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Lo Staff in pista al Mugello!

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di Alberto Sala

 

La tentazione era troppo forte. “Fange, che dici se, gia’ che siamo li’, ci facciamo due giri in pista?”

“Ma c’e’ posto? Ma quanto costa? Ma non so se ho le gomme adatte… ho il gomito che mi fa contatto col ginocchio… OK, d’accordo, ci sta pure il Tatuato”.

Prenotare dei giri in pista, soprattutto su una pista ‘adulta’ come il Mugello da’ una strana sensazione. Man mano che si avvicina il giorno fatidico si passa in tre nanosecondi dall’euforia alla strizza, dal sogno di vedere per primo la bandiera a scacchi (anche se non e’ una gara) al pensiero che forse la passione per le farfalle turkmene sarebbe piu’ salutare alla nostra eta’ (intendiamoci: siamo categoricamente giovanissimi: e’ l’anagrafe che ci rema contro), e cosi’ via. D’altra parte, avendo programmato il nostro meeting dello staff al mitico Villino la Quiete (sede del nostro grande incontro di primavera) gia’ avevamo ‘allargato’ a qualche eccezionale ospite, per cui tant’e’, facciamoci del male e andiamo pure a farci umiliare dai missili terra-aria giapponesi. Ci avrebbero nel caso sorretto moralmente Claudio e Peppe di CPRacing, presenti casualmente pure loro con i loro 1100 Sport coi famigerati telai accorciati.

La mattina del fattaccio ci presentiamo clamorosamente in ritardo al primo turno, quello delle 9,20, cosi’, con la trachea ustionata dal cappuccino ingoiato a razzo e con le bricioline di brioche sui baffi eccoci al cancello di partenza, dove abbiamo pure la faccia tosta di appiccicarci l’adesivo numerato per essere immortalati dal fotografo del circuito. Siamo giunti talmente di fretta che la gente non ha fatto in tempo a sbigottirsi della pattuglia Guzzi (Fange/Le Mans, Alberto/Centauro, Andrea Tatuato/SP2 abilmente cammuffato e Mauro Iosca/V11 Sport) che gia’ entravamo in bagarre. Le condizioni meteo e la pista erano splendide, ma dopo poco due missili si cocciano alla Materassi lasciando una simpatica strisciata d’olio, per cui bandiera rossa. Attendiamo di nuovo il via, e mi sorprendo molto tranquillo. E’ proprio vero che la tensione pre-turno e’ spesso esagerata, perche’ di fatto girare in pista e’ molto meno pericoloso che su strada. Vedo pero’ Mauro stranito: “non mi trovo, mi mancano punti di riferimento”. “Ma ci sono i cartelli prima di ogni curva” gli replico. “Si, ma mi mancano le case, il guard-rail, o che so, le auto, eppoi perche’ si procede a senso unico?” Sono costernato. Realisticamente pensavo di fare il turno dietro Mauro Iosca ‘copiandolo’, vista la sua determinazione su strada… Bandiera verde: si riparte! Mi accorgo che il turno e’ tranquillo: non solo sono pochissimi quelli che ci doppiano, ma perdippiu’ io e Fange ci ritroviamo tra il cardano alcuni piu’ chiodi di noi. Mauro lo raggiungo tra la prima e la seconda Arrabbiata dove lo supero agevolmente, non per merito mio ma perche’ sbaglia clamorosamente traiettoria. Andrea poi e’ uno sciagurato: nonostante gli avessi spiegato insistentemente che non deve mai guardare gli specchietti ma deve preoccuparsi solo di fare le sue traiettorie, che sara’ cura di chi sopraggiunge a pensare a come superarlo, lo peschiamo intento a lasciarci passare rallentando vistosamente e allargando. Manca solo che ci stenda il tappeto rosso. Sara’ cazziato pure dal visagista che manco correva, essendo appiedato.

Insomma: restiamo io e Fange.

Il quale, alla facciazza dei dubbi sulle gomme sta molando come un fabbro, seminando frattaglie di pedane e cavalletti. Quel bastardo se ne fotte (giustamente, mica come me) che e’ il primo turno, quello per prendere le misure della pista e ‘scaldarsi’: mi infila impietosamente in staccata, e se non fosse per i miei scalpitanti equini (una doverosa parentesi: a meta’ rettilineo d’arrivo il contagiri mi sorprende con 9500 giri e un clamoroso fondoscala al tachimetro, stando a trequarti di gas!) e per quelle rarissime curve dove sono piu’ rapido (Arrabbiata 2) lo vedrei col binocolo.

All’ultimo giro l’epilogo: mi ritrovo avanti a meta’ giro, sempre alle prese con un hondato 600 lento come la mia nonna in curva ma ovviamente razzo in rettilineo, cosi’ mi rallenta di continuo, e in piu’ all’ultima curva trovo pure un ducatozzo spaventosamente potente e alleggerito ma condotto da un vero chiodo. Io, manco fossimo su strada, rispetto il divieto di sorpasso in curva (temo sempre che il chiodo, vedendosi sorpassare all’esterno dia brutalmente gas a meta’ curva finendo a farfallle col sottoscritto), mentre Fange se ne fotte, e si esibisce in uno spettacolare sorpasso esterno al sottoscritto, alla Honda 600 e al 998, e sia pure per un pelo di martora giunge primo sotto la bandiera a scacchi. Beh, che dire? Lottare contro un Mistero Gaudioso non e’ mica facile, eppoi mi restava il turno del pomeriggio per attuare la mia vendetta.

Ma ecco che la sfiga ricorda a tutti che ci vede da Dio, e esattamente alle 17,34:17 (sei minuti prima del nostro turno) comincia a piovere. Entriamo in pista con la speranza che smetta, e in effetti succede: per la precisione tre minuti dopo il nostro turno. Io e Fange incazzati come sei bisce eravamo gia’ fuori da meta’ turno. Andrea invece tiene duro (d’altra parte non e’ che la sua condotta sia molto rischiosa) e si fa tutto il turno. Il suo commento finale: “avevo pagato tutto il turno, ecchecazzo”. “Joey” Iosca, mutilato al primo turno alla freccia anteriore sinistra per via di un’escursione nella sabbia (“non c’era la riga di mezzeria”) sentenziava che si trova molto meglio su strada. Un’altro Dunlop.

Malefica pioggia. Fange potra’ vantarsi di avermi battuto in pista, Andrea mi sfotte per essermi ritirato a meta’ del secondo turno, “Joey” Iosca non pervenuto, e in piu’ Goffredo e la fotografia dimostrano di essere fratelli di sangue come La Russa e Yossour’n’Dour (cosi’ le uniche foto ‘dinamiche’ sono quelle a Claudio e Peppe :-(( ). Pazienza, in fondo ci siamo divertiti come bambini (che peraltro siamo, si fotta l’anagrafe) sia in pista che al paddock con la presenza di Claudio e dei suoi amici, che oltre alle smodate chiacchiere ci hanno offerto la provvidenziale ombra del loro tendone, per non dire poi del resto della compagnia sopraggiunto al pomeriggio (Stefano Indaco con due graziose fanciulle, Sandra e Federica, ognuna con la sua moto. Eppoi abbiamo aggiunto un po’ di ‘colore’ al solito paddock fatto sempre da erreuni, cibierre, prefissi telefonici bolognesi e erreessevi. Oddio, a dire la verita’ c’erano anche due bavaresi kittate, con borse e baul… ok, scherzavo :-p

E’ bella la pista. Chissa’ che questa esperienza non possa avere un seguito, magari con tutti gli amici di Anima Guzzista…

 

POST SCRIPTUM

Innanzitutto grazie alla splendida compagnia, con menzione speciale per le simpatiche Sandra e Federica, che si sono adattate alla sporco gruppo guzzista magnificamente. Due sante.

Poi e’ da ricordare la strada tra Sasso Marconi e Pianoro, fatta di strane curve a raggio variabile e in piu’ in saliscendi, che mi sono gustato particolarmente al ritorno (eeh si, quanto conta l’allenamento), oltre alla Raticosa e Futa fatte da Bologna (nell’altro senso l’asfalto e’ terribile).

Ma non solo: qualsiasi strada sull’appennino tra Emilia e Toscana sembra il paradiso. Ce ne sono da perdersi. Lo dico col rimpianto di un lombardo costretto a vivere nella regione piu’ intasata e sciagurata. Vale la pena spararsi anche sessanta km di autostrada pur di raggiungere un po’ di pace sull’appennino.

Da ricordare pure la casuale scoperta di un ristorante che, come dicono gli inglesi, ‘fa esattamente al caso nostro’. Non so se rende l’idea la foto della fiorentina di brontosauro. Un ristorante di classe ma non classista: ci hanno servito e riverito anche se al passaggio lasciavamo la consueta scia di olio. Approposito (un minuto di silenzio, per favore):

non ci crederete, ma il Centauro di Indaco ne ha combinata un’altra. Meno male che e’ stata risolta abilmente. Io ci scriverei un libro. Da urlo invece l’accrocchio di Fange al suo Le Mans per risolvere la totale perdita del lubrificante dal circuito di sfiato: un bel tubo d’irrigazione verde che sfogava in una bottiglietta in prezioso PET del the’ con tappo arancione, piazzata a lato del semimanubrio destro. Hanno riso anche in Afghanistan alla domanda dell’esperto motociclista sul Giogo alla vista dell’accrocchio: “E’ il raffreddamento a liquido, vero?”

Victoria!

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C'è un minchia che sta dalla parte sbagliata con la macchina fotografica.

6° TROFEO DECCLA CARTAGENA, gennaio 2004

Testo di Goffredo. Foto di Luca Innocenti e Maurizio Pesenti. Filmati: Luca Innocenti

Bar Ristorante del Circuito di Cartagena,
Venerdì 23 gennaio 2004.

Mauro è appena sceso dal suo turno di prove libere del pomeriggio, finalmente la forcella va bene ma non c’è tempo per gioire che la causa del ‘rumorino che non mi piace’ lamentato da Mauro, è presto scoperta: collettore di scarico destro crepato.
Mauro “Abba” è rassicurante: “tranquilli, appena si fredda la saldiamo”. Approfitto del momento di pausa per prendere il laptop di Alberto ed eccomi seduto al bar del circuito (sì, ovvio, all’aperto: ci saranno 25 gradi oggi…) a scrivere queste note.

Possibile che ieri pomeriggio in quel di Malpensa fossimo a –2? Mah! Come diceva Hemingway “Non sono nato in Spagna ma non è stata colpa mia…” Guardando il cielo azzurro, cercando di non far sbriciolare il bocadillo quèso y hamòn sulla tastiera, mi trovo molto ma molto d’accordo col grande Ernest…

Ma procediamo con ordine, per quanto possibile. La cronaca dettagliata del viaggio di avvicinamento del Minchion Team a Cartagena ve la risparmio, uniche note degne di menzione il “uh, Madonnina Santa dell’Addolorata”, uscito con un filo di voce dalle labbra di Tiziano, più a suo agio su un Daytona che impenna piuttosto che su un Airbus al decollo ed un paio di espressioni in caratese-apriliese inintellegibili all’orecchio umano (qualcosa tipo: anved-ustialavà-chezinn-chelà) risultato dei commenti incrociati di vari brianzoli e del Tatuato sulle modelle delle pagine della rivista Moto Extreme…

Va invece segnalata la velocità di crociera, stimata intorno ai mach3, dei due poderosi vans (dire furgoni non fa fico…) affittati a Valencia dal Minchion Team. Sì, ben due vans e non una semplice macchina a nolo, visto che a forza di “quasi quasi vado anch’io a fare il tifo per quei minchioni” ci si ritrova in 14 a Malpensa!
Saltiamo tutto questo, l’arrivo in notturna al Manolo Hotel, i nuovi record di russata stabiliti, le docce del mattino che durano 5 giorni o 5 minuti a seconda del lato della porta in cui ci si trova ed andiamo senza indugi a bordo pista.

Sono in questo preciso istante le 17,46 e tiriamo i primi positivissimi bilanci:
la moto va molto bene e le varie sessioni nelle quali si sono succeduti Roberto, Mauro ed Alberto sono state messe a frutto in maniera impeccabile: ad ogni turno, Tiziano e Bruno ascoltavano i vari commenti ed intervenivano apportando le dovute correzioni. Non succede nulla di trascendentale se non un problema di assetto dovuto alla forcella che non ne voleva sapere di fare il proprio dovere. Alla fine, una volta smontata, ecco che viene individuata la responsabile: una ranella di diametro insufficiente che, anziché tenere a bada la molla al suo posto dentro lo stelo si divertiva a tuffarcisi dentro. Sono cose che le ranelle a posto non fanno. Una veloce visita al box a fianco e la ranella del diametro giusto è recuperata. Aggiungiamoci anche un rabbocco miscropico con un olio leggermente più denso (classico caso di effetto-placebo in pista) ed ecco che la riparazione è fatta: i tempi spuntati dal nostro trio nei turni successivi dimostreranno la bontà dell’intervento: dal 2,08 spuntato da Roberto al mattino si passa all’ottimo 2,04 inanellato da Alberto nel pomeriggio. Ma ecco che ripiombiamo in medias res con Alberto che non solo mi porge una bibita (grazie) ma mi confida scuotendo la testa che non c’è solo uno scarico da saldare ma anche un alternatore da recuperare visto che quello della moto è in briciole.
Può il vostro cronista continuare impassibile di fronte ad una così ferale notizia? Riusciranno i nostri prodi a sistemare la moto per domani?
Staremo a vedere. Per adesso, godetevi la prima carrellata di immagini mentre io torno al box per saperne di più.

Aeroporto di Valencia, Domenica 25 gennaio, ore 23,25.
Mmm… Vediamo… E adesso da dove proseguo? Sono qui mezzo stravolto che attendo l’aereo e so – uh se lo so – che il Minchion Team ha vinto, ma che cronista sarei a cominciare dalla fine? Fortunatamente non sono un giornalista, quindi proseguiamo come ci pare. La marmitta viene riparata nella notte, l’alternatore viene sostituito e sabato mattina il Minchion Team si trova una moto perfetta per le prove e le qualificazioni. La sessione è bella pimpante e il Minchion Team spunta un buon tempo che gli vale il 13° posto in griglia su 45 partenti. L’onore della partenza, in puro stile Le Mans, col pilota che deve fare una corsa verso la moto sapientemente tenuta accesa dal meccanico tocca a Mauro. Il Dottor Iosc parte benissimo passando almeno tre partenti di slancio. Il rombo di quaranta moto diventa musica, sigla, sipario: si comincia!
-Come? Chiamano già il nostro volo? Ah, va bene, allora il report lo continuerò da casa. Eccovi intanto le foto della partenza e dei primi giri.

Parigi, Martedì 27 Gennaio

Mi sforzo di non pensare alla neve che ho trovato a Milano e a Parigi e ritorniamo al sole di Cartagena.
La gara è iniziata ed il Minchion Team veleggia tranquillo tra il 16 ed il 14 posto.
Su tempi inferiori anche di 10 secondi a giro (!!) i piloti dei Team GuzziMoto Box e Classic Co portano avanti la loro battaglia personale per la vittoria: vederli sfrecciare in sella a potentissime e bellissime Guzzi è una grande emozione.
I piloti si alternano alla guida secondo i ritmi suggeriti da Tiziano. Visto che siamo qui per divertirci, più o meno questo era lo spirito iniziale, facciamo tanti cambi così vi divertite senza stressarvi e in più teniamo in carica la batteria. Che spettacolo vedere Stefano e Sergio procedere al rifornimento mentre Tiziano con dei cavetti metteva in carica la batteria. Il tutto ovviamente mentre un pilota scendeva ed uno saliva! Ma in una gara di Endurance tutto può succedere, anche che la dea bendata decida di prendersi cura di un Team in maniera speciale. Che Omobono stesse intercedendo per noi, iniziamo a pensarlo al sessantesimo giro quando Roberto, trovatosi in staccata impegnato in un sorpasso molto ostico nei confronti di un avversario che a chiudere il gas non ci ha pensato proprio, si è trovato costretto a pinzare troppo tardi e completamente fuori traiettoria. Il più classico dei classici dritti a fondo rettilineo risultava inevitabile. Ma tranquilli, non solo Roberto non cade ma riesce anche a non far spegnere la moto e terminate le sue sabbiature rientra in corsa.
Ma che dico rientra? Risfonda! Ignora il cartello BOX e in tre giri infila una progressione della quale noi parleremo un giorno ai nostri nipotini: 2:04; 2:02; 2:00!!! Il giro in due minuti netti gli varrà il titolo di Fastest Minchion on Earth per questa edizione. Sull’onda dell’entusiasmo gli altri due Minchion Riders spingono come forsennati. I tempi dello scorso settembre sono un pallido ricordo ma persino i tempi dell’ultima sessione di prove libere ormai vengono stracciati sistematicamente.
Quando ogni tanto ci scappa un 2:05 per il quale ieri sarebbe partita la ola, adesso a bordo pista si commenta: “mah, avrà trovato dei doppiati…”
Omobono, non pago di autare il Minchion Team, ci mette del suo nel visitare gli altri box… Una dopo l’altra le due moto del Classic Co si ritirano, fermate da problemi meccanici. Altre scuderie non si ritirano ma sono costrette a lunghe soste ai box per ovviare ai problemi più diversi: c’è chi è caduto e non può ripartire perché la moto va ma mancano le pedane (!) c’è chi ha qualcosa che non va nel cambio e sarebbe pure una cavolata ripararlo ma bisogna aspettare che si freddi e così via. Stremata da cadute e sbuffi d’olio si arrende anche la velocissima Guzzi del Team Valentini di Roma.
In questo scenario, le operazioni al Box del Minchion Team appaiono perfette e sincronizzate come un’orologio svizzero oliato al Motul.
Intanto il cronomentro ci conferma che le terribili Ducati NCR e Honda Bol d’Or, rivali dirette di categoria Open continuano a rimanere inesorabilmente dietro…
Porque nosotros valemos!

Ad un certo punto si ritirano anche le pompatissime Guzzi del Team Segarra!!! O cacchio ma allora…
Ci casca l’occhio sul monitor: primi di categoria e terzi assoluti. In un momento di lucido realismo chiamo Andrea per fargli filmare il monitor: “hai visto mai, dovesse andar male, potremmo sempre dire che, per un attimo siamo stati primi…”
Ma non servirà il filmato… la moto continua a viaggiare che è una bellezza. Bruno l’ascolta passare e commenta: “canta ancora bene”. Tiziano impone una nuova strategia con cambi meno frequenti. Alberto e Roberto tentano di opporsi alla foga del Team RD (non mi ricordo il numero) bloccato per molti minuti ai box e che ora corre verso il podio con due moto indiavolate da 1:55 a giro: è una lotta impari ma che contribuisce a mantenere dei ritmi serrati. Alberto vola tranquillissimo su medie impensabili solo ieri e Roberto si giustifica di un 2:03: “scusate se ho rallentato ma avevo perso una lente!!!”.
A Mauro invece tocca l’ultimo turno. Non riusciamo ad approfittare del cambio ai box in contempranea con la RD che occupa la quarta posizione per passarle davanti, quindi per Mauro adesso si tratta “solamente” di mantenere la posizione, non farsi passare e soprattutto portare la moto oltre la bandiera a scacchi. Ai box siamo ormai dei camaleonti con un occhio alla pista ed uno al monitor. Siamo sempre primi di categoria, quinti assoluti; attaccare la Yamaha per il quarto posto assoluto è follia, difendere il primo posto di categoria un’ordine! Mancano tre minuti, due, uno, ci siamo, Mauro è sempre lì, eccolo eccolo!!!
VICTORIA!!
E adesso, che cominci la fiesta, la premiazione, i balli e poi i saluti e l’arrivederci a settembre sotto il segno del bellissimo motto del Classic Co:
In velocitate gaudium!


Ringraziamenti vari:
ho vissuto una splendida esperienza ad un prezzo inferiore di una vacanza tutto compreso a Cesenatico. Ma non sarebbe certo andata così senza:

Mauro Abbadini.
Un mito. Chi ha provato ad organizzare eventi sa quanto sia difficile essere sempre disponibili ed attenti alle esigenze di tutti. Sono orgoglioso, e so di scriverlo a nome di tutti, di vedere il nome Anima Guzzista su una sua moto.
A lui, a Miguel Angel, ad Alberto ‘Teto’ ed a tutto lo staff Deccla di nuovo mille grazie e complimenti.

Bruno Scola e Tiziano Di Castri.
Senza farla troppo lunga: vederli all’opera su delle moto da corsa è un privilegio. Se poi solo si capisse quello che si dicono…

Corinna e Stefano.
Rispettivamente Cronometrista e Addetto al Rifornimento ufficiali del Minchion Team. Corinna non ha sgarrato di un millesimo in cinque ore di rilevamenti e Stefano ha quasi sempre tolto il tappo prima di versare la benzina.

Andrea Kubrick Tatuato.
Lost in Minchiation, il suo documentario-musical sull’evento sarà probabilmente selezionato per gli Oscar 2004. Da non perdere la “Ducati Dance” e “I consigli di Andrea a Tiziano su come vincere una gara”.
A breve in edicola.

Albi “e poi, e poi, e poi” Arnoldi.
Il filosofo del box. Gran conversatore fino a che non vi si addormenta in grembo nei pub di Cartagena. Aspettiamo con ansia il suo report.

Maurizio du Madagascar, Sergio e Remo.
Fornitori ufficiali di arance ed altre delizie ai Box. Senza quei biscotti alla fragola(!?!) probabilmente la gara sarebbe andata diversamente.
Maurizio è stato inoltre il fotografo ufficiale del Minchion Team e Remo il sommelier del box, visto che lui la benzina non la versa, la decanta. Pare sia stato visto anche assaggiarla…

Luca.
Come fotografo e cineasta non delude le aspettive. Quando tocca a lui fare la doccia e dice:“fra cinque minuti esco” delude le aspettative.

Alberto – Business as Usual – Sala
Mauro – Perché io testo – Iosca
Roberto- due zero zero – Masperi
Perché loro valgono.

G.
PS: Miguel Angel, por favor, para settembre basta con las favas. Gracias.

(per i filmati occorre Quicktime)
GALLERY

RASSEGNA STAMPA SoloMoto

Ode ai trionfatori di Cartagena
di AleCafè

Pistoni, circuiti, curve e motori
Io canto di color ch’in terra Ispana
Con gesta che qui ognun di fare brama
Andaron, e tornaron vincitori
Non pugna, nè un Gano traditore,
non mori da buttare dritti in mare
Ma curve con il cuore da affrontare
Per risultare infine vincitore!
Eroi Guzzisti, cuore puro e forte
Si gettan nella mischia della pugna
Vassi chi corre, alcuno mugugna:
Tal’è somma armonia in quella corte.
I prodi sono tre come si suole
Dai nomi altisonanti e nobiliari,
Ma i visi sono a tutti familiari
Qual fossero compagni delle scuole
Alberto dai baffetti assai pungenti
Si tuffa a destra e a manca senza pena
Affronta curve in quinta e in sesta piena
Sa infliggere sconforto e patimenti
Ser Iosca col suo fare assai preciso
Gareggia come in punta di fioretto
Lo stile suo s’è fatto più perfetto
Il suo proceder sempre più deciso
Ser Masperi non ci ha certo sorpresi
Il cranio suo viril è chiaro segno
Di gran capacità e duro impegno
Per per l’avversari render sempre lesi
Che dire poi di quei che di scudieri
Han preso posto, e fanno buona vece
Che tra un “porcone” ed una santa prece
Motori e cambi rendon sempre fieri?
Parrebber relegati a sorte oscura,
Ma torto gli faremmo e pure grosso
Se ai tre dessimo carne, e a lor sol’l’osso
Per l’esito della grande avventura!
Orsù citiamo i nomi e facciam festa
Diciamo di Ser Scola e di Tiziano
Si canti il nome loro in modo piano
Si renda la lor opra manifesta!
E poi come scordar tutt’i restanti
Citarli mi sarebbe un poco ostile
E non perchè io voglia sembrar vile
Ma invero non conosco tutti quanti!
Dirò soltanto chi m’è manifesto,
E spero che nessuno si risenta
Se in seguito qualcun mi si presenta
D’aggiungerlo alla lista sarò lesto
E allora che si parli di Goffredo
Che in terra di Lutezia vive ed opra
La gloria sua tutta la Francia copra
E pure Italia tutta se ben credo.
Il prode Andrea dal cuore puro e forte
Da sè si dice scarso di pisello:
Tatuossi sulla schiena l’uccello
Di Guzzi, che ci porta buona sorte.
Nomar m’è d’uopo di Ser Abbadini
Ch’un di conobbi in terra Ambrosiana
Persona mi sembrò ben saggia e piana
Di gusti signorili e sopraffini
Ma il tempo sopraggiunge della pugna!
Deh cavalieri dai ferrei cavalli
Le nobil terga coperte dai calli
Copritevi! Che già la moto rugna!
Gli scarichi, a guisa d’Olifante,
Già sparan fuoco e fiamme con gran possa
La moto colorata nera e rossa
Ha l’aria d’averne viste già tante.
Coraggio, vi si chiede di lottare
La Nike, donna, assai è capricciosa
Un giorno di quà, di là poi si posa
Sta a voi cercarla per poi ben trionfare!
Le ore scorron leste e coinvolgenti
La zuffa si ripete senza posa
A turno uno combatte e due riposa
La sorte arride ai tre nei loro intenti!
Han vinto! Sia giubilo e tripudio!
Si suonino le squille senza sosta
I tre brandiscon fieri la gran posta
E relegano gli altri al gran ripudio!
Chi ha perso con le pive dentro al sacco
S’en torni da dov’era mal venuto;
I tre con far più o meno astuto
Han dato a tutti quanti il matto scacco!
Ritornano gli eroi d’Andalusia
Han vinto con le moto di Mandello
Il premio del metallo ch’è più bello!
Di casa ormai riprendono la via.
Ritornano in Italia vincitori
E narrano le gesta a chi è rimasto
Ci narreranno di quel fiero pasto
Che si son fatti d’altri corridori
Li accolgano le squille a perdifiato
E forse anche una salva di cannoni
E se saranno veramente buoni
Il vino gli offrirò freddo e stappato.
I calici leviamo fino al cielo
Beviamo lesti il nettare di Bacco
E poi ridiamo insieme dello smacco
Ch’agli avversari ha ben bruciato il pelo!

