & breakfast fuori dal centro. Che non si sia proprio in pianura lo si capirà di notte… le nostre tende e sacchi a pelo pur confortevoli nulla possono contro il freddo polare e l’umidità del vicino fiume: mi sono messo addosso tutto il “mettibile”, ma il freddo non passava… al mattino sembravo uno dei “poverelli” di “Miracolo a Milano” che si riscalda cercando il “raggio di sole” tra i pini…

Ma è solo l’inizio: il cielo si rannuvola, il vento ci fa presagire che sarà un ritorno sofferto anche se le nostre moto saranno più veloci e si lasceranno il brutto tempo a Barcellonnette per godere del percorso che circumnaviga il bacino artificiale di Serre-Poncon dove il polso destro, inevitabilmente, si lascia andare… (bella sparata dove i bicilindrici danno il meglio di se’…

Ripartiamo con meta Briancon, ma durante il tragitto la “sfortuna Guzzi” colpisce come sempre (eheheh, verrò punita per questa battuta, ma è pur sempre una piccola rivincita per il mio povero TU)…
La “vittima” questa volta è Christian, con la sua Guzzi supermodificata che perde il bulloncino del rinvio del cambio (personalmente ora so che esiste!) e rimane bloccata sui tornanti in terza…
Mentre lo stesso Christian inizia un tentativo di riparazione sotto l’attenta consulenza di MotoUbe, arriva il “mitico” Davide detto ormai “lingeniere” (sì, scritto così… per celia…) che, visto il danno, afferma: “…e che problema c’è, basta cambiare il bulloncino !” – “sì, bisognerebbe averlo” dice Geronimo… “appunto”… e “lingeniere” materializza dalla tasca di Eta Beta del suo Nevada 350 il bulloncino apposito, un rinvio del cambio, apposita chiave a tubo, etc… etc… insomma un’officina ambulante perfettamente attrezzata…

Ecco, Aste & Bilancieri vuol dire anche questo… la serena flemma di Davide, la capacità di tour leader di Luca, la voglia di fare chilometri di Christian ed Ermanno, la sana goliarda e generosità di Lupirata, la simpatia e l’affidabilità di Superbiondina, il savoir faire del mitico Geronimo… e tutte quelle caratteristiche personali di tutti che si “impastano” in quello che è l’obiettivo comune: la voglia di divertirsi andando in moto…

Dopo Briancon e le meritate crepes ben innaffiate di sidro (sia brut con la crepe saleè, vuoi doux con la crepe sucreè… come vuole l’etichetta) ci attende il ritorno in Italia e quindi… la pioggia, il freddo, insomma un ritorno all’autunno… quasi a voler mettere il suggello umido a questo week-end che ha visto di tutto e di più… ci lasceremo a Susa, ognuno per fare ritorno alle proprie casette… ciao amichetti…

E le uova sode cosa c’entrano ?? C’entrano, c’entrano… ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo SOLO se uscirete con gli “amichetti di Aste & Bilancieri”…

“Grazie ancora a Geronimo per la disponibilità e per il suo splendido modo di raccontarci…”

Gadget

VI SEGNALIAMO