 

© Anima Guzzista

Firestarter Garage

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di GianJackal

 

Pescara, sabato 13 dicembre 2003

Il nickname FunBoy non vi dice nulla? Ma lo abbiamo visto firmare tanti post sul nostro Forum! E se ci fate caso le iniziali “F.B.” sono le stesse di un certo Filippo Barbacane che realizza da alcuni anni nella sua officina a Pescara delle eccezionali special su base Guzzi. Ancora niente? Nomi come Kimera,Ciclope, Bellerofonte o FSG004 non vi aiutano? Ma allora siete proprio dei casi disperati!
Eppure sono sicuro che questa foto vi rinfrescherà la memoria… no Alessandra, non l’ho scattata io, magari… no, ehm, dicevo “magari” così per dire… no Alessandra, metti giù il ferro da stiro, no… ARGH!
A parte gli scherzi, era da tempo che volevo andare a trovare Filippo nel suo “atelier”, per parlargli di una special su base California (la MIA California, ovviamente…) e per fargli un’intervista a nome di Anima Guzzista.

GianJackal: Breve storia del Firestarter Garage…

FunBoy: La cosa è iniziata 10 anni fa, più o meno. Il nome deriva dal fatto che il firestarter – il pulsante d’accensione – è il punto da dove inizia tutto e il garage perché i primi lavori li facevo proprio sotto il garage di casa mia. Prima di aprire il Firestarter Garage facevo un altro lavoro e la moto era solo una passione. Poi una mattina mi sono svegliato, m’ha preso male e mi sono messo subito a cercare un locale, ho trovato questo, il giorno dopo l’ho affittato e ho incominciato a lavorarci dentro. È stata proprio una cosa di getto… prima mettevo le mani sulle moto solo per me o per gli amici e la cosa finiva lì.

GJ: che lavoro facevi prima?

FB: Niente di particolare, sono sempre stato con mio padre, ha un negozio qui a Pescara di tutt’altro genere. Ma io quel lavoro non lo volevo fare, preferivo avviare un’attività che riguardasse una delle mie due passioni: la moto o le arti marziali, che pratico ed insegno da una vita. Quindi dovevo scegliere tra aprire una palestra o un’officina: sapete bene come è andata a finire!

GJ: Da chi hai preso la passione e le nozioni necessarie per mettere le mani sulle moto?

FB: Da nessuno, per quanto riguarda la moto, assolutamente da nessuno. Ho imparato tutto sfogliando quelle poche riviste che esistevano dieci anni fa, in pratica quasi inesistenti. Prendevo il seghetto a mano, vedevo le altre moto che erano corte, tagliavo il telaio e poi pian piano cominciavo a realizzare cose belle. Poi magari l’amico che faceva il fabbro ti diceva “guarda, che così non si taglia, fallo così…”, un altro amico che ti dava un’altra dritta e così via. Comunque io ho sempre avuto il brutto vizio che qualsiasi cosa vedevo fatta da qualcun altro, dovevo dimostrare a me stesso che ero capace di farlo anch’io. Mi succedeva anche spesso e volentieri di aprire un catalogo, vedere un pezzo che costava 100.000 lire e non lo potevo comperare. Allora mi dicevo: due sono le ipotesi, o mi invento qualcosa per procurarmi i soldi o il pezzo me lo faccio da solo!

GJ: Le tue prime realizzazioni come erano?

FB: Erano molto grezze, ma sempre “strane”. Le prime realizzazioni non se le ricorda quasi più nessuno, perché sono passati tanti anni. Comunque qualche moto l’avevo già portata al Bike Expo Show di Padova, erano su base giapponese ma comunque già molto particolari come forma. Mi è sempre piaciuto realizzare delle moto “strane”, particolari, perché tanto a fare le moto come tutti gli altri non ci vuole niente.

GJ: chi ti aiuta nel tuo lavoro?

FB: Nessuno. Tante volte mi hanno detto “ma prenditi qualcuno!”. Non esiste, io devo vedere la moto a modo mio dall’ inizio alla fine, nessuno ci deve mettere mano, un consiglio sì ma ci devo lavorare solo io. Ci sono poi degli amici che mi fanno compagnia, di solito siamo sei o sette qua dentro. Alla fine questa è la casa di tutti, diventa un punto di riferimento, per fare casino o semplicemente per stare insieme.

GJ: Perché di recente hai deciso di dedicarti alla Moto Guzzi?

FB: Ma guarda, ho le fotografie di quando avevo dieci anni e stavo sopra alle Guzzi, già da piccolo mi affascinavano, anche se – ad essere sincero – la Guzzi agli inizi degli anni ’90 faceva delle moto che non mi piacevano tantissimo. Sono sempre stato attratto dalle moto sportive, ma il pensiero di modificare delle Guzzi non c’era per il semplice fatto che non si vedevano in giro Guzzi modificate. Adesso il discorso è diverso; è facile vedere negozi o attività che realizzano moto su base Guzzi. Quando ho iniziato io non c’era niente sulle Guzzi e quindi vedere su un giornale un Cafe Racer Guzzi che ti potesse “stuzzicare” era praticamente impossibile. E fino a cinque anni fa a meno di andare in Germania la situazione era sempre la stessa. Quando poi si diceva che usciva il V11 l’andai a ordinare ancora prima che fosse disponibile. Poi nonostante il pericolo che la Guzzi fallisse, io lo volevo lo stesso, tanto che non so se sono stato uno dei primi in Italia ad averlo. In pratica l’ho comprato e basta, senza mai vederlo dal vivo. Poteva anche essere una schifezza di moto ma lo volevo comunque. Da allora ho visto che la Guzzi faceva delle moto più abbordabili, ci si poteva avvicinare con la modifica, a differenza dei vecchi California che non ti ci potevi neanche avvicinare, anche perché non esisteva alcun accessorio. Appena salito sul mio V11 ho capito che “quella è una moto”, intesa proprio come vibrazione, sensazione. Poi partendo dalla mia moto ho realizzato la special “Ciclope”, anche se adesso è tornata allo stato originale, avendo sotto mano la Furia. Ho iniziato a lavorare sulla Guzzi anche perché non ci lavorava nessuno. Pensa alle Harley: uno sfoglia un catalogo, prendi un pezzo qua e un pezzo là, lo avviti, fai l’assemblatore! Invece su un Guzzi no, ogni particolare lo devi realizzare tu. Poi con un motore che esce fuori così ti costringe a fare delle estetiche che se non sono azzeccate sono una schifezza. Ogni moto è una sfida, proprio per il motore che esce fuori in quel modo, è enorme e non puoi neanche abbassarlo a terra. E questo mi piace! Il fatto che poi ti fa “strano” è che la gente che ti incontra per strada quando sei in sella ad una Guzzi ti dice sempre “mio nonno ce l’aveva, mio zio ce l’aveva”, qualcuno ce l’ha sempre avuto! Mio padre mi raccontava anche delle Guzzi che andavano in giro durante la II Guerra Mondiale. È inutile, è una casa motociclistica con fascino e cuore, cosa che forse solo l’Harley può vantare, e ovviamente solo in America. Per me esistono infatti solo due moto, la Guzzi e l’Harley, con un eccezione forse per la BMW. Infatti l’Harley in America viene vista come la Guzzi in Italia, una moto nazionale che ha dietro di sé una storia importante. Non dimentichiamo che la Guzzi è la seconda ditta che ha vinto più titoli nella storia del motociclismo ed è la ditta che ha fatto il maggior numero di brevetti al mondo e soprattutto ha costruito tutti i tipi di motore: mono, bi, tricilindrico, quattro cilindri e addirittura otto cilindri! Ha fatto il bicilindrico a L, il bicilindrico frontemarcia… ha fatto tutto!

GJ: A proposito di “spirito patriottico”, cosa ne pensi del fatto che la nostra Polizia giri su moto BMW, nonostante ditte italiane come Aprilia e Ducati costruiscano delle ottime turistiche come la Futura o la ST2/4?

FB: Evidentemente è una questione di offerte. Arriva la BMW e dice: noi vi diamo la moto a 15. La Guzzi invece dà le moto a 18 e i Carabinieri o la Polizia se ne fregano che è una Guzzi. È brutto ma succede anche con le automobili. Da noi si vendono in giro le Subaru, prese con le “svendite”. Certo è brutta, ma ha un motore che spinge tantissimo. Poi la Subaru avrà venduto a 8.000 una macchina che costa 20.000. Io mi immagino invece un V11 fatta con i colori della Polizia e le borse dietro, o magari una Breva 1100. Ma ho visto anche a Bologna poliziotti in giro con il Monster 600. Certo il motore non è il massimo, ma è una moto leggera, puoi farci un inseguimento. Con un California invece appena fai uno scalino spacchi il telaio a metà.

GJ: Ma è così delicato il telaio del California?

FB: No, no (risate), nel senso che dovrebbe essere una moto che ti permette di “saltare”.

GJ: Io comunque con il California qualche amico ce l’ho lasciato “male”. Si crea l’effetto “vabbé, hai un California…”, poi ti sta dietro e dice “ma allora pieghi!”

FB: Quella è una cosa che dicono tutti. Tutti quelli che salgono su un California prima pensano “ma tanto è un custom”, poi quando vanno sull’autostrada a 200 fisso…

GJ: No quello no, è sulle strade di montagna che “gusta”. Che se stai attento ad impostare bene la curva riesci a fare una bella piega. Se invece la imposti male devi fare i conti con l’interasse lunghissimo…

FB: Beh, pure quello. La Guzzi potrebbe fare un custom accorciando l’interasse, abbassando il tutto e rendendola quindi più cattiva. Poi sarebbe quello che ha fatto con la Griso, anche se con una linea più esasperata. Devi infatti trovare a chi piace la Griso: il cinquantenne o sessantenne magari non se la compra perché non la sfrutta. Immaginati invece un California con la forcella rovesciata, i cerchi da 17″, ammortizzatori buoni, alleggerita un po’ di peso, una bella moto! Quando sono stato in Guzzi per una cosa che abbiamo fatto per loro, ho visto delle moto che avevano dentro. Io gli avevo proposto di fare una cosa del genere e loro mi hanno detto “ti facciamo vedere una cosa”. Avevano fatto un California proprio con forcella rovesciata e cerchi da 17″: purtroppo non ha mai visto la luce! Una bella moto, davvero. Da qualche parte dovrei avere delle foto di “straforo” di quella moto…

GJ: Secondo te quali sono i più grandi pregi e difetti delle Moto Guzzi?

FB: Oddio, da “non Guzzista” da vent’anni, forse non potrei dirlo. Per quelle moto che ho avuto io direi che i difetti sono quasi niente. Nel senso che quelli che gli altri chiamano difetti io li considero caratteristiche. Il pregio più grande è che fai caso che c’è ancora gente che a ottant’anni gira su un Guzzi e non succede con nessun’altra marca. Chi si prende un Honda, dopo un paio di anni esce il nuovo modello che va meglio e quindi la cambia subito. Il Guzzista sale su una Guzzi e muore sulla Guzzi…

GJ: Detto così uno “si gratta”…

FB: (risate). Comunque la moto può anche essere “quadrata” e non gliene frega niente a nessuno. La Guzzi ha fatto delle moto brutte, però erano delle Guzzi e si vendevano lo stesso. Era il motore che faceva tutto. Se invece esce una giapponese brutta non se la compra nessuno. Prendi ad esempio il Centauro. A me piace, ma molta gente sostiene che è brutto. Però nonostante quello se lo sono comprati in tanti. È il “cuore” che ha il motore, che dà valore al tutto. Quando hai sotto un motore così non ti importa se la moto è quadrata, gialla o rossa.

GJ: Della MGS01 cosa ne pensi?

FB: Bella. L’ho vista quando era ancora un prototipo sotto un telo da Ghezzi&Brian, un sacco di tempo fa. Bella. Molto bella. L’unico dubbio è se la faranno o meno. La moto mi piace da morire. I particolari sono notevoli. Guarda l’airbox, ad esempio, che è completamente al di fuori degli “schemi” Guzzi. Anche se Giuseppe l’aveva già sviluppato per la Furia. E questo mi preoccupa. Una volta “esaurita” la MGS01 che cosa fanno? Quella moto è uscita dalla Ghezzi&Brian, alla fin fine. La Guzzi non può aspettare 10 anni che qualcuno all’esterno si inventi qualcosa di innovativo da costruire intorno al motore Guzzi.

GJ: Della Griso cosa mi dici?

FB: È il genere di moto che piace a me! Come le moto che realizzo io è tozza e bassa. Anche in questo caso però, se non si sbrigano a farla uscire rischiano di farlo diventare un progetto vecchio. È come quando hanno presentato il V11. C’è da dire che per l’Aprilia a costruire una moto non ci vuole niente. Ho visto come lavorano, e se una moto la vogliono fare davvero, non è così difficile. La Guzzi ha bisogno di avere moto nuove. Ci sono persone che non ce la fanno più e dicono “se non esce la Guzzi che dico io entro un tot, mi compro una moto di un’altra marca”. Se consideriamo la potenza dell’Aprilia e prendi la moto senza considerare la forcella, i cerchi e la carrozzeria in genere, che sono parti che io realizzo in dieci giorni. Il problema è solo il telaio, neanche il motore che in Guzzi hanno già pronto. Secondo me è più una paura che la moto non vada. Perché se sbaglia una moto l’Honda, chi se ne frega, ne fa un’altra dopo dieci giorni, ma se sbaglia la Guzzi sono guai.

GJ: Invece con la Breva 750 e 1100 hanno fatto centro?

FB: Ne hanno vendute un casino di 750. Quella grande, se esce, io me la prendo sicuramente!

GJ: Ma la lasci così com’è o ci metti le mani sopra?

FB: Ah, quello sì, mi piacerebbe metterci le mani. Anche se la vorrei prendere solo per farci turismo. Mi piacerebbe fare turismo a lungo raggio senza stare sul quel ferro duro e scomodo.

GJ: E quale sarebbe il “ferro”?

FB: (risate) la mia Furia!

GJ: Ma se dovessi disegnare tu una Moto Guzzi come la faresti?

FB: Io l’ho sempre detto. E l’ho detto pure in Guzzi. Ma si è fatta fregare dalla Ducati. Gli dissi che l’unico modo di fare una Guzzi che veramente si venda, ma anche una moto che è giusto che la Guzzi costruisca, è ispirarsi a quanto fanno i preparatori tedeschi da vent’anni: Cafe  Racers! Ma la Ducati ne ha già fatti tre, ed ora chi vuole un Cafe Racer si compra un Ducati. Sarebbe bastato prendere il telaio di un California, mettere un cerchio in alluminio da 17″ a raggi avanti, mettere due semimanubri ed hai fatto il Cafe Racer. Non ci voleva la scienza a farne uno. Io farei un Cafe Racer. Perché la Guzzi è una moto retrò, il motore è vecchio ed è inutile cercare di costruire moto ultra moderne su un motore datato. Quindi la Guzzi dovrebbe sfruttare quanto ha già pronto semplicemente mettendogli intorno dei bei pezzi, magari di alluminio lucidato, aggiungendo pure un monobraccio ma mantenendo le ruote a raggi. Se riesci ad ottenere un Cafe Racer di una certa qualità, non artigianale o da trasformazione, e lo metti in commercio sono sicuro che la maggior parte della gente “sbroccherebbe” completamente! Secondo me se uscisse una Guzzi Cafe Racer il 90% dei Guzzisti che amano le moto sportive la preferirebbero ad un V11.

GJ: Qual è – a tuo giudizio – la più bella special che hai realizzato sinora?

FB: Sai che non lo so. Sembrerà strano, ma tra la Chimera e la Ciclope non saprei proprio. La Bellerofonte la considero una delle cose più folli che abbia fatto… una pazzia realizzata in venti giorni, che se non mi davano una mano i miei amici non ce l’avrei mai fatta.Certo la moto non ha la forcella funzionante, non ha un impianto frenante. Era una moto che non aveva bisogno di queste cose e quindi mi sono detto che ce la potevo fare. Se avessi dovuto costruire una moto funzionante non ce l’avrei mai fatta. Comunque penso che la più bella special che ho realizzato sia la Ciclope su base V11: è esattamente la rappresentazione della moto come piace a me. Corta e tozza, per l’appunto.

GJ: Qual è stata la più brutta cosa che hanno detto delle tue moto?

FB: Ti dico la verità, senza falsa modestia, non mi è mai capitato che qualcuno mi dicesse “questa moto fa veramente schifo”! Forse l’unica cosa che mi ha dato fastidio è che molti criticavano il fatto che la Bellerofonte non fosse funzionante. Ma non tutti sanno che al Bike Expo il 90% delle moto non sono funzionanti. Sono moto da 150 milioni realizzate in una anno ma che dentro il motore Harley non ci sono neppure i pistoni. Io ho fatto una cosa che si vede che è un esercizio di stile e che con poco lavoro potrebbe camminare. Non l’ho fatta camminare io perché non servirebbe a nulla. Mi fa rabbia che quando sono gli altri a fare delle maquette…

GJ: Se non sbaglio anche la Griso!

FB: Esatto. Non so se l’hai vista bene, ma se metti una mano sotto senti che il serbatoio è fatto di legno, così come la sella!

GJ: Ed invece qual è stata la cosa più bella che ti hanno detto?

FB: Mah, la cosa più bella è stato proprio l’apprezzamento da parte di Anima Guzzista. Ogni volta che sul sito di Anima Guzzista si parla delle mie moto c’è sempre un’aura particolare. Poi è eccezionale la Redazione di Cafe Racer. Molto di quello che sono lo devo a loro, che hanno fatto fare alle mie moto il giro di mezzo mondo. Loro hanno creduto in ogni cosa che gli ho mandato. Ogni volta che preparo una moto per Padova loro mi dicono subito di portargliela per farci un servizio, tanto sono sicuri che qualsiasi cosa abbia realizzato vada bene. Dovrei fare un ringraziamento particolare a uno dei redattori  di Cafe Racer, che ora si occupa di custom, Paolo Sormani, che ha avuto grande fiducia nei miei confronti. Comunque mi hanno fatto sempre piacere le email che arrivano da ogni parte del mondo. Una volta mi è addirittura capitato che mi telefonasse un gelataio tedesco. Non mi ha neanche detto “pronto”, ha subito iniziato a dirmi “grazie a persone come te, l’Italia può vantarsi di realizzare cose diverse dagli altri”. Questa persona è impazzita per quanto stavo facendo!

GJ: Una domanda “filosofica”: secondo te, perché alla gente piace tanto l’alluminio?

FB: Guarda, a me l’alluminio piace tantissimo come non mi piace assolutamente il carbonio. Per me il carbonio è uno dei materiali più stupidi che esistano, perché non è bello. L’hanno fatto piacere. Non mi piacciono neppure le cromature: sono un artificio per coprire qualcosa che altrimenti si rovinerebbe. Mentre l’alluminio è un “metallo prezioso”, è indistruttibile, è eterno. Anche l’acciaio è un “metallo prezioso”, ma è pesante. L’alluminio invece è leggero e si lavora con facilità. Poi se l’alluminio si opacizza prendi uno straccio e un po’ di pasta abrasiva e torna come nuovo. Se una cromatura si spella devi smontare il pezzo e portarlo a ricromare di nuovo! Certo che poi la Guzzi, come tante altre case, utilizzano l’alluminio stampato, che secondo me è brutto. Certi pezzi come le piastre della forcella o il supporto posteriore dell’asta di rinvio del cardano non si possono proprio guardare: si vede la granulosità dell’alluminio. È un dettaglio troppo grezzo per una moto che costa 20 milioni! Comunque se tutto va bene spero di risolvere io questi “inconvenienti” e lo vedrete presto!Tornando al discorso dei difetti della Guzzi uno è proprio questo: la scarsa attenzione ai particolari. Io mi sono trovato con il prigioniero dello scarico sul cilindro spezzato, mi sono perso il contachilometri e il clacson. Sono errori che la Guzzi dovrebbe evitare! Anche la Ghezzi&Brian ha i suoi difetti, ma quando montano una moto mettono il frenafiletti su ogni singola vite. È vero che costa più di una Guzzi, ma se pago 11.000 € per un V11 non è ammissibile trovare una qualità così bassa!

GJ: In pure stile Iene fatti una domanda da solo!

FB: Uhm, mi chiederei “dove voglio arrivare”. Se Dio vuole come passa il tempo mi vorrei dedicare alla Guzzi e basta. E magari riuscire un giorno a creare qualcosa di mio fuori dall’Italia. Il mio sogno è di aprire un’attività di “Made in Italy” all’estero, magari in Giappone, un paese che mi appassiona. Oppure negli Stati Uniti, dove ti dedichi solo alle moto italiane e dove prendi moto d’epoca e le metti a posto. Potrei aprire un negozio con una bandiera tricolore di venti metri quadri davanti, e dove vendi moto e abbigliamento esclusivamente “Made in Italy”. Lo farei all’estero anche perché fa rabbia vedere che l’unico catalogo per pezzi Guzzi lo pubblica la Stein-Dinse che è tedesca! Gli italiani spesso si spaventano a comprare una manopola da 40 Euro quando ne hanno spesi 10.000 per la moto! Non possono pensare di modificare la moto spendendo quattro soldi e poi essere invidiosi delle Harley dove ci sono montati migliaia di Euro di pezzi! Non condivido nemmeno quando prendono una Guzzi e la trasformano in un’astronave, appesantendola con borse, borsoni rigidi, porta lattina, quattro fari e dodici clacson! Come ho già detto su un post scherzoso su Anima Guzzista ognuno è libero di farsi la moto come vuole, ma mettergli tremila cose attaccate sforma la moto. Un ragazzo non si avvicinerà mai ad una moto che sembra uno scatolone: non dà l’idea di una cosa giovane, dinamica e divertente. Vede una moto fatta per una persona di una certa età con quattromila cose sopra e pensa “è un treno che va solo dritto”. E mentre molte persone con custom giapponesi mi chiedono di modificargliela per farlo andare di più, chi ha una Guzzi – che è la custom con più cavalli sul mercato e con un’eccellente ciclistica – la ricopre di accessori che la stravolgono e compromettono le naturali doti dinamiche.

 

L’abbiamo fatta da star

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5° Trofeo Deccla Cartagena, Settembre 2003

di Mauro Iosca, Alberto Sala, Roberto Masperi

TUTTO E’ COMINCIATO CREDENDOCI E PER UNA VOLTA PROVANDO A FAR FINTA DI ESSERE NEL “FILM”.

Mi chiama Roby: è telegrafico, mi avvisa che mi sta “girando un’ e-mail che gli è arrivata dalla Spagna, leggila” mi dice “e poi dimmi cosa ne pensi. Ciao ciao”.
Capisco immediatamente che chi gli ha scritto è Mauro Abbadini, ma ancora non riesco a immaginare cosa sta per succedere.
Mauro è un vero appassionato, un entusiasta dei peggiori, di quelli che ti contagiano, che ti fanno sorridere, che ti raccontano e ti fanno sognare; sì, Mauro è uno con cui non bisogna scherzare se pensi che le “cose” siano complicate, perché stai sicuro che lui non le vede così.
Rientro e corro ad accendere la “scatola” per leggere le ultime notizie dalla Spagna: il messaggio è breve ma efficace e dice: “ciao Roby …bla bla bla… facciamo questa gara di endurance a Settembre: “la sei ore di Cartagena”: perché non venite tu con Mauro (che sarei io) e magari con Alberto… sai ho visto i tempi che ha fatto a Monza durante le giornate Guzzi, quello lì è un bel manico, dai fate uno sforzo: la moto ve la do io, voi vi portate Bruno come meccanico e il gioco è fatto”.

http://www.classicco.biz/

Mentre sto già per archiviare il messaggio mi volto a sinistra e vedo la mia faccia riflessa nel vetro della vecchia cartina Michelin dell’Europa e comincio a pensare… uhm, Cartagena, La Manga, il Mar Menor… ci sono stato da ragazzo, sì nel ’87 dopo il diploma, senza una lira, mi ricordo mangiammo pane e pesche quella volta per giorni e giorni… La Manga è lì; ma sì ma certo, Cabo de Palos, è dove partì quello spagnolo, quello famoso che ha scoperto l’America, Cristobal Colon.
Ehi, un momento: ma nel 1987 io mica avevo questa faccia da “impiegato del catasto”!
Prendo il telefono e chiamo la Classic.Co (www.classicco.biz), il quartier generale di Mauro Abbadini: “Hola buenas tardes, soy Mauro de la Italia …Mauro Abbadini estas?” “Oh ciao Mauro que tal?” “Bene bene grazie… hei -dico io- ho letto l’e-mail che hai mandato a Roby: ma dico stavi scherzando?” “Scherzando?!? No no Mauro, siete voi che scherzate: qui in Spagna si fa sul serio… sta a voi di decidere; per me è tutto pronto: se volete la moto c’è”. “Mi regali un sogno, lo sai Mauro? Devo ancora parlare con gli altri, ma per me io sono già lì”. “Fatemi sapere, vi aspetto, hasta pronto!”
Stavolta si fa !!! Devo convincerli, questa non scappa, solo un “minchia” non approfitta di un’occasione così. Chiamo Roby ma è sicuramente al lavoro, non posso chiamarlo in banca: sarà impegnato… me ne infischio della banca! “Tut-tuut! Sì buongiorno, è la Deutsche Bank? Saalve, sono il cardinal Tettamanzi, vorrei conferire con il signor Masperi…” “un momento glielo passo subito glielo … he chi ? .. Mauro ?… Si ma non posso parlare molto… si come dobbiamo farlo?… Sì a tutti i costi, dobbiamo andare a fare la gara sisi d’accordo poi ti chiamo ciao ciiiaaooo!”
Roberto ci sta, sono sicuro che ci sta; controllerà i giorni di ferie che gli rimangono e poi lui per girare in pista di certo non si tira indietro.
Devo chiamare Alberto, lo devo convincere: poi domani vado in officina e parlo con Bruno.
Con Alberto devo fare in un altro modo, meglio andare da lui a casa tranquilli e esporre i fatti con calma; lui è un precisino: se lo chiamo ora eccitato come sono va a finire che non mi spiego bene e lui sicuramente mi manda a quel paese: meglio stasera. La sera stessa passo da casa di Alberto, ci sono anche Rosella (sempre sorridente, beata lei) e Lorenzo (amore grande, come lo chiamano mamma e papà): mi siedo a prendere il caffè, ora sono molto più calmo ed espongo “la novella” ad Alberto, lui mi ascolta placido e silenzioso, riesco a cogliere ogni minimo impercettibile movimento dei suoi muscoli facciali è come se stessi leggendo il suo recondito percorso emozionale e riconosco quel mezzo sorriso e l’occhietto lucido, so già che non mi dirà subito “va bene ci sto”, ma so che sarà “SI”; ne parleranno, lui e Rosella, Rosella si preoccuperà ma senza darlo troppo a vedere e non gli dirà di no; ne sono certo (è il premio that’s amore 2003!).
Il sabato è il giorno del caos in officina per parlare con lo “zio” (Bruno): meglio andare in mattinata, gli dico serio che devo parlargli di una cosa importante e che deve tenersi libero per pranzo; sennò il farfallone non m’ascolta con attenzione e chissà quanto ci metto a convincerlo. Mi fa segno di sì con la testa e continua la sua opera di convincimento di un avventore a cui sta spiegando che con il suo albero a camme non volano solo gli asini ma anche i Nevada.
Andiamo a mangiare al Disco Volante e io sto viaggiando su una nuvola; gli dico “Bruno dai, raccontami di quella volta del Bol D’Or… dai zio… che tempi eh, zio? Che forza quelle moto?… Ma senti un pò… ma cosa ne dici se ci fosse la possibilità di fare una gara così? Eh zio, come la vedi? no perché sai in Spagna… Mauro…”
Lui sorride, anzi ride, anzi fa quella specie di pernacchia o insomma ognuno ride come vuole; accampa qualche scusa poi ritorna serio e dice: “io lo farei ma deve venire anche Tiziano” Ah, sarebbe fantastico, un vero team al completo, ma non sarà facile convincerlo; per convincere Tiziano bisogna fare in modo che tutto sia a posto, tutti d’accordo a chiedere a gran voce che ci sia. Intanto lasciamo decantare qualche giorno, poi mercoledì sera c’è la riunione del Moto Club e lì tiriamo le somme.
E’ mercoledì sera e l’aria è calda, tutti sono seduti fuori dalla porta dell’officina con le sedie disposte in circolo. Sarà per le mamme che rincorrono i bambini o per la cinquecento del Renato tirata a lucido, come appena uscita dalla Fiat o per le paste mangiate così sotto le stelle, ma stasera sembra di essere davvero negli anni settanta o forse sono solo le seppie ripiene di mamma, che mi fanno vivere sempre nuove allucinazioni.
Arriva il momento a fine riunione in cui gli sguardi si trovano e i complici si spostano nell’ufficio del Bruno. “Ehi Tiziano, puoi venire qui un momento?” Arriva scrutandoci con sospetto, poi si siede e ascolta. Mentre gli spieghiamo le intenzioni fa come per trovare la solita sequela di obiezioni che in realtà non esistono, tutti sono lucidi e tutti lo guardano con amichevole severità: “se tu non vieni non si può fare!” Lui… abbassa la testa, prova a brontolare, ma non ce la fa e ride.
“ Cavolo ragazzi bisogna organizzarsi bene! Mica possiamo andare a fare figuracce!” Tutti ridono e con fare birichino, abbracci e pacche sulla spalla usciamo dall’ufficio con l’accordo raggiunto, SI VA!
E’ cosa fatta. Bisogna avvisare Mauro, prenotare volo e albergo, capire cosa come e quando, ma il più è fatto, niente dubbi nè incertezze, stavolta si fa!
E’ tempo di vacanze, di relax e spensieratezza e l’idea che Settembre presto arriva, per quest’anno non m’angoscia. So che una piccola riserva di immenso piacere, prima che l’inverno come sempre ci divori, mi sta aspettando e che sarà un sogno che s’avvera, fosse anche per una volta sola.
[Mauro]

GIOVEDÌ
Si parte! Dopo un breve volo atterriamo a Valencia, dove noleggeremo un auto per scendere fino a Cartagena. Appena scesi ci accoglie il magnifico clima spagnolo: qui è ancora estate, e soprattutto ci invade quello ‘spirito’ leggero, divertente e allegro che sembra regnare in ogni abitante di questo solare paese. Il viaggio contribuisce anche a rafforzare il nostro spirito di gruppo; non che ce ne fosse bisogno, ma vuoi la Spagna, vuoi il viaggio, vuoi il fatto che stavamo procedendo verso il nostro sogno… beh, era un ‘gasamento’ continuo a vicenda.

 

Prima di arrivare al nostro Hotel ci fermiamo nei pressi di Murcia, dove incontriamo Mauro Abbadini, che dopo i rituali abbracci ci conduce da Miguel Angel, suo compagno nell’organizzazione della gara, e soprattutto malato perso di moto italiane. Le loro simpatiche e gentilissime consorti ci rifocillano in abbondanza, ma il ‘pieno’ lo facciamo quando Miguel Angel ci apre le porte del suo garage, che sarebbe più appropriato definire ‘atelier’. Alla vista del contenuto si sentono cinque ‘TOK!’. Sono le nostre mascelle cadute a terra dallo stupore e meraviglia nel vedere (e odorare) Ducati, Laverda e Moto Morini della nostra epoca motociclistica preferita (i mitici anni ’70). Spettacolari. Peccato che manchino Moto Guzzi, ma Miguel Angel non apprezza il cardano…

Raggiungiamo dopo esserci congedati l’Hotel, dove ci addormentiamo pervasi dall’atmosfera bellissima appena vissuta, e pregustandoci (senza però immaginare davvero quanto) le giornate seguenti.
[Alberto]

VENERDÌ
Stranamente il venerdi appena alzati non si registrava una tensione apparente: tutti erano calmi e rilassati. Uno dei momenti più belli è stato quando siamo arrivati al paddock del circuito. Era deserto, ma l’atmosfera che si respirava una volta entrati ed avvicinatici ai box era di quelle mai provate!!
Effettivamente si stava realizzando per noi un qualcosa che mai e poi mai ci saremmo immaginati di vivere in prima persona. La nostra voglia di cominciare era così alta che siamo arrivati almeno due ore prima di tutti gli altri partecipanti!!!
Allora ci siamo rilassati sia preparando le nostre tute da gara che chiaccherando tra di noi: Bruno ha aperto il libro dei ricordi e… ci sembrava di essere fuori dal tempo in un altra vita meravigliosa, in cui potevamo fare finalmente una delle cose da noi preferite: guidare una moto in pista.
Abbiamo vissuto quattro giorni in uno spazio temporale separato dalla nostra vita quotidiana!!!
Man mano che i vari partecipanti alla competizione cominciavano ad arrivare l’adrenalina in corpo saliva sempre più fino all’arrivo di Mauro con il suo prezioso carico: ben quattro moto, di cui una tutta per noi.
Ci siamo svegliati dal nostro sogno ma… era tutto vero!!! E c’era anche da lavorare: scaricare le moto, allestire il box, fare le iscrizioni etc. etc.
Per noi era tutto nuovo ma molto stimolante, un pò meno nuovo ma comunque stimolante per Bruno e Tiziano che si sono ritrovati per le mani una moto fantastica ma con qualche acciacco dovuto ad una precedente caduta.
La mattina è volata in un attimo aiutando sia Bruno che Tiziano nei loro lavori…
[Roberto]

 

Le Guzzi preparate sono tutte più o meno con le stesse basi: telaio tipo Le Mans con la culla inferiore segata, qualcuna con il canotto di sterzo risaldato più chiuso, motori pompati assai, teste a doppia candela, valvole maggiorate e così via di questo passo, con Bruno che inizia a fiutare suoi componenti e gli vedi gli occhi che brillano, mentre noi ci limitiamo ad ammirarle da un punto di vista estetico. Il fascino di queste moto è semplicemente irresistibile. Sono le moto da gara più belle che abbiamo mai visto, e ognuna di queste meriterebbe la copertina di Cafè Racer, tanto sono curate e spigliate, leggere nella linea ed essenziali nella loro destinazione d’uso. Che meraviglia…!
Mentre Bruno e Tiziano, come due chirurghi di fama mondiale cominciano ad armeggiare con gli attrezzi per la messa a punto, Mauro Iosca mi invita a fare un giro di pista a piedi, tanto per dare una prima occhiata, e così, a torso nudo per gustarci il caldo sole spagnolo percorriamo la pista, che subito si rivela bellissima e difficile, con una dozzina di curve (!), alcune in saliscendi e almeno due staccate in piega difficili da capire appieno, come poi constateremo in sella al bolide. Il gasamento sale sempre di più…
Rientriamo ai box mentre i nostri ‘dottori’ cominciano a sistemare la nostra moto, la Guzzi numero 5, dalla bellissima livrea bicolore rossonera divisa a metà da una fascia bianca, che a seconda del lato in cui la osservi dà l’impressione di vedere due moto diverse. Mauro Abbadini ci spiega che è appena caduto con questa moto, e che quindi ha bisogno di un po’ di cure. Poco male. Ci poteva portare anche un catafalco devastato che non avremmo battuto ciglio, pur di poterlo pilotare lungo quelle curve là dietro le gobbe del terreno. Nel frattempo il paddock si riempie di moto… di moto… di motociclette bellissime, sempre di più, e riempendosi assume le fattezze d’autentico paradiso motociclistico. Guzzi sempre più affascinanti, una Honda CB750 gialla di una bellezza mozzafiato, due Laverda meravigliose, soprattutto quella di Miguel Angel che pare una bomboniera, Norton a profusione, Ossa e Bultaco che non farei quasi uscire dal box per paura di danneggiarle… Invece qui le moto le usano, e meno male, e la passione e semplicità di tutti ci mette talmente a nostro agio che inevitabilmente ci chiediamo perché da noi (inteso come Italia) riscontriamo spesso tanto fighettismo inutile. Mah. Qui è meraviglioso, si sta tanto bene, sembrano tutti amici. E lo sono.

Purtroppo la messa a punto dura parecchio, anche per via di una candela col filetto spanato, e Tiziano è costretto a piazzarci un bullone per tappare il buco (si tratta della seconda candela, per cui giriamo in pratica con tre candele, un nuovo trend, dopotutto noi valiamo :-)), e inoltre uno degli attacchi del collettore di scarico alla testa cede, ma l’altro regge a sufficienza. Alla fine, quando manca solo un’ora e mezza alla fine delle prove libere del venerdì incominciamo a girare, con la moto che dimostra immediatamente di avere tonnellate di coppia e stabilità notevole, ma anche di essere piuttosto ‘maschia’ nei cambi di direzione, e spara certe rivoltellate in rilascio che parecchia gente alza le mani istintivamente! Giusto il tempo di assaggiare la pista, di capire che è bellissima e a tratti veramente difficile, con pochi punti di riferimento (è talmente secco che mancano anche i sassi, mannaggia), curve a raggio alquanto variabile e almeno un paio di staccate in piega, le più difficili. Però si gode di brutto, si sta ginocchio a terra per la maggior parte del tempo (se non erro le curve sono dodici) con un unico rettilineo degno di tal nome.

Insomma: a fine prove, pur col dispiacere di non essere riusciti a girare molto (mentre Bruno e Tiziano hanno lavorato senza sosta) siamo comunque assai soddisfatti, e prima di lasciare il circuito giriamo tra i box con la luce ormai al tramonto per gustare l’atmosfera della vigilia, con diversi team impegnati nelle ultime operazioni di messa a punto e con improvvisati accampamenti di sedie dove le donne passano il tempo chiacchierando allegramente… insomma, se avessimo lì da mangiare e qualche branda probabilmente non ci saremmo manco mossi di lì.

Invece facciamo in tempo, nonostante la grande stanchezza, ad assaporare una fetta della festa di Cartagena, con chilometriche sfilate di centurioni, donne in costume romanico e barbaro e così via, assai suggestive come sempre in terra spagnola, e a meritarci una cena deliziosa in un ristorante del centro. Prima di crollare a letto, in attesa del grande giorno.[Alberto]

TEMPI DI VENERDÌ (MOTO 1)


SABATO
Il grande giorno ci sorprende da una parte ansiosi del momento della verità, e dall’altra un po’ intimoriti, anche per i pochi giri percorsi nella giornata precedente. Chi certo non è stato con le mani in mano sono Bruno e Tiziano. Arriviamo al circuito, già animato, e Mauro Abbadini, dispiaciuto per i problemi tecnici della moto, addirittura ci mette a disposizione una delle sue moto di riserva, che non dovrebbe avere i problemi riscontrati nella ‘bicolore’. Si meriterebbe un monumento lì seduta stante: noi sulle prime non accettiamo, ci sembra troppo, ma il suo dispiacere è sincero e quello che desidera è vederci liberi e felici di far correre la sua moto. Si merita un monumento. Dobbiamo ricordarci appena tornati in Italia: comprare marmi, cemento e bronzi.
La ‘seconda’ numero cinque è ovviamente un gioiello come la prima, con alcune differenze: se da una parte è meno generosa di motore (che però gira come un orologio), ha una ciclistica ben più svelta, visto che dispone di un cannotto di sterzo più chiuso con in più il cuscinetto Ghezzi, tant’è che sul coperchio dell’alternatore sono ben visibili residui gommosi di grattate in staccata. Ciliegina sulla torta, una pompa del freno anteriore più efficace (altro problema della moto di ieri) e, complice una impostazione in sella più alta, si rivela assai maneggevole (perlomeno nei limiti di una Guzzi, s’intende), cosa assai positiva su questo tracciato che ti massacra di curve. Unico difetto: la forcella scarica di idraulica, ma lo vedremo più avanti. Certo che per noialtri ‘piloti’ c’era da riimparare tutto daccapo… ma chissenefrega: una volta saliti in sella senza più forzate soste ai box, si viaggia a meraviglia e pian piano tutti miglioriamo i tempi di ieri.
[Alberto]

Devo dire che la notte tra venerdi e sabato non è stata delle più tranquille, forse era la stanchezza o forse era la…
Comunque di primo mattino ci siamo presentati in autodromo dove ci aspettava un vero tour de force: prove libere, prove ufficiali e infine la gara!
Per fortuna ci aspettava anche una buona notizia: la nostra moto che tanto ci aveva fatto tribolare il giorno prima, su intercessione di san Mauro da Madrid, era stata sostituita con un’altra che serviva di scorta ad un altro team del nostro gruppo.
Dunque uno dei nostri primi pensieri che ci aveva fatto passare la notte in bianco si era dissolto. Ora rimanevano tutti gli altri.
La nuova moto era fantastica per noi debuttanti: infatti a fronte di un motore un pò meno potente aveva un comportamento di ciclistica più sincero e facile che permetteva una guida meno stressante e più redditizia.
Infatti, grazie al talento di Alberto, ci siamo ben qualificati potendo dedicarci all’aprendimento di tutte le curve della pista di Cartagena che sono una più difficile dell’altra…
[Roberto]

QUALIFICA
Finite le prove libere, si incomincia a fare sul serio. Un’ora di tempo, con tutti e tre impegnati a darci dentro per strappare il tempo migliore, che varrà per la griglia di partenza. Ripercorro mentalmente il circuito: rettilineo del traguardo non lunghissimo, si inserisce la quinta solo per pochi metri, poi staccatona buttando giù due marce per la prima bellissima curva sulla destra in salita, senza vederne la fine. Va presa la corda lasciando scorrere la moto in rilascio per la curva successiva senza pausa, sempre a destra ma in discesa; poi appena raddrizzati, dentro la seconda e lieve pinzata per affrontare la seguente a sinistra, la più lenta del circuito. Brevissimo rettilineo e variante non lenta ma insidiosa anche per l’assenza di cordoli e per la fatica nel raddrizzare la moto in uscita per gettarsi in un curvone ampio a destra tutto in accelerazione, aah bello, ma quando hai messo da poco la quarta ti accorgi che là avanti la curva si chiude, e però non c’è modo di raddrizzarsi né di capire dove staccare, visto che i cartelli sono interni e lontani; vabbeh, mi baso sui segni di frenata sull’asfalto: dentro la terza e vvaaaaiii in un bel curvone a destra in appoggio, per poi andare di quarta in una semicurva a sinistra e in fondo staccare sempre un poco inclinato; dentro di nuovo la terza per salire su un semitornante secco a sinistra in salita, uscendo spalancando anche se di là non si vede dove diavolo vada l’asfalto: appena scollinati si vede che piega a sinistra e si tiene la terza su di giri, per staccare appena dopo poiché già si ricurva a destra in discesa, anche questa mozzafiato, e poi giù in breve rettifilo fino ad una curva a sinistra un po’ bastarda dentro, perché veloce ma non sai subito bene quanto puoi osare. Si prosegue tirando un po’ la quarta fino alla staccata per il tornantone bello godurioso super plus in appoggio in salita a destra da fare in progressione in terza, per poi sbattere la quarta di prepot… aaalt che siamo in piega a sinistra e vedo là in fondo i segni di una bella staccata ancora in piega, ma dove boia Faust devo staccare, che sono sempre o in anticipo o in ritardo?!? Questa è bella difficile: si piega secchi a sinistra obbligatoriamente in seconda rasoterra, tirata di terza fino a stracciare l’ultima staccata, quella del tornante di ritorno a destra che immette sul rettifilo. Qui si fanno urlare le saponette fino al bordo esterno, per poi lasciar sopravanzare l’urlo del bicilindrico palpato di bestia per trapanare i tappi alle orecchie (scarico liberoooo!!!) e via sul traguardo. Bello, bello da morire (metaforicamente, of course).
Ora si comincia a fare sul serio e non vedevamo l’ora: parte Roberto, tira i suoi venti minuti e strappa un 2’13″92: rientra e mi cede il ferro caldo, salto su, porca putrella, con una voglia tremenda che ieri mi ha lasciato un po’ d’ansia: la moto comincio a sentirla, so che in quel curvone d’accelerazione devo stare ancora attento che soffre le sollecitazioni dell’asfalto, ma d’altra parte si lascia gettare alla corda come un fuscello, e la pompa davanti mi dà fiducia: via! In cinque-sei giri continui scendo fino a 2’08″5, per poi cedere il testimone a Mauro, che non vedeva l’ora manco lui. Macina i suoi giri scendendo anche lui dai tempi di ieri e di prima mattina fino a 2’14″61. Bene! Siamo affiatati, ci stiamo divertendo, Bruno e Tiziano hanno gli occhi che ridono, ci sentiamo finalmente liberi, dopo mesi a pensare alternativamente se avremmo fatto una cazzata solenne o se saremmo saliti alla gloria (non quella eterna, sticazzi), e siamo a metà classifica nello schieramento! Chi l’avrebbe mai detto, noi che pensavamo che gridassero “SI CHIUDEEE” prima che arrivassimo ai box!
[Alberto]

LA GARA
L’inizio della gara è stato uno dei momenti più emozionanti: che bello vedere tutte le moto schierate per la partenza stile Le Mans con i piloti schierati dalla parte opposta della pista pronti allo scatto per raggiungerle!
Il piacere di poter iniziare la gara ci ha fatto passare ogni titubanza o timore: per un giorno eravamo dei veri piloti!!!
[Roberto]

Io mi cago sotto. L’ho detto subito, la partenza mi fa paura, non so se ce la faccio a partire io per primo. Roberto, sei un santo, braaaaaaavo che parti tu per primo, mi togli un bel sasso, forse l’unico. Siamo pronti, tutto è pronto: la moto, Bruno al muretto con l’inseparabile cronometro e le sue tabelline; Tiziano di là del muretto con in mano l’acceleratore tiene il motore sveglio, Roberto dall’altra parte della pista in piedi schierato con tutti gli altri piloti a fianco… E’ il momento tanto sognato: tre, due, UNO… VIAAAAAAA!!! In un bordello assordante di sgasate tutti partono a razzo (più o meno), tranne uno: Javier, che tradito dal non sentire la propria moto in mezzo all’urlata globale la spegne, così perde tempo a riaccenderla aiutato da Alberto (cosa che risulterà fatale alla loro classifica). Noi siamo tutti appiccicati come poster al muretto, in attesa delle passate di Roberto davanti al traguardo e tesi al responso cronometrico di Bruno, unico termine di riferimento dato che è impossibile capire a lungo la posizione tenuta.

Allo scadere della mezz’ora (tale è il tempo concordato tra noi per i turni) cambio pilota: Roberto mi cede la moto, ora tocca a me, ma tutta l’apprensione svanisce appena tocco l’acceleratore. Ora sono solo io e la moto: tutti gli altri pensieri svaniscono all’istante. Mi fiondo in pista e comincio a macinare curve, pian piano sempre più sciolto, e mi accorgo che di gente che mi supera ce n’è pochina; peccato che quei pochi siano quasi tutti parecchio più svelti di me, si vede da come entrano veloci in curva che la pista la conoscono bene. Io cerco qualcuno da inseguire, da cui imparare bene le traiettorie, dove staccare, soprattutto in quelle due bastardissime staccate in piega dove perdo tempo. Ecco che mi supera la numero 37, però riesco poco a seguirla, perché Tiziano implacabile, dopo avermi segnalato un bel 2’06” come miglior tempo, mi intima la sosta ai box per il cambio pilota e il pieno di benzina. Non importa. La gara è lunga, ho tutto il tempo.
[Alberto]

 

La fortuna dei debuttanti ci stava dando una gran mano: viaggiavamo ampiamente a metà classifica facendo la nostra bella figura girando in tempi sempre migliori man mano che imparavamo le strane curve del circuito, finchè la dea bendata, come capita spesso nelle gare di durata, decide di andare a bersi un caffé.
Proprio davanti al nostro box la moto con alla guida Mauro tira una sfollata tremenda seguita da fiammata allo scarico e successiva fumata nera.
Sfortuna vuole che noi dal muretto abbiamo visto tutto e chiaramente, come la natura umana vuole, abbiamo subito pensato al peggio.
La moto poco dopo si fermava in una via di fuga del circuito. Era finito tutto, da ciò che avevamo visto sembrava chiarissima la rottura di una valvola!!
Erano appena trascorse meno di due ore e noi pensavamo che la nostra gara fosse finita: recuperata la moto in effetti il motore sembrava dare sintomi di quella rottura che noi pensavamo di aver sentito durante il transito della moto davanti ai box.
Eravamo tutti un pò delusi, anche se contenti di aver partecipato alla gara in maniera dignitosa.
[Roberto]

“ Non voglio e non posso credere che finisce qui, e poi va bene la sfollata, va bene la fiammata, i draghi il leocorno, ma adesso non esageriamo: non erano i sintomi di una rottura, perché non mi credete? No eh? Non capisco, mi sbaglio… va bene va bene però possiamo cambiare moto, dai, datemi una mano, tiriamo fuori la bicolore”. Che bravi: nessuno vuole accettare la sconfitta e in dieci minuti spostiamo numeri e trasponder sulla prima moto, mentre Bruno e Tiziano (drogati) provano a sistemare la carburazione che, maledizione a lei, ci aveva fatto optare per la seconda moto fin dalla mattina.
Esco dal box con una “belva” inguidabile, scoppiettante con l’aggravante che quando “brucia bene” non ti avvisa; è come essere sul calcinculo alla festa del paese.
Faccio tre giri, forse quattro, con tempi non ridicoli ma che a questo punto e con questa moto non sono accettabili; e dato che il feeling ormai è totale rientro ai box, nel momento in cui gli altri stavano per richiamarmi con la tabella “affinità elettive nell’interpretazione della sfiga”.
[Mauro]

 

Ma Bruno e Tiziano (quelli hanno la mentalità giusta) non si fermano davanti a niente e anche se la gara era finita hanno detto “proviamo a vedere il guasto, tanto siamo qui a far niente!”
E allora smonta la prima testa: niente di rotto. Smonta la seconda: niente; controllano l’accensione ed è tutto ok… allora nelle loro menti diaboliche comincia a serpeggiare qualche dubbio: vuoi vedere che…
Alla fine di tutto si scoprirà che era un filo dell’accensione che faceva un falso contatto: incredibile!!!
Ma ancor più incredibile è stato il fatto che questi due pazzi in meno di due ore hanno rimontato tutto permettendoci così di finire la gara!
[Roberto]

La gioia di rivedere la moto funzionante era enorme. Mauro poi, che aveva potuto fare solo pochi giri, e si sentiva addosso la responsabilità del danno (“ecco, lo so cosa pensate, che sono il solito minchione sfasciatutto, ma io non ho fatto niente, bastardi!”) ora è libero di correre, e non se lo fa dire due volte: salta su e finalmente può concludere bene il suo turno. Quando rientra al box per cederla a Roberto gli esce un “va benissimo” liberatorio. Evviva!!!
Terminata la sgroppata di Roberto, rientra per il pieno e il cambio col sottoscritto. Ora vediamo se riesco a limare ancora qualcosa da quel 2’06”, me la sento. Unico dubbio, la tenuta della forcella, che manifesta saltellamenti soprattutto in una curva, che difatti non riesco a fare certo in pieno. Dentro! Stavolta solo due riescono a superarmi in questo turno: la numero 1, che sia Alberto o Javier alla guida non so ma loro sono su un altro pianeta, provo addirittura a tentare di seguirli e devo dire che per una curva ci riesco, ma a quella dopo la numero 1, tesa a recuperare il tempo perduto alla partenza svanisce all’orizzonte. Chissenefrega, farò tutto da solo. Pian piano comincio a forzare il ritmo, ma più entro veloce nelle curve più aumentano i saltellamenti della forcella, e mentalmente mi tengo bene a mente che questa è una gara di durata dove conta arrivare, non fare il tempone, per cui accetto i saltellamenti come limite massimo invalicabile. Comunque Tiziano mi segnala 2’05”, e sono contento come una Pasqua contenta! C’è però la prima curva, quella in fondo al rettilineo, che mi attizza particolarmente, dato che è una bella goduria riuscire a raccordarla con la curva immediatamente seguente, e allora mi diverto a forzare sempre più la staccata, ormai stacco ai 100 metri, entro come una lippa, ben… ooops FORSE TROPPO LIPPA… mi strizzo un po’ e istintivamente raddrizzoooOOOO… niente da fare, non posso più buttarla dentro nella curva dopo, mi tocca finire nella sabbia, speriamo di non fare danniiii…! La moto mi cade nell’ultimo metro di abbrivio, ma aiutato dal commissario la rialzo, cielo dimmi che non ho rotto niente… che culo si riaccende al primo colpo e VIA! Immediatamente penso che sia meglio rientrare ai box, forse mi devo calmare un po’, ma dopo poche curve mi sorprendo a ripensarci. Io il mio turno lo finisco tutto, e anzi rientro ancora veloce in quella curva, so che si può fare senza pericolo. Potere dell’adrenalina…

Ormai viaggiamo con sorrisi larghi trenta centimetri: concludiamo i turni limando sempre più i nostri tempi, sentendoci finalmente leggeri e in sintonia con tutto, che bello! La stanchezza comincia a farsi sentire, ma vuoi anche per la pausa forzata, in realtà vorremmo che le sei ore non finissero mai…

Per via della sosta, l’ultimo turno tocca a Roberto. Lui però prima di salire in sella mi dice: “senti, io ho già fatto la partenza, non è giusto che faccia anche l’arrivo: se vuoi ti cedo l’ultimo quarto d’ora, così ti godi la bandiera a scacchi”. Roberto sei un grande. In quel momento non immaginavo cosa significasse davvero vedere sventolare la bandiera a scacchi, e gli rispondo che sono stanco, mi fa un male cane la mano sinistra per via della frizione, vediamo. Lui riparte, ma dopo il quarto d’ora rientra e mi cede la moto.

Percorro gli ultimi giri di gara senza tirare troppo, pensando a gustarmi le ultime, bellissime curve, col sole ormai basso sull’orizzonte, pensando alla fortuna di aver potuto fare una cosa del genere, fino a che, spuntato dall’ultima piega, percorro il rettilineo d’arrivo con tutte le persone ai box a braccia alzate a sventolare e festeggiare l’avventura, e vedo il direttore di corsa che agita davanti a me la bandiera a scacchi tanto sospirata e mi assale una gioia irresistibile, a tal punto che non riesco a trattenere le lacrime, e piango di gioia come un vitello mentre finisco il giro prima dei box, salutando tutti gli altri piloti, anche loro felici e festanti… e rientro ai box con Bruno, Tiziano, Roberto e Mauro che mi vengono incontro ad abbracciarmi… beh, mi fa venire un brivido enorme anche ora mentre tento di tradurre in ASCII questi ricordi. E’ bellissimo e meraviglioso quant’è bella la vita.

Il resto è grandi pacche sulle spalle tra tutti, sorrisi di felicità sulla stanchezza della gara, che è lunga ma da vivere tutta, col sole che cala su questa bella arida Cartagena.

Chiuso il box e caricate le moto sui carrelli ci attende la cena conclusiva, sempre in circuito, dove tutti restano a chiacchierare sulla gara e a gustarsi la premiazione e dove addirittura veniamo tirati in ballo e premiati, compresi Bruno e Tiziano che ricevono un premio speciale.

E’ stata una avventura indimenticabile. Ed è stata bellissima anche perchè siamo stati splendidamente insieme tra noi, con un affiatamento e incoraggiamento continuo. Tutto lo dobbiamo ai componenti della Deccla che si sono inventati questo angolo di paradiso, a Mauro Abbadini che ci ha dato le moto (non ci sono parole per descrivere il suo gran cuore) e a Bruno e Tiziano che hanno lavorato come pazzi consentendoci di divertirci con le moto. GRAZIE.
[Alberto]

 

Una cosa che mi ha colpito molto è stata la premiazione. Qui sì che la gente ha la giusta mentalità.
Erano le 10 di sera e i partecipanti alla gara, provenienti da tutta la Spagna e quindi anche da molto lontano, erano lì dal primo all’ultimo momento.
Nessuno che se la tirasse; un’atmosfera fantastica. Potevi parlare tranquillamente con i primi arrivati così come con gli organizzatori senza nessun problema.
C’erano premi e ringraziamenti per tutti e nessuno si è permesso di andare via prima della fine della premiazione.
E’ stata la degna conclusione di una giornata fantastica che penso mai dimenticheremo così come non potremo mai ringraziare abbastanza Mauro Abbadini che si è fatto in mille per aiutarci e metterci a nostro agio; mai conosciuta una persona con così tante risorse da mettere a disposizione di chiunque ne avesse bisogno. Un grande.
Penso abbia contagiato tutti con il suo amore smisurato per la Guzzi e le competizioni; forse qualcuno a Mandello dovrebbe prendere esempio da lui.
Per quanto riguarda noi, beh: non vediamo l’ora di ripartire per la Spagna per la prossima gara!!!
[Roberto]

“Mira, mira a los italianos, mira che hambre… se parece son años que no comen!” staranno senz’altro pensando i nostri ospiti. Ebbene sì! Questo è senz’altro il ritratto più vero di noi e di come siamo oggi, tristemente abituati molto più all’apparire che non all’“essere”, istintivamente votati alla bellezza di ardite presentazioni da “nouvelle cuisine”, attratti dalla moda e dalle novità e di esse globali promotori come unico comprensibile stimolo all’esistenza, genti che di moto e corse, ma non solo, han storia e tradizione e che oltre al verbo si sazian con un piatto di zuppa di fave. Sì, le fave, le fave che mia madre da piccola non voleva mangiare e quante botte han preso per le fave, simbolo controverso della miseria di un’Italia degli anni cinquanta e allo stesso tempo pietanza ricca e vigorosa che dava la forza per andare avanti e per arrivare qui, dove ora siamo e dove a volte un piatto di fave con la sua semplicità ci fa provare emozioni che sanno di vero, autentico, genuino piacere.
[Mauro]

LUCIANO MARABESE

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a cura di Goffredo e Mauro (entrambi su V11)

 

Quella che segue e’ la cronaca di un incontro che difficilmente io e Mauro dimenticheremo. Siamo andati ad incontrare Luciano Marabese, uno dei piu’ grandi designer di moto dei nostri tempi.
Dalla Marabese Design sono uscite, tra le altre, le Gilera KZ e KK, la Moto Guzzi Centauro, la V11 Sport, l’Aprilia Pegaso, il Gilera DNA, e infine, di nuovo per Guzzi, la Breva e la Griso.

L’emozione e’ stata grandissima. Cercate di capirci e perdonateci se abbiamo parlato forse troppo della V11, ma e’ stato piu’ forte di noi…

Circospetti e anche un po’ emozionati arriviamo con ben dieci minuti d’anticipo all’interno della Marabese Design.
Mentre parcheggiamo le moto, seguendo le indicazioni di una gentilissima signorina, ecco che, in fondo al capannone, vedo una porta che si chiude in tutta fretta. Ma… Ma? Era una Griso quella che ho visto per un nanosecondo, o inizio con le allucinazioni mistiche ancor prima di cominciare l’intervista?? Lo scopriremo…

La segretaria ci fa accomodare in una bella sala dotata di ampia vetrata sul cortile e noi ci prepariamo all’incontro.
Arriva il Commendator Marabese, che ci saluta cordialmente. Il sorriso gli si allarga quando, ancor prima di noi, scorge le nostre due V11 che fanno bella mostra di se’ oltre le finestre; quasi un involontario omaggio al loro creatore.
Anche la nostra tenuta non lascia adito a dubbi: Mauro indossa la maglietta Anima Guzzista d’ordinanza, sulla mia e’ disegnato il profilo della V11 Sport.

Marabese: Qualcosa mi dice che siamo qui per parlare di Guzzi…

Goffredo: Si’, siamo impercettibilmente appassionati…

M. Benissimo! Sempre disponibile a parlare di Guzzi. Sa, anche se disegno per Aprilia, Laverda e altri, e nella mia vita ho avuto una trentina di moto diverse, ecco: la Guzzi e’ l’unica che ho ancora nel cuore. Mi diverto ancora oggi con il mio 850 Le Mans.

G. La prima Guzzi che lei ha disegnato e’ stata il Centauro, giusto?

M: Eh si’! Quando e’ stato fatto il Centauro sapesse quante ne sono successe! Il Centauro in realta’ era nato in un altro modo; io dovevo disegnare una moto nuova, completamente nuova. Mi erano state date delle specifiche particolari; doveva avere un serbatoio da 26 litri, si immagini. Impostai una linea piuttosto massiccia… doveva essere un po’ un toro, con quel motore a 4 valvole… poi, ti succede che il capo-progetto arriva e ti dice che devi andare a coprire un telaietto fatto cosi’, con tutto quello che c’e’ sotto e quindi, ale’! Si cambia un poco la linea della macchina.

G. Diversi possessori di Centauro frequentano Anima Guzzista. A suo tempo la moto fu decisamente incompresa. A me, lo confesso, non piacque affatto. Oggi invece sembra rivivere una seconda giovinezza. E’ richiestissima, le quotazioni sono relativamente elevate e chi la possiede non la vende…

M. Io ne ho una favolosa… (ride) forcella Paioli da 51… (ride di nuovo) e non la vendo. Comunque si’, all’inizio non ha avuto successo’ ma il successo dipende da diversi fattori; per esempio: se il motore non e’ a posto e ci sono delle cose che non funzionano, e queste cose vengono fuori, beh e’ logico che la moto non e’ recepita come dovrebbe.

G. E’ innegabile che fu presentata molto male: a Milano si era creata un’aspettativa incredibile; tutti li’ per vedere la moto del futuro, la Guzzi del rilancio! E invece? Che delusione vedere ciclistica e motore della Daytona!
E poi in seguito ebbe una campagna pubblicitaria pressoche’ inesistente…

M. Non c’erano possibilita’ in Guzzi in quel momento. Io stesso l’ho disegnata con quello che avevo, gestendo di fatto un serbatoio e un codone che poi non e’ nemmeno venuto fuori come lo volevo io…

Lo sguardo del designer si sposta ancora verso la finestra dove ci sono i V11 e l’argomento diventa un altro.

M. Ma anche li’ (indica i due V11) il codone originale era monoposto, eh! Era molto piu’ bella la prima macchina. Ma loro non ci credevano, non ci hanno mai, mai creduto in questa macchina; poi, dopo, eh eh, eccola qui. Certo anche in quel caso’ si disegnava con quel che c’era a disposizione; ora invece stiamo disegnando nuove Guzzi anche con nuovi telai! Io d’estrazione sono anche un telaista ed in fondo l’engineering mi e’ sempre piaciuto; stiamo preparando parecchie cose… (sorriso di compiacimento).

G. Lei piu’ di chiunque altro puo’ dirci esattamente cosa e’ cambiato con il passaggio alla nuova gestione…

M. Ma sa come andavano le cose all’epoca? Arrivavano con un lay-out ben preciso: ‘allora, questa moto deve costare 8.230.000 lire, dicci quali sono i mezzi per poterla fare’ ‘Vuoi ridisegnare il faro posteriore? No. Ti possiamo dare questo faro, per cui ti pigli il faro e via cosi’, per tutte le specifiche della moto…’ Io cosa ho potuto fare? Trovare una linea. Un parafango, un serbatoio e un codone.Tutto qui. E nonostante tutto, questa moto, quando la vedo mi lascia ancora… (sorriso) Sapete non e’ normale, eh? Io faccio moto di mestiere e sono abituato, e’ quasi una routine’ eppure questa moto ha qualcosa.

Arrivano le fotografie del primo prototipo del V11 e del Centauro e la conversazione, tra battute sui trattori e risa si perde tra triangolazioni telaistiche, travi ascendenti, impostazioni, flussi e turbolenze.

Entra Riccardo Marabese, anch’egli designer; dopo le presentazioni di rito subito Riccardo guarda fuori incuriosito dalle nostre moto e chiede spiegazioni su scarichi e possibili elaborazioni Guzzi: ora e’ Mauro a raccontare! Poi torniamo a parlare di design motociclistico e della difficolta’ di azzecare linee e tempi.

Riccardo: Consideriamo la F4 MV: per me, la piu’ bella moto del mondo, ma quando e’ nata aveva gia’ perso in partenza: presentata a suo tempo come prototipo per la futura Ducati e’ rimasta vittima degli eventi e infine uscita con un altro marchio e con un motore per cui non era stata pensata… Raffinatissima, ma alla fine non ha convinto al 100%.

M. Ne sto disegnando una che e’ un concentrato d’innovazioni a livello aerodinamico, di ciclistica: motore bicilindrico 1.000 cc. con 140 cv…

G. Stiamo parlando del nuovo motore Guzzi?

M. (sorride) Eh, diciamo che e’ di un’azienda che fa parte del gruppo, va bene? Ma sara’ una macchina molto ma molto tecnologica. Guzzi si merita una macchina che vada veramente forte e questa lo fara’. Come sapete, Guzzi ha gia’ usato tutte le architetture motoristiche possibili! Moto Guzzi puo’ quindi permettersi di sperimentare, di montare ogni combinazione; un marchio cosi’, uno dei primi 100 marchi piu’ conosciuti al mondo, che viene anche prima della Harley, e’ giusto che vada avanti… Moto Guzzi e’ un marchio incredibile, incredibile. Ora poi che e’ arrivato Beggio…

G. Ecco, torniamo alla domanda di prima: cosa e’ cambiato?

M. Tutto. E’ cambiato tutto. Guardi, Beggio e’ anche un amico; so cosa ci sta mettendo dentro, ogni giorno. Credo che nel giro di poco, vedra’: 3 o 4 anni, e la Moto Guzzi ritornera’ a fasti di un tempo.

G. Quello che ci sta dicendo ci riempie di ottimismo; effettivamente guardando il Griso si vede che non ci sono particolari presi, che so io, dalla V11 o da altre moto della gamma.

M. La Griso e’ nuova! Nuova, nuova (sospiro di soddisfazione)’ Questa sara’ la svolta della Moto Guzzi e poi abbiamo in serbo altre cosine da farvi mancare il fiato (sorride di nuovo) e quando sara’ il momento vedrete. Ora non e’ piu’ come quando abbiamo disegnato la Centauro, ora ci stanno dando spazio. Ma ragazzi, tenete presente di cosa stiamo parlando qui: gestire una moto nuova comporta mediamente 3 anni di tempo ed un motore nuovo costa anche 50 miliardi, eh’ non e’ uno scherzo. E poi l’affidabilita’! Gli standard devono essere quelli di un’Aprilia: tutto il gruppo e’ ormai coinvolto; i collaudi e i nuovi motori si studiano a Noale con sale prove da miliardi. Invece la gente si sa, ha sempre fretta! Non dimentichiamoci che quando Beggio ha rilevato la Guzzi ha trovato uno scatolone vuoto con dentro un sacco di debiti.

G. Ebbi un colloquio con Carlo Talamo un anno prima dell’acquisizione e lui mi disse testualmente: ‘Peccato che la Guzzi ormai sia morta; e’ fallita… solo un pazzo potrebbe pensare di comprarla. Ducati e altri aspetteranno che chiuda definitivamente per rilevarne il marchio’. Oggi dunque si e’ capito che Beggio per la Guzzi ha fatto un gesto piu’ da appassionato che da uomo d’affari.

M. In effetti! Spendere 130 miliardi per un marchio e basta e’ stato un gesto da innamorato… Pero’ io sono convinto che rinascera’ alla grande. E’ solo una questione di tempo. Il pubblico non sempre capisce che dietro alla presentazione di un nuovo modello ci sono mesi e mesi di lavoro.

Mauro: Ho incontrato recentemente diverse persone che all’uscita della nuova Ducati 999 hanno risposto acquistando con assoluta certezza la 998; quindi le chiedo come si puo’ immaginare il futuro delle forme di una moto, come si puo’ capire se un disegno sara’ gradito, se sara’ o meno un successo.

M. Ci sono diversi disegnatori e quindi diversi stili; faccio alcuni esempi: Tamburini: lui non e’ un disegnatore tradizionale, riesce con tutti i suoi collaboratori a mettere insieme il meglio. Mescola l’equilibrio, la leggerezza, le forme… Mentre – magari senza fare nomi – ma un Terblanche questo non lo sa fare: e’ senz’altro riconoscibile, ha stile; ma ragiona in modo diverso da Tamburini. Tamburini crea la moto come deve essere, cioe’ capibile; e’ un maniaco delle forme e dei particolari’ Badate che un prototipo di Tamburini vuol dire 4 anni di lavoro e costa 3 miliardi, mentre il secondo pensa alla moto che piace a lui e che rispecchia in pieno il suo stile ma magari poi piace solo a lui! Ma la moto non deve piacere solo a te, ripeto, deve essere capibile.

G. A proposito di design: e’ interessante il fatto che anche lei, come Carcano, riscuota successo anche nella nautica.

M. Si’, e’ successo per caso: un amico aveva preso la casa al lago; mi dice ‘prendi una barca: vedrai e’ divertente’. Mah, in verita’ io non so nemmeno nuotare; per farla breve presi un cabinato di 8 metri, una cosa fuori misura e cosi’ – forse e’ vero che sono un po’ un creativo – ho disegnato questo scafo di 4 metri e mezzo e mio figlio Riccardo ha gareggiato nella ‘Pavia-Venezia’ ed e’ arrivato terzo. Da li’ e’ nato l’interesse per la nautica.

G. Senta, ma la Griso come va in strada? Quella presentata a Monaco era una maquette, ma quella funzionante?

M. Ora ve la faccio vedere io la Griso funzionante…

Riccardo si adopera per azionare un video-tape.

G. Se questo sara’ il motore, significa che non si e’ fermata la produzione del 4 valvole?

M. Sara’ ripresa, risistemata e migliorata. Questa moto e’ bella solo in questo modo, abbiamo provato a montarci sotto un 4 cilindri e altre cose, ma non funziona: e’ bella solo cosi’. E che non mi dicano che e’ un custom!

Intanto scorre il video dove una Griso viene animata dal rombo di una moto fuori campo che poi appare e svela l’inganno. E’ simpatico vedere che il ‘doppiaggio’ del motore e’ ad opera di un bellissimo esemplare di Le Mans 850. Si ride un po` parlando dell’amico Fange e delle sue teorie sul Le Mans, moto perfetta.

M. Ma guardate che razza di moto e’ questa (la Griso), questa e’ una moto e basta. Non e’ copiata da nessuno; ha una forza assoluta, poi e’ bassa, e’ fatta con passione: qui bisogna dire che Rodolfo Frascoli si e’ veramente superato, a parte che e’ con me da 20 anni, ma si e’ proprio superato.

G. Quel telaio quindi e’ una realta’?

M. Si’, eccome!

G. Ha visto la moto realizzata in collaborazione con Ghezzi e Brian: la MGS 01?

M. Molto interessante, e’ un bell’esercizio di stile; per ora e` una provocazione. Il Griso comunque si fara’ anche perche’ ha avuto un successo strepitoso a Monaco.

G. E’ la moto che piace ai proprietari del Centauro!

M. Eh! La Centauro… ero partito a disegnarla dal Dondolino! La V11 dal Gambalunghino. In ogni Guzzi ci deve essere un filo conduttore… quello spirito… A proposito, noi sono tre anni che qui a Cerro Maggiore facciamo una gara di Gruppo 3. Una cosina che richiama 25.000 persone, eh: la prima in Italia: voi sarete invitati, dovete esserci.

G. Garantito. Di recente su Anima Guzzista abbiamo pubblicato un report da Montlery dove ho incontrato Sebastiano Marcellino. Sa, quell’eccezionale meccanico piemontese che ha ricostruito dai soli disegni la otto cilindri… Che emozione vederla girare…

M. Noi avremmo disegnato anche la nuova otto cilindri, se e’ per quello…

Goffredo e Mauro: COSA COSA COSA????

M. (sorride) Abbiamo fatto un sacco di belle cosine; Guzzi ha fatto tutto e percio’…

G. Esiste uno zoccolo duro di appassionati che per ragioni anagrafiche e’ convinto che Guzzi sia sinonimo di bicilindrico trasversale.

M. Scherziamo? Se proprio vogliamo essere precisi, il bicilindrico famoso della Guzzi, quello che ha vinto piu’ gare di tutti e’ quello longitudinale e infatti io ho disegnato la nuova Guzzi con il motore longitudinale e sara’ una cosa… anche a livello aerodinamico’ Stiamo facendo degli studi di aerodinamica molto complessi; avra’ una carrozzeria che’ non e’ piu’ una moto ma una Formula Uno (sorride).

Mauro: E a quando tutto questo???

M. Ci stiamo lavorando; per ora esiste solo una mezza maquette in poliuretano. Ma ora basta, basta! Non vi dico altro: se vi dico tutto, poi voi non ritornate a trovarci. Torniamo a parlare delle moto di adesso.

G. D’accordo: Sacha Lakic, il designer della Voxan Roadster ha di recente compilato una sua personale classifica delle moto piu belle. Il V11 e’, secondo Lakic, con Monster e 916 tra le prime tre moto piu’ belle al mondo e suo il commento e’ che il design della V11 “…e’ talmente puro che ti viene semplicemente voglia di salire e andarci via”.

M. Bello! Grazie. C’e’ del vero, forse. Le moto per me sono sensazioni e nella V11 si coniuga una certa libido per delle forme con un’impressione di fondo di moto maschia, essenziale.

Mauro: Che soddisfazione da’ disegnare una bella Guzzi oggi?

M. Da’ grandissime soddisfazioni. E poi oggi non possiamo piu’ sbagliare: e’ una vera sfida. Ma io vi dico: la Moto Guzzi sara’ la moto del futuro: abbiamo girato il mondo e la Moto Guzzi e’ dappertutto… certo che in passato abbiamo dovuto combattere con l’organizzazione! Veda, il designer e’ come un poeta, insomma per chi lo vuole fare il poeta, per chi ci crede. Io mi sveglio di notte e vado a disegnare, per seguire un’ispirazione. Con l’avvento di Beggio, lui ha detto: ‘Fate voi. Disegnatemi la nuova Guzzi’. Beggio sa come nascono le Motociclette.

G. La Breva?

M. Si’, l’abbiamo fatta noi anche quella. E’ un bel segnale di cambiamento, no? Sa, qui noi viviamo di moto; si parla di moto tutto il giorno; la si sente, la si ama. In modelleria entra un’idea, una linea e esce una moto finita’.
Sopratutto la moto la devi amare, altrimenti non puoi fare questo mestiere. La moto non e’ un’automobile.

G. Una moto che una discreta porzione di guzzisti attende e’ una turistica; un’erede della SP che possa rivaleggiare con le BMW…

M. (sorride) Riccardo, chiama Rodolfo… cosi’ ve lo presento e vi faccio vedere qualcosa. Pero’, il registratore e la macchina fotografica restano qui, mi spiace. Rodolfo e’ con noi da 20 anni e ha una passione immensa per le moto e per le Moto Guzzi. Lui disegna cosi’ di getto, poi insieme ritocchiamo, sistemiamo e tiriamo fuori la moto. Adesso andiamo di sotto da Rodolfo, vi faccio vedere quello che abbiamo pronto e quello che stiamo disegnando per la Guzzi.
E qui purtroppo termina l’intervista. L’incontro con Rodolfo Frascoli (Gilera DNA, Aprilia Pegaso, Breva, Griso…) e’ stato illuminante. Estasiati di fronte al suo monitor, di cose ne abbiamo ancora viste e sentite ‘ eccome! ‘ ma una promessa e’ una promessa. Possiamo solo dirvi che se soltanto un decimo della bellezza e della passione che sprigionano gli studi della Marabese Design per Guzzi si dovesse tramutare in realta’, allora la Guzzi fra un paio d’anni avra’ la gamma di Moto piu’ bella e completa che si possa immaginare. Ce n’e’ abbastanza per ridimensionare sia le tourer BMW che le sportive Jap.

Per quanto riguarda lo studio della Supersportiva… beh, anche se non fossimo vincolati al silenzio, non troveremmo le parole. Vi garantiamo comunque che abbiamo preso in parola l’invito del Commendator Marabese di tornare a trovarlo fra qualche mese quando potra’ -forse- rivelarci altre novita’.

Un piccolo scambio di battute pero’ ve lo vogliamo raccontare: di fronte ad un bozzetto per una stradale molto ma molto pepata, ci incuriosisce l’assenza di frecce e una striscia a pennarello arancione sul lato del faro.

Azzardiamo: – E queste pennellate arancioni? Sta studiando delle frecce integrate al faro anteriore?

– No, no – Risponde Rodolfo Frascoli – Le frecce non le ho ancora disegnate. Quella e’ un’idea per una verniciatura tipo fluo, per il cupolino, sai, in omaggio alla Le Mans.

Ecco, questi dettagli ti dicono tutto. Questi sono gli indizi di una passione che, quando e’ vera, si traduce quasi automaticamente in competenza, in rispetto per la storia, nella consapevolezza di essere chiamati a creare qualcosa di unico nel mondo della motocicletta. Chi pensa che stiamo esagerando, chi pensa che sia lecito tirare fuori un nome astruso come V11 Le Mans Rosso Corsa o ispirarsi agli scooter per le colorazioni di una California, vada a vedere come dovrebbero nascere le Guzzi del domani. Nello stesso identico modo in cui sono nate tutte le grandi Guzzi del passato, quelle di Carlo Guzzi, di Carcano, di Tonti: dalla mente di un’artista.
Questa consapevolezza del proprio ruolo e’ cio’ che si richiede a chi oggi affronta il compito sublime di dover disegnare (ma anche soltanto lanciare sul mercato) una nuova Moto Guzzi. E’ stato davvero entusiasmante l’aver visto che questi requisiti sono di casa da sempre alla Marabese Design.
Beh, il resoconto della visita termina qui. Dopo aver richiesto la firma dei V11 da parte del loro papa’, lasciamo la Marabese Design quasi in trance, ancora ignari del turbinio di emozioni che il successivo weekend a Mandello ci regalera’. Lo stesso Rodolfo Frascoli passera’ a trovarci allo stand a Mandello per ricevere i complimenti e i ringraziamenti di tantissimi Guzzisti, gia’ innamorati di Griso e Breva. La nostra speranza di tifosi incurabili dell’Aquila di Mandello e’ di vedere quanto prima in strada quelle moto meravigliose che abbiamo avuto la fortuna di ammirare su carta o su un monitor, in un indimenticabile pomeriggio di settembre a Cerro Maggiore.

Non so cosa mi prende quando il cielo è azzurro…

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di Roberto “Dondolino” Ruggeri

PRIMO GIORNO – Niedernhausen – Deutsche Weinstraße – Vogesen.

Cielo azzurro senza una nuvola la mattina di sabato, 22 marzo 2003 in quel di Niedernhausen, Assia.
Alle 9 e 30 esatte, il mio “fatto italiano che il Mondo invidia” si mette in moto dopo una resistenza solo simbolica…; per questo viaggio francese ho 2 obiettivi: il primo è fare non solo mototurismo, ma anche turismo, e il secondo è di non fare nemmno un km d’autostrada! Alternativo e di indole romantica come, si sa, ogni Guzzista, voglio viaggiare come si faceva una volta, osservando paesaggi, clima e architetture cambiare lentamente, accompagnati dal suono del mio bicilindrico.

Per cui evito la vicina entrata autostradale e passando per il Reno sfioro Magonza, poi giù per un breve tratto lungo il Meno splendido sotto il sole, ad Oppenheim mi inoltro nell’entroterra, la cosiddetta Assia Renana, in direzione Palatinato e più precisamente Deutsche Weinstrasse, la Strada Tedesca del Vino. Questo angolo di Germania, fortunatamente poco noto al grande flusso turistico, è una delle cose più sottilmente affascinanti che la Germania possa offrire al mototurista: temperature sempre molto miti, vigneti quanti ne vuoi, è l’unico posto in Germania dove crescono piante di limone e di kiwi. Anche in questa fredda mattina di marzo centinaia di Ciliegi (o sono Peschi? Le mie conoscenze botaniche in materia si fermano a “fiori rosa, fiori di Pesco”, per cui decido che, essndo bianchi, sono Ciliegi..) già in fiore (“c’erii tuuuuuu….”) mi invitano a tornare più in là, quando i vigneti offriranno la consueta distesa verde che oggi manca. Per il Guzzista interessato: a) aprire una carta decente della Germania; b) cercare Worms (a sinistra, in basso, Renania- Palatinato); c) identificare con sforzo sovrumano un micropaesino di nome Bockenheim. Lì comincia la Dt. Weinstrasse, che attraverso Grünstadt, Bad Dürkheim, Neustadt, Bad Bergzabern e altri simpatici nomi del genere porta al confine francese, Wissembourg, Alsazia, Dipartimento del Basso Reno. Tira un vento della miseria. Qui cominciano quelli che il tedesco chiama Vogesen, catena montuosa “sorella” della Foresta Nera (basta guardare la cartina per bene): come si chiami in Italiano non lo so, comunque l’avete trovata e questo solo conta….
Qui nei freddi Vogesen i vigneti diventano scarsi, però ci sono belle colline e foreste niente male; traffico scarsissimo, asfalto ruvido ma senza catrame, un vero spasso! Tra l’altro, il paesaggio sia del Palatinato sia dell’Alsazia mi convince ogni volta di più: pittoresco sempre, inserito in uno scenario naturale stupendo, non è mai “finto” come spesso accade nella Foresta Nera; è sempre un pò, direi, “trasandato” ma per questo più autentico. Qui non è mai tutto in ordine fino all’ultimo geranio, le vecchie per strada non sono necessariamente vestite da festa tutti i santi giorni e alle volte sorridono persino, le case sono a volte fresche di restauro ma altre volte decisamente bisognose di restauro (provate nella Foresta Nera! Ah! È più facile trovare un orologio a cucù non fatto in Cina!), si vedono vecchie stalle mezze rotte col trattore arrugginito, ma probabilmente ancora funzionante & Co. Insomma, c’è quel senso di vita vera, di bellezza non incipriata che tanto piace al Guzzista (animo delicato e profondo, alieno dalle sofisticazioni del tuttobellotuttopulitotuttoperfetto, altrimenti avrebbe, chessò, una Honda).
Trovo alloggio in un albergo “Logis de France” di un paesino “strategico” che già conoscevo, dal tipico assurdo nome misto “Morsbronn les Bains” (un nome tipo “Bad Porretta” o “Porretta les Bains”), non lontano da Haguenau, e lì mi lancio in un percorso che già conoscevo e che mi era rimasto nel cuore guzzista. Prendere nota: Morsbronn – Woerth – Reichshoffen – Niederbronn – Oberbronn – Zinswiller – Offwiller – Ingwiller – Lichtenberg (bel castello) e ritorno. Durante il ritorno succedono due cose: a) un cerbiatto quasi obeso, una specie di bambi adolescente con un debole per McBambi, mi attraversa la strada venti-trenta metri davanti: poco grave, già successo altre volte; e improvvisamente, con un botto mi si stacca la visiera del casco da un lato: mai successo, e grave! Mi fermo semiterrorizzato pensando a dove si trovano, in Alsazia, viti e/o ricambi per visiere di marca Uvex, ovviamente è sabato pomeriggio.
Breve preghiera, vigorosa grattata, attento esame e cessato allarme: l’attacco è senza viti e si era staccato, immagino per qualche urto o botta strana in precedenza, ma è intatto.
Sospirone, mi rimetto in moto, torno in albergo (fa freddo) e chiudo la giornata con due Tartes Flambées gratinate che non ce l’avrebbe fatta nemmeno il McBambi.

AnimaGuzzista Racconti Non so cosa mi prende quando il cielo è azzurro029
Idillio Campagnolo

SECONDO GIORNO – Strasburgo

Cielo stupendo e in programma soprattutto Strasburgo. Siccome non mi va di fare di fare la strada pianeggiante per Haguenau, con furbissima manovra di aggiramento scendo lungo la cresta montuosa in direzione sud ovest e entro trionfalmente in città da ovest; stupore di Hondisti, gendarmi in BMW si inginocchiano piangendo, Suzukisti buttano la loro moto nel fiume, poi mi sveglio….
Per i miei amici cartomani, la brillante direzione seguita è sulla direttrice Reichshoffen-Niederbronn-Oberbronn-Ingwiller-Boxwiller-Saverne e da lì verso la valle. Gli spiriti più acuti hanno già notato che in parte è il percorso di ieri, il che testimonia se mi à piaciuto o no….

Strasburgo è, voglio essere originale, bellissima. Una cattedrale mozzafiato, un centro storico sostanzialmente intatto (peccato per certi “sbavi” moderni pseudostoricizzanti) e “molto pittoresco”, la cosiddetta “petite France” è sì petite, ma anche molto jolie, come Angelina, anzi quasi. Sarà che oggi il clima è stupendo e questo, si sa, aiuta…

Durante gli anni seguenti alla Rivoluzione Francese, a Strasburgo un giovane ufficiale dell’Armata del Reno di nome Rouget de Lisle o de l’île scrisse una canzone di guerra. Alcuni scrivono racconti di viaggio, altri canzoni di guerra. Truppe provenienti da Marsiglia e di stanza a Strasburgo vennero poco dopo comandate a Parigi. Per tutto il tragitto entrarono in ogni paese e città cantando a squarciagola la canzone, che piacque assai e dopo il trionfale ingresso a Parigi prese il nome di “Marsigliese”.

Mi becco anche una sfilata di Carnevale, in piena Quaresima (non c’è più religione..), una cosa con gruppi internazionali, c’è di tutto dal Samba a Eminem: la sfilata passa a due metri da Ombromanto, che io avevo parcheggiato la mattina ignaro del pericolo; Egli, valoroso, supera la prova indenne.

Visitatela, Strasburgo, quando potete. Anzi, se ci andate a vivere ho l’impressione che non sbagliate di sicuro.
Dopo paurosi ingorghi, il solito perdermi in mezzo ai blocchi stradali per via del carnevale e molto aiutato dal mio senso dell’orientamento, dopo circa tre quarti di eternità arrivo al vicino quartiere degli edifici EU, dove mi impressiona particolarmente il bellissimo e nuovissimo edificio del Parlamento Europeo. Da dietro sembra la versione “paìna” del Gasometro noto ai Romani, ma da davanti è, semplicemente, stupendo.
Folgorato da tanta bellezza, pieno di sentimenti europei, canticchiando l’Inno alla Gioia mi rimetto in marcia verso Morsbronn mentre turisti giapponesi, sentendo il suono del mio motore, fanno dimostrativamente karakiri davanti a me filmandosi a vicenda. Dando prova di grande originalità, ritorno verso casa seguendo esattamente la stessa rotta del mattino.
Sono molto soddisfatto di Ombromanto, di Strasburgo, di me e del mondo in generale: finora tempo impeccabile, turismo notevole, 600 km in due giorni senza autostrada.
TERZO GIORNO – Besancon

Ormai le belle mattinate sono quasi noiose. Mi metto in moto deciso ad arrivare presto a Besancon (si scrive con la “cedille”, come Falcao). Fiducioso nella mia capacità di perdermi in mezzo a una città senza saperne più uscire, evito accuratamente la strada per Strasburgo e punto di nuovo, per la strada ormai nota, verso Saverne: di lì, mi becco una statale assai noiosa verso Nancy, ma il tratto successivo, in direzione sud, è anche peggio: doppia carreggiata, camion come se piovesse. Incontro anche tre convogli militari e una pattuglia della gendarmerie con mitra spianati e giubbotti antiproiettili, che però non mi sparano. Sollevato, noto che il clima diventa più caldo, ho infatti lasciato l’Alsazia per entrare nella Francia “storica”. Oggi però è Lunedì, tre albergi su tre “Logis de France” (la mia catena preferita) sono chiusi. Mi trovo un moderno, ben situato ma gelido albergo d’affari alla periferia di Besancon (camere in puro stile anni ’70, luci esclusivamente al neon: un posto accogliente per suicidarsi, I suppose….).
Appena uscito dalla doccia mi telefonano dalla Reception: può venire un attimo. Mah, veramente, comunque…
Un tizio ha appena tolto la MIA moto dal garage e ci ha messo la SUA macchina, una BMW Serie 7 penultimo modello con ruote da fuoristrada militare americano. Mi dice che vuole avvisarmi che ho dimenticato di mettere l’antifurto, “c’est pas normal!”. Perchè, che lui mi sposta la moto è “normal”? Ah, e il mio garage, mi dice “en passant”, è quello per le moto che sta dietro all’edificio. Chi conosce il cavalletto laterale delle Guzzi – col quale la moto resta quasi perfettamente perpendicolare e la sola forza del pensiero basta a farla cadere – può capire il sospiro di sollievo che ho tirato a vedere Ombromanto parcheggiato di fuori, maltrattato da infedeli mani biemwuiste, ma salvo.
Amante della normalità, metto l’antifurto; il tizio è, si capisce, il gestore e/o proprietario dell’Albergo. Guardo di nuovo le gomme e capisco le luci al neon.

Dopo un pò, mi dedico alla visita di Besancon. Altra piacevolissima sorpresa, che ha superato di molto le mie aspettative per questa tappa interlocutoria verso la Borgogna: vivace cittá universitaria, ha un Centro Storico molto bello e impeccabilmente curato e conservato, con molti edifici con facciata in pietra chiara, la bellissima cattedrale di St. Jean indimenticabile con le sue vetrate policrome al tramonto e il tipico tetto di Borgogna di mattonelle lucide e anche loro policrome luccicanti al sole; poi una città alta fortificata (“Citadelle”) che era troppo tardi per visitare (ma ci torno! In Guzzi, ci torno!); ma soprattutto, Besancon ha quell’aria di provincia colta e grassa dove si vive veramente bene, tipo Ferrara o Parma del Nord. Mi lascio cullare dalla bellissima atmosfera pomeridiana fino a che il crepuscolo e la chiusura dei negozi non mettono fine all’incanto, mi rimetto in sella e dopo essermi dovuto umiliare una sola volta a dover chiedere la strada per tornare in un albergo distante si e no due km sono di nuovo nel mio paradiso al neon.
A cena uno dei piatti a scelta del mio menù è la “Entrecôte”. Chiedo al tipo della BMW, che è venuto a prendere l’ordinazione, cos’è una “entrecôte”. Con originalità sconcertante mi dice “una entrecôte è una entrecôte!”. Chiedo timidamente: “steak?”. Non capisce o non udisce, scuote la testa. Vabbè che siamo in provincia, ma questo gestisce un albergo e non sa come si dice “entrecôte” non dico in Basco o in Serbo, ma in Inglese. C’est pas normal! Biemwuisti……
Quando finalmente arriva, capisco cos’è una entrecôte. Tutto sommato non era così difficile….
QUARTO GIORNO – Beaune-Autun

Non so descrivere cosa mi prende quando il cielo è azzurro, la mattinata è stupenda e il mio destriero Ombromanto parte al primo colpo e dopo pochi secondi tiene il minimo senza alcuna esitazione, fregandosene altamente di accensioni e iniezioni elettroniche. Immagino che sia l’Euforia da Accensione Mattutina, una forma meno nota del Morbo di Carlo. Dicono sia incurabile, soprattutto per la forte resistenza dei pazienti a farsi curare.
Il mio destriero ed io ci mettiamo dunque in moto verso la meta centrale del viaggio, la Borgogna. Stavolta le cose vanno meglio di ieri, sulla strada per Beaune pochissima superstrada, per la maggior parte del tratto una bella statale che serpeggia su e giù per colline attraversando altri villaggi “veri” (in contrapposizione a quelli “finti” troppo puliti, troppo perfetti ma senza anima che sembrano moto giapponesi), gli scarsi camion facile preda del mio cardanico, anzi “carcanico” destriero. Già molto soddisfatto della piega che hanno preso le cose arrivo a Beaune da est: finora niente vigneti, ma tempo notevole. Beaune l’avevo già visitata brevemente l’anno scorso (cfr. “Douce France”), ma esaminata a fondo si dimostra molto più carina di come la ricordavo. Dopo un’accurata esplorazione dell’invitante centro storico, visito l'”Hotel Dieu”, un ospizio e ospedale magnifico esempio di edilizia “sociale” del XV secolo. Tra le molte cose interessanti, il tipico tetto della Borgogna e il magnifico, magnifico “Giudizio Universale” del Maestro fiammingo Roger van der Weyden, che si sospetta essere una passata incarnazione di Massimo Tamburini.
Già, il Ducato di Borgogna. Cosa mi ricorda? La II Liceo, il mio caro Professore di Storia e Filosofia oggi morto, gli dedico un commosso pensiero e lo nomino Guzzista Onorario.
Vediamoli brevemente più da vicino, questi Duchi di Borgogna: erano valenti organizzatori e ottimi diplomatici e riuscirono a creare uno Stato plurinazionale che nel periodo della sua massima estensione arrivava dal Belgio al Mediterraneo, tagliando in due l’Europa centrale tra il Reich a est il Regno di Francia a Ovest. I molti monumenti dei secoli dal XIII al XV testimoniano del paio di secoli d’oro che hanno lasciato e della forte influenza che le allora ricche Fiandre, le province settentrionali del Ducato, ebbero sull’arte dei restanti territori (ed ecco anche spiegato van der Weyden). Specialmente gli ultimi 4 Duchi di Borgogna (Filippo il Coraggioso, Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono e Carlo il Coraggioso) fecero della Borgogna una Potenza europea. Il Ducato di Borgogna non venne mai nè distrutto nè sconfitto, ma confluì nel Reich per via dinastica all’estinguersi della linea maschile; successivamente la Borgogna e la Franca Contea passarono alla Francia, dove “rimasero” fino ad oggi.
Il potente “Primo Ministro” del penultimo Duca di Borgogna Filippo il Buono, Nicolas Rolin, è appunto il munifico ispiratore e donatore dell’Hotel Dieu.
Ma.. ma… SVEGLIA!!!!
Bene, ehem, dicevo.. Beaune è una città molto carina, ma dopo averla ben visitata e non avendo voglia di visitare il (si dice) fittissimo intrico di cantine, lancio il mio fido destriero alla volta di Autun. E finalmente arrivano, i dolci vigneti di Francia! Non sono ancora verdi, ma il paesaggio è ugualmente bellissimo, io ho sempre trovato i vigneti molto belli e Ombromanto è stato comprato proprio pensando alle “passeggiate per vigneti”, quindi siamo tutti e due nel nostro elemento. In un paesaggio impeccabile e non disturbato da elementi estranei tipo moto giapponesi (solo qualche mucca della Gendarmerie che si inserisce bene nel paesaggio) vedo i vigneti farsi più radi e piano piano sparire lasciando il posto a foreste e pascoli (il che spiega le moto della Gendarmerie), ed eccomi ad Autun, bel centro tardomedievale che fece la sua fortuna col “Business” dei pellegrinaggi verso Santiago di Compostella, che era a ben vedere il “turismo” di allora. Ci riuscirono grazie alle reliquie di S. Lazzaro e relativa Cattedrale. Che si rivelerà molto bella e spettacolare nella luce del tramonto, ma ai miei occhi soccombe davanti a St. Jean a Besancon vista ieri.
Ma non anticipiamo gli eventi: prima di farmi un giro per Autun chiedo alla proprietaria del mio solito albergo “Logis de France” dove mi può consigliare di andare per una cavalcatina di, non so, un’orettà et demì. Mi risponde senza esitazione “Morvan” e mi dá le indicazioni.
Amico Guzzista, seguace di Carlo, prendi la carta, trova Autun (sta una sessantina di km a ovest di Beaune, Beaune sta a una quarantina di km a sud di Digione, Digione, cribbio, te la trovi da solo..) e poi guarda verso Nord Ovest. C’è un’intera regione chiamata all’incirca “parco regionale naturale del Morvan” ed è – per il motociclista – uno dei posti migliori dove sia mai stato (e sono stato varie volte sulle Dolomiti): un enorme parco sostanzialmente disabitato e la sera anche abbastanza inquietante (e se mi si rompe un’altra volta la centralina elettrica in mezzo a un bosco? Ma, non ce l’ho, la centralina elettrica! Ha!! Nippon, trema!! Ha!), un paesaggio tolkeniano da Terra di Mezzo quale raramente avevo visto, curve e controcurve tra ruscelli, boschi, valli spettacolari, il tutto con traffico quasi inesistente.
Sembra una Foresta Nera senza traffico, cioè una contraddizione in termini…peccato solamente per il fastidioso brecciolino, a volte veramente insidioso e che non invita, come del resto tutto il paesaggio, a “tirare”.
Al termine di questa bellissima giornata, parcheggio la moto e mi visito Autun finchè è giorno (molto bella, non troppo grande, simpatica per fare tappa ma, va detto, nè Beaune nè Besancon).
Chiudo con un breve consiglio per gli acquisti: per fare mototurismo al meglio non c’è bisogno nè di iniezione elettronica, né di accensione elettronica, nè di ABS, nè di carenature spaziali, nè di 120 CV. C’è bisogno di un bicilindrico Guzzi ad aste e bilancieri raffreddato ad aria che ti porta a spasso per vigneti e boschi. Chi proverà, saprà….

QUINTO GIORNO – Cluny-Macon-Tournus

Una delle più potenti organizzazioni statali mai esistite, una vera Multinazionale ante litteram. Più di mille Abbazie sotto diretto controllo dal

Portogallo alla Polonia, “libere da ogni potere di Re, Vescovi e Conti”, sottomessi solo al Papa, cioè a nessuno perchè il Papa era lontano. Un’influenza su tutto il Mondo Cristiano quale mai un’altra organizzazione simile aveva avuto e superiore, si dice e diceva, a quella dello stesso Papa.
Un grande amore per i canti, per i riti religiosi e le cerimonie in generale, per la “pompa” e l’ostentazione – severa ma per questo ancor più inequivocabile – della potenza e ricchezza raggiunte. Il più grande datore di lavoro non statale e la più grande organizzazione benefica d’Europa. Questo era l’Ordine dei Cluniacensi. Una successione di Abati estremamente abili – tutti eletti giovani per dar loro modo di restare in carica per decenni – carismatici ma allo stesso tempo ottimi diplomatici, li portò al vertice della Cristianità e ve li tenne per due secoli; la loro terza Chiesa Abbaziale, detta “Cluny III”, fu non per una o due generazioni, ma per 500 (cinquecento) anni la Chiesa più grande della Cristianità. Per 500 anni! Fanno 5 volte e mezzo la storia della Guzzi!
Cluny, la città dove nacquero, fu al suo massimo splendore il vero centro della Cristianità, la “capitale segreta”, “Roma secunda”.
Poi venne il declino; lento dapprima, accelerato e irreversibile quando nel XVI Secolo l’Ordine passò sotto la “protezione” del Re di Francia. Miserrima la fine dopo la Rivoluzione Francese: l’Ordine sciolto nel 1790, la magnifica Chiesa usata a partire dal 1793 come gigantesca cava di pietra, legno e materiali di lusso, le decorazioni sacre svendute a collezionisti. Lo scempio, abbastanza unico per caratteristiche nella Storia moderna, andò incredibilmente avanti per trent’anni, perfino dopo la Restaurazione! Quando,nel 1823, si decise di por fine al massacro
quel che restava di Cluny III erano i poveri resti che ho visitato oggi assieme agli edifici accessori; un giorno triste questo, seppure la grandezza dia, in qualche modo, anche alla tristezza una sua dignità e anche al declino una grandiosa bellezza; intollerabile il solo pensiero che una cosa del genere possa accadere, chessò, a San Pietro o Santa Maria Maggiore o San Giovanni.
Più per rispetto e come “tributo” alla grandezza passata che per la convinzione dell’effettiva utilità di una cosa del genere mi “sparo” la visita guidata ai monumenti di Cluny, in Francese rigorosamente molto veloce; mi immagino il chirurgo che descrive agli studenti di medicina il cadavere che ha appena finito di sezionare e del quale alla fine resta pochissimo, ma si può ancora immaginare come doveva essere sano e forte, quel corpo. Inoltre, invece della guida carina che accompagna un altro gruppo mi tocca l’altra, quella, diciamo, ben piantata e che racconta pure palesemente tutto a memoria: decisamente non è la mia giornata…

Bello depresso (tornando a Ombromanto, grandezza e lento declino mi ricordano inevitabilmente la Moto Guzzi, ma lei almeno vive e scalpita..) mi metto in marcia per vedere la prossima tappa, Macon. Macon è carina ma non certo indimenticabile e “soffre” il confronto con Cluny; poi ha una zona pedonale frammmentata e un centro storico di una bellezza non particolarmente impressionante, direi carino e basta. Mentre libero la moto dal bloccaruota per andarmene (ero parcheggiato sul bel lungofiume) due tizi sui 40-45 anni, vestiti identici, esclamano “ah, Moto Gucci!”. Cominciamo a parlare, sono due motociclisti danesi, si informano su prestazioni, prezzo dei lavori fatti, se sono soddisfatto. Il più anziano è in trattative per una Breva, ma in Danimarca le tasse sono notoriamente feroci, lui spera di riuscire ad averla per 15.000, diconsi quindicimila, Euro. E comprarne una usata? “Forget it”, dice ridendo e facendo un gesto di rassegnazione con la mano. Poveraccio….
Mentre gli dico quanto ho speso sulla mia sento il mio malumore sparire rapidamente, l’orgoglio di essere Italiano e il piacere di vivere in Germania assumono un sapore tutto nuovo e molto piacevole. Eh sì, c’è del marcio in Danimarca….
Dopo un cinque minuti di intensa propaganda Guzzista (tanto i soldi sono i suoi…), lascio i due alle loro visite e mi metto in moto verso Tournus, altra cittadina medievale sita nelle vicinanze. Per essere stata visitata lo stesso giorno di Cluny Tournus si difende benissimo, poi calcolo che Gwaihir mi sarebbe costato sui 23.000 Euro e sento l’euforia crescere…..

Turnus ha, prima di tutto, una Abbazia romanica notevole. Poi ha un simpatico borgo medievale ed è piacevole passeggiarci un’oretta facendo una pausa birra perchè fa caldo. Il senso di tragedia, di stupro efferato e irrimediabile, che mi aveva accompagnato tutta la mattina se ne è andato, spazzato via da un problema non mio. Si sa, il Guzzista è una persona emotiva, altrimenti non avrebbe una Guzzi, ma una Kawasaki o magari una Singer…..

Il percorso per tornare in albergo è geniale: D 14 fino a Courmatin, di lì D 981, che mi riporta in direzione Beaune, in “zona vigneti” fin quasi a Chagny, paesaggio assolutamente incantevole; da Chagny fino alla vicina Meursault, dove ero stato l’anno scorso. Meursault è bellissima in quella che io sono solito chiamare l’ “ora magica” del tardo pomeriggio; da Meursault e tanto per non sbagliare rifaccio la stessa strada fatta il giorno prima venendo da Beaune e arrivo ad Autun, dove finisce questa giornata molto particolare.
SESTO GIORNO – Avalon-Auxonne-Vezelay

Un’altra giornata da incorniciare, però con qualche nuvola (le prime dall’inizio del viaggio!).
Ieri ero andato verso sud, oggi mi dirigo verso Ovest. Parto presto e arrivo ad Avallon prima delle 10. Avallon è un altro posto pittoresco costruito sopra un enorme massiccio di granito ed è nota per la (bellissima) chiesa di S. Lazzaro, con cui gli avallonesi (?) cercarono di portar via ad Autun il “business” del turismo verso Santiago di Compostella, che aveva appunto nella locale cattedrale di S.Lazzaro una delle sue “tappe fisse”. Sia che le reliquie di Avalon non fossero buone come quelle di Autun, sia per altre ragioni (olio santo di viscosità inadeguata, candele di gradazione sbagliata, raffreddamento ad aria invece che ad acqua santa, chissá…), la cosa non funzionò. Mia opinione: non ha funzionato perchè era una cagivata. Come i Cagivisti, gli Avalonesi dovettero constatare che la tradizione o ce l’hai o non ce l’hai e non la puoi creare copiando un altro….
Comunque Avallon ha anche un Centro Storico molto bello seppur piccolo e la sua piccola parte di storia moderna (c’e ancora l’albergo dove Napoleone pernottò sulla via di Parigi dopo essere fuggito dall’Isola d’Elba) e consiglio fortemente un giro di quel che è rimasto delle mura, da dove si può ammirare la valle a strapiombo.
Ad Avallon ero arrivato con la D980 (molto bella) e la N6 (molto meno bella). Continuando ora sulla N6 arrivo ad Auxerre. Auxerre, molto semplicemente, incanta. La cattedrale, di un Gotico slanciatissimo e con bellissime vetrate policrome, è molto suggestiva specialmente col forte sole che nel frattempo era uscito e vale da sola una giornata di viaggio solo per vederla. La città antica è anche molto simpatica, sebbene non all’altezza di una Beaune, ma ha un’atmosfera così “francese” coi suoi tavolini e la gente che gira ovunque con le baguette che anch’io mi fermo qui per la mia pausa pranzo, birra ottima ma con lo sconosciuto “croque monsieur” che mi delude rivelandosi un volgare toast al prosciutto e formaggio che perde 3 a 0 al confronto con un buon panino. Vivamente sconsigliato.
Lascio Auxerre per la vicina Vezelay (Avalon, Auxerre e Vezelay formano una specie di triangolo e si prestano ad essere visitate assieme). Vezelay, che come Avallon sorge a picco su una roccia, è più caratteristica e meglio conservata di quest’ultima. La Chiesa romanica sarebbe stupenda se non avessi visto Auxerre poco prima e fu, per l’epoca, rivoluzionaria: volutamente priva di ornamenti di qualsiasi tipo e persino di vetrate policrome, è tutta giocata sull’architettura e sul sapientissimo gioco di luci tra protiro (molto luminoso), navata centrale (cupa, solenne, imponente) e abside (luminosissimo, slanciatissimo, venendo dalla navata lascia quasi senza fiato). Se l’intera Chiesa è bellissima, l’abside è al suo interno il “pezzo forte”: da non perdere.
Vezelay è anche legata a due Crociate: da qui Bernardo di Clairvaux (cistercense, l’Ordine “rivale” dei Cluniacensi) il giorno di Pasqua del 1146 infiammando la platea “lanciò” la Seconda Crociata. Bernardo doveva portare sfica perchè la Crociata finì malissimo. Sempre Vezelay fu un importante punto di raccolta per la Terza Crociata, la ben più nota “Crociata dei Re”.
Lascio Vezelay con le sue casette in pietra forse un pò troppo ben tenute e comincio la parte “guidata” della giornata. Quasi 4 ore di guida ininterrotta nel famoso parco naturale del Morvan, che ieri come oggi non mi delude. Torno in albergo alle 7 e un quarto, più ricco di 410 km e ancora un’altra volta estremamente soddisfatto di Ombromanto, del modo francese di fare le cattedrali, di quello italiano di fare le moto e del mondo in generale.

SETTIMO GIORNO – Chalon-Beaune-Nuit St. George

Il settimo giorno rannuvolò di brutto. Comincio la giornata “perdendomi” (di regola ci riesco benissimo anche non volendo, ma stavolta era voluto…) per stradine in mezzo ai vigneti: ci sono vari percorsi “turistici” molto ben indicati e comodi da seguire; il paesaggio è molto bello nonostante i vigneti ancora spogli, il vento invece fastidioso e la mattinata abbastanza uggiosa. Arrivato “perdendomi” dalle parti di Le Creusot mi metto sulla Nazionale per arrivare a Chalon; la scelta è pessima, buona parte del tratto è a carreggiate separate e pieno di camion. Se andate da quelle parti, consiglio di perdervi per vigneti direttamente dalle parti di Chalon che è meglio. Arrivo a Chalon alle 11 e 30: fa freddo, scendono alcune gocce. Forse anche per questo la città non mi impressiona granchè, non mi sento di suggerirne la visita, giro nemmeno una mezz’ora, poi mi metto in un accogliente bistrot e alla fine me ne rivado. Quando esco da Chalon (la cosa mi riesce eccezionalmente bene, senza perdermi nemmeno una volta…), è uscito di nuovo il sole e il clima è più mite, per cui mi “riperdo” per vigneti, stando stavolta attento a perdermi in direzione di Meursault, che voglio rivedere. Da lì ripasso per Beaune e poi punto a nord fino a Nuits St. George, un simpatico villaggio che come Meursault e Beaune è un “nodo” del commercio vinicolo locale. Prenoto in un albergo Logis De France vicino Beaune, che però ha posto solo per una notte invece delle due che volevo. Il resto del pomeriggio lo passo ancora per vigneti, bellissimi nella luce del pomeriggio. Un velo di tristezza mi accompagna, mentre viaggio per vigneti a velocità minima, il motore che fa le le fuse tranquillo, pensando a quanta gente, in questo momento, va in giro su una Honda o Kawasaki o Suzuki piena di valvole e sigle strane, e non saprà mai…..
Alla sera mi faccio un altro giro a Beaune, anche lei mai tempo perso. La giornata si fa ricordare anche per una mia genialissima manovra di parcheggio su brecciolino non ben livellato, che finisce come avete già intuito… la figura di merda è dolorosa, ma breve, un simpatico locale si ferma immediatamente e rialziamo subito la moto. Sicuramente si è chiesto come si fa a cercare di parcheggiare in un posto del genere. Ma come si dice (in senso figurato!): laissons tomber….
OTTAVO GIORNO – Citeaux-Digione-Nuits St. George

I Cistercensi erano in molte cose in aperta polemica coi Cluniacensi: ascetici quanto quelli erano “mondani”, fautori del lavoro manuale anche duro e anche durissimo quanto quelli erano seguaci del canto, sobri e poco appariscenti (arrivavano a non volere campanili) quanto quelli erano amanti di architetture sontuose; insomma, i Cistercensi erano gli “alternativi” dell’epoca. Il loro più famoso esponente fu quel Bernardo, Abate della “filiale” cistercense di Clairvaux, che abbiamo incontrato a Vezelay dare il via alla Seconda Crociata. La crociata, come sappiamo, finì in un massacro; Bernardo, che godeva all’epoca di un prestigio analogo a quello del Papa, divenne santo.
L’Abbazia madre, a Citeaux, è poco distante da Beaune e l’ho visitata questa mattina. Nulla resta degli edifici di un tempo, il tutto è piuttosto insignificante, inspiegabilmente il portone delle visite è chiuso in orario di visite! Mi faccio una passeggiata intorno, poi lascio da parte Citeaux senza rimpianti e mi dirigo verso la tappa principale di oggi, Digione. Digione va assolutamente visitata: un centro cittadino piacevolissimo e quasi sempre ben conservato, tre chiese di valore estetico e artistico assoluto (la più bella, secondo me, St. Michel), un Palazzo Ducale ammirevole anche se un “falso storico” (ai tempi della facciata dierna, XVII Secolo, il “Ducato” come entità autonoma non esisteva già più), ma soprattutto quell’atmosfera rilassata e da città ancora a misura d’Uomo che avevo già ammirato a Besancon o Auxerre, con bistrot a ogni angolo e gente che seduta ai tavolini a godersi il sole. A Digione passo buona parte del pomeriggio tra l’altro mangiando e bevendo molto bene, dopo un’ulteriore passeggiata mi rimetto in moto e dopo un’ ennesima cavalcata per vigneti visito Auxonne (da non confondere con Auxerre!). Auxonne ha la solita Chiesa molto bella (Notre Dame, gotica) e una simpatica cittadina con resti di mura del XVII secolo; Napoleone vi soggiornò come giovane ufficiale e anche io e Ombromanto (“Ombromanto è stato qui!”) ci facciamo immortalare davanti al Municipio. Da Auxonne ritorno a Nuits St. George, dove ho preso l’albergo per la “notte” mancante. Nuit St. George è anche lei una cittadina piccola ma simpaticissima, come Meursault in mezzo ai vigneti e quasi altrettanto bella.
Mangio in un bistrot il cui simpatico e assai loquace gestore, che dispone di una quantità immane di muscoli facciali e con vivacità chiacchierona mi dice che lui ha avuto 4 incidenti in moto prima di smettere (negato ma di buona volontà, penso…), viene da me informato che la Moto Guzzi, ebbene sì, esiste ancora! È stupito… Ormai ha messo su anni e chili, adesso colleziona bottiglie di vino e sembra soddisfatto così. La più pregiata che ha vale, dice lui, 3000 euro, racconta però di collezionisti ricchi, bottiglie da 30.000 o 50.000 euro, pazzie di una sera per magnati decadenti. Dio mio, quante Guzzi del ’59 si comprano con 50.000 Euro? E loro restano, anche dopo che le hai messe in moto una volta! E ancora: due bottiglie delle sue mi comprano un bell’Airone Sport finemente restaurato, ne avanza anche per un bell’olio pregiato, preferibilmente non del ’59! Bè, mondi differenti… tornando a casa comincio a favoleggiare, visto che costa così poco, di regalare a Ombromanto una sorellina o meglio una sorella maggiore…..
È bello, in una tiepida sera in Borgogna, i vigneti invisibili nel buio e tuttavia presenti nell’aria e nella dolcve atmosfera di una sera che promette l’estate, immaginarsi sopra un Falcone o Airone Sport. È un piacevole congedo da questo bell’angolo d’Europa che domani lascerò.

NONO GIORNO – Colmar

Alle 8 del mattino esco dalla mia stanza di ottimo umore e bello come il sole, per avere dal proprietario le chiavi del garage dove ho lasciato la moto per la notte. Scopro due cose: 1) non sono le otto, sono le nove, l’ora legale mi ha fregato ancora; 2) del gestore dell’albergo, (che tiene in ostaggio il mio purosangue!), nessuna traccia nonostante siano, appunto, le nove. Finalmente dopo circa mezz’ora il vicino tabaccaio informa me e la donna di servizio che aspetta di entrare che il tipo ha toppato clamorosamente con la sveglia (versione ufficiale che io non commento) e arriverà presto.
Il tipo arriva (non tanto presto); gentile e apparentemente sobrio, sicuramente riposato, si scusa educatamente e rilascia l’ostaggio, da me accolto con gioia di madre apprensiva. In sella al mio eroe mandelliano comincio, ormai alle 10, il mio viaggio di ritorno. Scelgo una via in parte analoga, in parte più a sud di quella percorsa all’andata. Un pò la rotta più a sud e a valle, un pò che in questi dieci giorni ha fatto molto caldo per la stagione, il paesaggio è diverso da quello dell’andata: alberi già con completo corredo di foglie, cespugli coloratissimi, molti giallo-“Delta Integrale”, peschi e ciliegi quanti ne volete, l’atmosfera è già più che primaverile e sarebbe perfetta con le distese verdi delle vigne (ma in quel caso farebbe troppo caldo). Lascio dunque la Borgogna e attraverso la Franca Contea (Besancon e Belfort) entro in Alsazia appunto dalla parte sud di Mulhouse, credo la culla delle Bugatti. È, tanto per cambiare, un’altra giornata scandalosamente bella. Lascio la statale e mi infilo una serie di stupendi villaggi in mezzo ai vigneti seguendo uno dei tanti percorsi turistico-commerciali (in realtà vogliono, è ovvio, che compri il vino) molto meglio indicati della Deutsche Weinstrasse. Nel frattempo le case di pietra – o intonaco – francesi hanno lasciato il posto alle per me ormai consuete case a traliccio, mostrando l’avvenuto attraversamento della “frontiera culturale”. Particolarmente impressionante e assolutamente d’obbligo è la “strada dei 5 castelli”, che dai vigneti ti porta nei folti monti ( o colline, ma belle toste) vicini appunto collegando 5 pittoreschi castelli. Dopo questa ennesima razione di bosco e vigneto punto dritto verso Colmar, graziosissima cittadina alsaziana e scrivo queste righe seduto all’aperto (ma fa un pò fresco…) in una piazza consistente interamente di case a traliccio il cui difetto è, semmai, l’immacolata perfezione della bellezza troppo tirata a lucido. Sia per euforia (ho anche trovato un buon albergo vicinissimo alla zona pedonale, Ombromanto è giá parcheggiato per la notte) sia per la voglia di farmi del male mi sparo ben due tartes flambées al formaggio. Chi conosce, sa….
Che dire di Colmar? Colmar è parte del vecchio territorio degli Alemanni, come Friburgo, Strasburgo e Basilea, una cultura tra le culture ma dove ti stupisci pur sempre di leggere e sentir parlare francese. Trovarsi in Alsazia e non visitare Colmar è come trovarsi a Lecco e non visitare Mandello. Non solo non sta bene; semplicemente, non si fa.
Le chiese sono chiuse, la batteria (giapponese!) della macchina fotografica mi ha appena lasciato, per cui niente foto…
Caro lettore Guzzista, se leggerai fin qui (e non credo, quindi è lo stesso…) consentimi un toccante dettaglio guzzistico. Il giorno in cui con Manfred entrai in Borgogna (vedi sempre “Douce France”) festeggiai i 10.000 km con Ombromanto, il mio purosangue di Mandello. Oggi, quasi esattamente dieci mesi dopo e il giorno in cui invece esco dalla Borgogna, festeggio i 20.000. Puntine platinate e spinterogeno, vecchi carburatori Dell’Orto, frizione rigorosamente non idraulica, 4 valvole ma per 2 cilindri… e una gioia a guidarla, quale prima di conoscere la Moto Guzzi non credevo nessuna moto potesse dare. Il mio purosangue rosso come la passione e come molte cose belle del mio Paese compie il prossimo 1. luglio 17 anni e ha tutta la voglia di vivere di un adolescente. Penso che gli farò un bel regalo, magari ruote a raggi o sospensioni di lusso, eventualmente rimandando la “sorella maggiore” di ieri. Vedremo.
Come l’anno scorso, consentitemi di chiudere così: grazie, Ombromanto!.
DECIMO GIORNO Riquewihr-Kaysersberg-ritorno

Altra mattinata nuvolosa, minaccia pioggia ma oramai me ne importa poco. Invece anche oggi, dopo due gocce due, un forte vento spazza via le nuvole. Quando arrivo a Riquewihr è una bellissima giornata, ma ventosa e un tantinello fredda. Riquewihr viene detta la “Rothenburg d’Alsazia” e, diciamolo subito, non vale l’originale ma si vede che si sforza; è, per dir così, la Raptor di Rothenburg. Molte case a traliccio, molte in via di restauro, una panetteria dove compro due croissant enormi e leggendari, un bel posto per passarci un’oretta.
Di lì mi reco nella vicina Kaysersberg, nota per avere dato i natali ad Albert Schweyzer, teologo, musicista e soprattutto missionario e benefattore. Kayserberg è molto idillica, nettamente più grande di Riquewihr ma senza mura e in piano, con un vecchio castello che domina il paese ricco di belle case a traliccio. Dopo imposizione delle mani (manipolazione metti-togli), la mia batteria resuscita, probabilmente era solo un contatto. Ne prendo spunto per tornare a Colmar, scttare alcune foto di più o meno orripilante banalità (tra cui l’immancabile foto dell’altrettanto immancabile “piccola Venezia”, tre canali in croce da queste parti sono sempre una “piccola Venezia”….), mangiare l’ultima tarte flambée accompagnata dall’ultima birra locale e mettermi in viaggio verso casa.
Stavolta risalgo l’Alsazia costeggiando il Reno: il paesaggio è piatto, direi tra il pontino e il maremmano per come li ricordo io e offre solo a tratti squarci di fiume, ma notevoli. Va tutto bene fino a Strasburgo dove al solito mi perdo, alla fine mi rimetto in rotta, raggiungo Wissembourg e alla fine sono di nuovo nella cara vecchia Germania “ufficiale”. Di qui provo senza successo a risalire lungo la famosa “Deutsche Weinstraße”, mi perdo un’altra volta; decido di fare una “sciatina fuoripista” e prendo una strada su per le vicine montagne che diventa sempre più bella e sempre più solitaria, finchè la strada finisce in un sentiero con davanti un cartello “divieto di accesso eccetto guardie forestali”. Torno indietro per 24 (ventiquattro) km e ritrovo l’imboccatura di questo incredibile binario morto, col cartello di avviso bello piantato che mi urla “cretino”. Non importa, è una bellissima strada che porta gli escursionisti nel cuore del Parco Naturale del Palatinato, ho imparato una cosa in più e me ne ricorderò la prossima volta. Ormai sono le 6 del pomeriggio, casa è lontana, comincia a fare fresco. Sempre deciso a evitare l’autostrada, vado per le spicce e mi scelgo le statali che, a occhio e orientandomi col sole, portano verso nord. Anche loro offrono uno stupendo panorama di vigneti e peschi e ciliegi in fiore. Però c’è un problema. In Germania, dove le autostrade sono tantissime e gratis, nessuno si preoccupa di mettere sulle statali segnalazioni che vadano oltre il prossimo villaggio. Risultato: a ogni incrocio puoi scegliere tra il paese Pinco e il villaggio Pallo, quindi o guardi a ogni incrocio la cartina o vai a naso. Decido di andare a naso, fallendo gloriosamente.
Finisce che alle 8 di sera imbrunisce già parecchio, fa abbastanza freddo, sono ancora ad Alzey e quelli a cui chiedono mi indicano…l’autostrada! Sì, vabbé, allora mi compravo una Suzuki…

Brancolando nel (quasi) buio, trovo un’indicazione per Oppenheim, sul Meno. Non so quanto è lontano ma mi ci ficco, da lì la strada la faccio a occhi chiusi. Che dire: era lontano….. Arrivo a casa a buio inoltrato, sono le 9 di sera esatte. Messa la moto sul cavalletto, nonostante il freddo resto lì ad ammirare Ombromanto. Capisco che è appena finita la più impeccabile vacanza in moto che abbia mai fatto, un ottimo mix tra mototurismo e turismoturismo, tempo bellissimo ma mai troppo caldo, Ombromanto impeccabile, problemi tecnici zero. Mentre do una pacca o due sul serbatoio del mio purosangue come faccio al termine di ogni viaggio (io le faccio queste cose, le faccio veramente! Io lo so, che lui capisce e apprezza!) lo ammiro alla luce della lanterna. E lì mi accorgo di avere, sul serio, freddo e fame.
Grazie, Ombromanto, perchè me li fai dimenticare….

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Appendice utile

Ho fatto circa 3700 km, consumo circa 16-17 km/litro.

La benzina in Francia può essere un problema, se non avete la carta benzina apposita. Le oscillazioni di prezzo sono enormi, anche 13-14 centesimi al litro per benzinai distanti poche centinaia di metri! Ottimi i prezzi dei benzinai dei supermercati, quando non sono chiusi, pagamento (per chi non ha la carta) sempre in contanti, dimenticate carte Bancomat straniere e carte di credito.

Dormire: quando possibile e utile, consiglio gli alberghi della catena “logis de France”: sempre buono o ottimo rapporto
prezzo/qualità, gente gentile. Molti di loro hanno anche il ristorante, che può essere di qualità variabile da semplice a molto raffinato.
Consultare www.logis-de-france.fr, inoltre c’è anche la catena “Logis d’ Italia” che ho già sperimentato con successo sulle Dolomiti.

Mangiare: in Alsazia ovunque cucina di stampo tedesco-mitteleuropeo. Tipici tra l’altro il formaggio Munster (bello tosto, per alcuni è ottimo, per altri puzza di piedi, a me piace…) e ovviamente la mitica Tarte Flambée, in più ci sono altre cose tipiche dal nome impronunciabile… In Borgogna la cucina si fa più raffinata e ovviamente più cara, i ristoranti offrono oltre alla “carta” (prezzi inavvicinabili) menù a prezzo fisso per importi variabili dai 12-14 ai 40 euro a persona bevande escluse (calcolate minimo altri 10 euro per vino, acqua, caffè). Chi non ha appena rapinato una banca può rivolgersi, specie di giorno, ai molti bistrot che hanno anche ottima birra alla spina.
Sempre per chi alloggia negli alberghi “Logis de France”, chiedere se si può avere la “soirée Etape”, pernottamento con cena e prima colazione ” a un prezzo sempre conveniente”.

Strade: pochissimo catrame, di regola strade ben tenute, asfalto di grana grossa, non molto confortevole ma adatto ai climi freddi. Fare attenzione al pietrisco sempre in agguato. Benzinai abbastanza scarsi. Potendo, cercare di usare le strade dipartimentali (D); le strade statali (N) possono essere di tutto dalla bella strada tutta curve al mostro rettilineo a due carreggiate.

Situazione agguati: il tutore dell’ordine nelle sue varie manifestazioni è molto presente (molti motociclisti della Gendarmerie), ma mai pericoloso (“vogliono solo giocare…”). Il gendarme o poliziotto locale risponde sempre al saluto e dà l’impressione di essere molto tollerante….

Criminalità: in Alsazia direi circa come in Germania, anche in Borgogna non mi sono mai preoccupato. In Provenza consiglio di non lasciare la moto fuori la notte. Non chiudere la moto viene considerato “pas normal”.

Clima: ho avuto molta fortuna, ma la temperatura è mediamente più alta che in Germania, io sono stato sui 20 o più in Borgogna tutto il tempo. Direi che aprile è forse il mese ideale, dopo diventa per i miei gusti giá troppo caldo.

Dondolino

Roberto Patrignani

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Roberto Patrignani, motociclista, giornalista ma soprattutto Guzzista D.O.C.

a cura di Goffredo Puccetti e Aldo Locatelli
Ottobre 2002
AnimaGuzzista Protagonisti Roberto Patrignani _
E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…
Partendo da Roma di sabato mattina per un matrimonio in Maremma, e avendo fissato un appuntamento di lavoro a Milano per il lunedì successivo, voi come vi organizzereste per il lunedì mattina?

Se avete risposto: faccio una puntatina a Mandello, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Da quando avevo incontrato Roberto Patrignani alle GMG a fine settembre cercavo un pretesto per poter tornare a fare un salto a Mandello ad incontrarlo, e adesso ce l’avevo. Domenica sera arrivo da Aldo e Terry, ormai una sorta di istituzione per tutte le Anime Guzziste peregrine a Mandello, e l’indomani mattina appuntamento fissato con Roberto Patrignani, davanti ai cancelli di via Parodi, ovviamente.

Io e Aldo arriviamo puntuali e troviamo Patrignani che ci attende; strette di mano e si sale in macchina: la chiacchierata si svolgerà a casa sua.

– Ah, però vi devo chiedere una cortesia. Mi ha chiamato l’amico Perrone… per un articolo su Motociclismo d’Epoca e gli servono le date di nascita e morte del pilota Guido Mentasti, ve lo ricordate? Quello del Gran premio delle Nazioni del 1924 a Monza, con la 500 quattro valvole…

– ehm, veramente…

– Beh, le date gliele ho dette a memoria ma giusto per essere sicuri visto che è sepolto qui a Mandello… Vi spiace se ci fermiamo un attimo al cimitero che controllo?
La sosta fuori programma già ci fa capire che tipo sia Patrignani: motociclista, globe trotter, giornalista e scrittore, una vera enciclopedia della moto vivente!
Arriviamo a casa sua e subito ci sferra un colpo da knock-out:

Passiamo dal garage così vi faccio vedere delle belle moto…

Il Parco moto è notevole: una bellissima Ducati e una Morini da competizione, un Airone Sport perfettamente restaurato e la leggendaria Vespa del raid Milano-Tokio del ’64.

– La mia preferita. Non la venderò mai – ci dice accarezzandola con lo sguardo. Ci accomodiamo nella bella mansarda… Ai piedi del letto, su una mensola della libreria una splendida monocilindrica bialbero completa di carena. No, non un modellino: proprio una vera Moto Guzzi 350 da Gran Premio!

Allora, intanto chiamo Perrone e gli dico le date di Mentasti sennò poi mi dimentico… Dunque noi ci siamo visti al Museo e lei voleva fare quattro chiacchiere ma non ricordo più se siete una rivista, un moto club o…

Anima Guzzista è un sito internet…

Ahi, su internet vado male, eh… Mio figlio mi ha anche detto che mi ha installato la posta elettronica… l’email… Mah, io col computer francamente…

Beh, faccia conto che siamo una piccola rivista dedicata alle Moto Guzzi. Lei ne ha parecchie di storie da raccontare sulle Guzzi. Cominciamo dal Bol d’Or del 1971. Siamo a Le Mans… e sotto la tuta di Mandracci… c’è Mandracci o Patrignani??

Mandracci, Guido Mandracci! Guardi, lo scrissi anche pubblicamente, anni fa, credo su Motosprint. Mandracci finì a terra, di notte e riuscì a riportare la moto ai box. Mentre Brambilla girava…insomma, non è che ci piacesse l’idea di fermare una gara… Oh eravamo stati in testa dieci ore… E insomma ad un certo punto, e non mi ricordo neppure chi ebbe l’idea per primo, mi dicono: <<Patrignani, se Guido non si riprende, ti metti la tuta e vai te, eh… >> Io ero il responsabile della Squadra Guzzi, venivo dai Record di Monza, ero arrivato a Le Mans in moto, per dire, ed ecco che mi ritrovo gli sguardi di tutto il box adosso…

E invece?

E invece Mandracci risalì in moto e si fece tutto il suo turno. Finimmo terzi! Che gara! Che emozione…

Finimmo?

Finirono, finirono! Ho scritto che quel ricordo lo sento ancora ‘inquinato’ dal fatto che io ero lì pronto col casco in mano a fare quello che la squadra mi chiedeva, ma la tuta di Mandracci non la indossai. Lo avrei fatto, ah si’! Avrei barato sul regolamento pur di non fermare quella gara! Ma non fu necessario.

Ha accennato alla sessione dei Record di Monza del ’69…

Gran bella impresa, quella! Le confido una cosa: ci fu un momento, durante quella sessione che pensai: ci siamo, Roberto, ti han fatto lo scherzo della vita e ci sei cascato…

Cioè?

Quando arriva il mio turno, chiedo a Brambilla suggerimenti sulle traiettorie, specie l’ingresso in parabolica. Insomma eravamo lì per fare dei record, eh mica per altro… E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…

E lei?

E io l’ho fatto! Solo che quando mi resi conto della velocità con la quale stavo entrando in curva, dissi fra me e me: è la fine, adesso volo di fuori. E invece per effetto dello schiacciamento, della parabolica insomma, il motore perde un po’ di giri; quanto basta per tenerti dentro quella curva, ma proprio appena appena, eh! Pensi che ci fu Venturi, credo, che provò anche lui la V7 lì e dopo una sessione se ne stava tutto perplesso a rimuginare: – ma che cacchio di uccelli avete da queste parti? A duecento all’ora mi vedevo volare questi passerotti scuri sopra il casco… Erano pezzi di pneumatico, altro che passerotti!

Quell’impresa fu un bel colpo promozionale per la Guzzi e aprì le porte all’interpretazione in chiave sportiva del V7 di Carcano.

Sicuramente fu importantissima per la Guzzi. Mi ricordo un festone al Circolo della Stampa di Milano, per celebrare l’impresa. E i compensi che ci diede la Guzzi. Da capogiro! Cinquecentomila lire, se non ricordo male. Comunque una somma esorbitante. E comunque senz’altro quell’impresa, insieme ai vari test che seguirono in Usa e in Francia, a Monthlery, convinse la Guzzi a sviluppare il V7 Sport.

Lino Tonti: che tipo era?

Eh, un genio. Un appassionato. C’erano gli scioperi? I picchetti? Le parlo degli anni Settanta, eh, anni molto difficili. Insomma c’erano dei giorni che se entravi in fabbrica rischiavi di prenderle… E lui si assemblava il telaio in cantina, a casa sua! Per testare i prototipi, se trovava i piloti bene, altrimenti prendeva e usciva lui. Si spaccò anche il femore così, durante uno di questi suoi test a casa sua. Se non sbaglio dalle parti di Cattolica.

Lei oltre che tester è stato anche impiegato e dirigente in Guzzi…

Sì sì, all’Ufficio Relazioni Esterne. Ecco, guardi, le dico una cosa. Aspetti che trovo la lettera originale perchè c’è una cosa di cui sono molto orgoglioso… Ha visto come sta tornando bello il Museo Guzzi?

Sì, perché?

Perché quel museo, in parte, ho contribuito a farlo nascere… Ecco la lettera, vede?

Patrignani ci mostra una lettera indirizzata alla Dirigenza Guzzi nella quale segnalava lo stato disastroso dei modelli storici Guzzi che si trovavano sparsi, più o meno abbandonati, in dei grossi capannoni tra Mandello e Abbadia Lariana, e propone degli interventi per il loro recupero e restauro in vista della creazione di un Museo Guzzi.

Ecco, vede? E qui mi risponde: “bene, Patrignani, lei cosa ci consiglia, etc etc…” Le assicuro che l’interesse verso le moto d’epoca è cosa abbastanza recente. Fino agli anni sessanta ma anche un Dondolino o dei Gambalunga si trovavano a marcire nei capannoni… Con la vernice che faceva il fiore, uno spettacolo che non le dico… In Guzzi non ci si rendeva conto del patrimonio che si stava lasciando andare in malora. Poi, dopo, c’è anche chi se ne è approfittato…

Cioè?

Beh, in tutta franchezza… Arrivavano ogni tot mesi questi nuovi dirigenti che di Guzzi non ci capivano niente; però tutti ben disposti a mettere in piedi il Museo, pieni di buone intenzioni ma… Insomma se gli arrivava il tale x o y che gli proponeva, dico per dire, un’Airone bello bello tutto restaurato e luccicante e in cambio si offriva ‘generosamente’ di vuotargli un box da tutti qui rottami ammuffiti, che magari erano dei Gambalunghino… capisce?

Interessante. Mi ricordo una visita al Museo sotto la sapiente guida di Vanni Bettega che di fronte ad alcuni modelli rimuginava: “mah, questo è tutto rifatto…”

Esatto! Guardi, io voglio essere onesto al 100%. Io ho dato tanto e ho lavorato tanto per questa idea del Museo e, francamente, non posso dire di non essere stato ricompensato. Vede alle mie spalle? (alle sue spalle c’è la 350 Bialbero) Non è proprio una cosina da niente… Un’altra così è al Museo, appunto… Però ci sono state di quelle cose… Uff, lasciamo perdere che quando ci penso…

Comunque: ecco, questo, forse per vanità, mi piacerebbe che si sapesse: che ho dato un piccolo contributo alla nascita del Museo Guzzi.

A proposito, nostalgia del suo Gambalunga?

Eh, eh. No, perchè se non lo avessi venduto non avrei mai avuto la possibilità di tornare al TT…

‘Ti porterò a Bray Hill’. Uno dei libri di moto più emozionanti e sinceri che abbia mai letto.

La ringrazio, ma quando si parla di Tourist Trophy viene facile…

E parliamo di Tourist Trophy, allora.

Ah, io starei tutta la giornata a parlarne. Invece ho degli amici che non ne vogliono proprio sapere. L’amico Perrone, per esempio. Uh, che litigate. Lui è molto severo sul TT: tira fuori l’elenco dei morti e chiude le orecchie. Anche quando ci sono ritornato ancora nel 1996, altra litigata (sorride). Rispetto la sua opinione, per carità. Ho vissuto in prima persona momenti di tragedia al TT. Ho cercato di scrivere tutto e di essere onesto su tutto del TT. Ma c’è poco da fare… il TT lo devi vivere. Se penso a persone come Joey Dunlop che ho avuto l’onore, e dico l’onore di poter frequentare. È un mondo eccezionale. Ed è difficile per me esprimere un giudizio netto, drastico sul TT. Prendete Agostini, che pure fu alla testa dei piloti che chiesero il boicottaggio del TT per ragioni di sicurezza. Ecco, chiedetegli qual’è il circuito più bello del mondo e vi sentirete rispondere: Ah, il Mountain… Anche in Guzzi mi fecero uno scherzetto, alla rievocazione del 1996 o 1997, al Lap of Honour, dovetti cedere il numero 1 ad Alfio Micheli. Il TT di qui e il TT di là… poi all’ultimo: Patrignani non le dispiacerebbe cedere il numero 1? Ma certo che mi dispiace! Mah, insomma, per fortuna ero in ottimi rapporti con i manager di allora. Mi regalarono anche un bell’orologio, una serie limitata fatta per la Guzzi, per farmi stare buono (risate). Ma l’ho scritto poi, eh! Il mio fu un gesto di “forzata cavalleria”… Son finito pure nelle balle di paglia col Gambalunga, proprio a Bray Hill pur di non dargliela vinta, eh! Il Lap of Honour è una gara come le altre, altro che parata (risate).

La Guzzi di oggi e di domani. Lei è ottimista o pessimista al riguardo?

Ottimista, ottimista! Si vede che c’è un nuovo interesse, no. Qui a Mandello è proprio tangibile. Già in passato c’erano stati manager in gamba, eh. Mi ricordo i vari Sacchi, Lanaro, ma nessuno rimaneva a lungo quì! Adesso mi sembra che la nuova proprietà sia bella solida. Speriamo in una politica oculata di investimenti.

Come se lo immagina un nuovo motore Guzzi?

Mah, non saprei… O mi fanno un qualcosa di pazzesco, che so io, un 8 cilindri! Quello sì che mi emozionerebbe! Un bicilindrico longitudinale… non so, ormai ce lo hanno tutti… Insomma facciano loro ma ci mettano un po’, come dire, di ‘sapore’ Guzzi, ecco.

È ormai tempo di congedarsi. Aldo scatta qualche foto. Il fatto è che ogni angolo dello studio di Patrignani offre spunto per nuove chiacchierate e così tiriamo per le lunghe…

Ah, ecco il famoso Dingo Cross del Raid: Città del Capo-Alessandria…

Uh, ecco, le dico un’altra cosa, così mi libero la coscienza: i diecimila chilometri sono una esagerazione… Arrivato a 7000 ebbi un esaurimento nervoso, lasciai il ciclomotore in un box e… scappai! Giuro! Mi vennero a prendere in aeroporto, al Cairo… Uh, mi spavento ancora a raccontarlo (risate). Vedete, io pensai di partire da lontano e di fare il viaggio avvicinandomi verso casa. In genere invece tutti i grandi raid erano da casa verso qualche meta lontana. Ma io dopo aver fatto Milano-Tokio non me la sentivo di ritrovarmi in quelle situazioni nelle quali non solo sei a migliaia di chilometri da casa… ma continui pure ad allontanartici! Solo che non avevo fatto i conti con il bollino del Sudafrica sul passaporto… Sa, eravamo nel 1966. Ad ogni frontiera, ore, giorni di problemi, perquisizioni a non finire, interrogatori… Ecco, arrivato ad Asmara, stremato dai problemi per ottenere il visto in Sudan, crollai e tentai la fuga! 7000 e rotti, non diecimila chilometri quindi…

Beh, in ogni caso 7000 km su un Dingo!…

Ricordo che prima di partire l’Ingegner Carcano mi chiamò: -“Patrignani, ma per questa sua cosa in Africa, ma perchè non si fa adattare uno stornello tipo scrambler?” E non aveva tutti i torti.. Sapeste quante salite ho fatto a piedi, col Dingo che a mala pena arrancava stracarico com’era…

E sulle memorie africane ci congediamo, questa volta davvero. Potremmo continuare all’infinito: quì spunta una targa commemorativa del Coast to Coast – fatto con un ciclomotore Garelli – lì c’è una foto con Joey Dunlop, e così via. Ringraziamo sentitamente Roberto Patrignani per la simpatica chiacchierata e ci dirigiamo verso casa di Aldo, dove Terry ci ha preparato per pranzo un delizioso polletto farcito per concludere questa breve ma bellissima visita a Mandello. Ma non è finita; dopo il caffé, Aldo lascia cadere una proposta: -“Senti, se non devi essere a Milano troppo presto, facciamo in tempo a farci un giretto: ti faccio provare il mio Centauro…”

E così, prima di infilarmi in auto verso il grigiore di Milano, ci godiamo una piccola escursione bicilindrica sul Lungolago: all’andata il Centauro, al ritorno il Le Mans… (Grazie Aldo) È la botta finale, l’overdose di emozioni: una volta giunto a Milano, all’importante riunione di lavoro, non avrei poi capito molto e avrei parlato pochissimo: Varenna era diventata Bray Hill, la Ford Fiesta in tangenziale aveva lasciato il posto ad un V7 sulla parabolica… Sembra addirittura che dopo mi abbiano visto passare al casello con “pazzo abbandono”…

G.

 

 

DOUCE FRANCE

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immagine-racconto

di Roberto Ruggeri (Dondolino)

 

Non è un bel mattino quello del 29 maggio 2002, dalle parti di Wiesbaden. Cielo del miglior grigioscuro, le previsioni dicono pioggia in mattinata.
Comunque lieto per la vacanza in moto che sta per incominciare, carico di buon’ora il fido Ombromanto (Guzzi 1000 SP2 “Spada”, in versione personalizzata) con le borse preparate la sera e prima delle 8 sono in partenza per Saarbrücken. I 200 km di noiosa autostrada che ci separano (la strada alternativa, molto bella, non viene in considerazione per ragioni di tempo) sono anch’essi grigi, circa 50 km prima di Saarbrücken arrivano le prime gocce di pioggia. Presto smettono: saranno anche le ultime.

All’arrivo vicino Saarbrücken mi aspetta il mio amico Manfred, felice proprietario di una BMW R85RT del 1990 pressochè nuova (nemmeno 20.000 km) e tenuta con teutonica cura. La mia aquilotta, sporca già all’inizio del viaggio, mostra con eleganza le diversee aree culturali di appartenenza….
Ad attendermi però c’è non Manfred, ma … sua madre, presso la quale il Nostro, che lavora a Monaco, lascia la moto. La BMW ha problemi, Manfred è già dal meccanico, tornerà tra poco.

Dopo una mezz’ora appare il compagno di viaggio: la moto è stata un pò “rispolverata” dopo la lunga inattività: carburatori smontati e ripuliti, nuove candele, ora il motore gira tondo e rassicurante, con quell’aria di sfida al tempo che il boxer BMW trasmette così bene.

Si parte subito in direzione Francia, e qui purtroppo non potrò essere molto d’aiuto al lettore perché io seguivo, ma insomma si viaggia per piacevoli strade statali e provinciali, con pochissima autostrada, in direzione Digione. Dalle parti di quest’ultima il paesaggio cambia, i vigneti si fanno più frequenti, il paesaggio molto “sudeuropeo”, tra l’altro c’è una bella luce pomeridiana che molto dona ai vigneti. A Beaune, il centro vinicolo della Borgogna (perchè è qui che ci troviamo) ci fermiamo per la prima vera pausa dopo il pranzo “al sacco”, ci godiamo davanti a un caffè l’atmosfera rilassata della cittadina piena di turisti (soprattutto tedeschi per via del “ponte” della festività del Frohnleichnam, (che credo sia il Corpus Domini ma forse no), poi ci mettiamo per tempo a cercare un posto per la notte. Manfred ha un altro modo di intendere la vacanza in moto: faticatore e spaccachilometri io, rilassato e vacanziero lui. Questa vacanza abbiamo deciso di prenderla comoda, più vacanza “con la moto” che vacanza “in moto”. La mia vera natura verrà fuori prima della fine del viaggio….

A Meursault, dalle parti di Beaune, troviamo una degna possibilitá di pernottamento e un molto migliore ristorante nella forma dell’Hotel Du Centre, membro di quella meritevole organizzazione chiamata “Logis de France” e che in generale mi sento di consigliare. Della serata mi restano in mente, oltre alla piacevole conversazione con un amico di molti anni che causa trasferimento vedo solo raramente e al pasto impeccabile, la discussione di un gruppo di tedeschi a un tavolo vicino, prima quieti e sereni in stile vacanziero, poi più accesi, poi decisamente agitati, infine più o meno apertamente urlanti. Clima mediterraneo, insomma. Concludo la giornata dicendo che segna i primi 10.000 km da me fatti con la mia aquilotta, A.D. 1986, ritirata il 1. febbraio e usata solo nel tempo libero.
Buonanotte, Ombromanto….

La mattina seguente è bellissima. Dopo una buona ma in stile francese non troppo abbondante colazione ci mettiamo in marcia verso sud. Ai vigneti della prima parte del viaggio, molto belli nella mattina di primavera avanzata (passiamo anche per Cluny, che ci impressiona ma non abbastanza da spingerci a fermarci a lungo) seguono paesaggi via via più aspri, quando da Macon decidiamo di aggirare Lione da ovest e scendere verso sud dalla parte di Clermont Ferrand non senza una breve sosta a Cluny.
Quello che segue è un bellissimo pomeriggio di curve nel territorio chiamato comunemente “Ardèche”, anche se per me lo spasso è cominciato già nel dipartimento Haute Loire ed è proseguito, dopo il dip. Ardèche, in quello di Drome. Ma il tempo passa e abbiamo una camera già prenotata molto più a sud; ci buttiamo sull’autostrada e ne usciamo ad Orange dopo una rapida cavalcata.
Qui il paesaggio è completamente cambiato. Fa più caldo nonostante la sera che inizia, la vegetazione è diversa, più cespugliosa (ma non mancano i vigneti), pochi alberi, in un modo strano mi ricorda la campagna romana ma non rendo l’idea. Mi dice il mio esperto amico che questo paesaggio si chiama “garrigue” ed è tipico del posto, mi ha detto anche da dove viene il termine ma Alzheimer avanza…. Alle otto e mezza circa e dopo circa 640 km arriviamo a destinazione, una incantevole casa colonica ristrutturata ad albergo dalle parti di Alès. L’albergo-ristorante viene gestito da una ex collega di Manfred, che ha lasciato baracca e burattini a Monaco per venire a stare qui col suo uomo. Dopo avere mangiato abbondantemente e chiacchierato fino a ora tarda in un misto di tedesco e francese di qualità variabile (bene lui, male io…) poniamo termine al secondo giorno di viaggio. Fin qui in 2 giorni 1200 km, bei percorsi, bel tempo, bei posti, tutto a posto.

La mattina del terzo giorno essi si riposarono, perchè la mattina era bella, il giorno prima avevamo girato molto e fatto molto tardi, e una chiacchierata di quà, un ricordo dei vecchi tempi di là, quando partiamo sono le 11 e 40 e il sole picchia già duro.
Così tanto che dà alla testa al buon boxer, che all’improvviso regola autonomamente il minimo sui 4500 giri senza apparente motivo. Constatato che il cavo del gas (mia prima diagnosi ahimè frutto dell’esperienza) non è il responsabile, arrivati nel vicino, idillico paesino di *****-la romaine (nota per le rovine romane e per la disastrosa inondazione del settembre 1992, su cui Manfred riferì come inviato della radio tedesca) ci affidiamo ad un meccanico non ufficiale.
Dottore, è grave? No, no, solo un colpo di sole dei carburatori dovuto alla differenza di temperatura con la Germania. Il nostro “medicine man” procede semplicemente a una nuova regolazione e messa a punto, dopodichè ce ne andiamo soddisfatti. Stimato lettore Guzzista, l’episodio ci insegna due cose. Primo: le vecchie moto hanno un grosso vantaggio: ripari tutto in loco e puoi sempre ripartire, invece provate a rompere una moderna centralina elettrica nel sud della francia e mi raccontate. Secondo: se una Guzzi e una BMW, entrambe non più giovanissime, sono in missione e una delle due ha problemi, non è per forza la Guzzi..:-))).

Con le moto a posto si può affrontare il clou della giornata: Mont Ventoux. Lo prendiamo dalla parte opposta a quella del Tour, poche scritte per strada e di ciclisti sconosciuti. La strada è molto bella, non molto impegnativa perchè molto larga ma sempre interessante. Arrivati in cima il panorama è di quelli rari, fino alle Alpi (e si vedono) e al mare (non si vede, leggera foschia).
La discesa dal Mont Ventoux mostra ciò per cui il posto è famoso: il gotha del doping su pedali italiano e internazionale (allez Virenque! Pantani!) è immortalato per terra; lo sfortunato Tommy Simpson, qui morto, è invece immortalato da una lapide.

La discesa invece delude: catrame liquido in mezzo ai tornanti, brecciolino non ancora pigiato dallo schiacciasassi ovunque, condotta prudente e guida poco divertente.
Continuando dopo il Mont Ventoux facciamo una strada bellissima verso sud che pare non finire mai. A Lourmarin, paese molto idillico e già noto al mio amico esperto di cose francesi, finiamo prima noi e decidiamo di fare tappa. Alloggiamo nell’altrettanto idillica Villa Saint-Louis, idillico alberghetto ex sede della Gendarmerie, con un giardino, una terrazza e un panorama da sogno. In questo posto (Lourmarin, non l’albergo…) è sepolto Albert Camus e qui vive sua figlia; dopo un pò capisci che è non solo un bellissimo posto per esserci seppelliti, ma anche prima. La serata è piacevolissima e prevede aperitivo al tavolino, passeggiata, cena al locale ristorante “La récreation” (molto buono), altra passeggiata, altro liquorino. Quasi a mezzanotte non c’è ancora bisogno del maglioncino, una bellissima serata di inizio estate che mi ricorderò.

E venne l’ora fatale, l’ora segnata dal destino, l’ora ecc.. ecc..
È l’alba del quarto giorno, i nostri eroi sono in ritardo sulla tabella di marcia: rinunciare alla costa e tornare indietro oppure marciare avanti imperterriti, incuranti delle conseguenze?
!Allons enfant de la Patrie!” Decidono i nostri. Ca ira, ca ira, ca ira!
Ci dirigiamo verso sud, arriviamo alla costa a St. Raphael. Cemento ovunque, corruzione a gogò, “le mani sulla città” in versione viveur. Mano a mano che ci allontaniamo dal centro di St.Raphael, il cemento lascia il posto a ville nel verde e sul mare di una bellezza discreta ma ciononostante quasi abbagliante; il giorno bellissimo, il mare, il cielo fanno il resto, la Germania vince giá 3 a 0 contro l’Arabia Saudita, peccato che sotto le tute di pelle faccia un tantino caldo…
Incontriamo l’Esterel, con le rocce rossastre stranissime, e arriviamo fino a Cannes.
Quivi giunti, dopo l’obbligatorio giro per un anonimo, ipercementificato pezzo di lungomare noto come “Croisette” e dopo una pausa di rifornimento per destrieri e prodi cavalieri, proseguiamo per prendere, di lì a poco, la strada che tu, lettore benigno e paziente, hai già immaginato: la Route Nationale 85, meglio nota come Route Napoleon.
Che dire di questa strada? Una cosa sola: ci tornerò, e di belle strade ne ho viste non poche.
Dalla costa verso Cogne, da lì verso Digne, tutto un susseguirsi di curve in un paesaggio che dire spettacolare e pittoresco è banale, ma inevitabile. Incrociamo les Gorges du Verdon, che non abbiamo il tempo di percorrere e questo è l’unico cruccio del viaggio. A Digne andiamo avanti e arriviamo a Sisteron, dove ci facciamo accogliere dal locale “Logis de France” che ha anche il parcheggio recintato (attenzione: nel Sud della Francia il furto è una realtà). Sisteron si rivela una cittadina molto piacevole, anche se non così mediterranea come Lourmarin. La Francia ha perso col Senegal, la gioventù locale beve per dimenticare o forse avrebbe bevuto lo stesso, non lo so, non lo chiedo, con modestia mi accontento che abbiano perso…
Decidiamo il da farsi. L’indomani è l’ultimo giorno, io devo tornare a Wiesbaden, Manfred a Saarbrücken, in più ha un appuntamento con un amico vicino Lione per fare il resto della strada assieme. Per me è un allungo notevole, in più è tutta autostrada, decido di prendere la strada “diretta” verso nordest, ma condirla il più possibile a modo mio.

Domenica mattina, dopo essermi salutato con Manfred, comincia la giornata più incredibile della mia carriera motociclistica. Prima parte: 5 ore e 330 km, prima una stupenda Route Napoleon fino a Grenoble, poi strade statali per Chambery, Annecy, quasi fino a Nantua.

Da qui comincia la seconda parte: 710 km quasi tutti di autostrada fino a casa, anzi sarebbero stati tutti ma sbaglio l’uscita a Mulhouse, mi incasino credendo che Gourzwiller sia in Germania, poi faccio la statale fino a Colmar, da dove rientro in Germania. Il traffico del ritorno da un ponte festivo mi rallenta, ma non può frenare la corsa mia e di Ombromanto, purosangue di Mandello lanciato contro il vento come un eroe futurista, in autostrada fino a 180 di tachimetro (da prendere con le molle, diciamo 165 effettivi).
Dopo 13 ore e mezza di viaggio, senza avere nemmeno mangiato perchè quando guido non ho fame e anche per evitare sonnolenze, con l’unico aiuto di 3 lattine di Coca Cola non dopate e di un fantastico, incredibile Ombromanto, arrivo a casa senza nemmeno avere male al sedere (apparso brevemente un paio d’ore prima, poi scomparso: Mr. Endorfina, I suppose?…).
Mentre, in fase di arrivo, procedo al graduale raffreddamente del motore rallentando progressivamente e poi lasciando il motore girare al minimo per un paio di minuti per evitare lo shock termico, penso a che materiale ho per le mani, quanto è adatto al turismo, quanto é affascinante il suono, come è adatto il motore, come è robusto il telaio.
La Guzzi non produce più moto da turismo.
Che volete farci. Non piace al marketing.

Bella vacanza, con un caro amico, bel tempo e una moto eccellente.
Da domani si torna al lavoro. Ma con dei ricordi in più.

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Appendice
Consigli utili per chi viaggia in Francia

a) paese sostanzialmente disabitato tranne i grandi centri, pochissimo traffico, fantastico.
b) asfalto molto duro nella francia centrale e orientale, ottimo perchè non bisognoso di rammendi col catrame.
c) fare benzina presto, anzi prima, anzi adesso! Sì, proprio quel benzinaio lì! Avere sempre dietro banconote da 5 e 10 euro. Pregare che il prossimo benzinaio sia aperto (se la preghiera era intensa, alle volte succede…..).
d) stare attenti ai furti.

Ciao
Dondolino

Conferenza tenuta dall’Ing. Giulio Cesare Carcano

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Le Moto Guzzi da corsa degli anni cinquanta, da uno a otto cilindri
Conferenza tenuta dall’Ing. Giulio Cesare Carcano il 5 novembre 1988 al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, Milano. Monografia Aisa 4
Grazie a Lorenzo Boscarelli dell’AISA (Associazione Italiana della Storia dell’Automobile)

 

Parlare dei tempi trascorsi alla Moto Guzzi e, particolarmente, delle moto da corsa, è per me un onore e un piacere. Il tema riguarda le Moto Guzzi degli anni ’50, ma ritengo utile premettere una breve carrellata su quello che erano le Moto Guzzi da corsa prima degli anni ’50, ma con ricordi non così diretti per il periodo anteriore al 1936, anno in cui cominciai a lavorare alla Moto Guzzi.

Fin dagli inizi, la Moto Guzzi fu caratterizzata della originalità delle sue soluzioni, originalità spesso felice, qualche volta meno, ma certamente fu una macchina che precorse i tempi, basti ricordare il Campionato d’Europa del 1924, vinto a Monza dal compianto Nino Mentasti, per capire come allora la Moto Guzzi precorresse i tempi. Infatti, quel motore monocilindrico aveva la distribuzione monoalbero a quattro valvole in testa, la lubrificazione forzata con doppia pompa di mandata e recupero, soluzioni che sarebbero divenute di uso generalizzato sulle altre motociclette solamente molti anni dopo. Aveva, inoltre, la biella tubolare, un piccolo capolavoro di lavorazione meccanica, se pensate che questa era forgiata piena e poi forata.

La moto usata da Mentasti per aggiudicarsi il Campionato d’Europa era particolarissima perché non aveva cambio. Mentasti, infatti, aveva provato con il cambio a tre velocità comandato a mano, come si usava allora, ed aveva constatato che poteva girare a Monza in presa diretta senza usare il cambio, con qualche inconveniente nei punti in cui il cambio si sarebbe rivelato utile, per esempio alla partenza o alla prima curva di Lesmo; ma, a prove fatte, decise di correre quella corsa con la macchina in presa diretta ed, infatti, nei primi giri, pagò qualcosa in tempo e distanza per la difficoltà ad entrare in velocità con una moto di quel genere senza cambio.

Un fatto curioso è che lui si permetteva di circolare per le strade di Mandello e di andare al caffè con questa macchina senza cambio, che solo lui riusciva e a far partire e a governare, tant’è che nessuno degli altri corridori usò mai una macchina di quel tipo senza cambio.

Negli anni successivi, va ricordato il trionfo della Moto Guzzi nel 1935 con Stanley Woods all’isola di Man, quando, per la prima volta, una motocicletta da corsa utilizzò su quel circuito il telaio elastico, per altro già adottato su qualche moto civile, ma il cui impiego su moto da competizione era praticamente inesistente. Stanley Woods era uno specialista del Tourist Trophy, che vinse la bellezza di 14 volte. Si trattava di un circuito difficilissimo che, quando vi andai per la prima volta nel 1950, mi lasciò esterrefatto per la possibilità di ottenere medie così elevate su una strada con fondo asfaltato, ma molto granuloso ed ondulato, sulla quale quindi l’andatura della macchina, specie nei tratti veloci, era molto incerta ed inoltre con la caratteristica pericolosissima della continuità di muretti di pietra che fiancheggiavano la strada. Se un pilota cadeva dalla moto, si faceva veramente male ed era fortunato se poteva raccontare la sua caduta. Ho visto delle abrasioni e delle mutilazioni impressionanti provocate da cadute su quel circuito, che ha il triste primato di 130 centauri che hanno perso la vita in corsa o durante le prove.

Nel 1937, due anni dopo la vittoria di Woods, Omobono Tenni compiva un’impresa memorabile con la 250, vincendo la sua categoria, primo corridore “straniero” ad aggiudicarsi una prova nel Tourist Trophy. Tra le moto degli anni ’30 va ricordata anche una quattro cilindri di 500 cc con compressore, raffreddata ad aria, costruita nel 1931, una macchina che, in pratica, non corse mai; avrebbe, infatti, dovuto correre il Gran Premio di Mona, ma fu ritirata prima di correre. Il motore era ad aste e bilancieri, con teste di ghisa, molto pesante, non facilmente guidabile, e con una potenza non sufficiente per controbattere la Norton che, allora, era la macchina all’avanguardia e che, infatti, si aggiudicò quel Gran Premio delle Nazioni con Piero Taruffi.

Nel 1932, Carlo Guzzi ebbe l’idea di costruire la bicilindrica a V di 120°, utilizzando due cilindri della 250 cc ad asse a camme in testa, nata nel 1927, che aveva dato prova di avere un ottimo motore sia dal punto di vista del rendimento che della tenuta. Questa macchina di 500 cc è stata una di quelle che ha più resistito all’usura del tempo come macchina da corsa e, infatti, dal 1932, con modifiche successive che hanno interessato telaio, testate, ecc. ma mantenendo sempre lo schema originario, restò attiva fino a dopo il 1950.

Prima della guerra, era consentito l’uso della sovralimentazione ed il problema che ci si era posto alla Moto Guzzi era quello di avere qualcosa di efficace per controbattere la Rondine, costruita a Roma dalla C.N.A. ad opera dell’Ing. Gianini, poi diventata Galera con una storia strana che non tutti conoscono, nel senso che ci furono delle trattative tra la C.N.A. e la Guzzi per l’acquisto di quella macchina, ma Carlo Guzzi pose un veto su questa ipotesi di accordo perché non concepiva che esistesse una Guzzi che non fosse progettata alla Moto Guzzi; e così la Rondine finì alla Gilera ottenendo i successi che tutti ricordano, grazie anche alle successive elaborazioni, prima col compressore, poi senza compressore. Alla Moto Guzzi ci si pose, quindi, il problema di avere qualche cosa di efficiente da contrapporre a questa macchina. Carlo Guzzi prima della guerra aveva messo in cantiere due soluzioni entrambe sovralimentate: la prima era una tre cilindri in linea a doppio asse a camme in testa e compressore Cozette. Questa macchina fece la sua apparizione sul circuito di Alessandria ed all’ultima corsa di campionato a Genova con Sandri, ma si rivelò molto pesante ed ingombrante e, probabilmente, non avrebbe potuto essere sviluppata ulteriormente.

L’altra soluzione che era stata studiata consisteva in un motore bicilindrico a V di 120°, sempre sullo schema del noto bicilindrico raffreddato ad aria, ma raffreddato a liquido e dotato di compressore. Questo motore fu provato in sala prove con risultati soddisfacenti, però venne giudicato troppo ingombrante, cosicché non venne nemmeno realizzato un telaio in grado di accoglierlo e non scese mai in pista. L’idea di raffreddare a liquido un motore di quel genere sovralimentato era buona nel senso che le precedenti esperienze fatte nel 1931 con la quattro cilindri raffreddata ad aria ed anche col tre cilindri successivo avevano dimostrato come il raffreddamento ad aria di un motore sovralimentato fosse un problema di non facile soluzione.

Questo, sinteticamente, fu quanto avvenne in campo sportivo alla Moto Guzzi negli anni anteriori al 1936, quando vi entrai come dipendente. Mi sembrava di aver realizzato un sogno; infatti, fin da bambino, io vivevo a Mandello d’estate, ero diventato molto amico di Ulisse, figlio di Carlo Guzzi, e ricordo che con lui andavano di straforo in motocicletta quando ancora avevamo i calzoni corti.

Il successo della Moto Guzzi nel Tourist Trophy 1935 mi aveva particolarmente colpito ed era stato per me veramente un piacere il fatto di poter entrare nell’azienda, finito il servizio militare, nel 1936. I miei primi lavori riguardarono le forniture di motociclette all’Esercito; venivano realizzate moto a telaio elastico, alcune potevano montare anche la mitragliatrice, ed un motocarrino anch’esso con possibilità di portare la mitragliatrice. Molti progetti venivano portati avanti per i militari, tra i quali ricordo l’attuale generale Garbari, allora giovane tenente, che ci proponeva nuove idee.

Dal 1936 al 1940, erano già in auge le corse per i corridori di seconda categoria, prevalentemente sui circuiti cittadini, organizzate dai vari MotoClub, e a quelle corse partecipavano corridori che avevano una macchina propria. Ricordo che allora la 500 in vendita di tipo sportivo adatta a queste corse era il tipo “C”, derivato dal tipo “W”, che si distingueva per il doppio scarico e quattro marmitte; era una macchina relativamente poco potente e molto pesante, che per questo non ebbe grande successo. Uno dei miei primi lavori in campo sportivo alla Moto Guzzi fu di derivare da questa macchina il “Condor”, che era una 500 cc ad aste e bilancieri, che arriva a dare 27+28 cavalli, a 5000 giri, pesava 130 Kg e risultava molto più maneggevole e meglio frenata della tipo “C”.

Ricordo una corsa che ebbe per me un particolare rilievo: il Circuito del Lario del 1939. Si trattava, come gli anziani ricordano, della corsa di casa, perché disputata proprio sull’altra sponda del lago su un circuito stradale impensabile ai giorni d’oggi, con gran parte del fondo non asfaltato, spesso con ghiaietto, sul quale era difficilissimo guidare una macchina molto potente. Questo circuito ci aveva insegnato negli anni precedenti come macchine di potenza inferiore, ma più maneggevoli, fossero avvantaggiate e a tale proposito ricordo le vittorie della Bianchi 350 di Nuvolari e di Prini con la Moto Guzzi 250. Macchine meno potenti delle Norton e delle Sunbeam a delle stesse Moto Guzzi nella classe maggiore, potevano, su questo circuito, sperare di ottenere la vittoria assoluta.

Il Circuito del Lario del 1939 si presentò per noi con una scelta da fare: allora si poteva correre col compressore ed il carburante era benzina o benzolo e noi avevamo una 250 monocilindrica molto a posto, molto competitiva, con la quale si poteva sperare di vincere il circuito nella massima categoria. L’avversario da battere era la Gilera 4 cilindri compressore, affidata a Dorino Serafini, prima guida Gilera, che era un pilota molto adatto ad una macchina di quel genere. Ricordo che, con Nello Pagani e con il “Condor”, godevo di pochissimo credito nella stessa Moto Guzzi, perché c’era moltissima gente che riteneva impensabile che, con una macchina di 28+30 cavalli, si potesse competere con una macchina di potenza doppia o più che doppia, sia pure su un circuito non molto veloce, ma dove la stabilità e la maneggevolezza contavano molto. Devo confessare che io stesso avevo qualche dubbio e ricordo che più volte Pagani ed io andammo al mattino presto sopra Civenna in un punto dove si poteva cronometrare il tempo impiegato da Civenna al Ghisallo e, con mia sorpresa, vidi che Pagani in quel tratto, soprannominato “le scale del Ghisallo”, era in grado non solo di non perdere, ma di guadagnare qualche secondo sui rivali più agguerriti. Tenni non poté partecipare a causa delle conseguenze di una rovinosa caduta che aveva avuto durante le prove, Sandri corse e vinse con la 250 compressore, ma la corsa fu memorabile per il duello a distanza (le partenze al Lario erano separate) tra Pagani e Serafini.

Pagani riuscì a vincere con il “Condor” il Circuito del Lario, l’ultimo che fu disputato stabilendo anche il record sul giro.

Questo fatto tecnicamente fu molto importante perché mi convinse che la sola ricerca della potenza massima nei motori era una via pericolosa, talvolta necessaria, ma che non bastava disporre del motore più potente per vincere su tutti i circuiti; era altrettanto importante disporre di una macchina che fosse ben frenata, stabile, facile da guidare, e che avesse in definitiva tante qualità più facilmente ottenibili su di un mezzo leggero che su uno pesante.

Ricordo ancora l’ultima corsa disputata prima delle guerra, a Genova, dove venne schierato, dopo il debutto avvenuto ad Alessandria poche settimane prima, quel tre cilindri con compressore di cui ho già parlato. In quella corsa s’impose Ferdinando Balzarotti, che proveniva dalla seconda categoria, e che divenne così un corridore ufficiale Moto Guzzi per i Gran Premi.

 

IL DOPOGUERRA

Durante la guerra, alla Moto Guzzi cessarono le prove e gli esperimenti e, alla ripresa, la formula venne cambiata, il compressore non era più ammesso nelle competizioni e, quindi, fu necessario rifarsi una mentalità. Risale a quell’epoca il mio incontro alla Moto Guzzi con due validi collaboratori: il “Moretto” Agostini, conosciuto su tutti i campi di corsa, mancato nel 1988, all’età di 87 anni, che era il capo dei motoristi e dei meccanici del reparto corse, e Carlo Bacchi, forse meno noto all’esterno, ma molto bravo nello sviluppo dei motori sia normali che da competizione, che vive tutt’ora a Lecco.

Nel 1945, ricominciarono le competizioni con i circuiti cittadini, praticamente si correva ogni domenica, specie nell’Emilia Romagna, dove la passione per la motocicletta non era mai venuta meno. Il primo lavoro che feci nel dopoguerra fu una elaborazione del “Condor”, che venne un po’ alleggerito e potenziato, arrivando a 28+30 cavalli, a 5000 giri. La moto così modificata prese il nome di “Dondolino” e, con le successive modifiche, arrivò ad avere 31+32 cavalli a 5500 giri. Devo ricordare brevemente il Gran Premio delle Nazioni corso a Milano attorno alla Fiera campionaria nel 1946, che fu, a mio parere, una corsa notevolissima perché gli organizzatori ebbero l’adesione della Norton che iscrisse Harold Danieli e Bell, famosi campioni, della Gilera che schierava sulla 4 cilindri Bandirola, passato anche lui dalla seconda alla prima categoria, ed il “Saturno”, macchina monocilindrica elaborata nel dopoguerra dall’ing. Salmaggi, che ne era il padre, che era la classica antagonista del nostro “Condor” sui circuiti di seconda categoria.

Gareggiavano per i colori della Moto Guzzi tra gli altri: Balzarotti, che portava in corsa il Gambalunga – che era un’ulteriore evoluzione del “Condor”, con un telaio più leggero, una nuova forcella, dei freni più efficienti – e Lorenzetti, per il quale alcuni mi rinfacciavano una simpatia smodata. Lorenzetti l’avevo conosciuto prima della guerra; lo ricordo nella prima corsa della stagione 1937, ai primi di marzo a Verona in occasione della fiera dei cavalli. Lorenzetti allora aveva una Triumph 250, una macchina minuscola, molto piccola per lui, molto alto e magro; subito mi impressionò il suo stile di guida e il suo modo di ragionare, raro per un corridore. Lorenzetti normalmente partiva male, faceva i primi giri perdendo qualcosa sui primi, poi trovava la possibilità di riguadagnare, si avvicinava nel finale e, nell’ultimo giro, vinceva. Spesse volte vinceva non per merito suo ma per errore degli altri. Un corridore che si trovava in testa, quando gli veniva segnalata la rimonta di questo strano avversario, era indotto a sbagliare. Lorenzetti era strano perché allora la mentalità era certamente diversa da quella dei corridori attuali e lui fu il primo corridore “razionale”. Già prima della guerra, Lorenzetti aveva acquistato una 250 ed una 500 che si metteva a punto da solo, con il nostro aiuto saltuario, ed era caratteristico l’arrivo sui campi di gara di Lorenzetti con il suocero, che gli faceva da meccanico, seduto sul parafango posteriore della moto da corsa, portando con sé una cassettina con dentro non si sa cosa e che, arrivato sul posto, prendeva i tempi e faceva tutto il necessario.

Questa caratteristica figura di Lorenzetti ebbe la sua conferma negli anni ’50, quando divenne l’uomo di punta della Moto Guzzi, e collaborò con noi sia nella preparazione delle macchine che come corridore, ottenendo diversi campionati italiani, il campionato del mondo della 250 e molte vittorie internazionali. Tornando alla corsa disputata attorno alla fiera Campionaria, questa fu caratterizzata dal fatto che, contro gli inglesi della Norton, noi avevamo schierato Freddie Frith, un grande campione, cui era stata affidata la bicilindrica. Questo corridore era stato ingaggiato dal nostro presidente Giorgio Parodi, ma gli inglesi non si trovavano bene sui nostri circuiti cittadini, molto diversi dalle piste sulle quali erano abituati a correre e così né Daniell né Frith fecero nulla in questa corsa, che fu accesa da un iniziale duello furibondo tra Tenni con la nostra bicilindrica e Bandirola con la Galera 4 cilindri.

I due si scontrarono così irruentemente che, dopo un terzo di gara, si trovarono fuori entrambi e Balzarotti, che seguiva col Gambalunga, presa la testa. Lorenzetti era in 4° o 5° posizione, essendo partito male come suo solito, ma stava rinvenendo. Continuando a recuperare, al penultimo giro passò a mezzo secondo da Balzarotti e, quindi, ci si aspettava un arrivo tra i due drammatico; di fatto, però, Balzarotti, sotto pressione per resistere all’attacco di Lorenzetti, cadde nella curva di fronte all’ingresso principale della Fiera, Lorenzetti riuscì a non investire Balzarotti, ma non riuscì ad evitare la motocicletta, cadde anche lui, dovette rialzarsi e rimettersi in condizioni di ripartire perdendo secondi preziosi e così la corsa fu vinta da Artesiani sul “Saturno”.

Tra i piloti che meglio conobbi, debbo ricordare Omobono Tenni, un uomo che aveva due caratteri, assolutamente contrastanti. C’era il Tenni giù dalla motocicletta, che era un uomo pieno di buon senso, un ragionatore, un calmo, ed il Tenni sulla motocicletta, che era assolutamente irriconoscibile, era un uomo che doveva andar forte in qualunque condizione. Ho parlato tante volte con lui e ricordo che una volta mi disse: “Tu pensi che la gente vada a vedere le corse in motocicletta per vedere se vince Moto Guzzi o Gilera? No..! la gente va a vedere le corse perché vuole vedere andar forte, quindi uno che è davanti e va piano tradisce il pubblico, e quindi un “campione” deve sempre dare il massimo, anche se perde la corsa, anche se va contro il proprio interesse”. A questo proposito va ricordata una gara di Campionato Italiano, corsa a Bologna attorno ai giardini di villa Margherita, nel corso della quale ci fu una terribile battaglia tra quattro Moto Guzzi con compressore e tre Benelli, battaglia che fece una quantità inopinata di vittime perché della squadra Guzzi arrivò solo Tenni. Infatti, Sandri, che era di Bologna, non voleva assolutamente cedere ad Omobono Tenni e nella battaglia iniziale cadde e fu eliminato; Pagani, che era la giovane speranza del motociclismo italiano, da poco arrivato alla Moto Guzzi, voleva restare con Tenni, ma con Tenni era difficile restare e così anche lui cadde; Alberti era solo preoccupato di non disturbare Tenni quando lo avrebbe doppiato; questo dava un’idea del carattere del nostro uomo di punta. Per la Benelli correvano Soprani e Rossetti. A un giro dalla fine erano rimasti in corsa solo Tenni e Soprani ma Soprani stava per essere doppiato da Tenni. Malgrado tutte le nostre segnalazioni, ignorate da Tenni, questi doppiò Soprani in corrispondenza del cancello d’ingresso dei giardini di Villa Margherita, passandolo all’interno e non toccandolo credo per un centimetro. Se si fossero toccati sarebbero probabilmente saltati per aria tutti e due; potete immaginare con quale consolazione di tutti noi della Moto Guzzi.

Tenni era veramente un uomo coraggiosissimo e un irriducibile. Per lui non esistevano problemi di stabilità; non l’ho mai sentito lamentarsi perché la macchina era poco stabile o poco frenata. Lui aveva solo bisogno di avere “del motore” e di “camminare” e, infatti, “camminava” sempre e questo gli è costato tante volte la perdita di tante gare già vinte. Però, per questo suo modo di correre, aveva, come facilmente intuibile, un ascendente enorme sulle folle, che lo adoravano. Tenni morì in Svizzera a Berna, nel circuito del Bremgarten, in prova, nello stesso tragico giorno, il 1° luglio 1948, in cui perse la vita anche Achille Varzi. Io quella volta non c’ero, ero a Roma per forniture militari, e la telefonata che mi pervenne con quella notizia mi addolorò profondamente. Tenni è rimasto nel cuore di tutti i vecchi della Moto Guzzi ed ancora oggi tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo lo ricordano con tanta simpatia.

Negli anni successivi, mentre la 250 con successive evoluzioni, da “Albatros”, era diventata “Gambalunghino” ed era arrivata ad avere 29+30 cavalli a 8000+8500 giri, si profilava la minaccia tedesca con la NSU bicilindrica, che aveva certamente più potenza e disponeva di uno squadrone di ottimi corridori, e questo ci fece pensare che l’era del glorioso monocilindrico 250 stesse per finire.

Per tentare di migliorare la nostra posizione, nel 1948, fu realizzato un bicilindrico, riprendendo un progetto di prima della guerra, per il quale era stata prevista la possibilità di montare il compressore.

Questa macchina, che però era poco più potente del monocilindrico, fece poche apparizioni, vinse un Tourist Trophy nel 1949, dopo di che fu abbandonata perché non vedevamo possibilità di ulteriori sviluppi.

 

IL TOURIST TROPHY

Nel 1950, Giorgio Parodi finalmente mi convinse ad andare al Tourist Trophy. Io non ci ero voluto andare, con sua grande meraviglia, per le ragioni che avevo già esposto. In quella prima occasione vidi, nel corso delle prove che svolgevano alle quattro della mattina perché la strada era chiusa al traffico, per la prima volta un grandissimo campione della Gilera: Geoff Duke, all’epoca sconosciuto a livello internazionale.

Va ricordato che il Tourist Trophy è un circuito ad andamento misto, con una parte bassa pianeggiante ed una salita che porta alla cima di una montagnola cui segue una discesa pericolosissima sia per la pendenza che per il fondo stradale molto ondulato con curve da percorrere a 170 km/h tra due muretti di pietra.

La prima volta che vidi Duke fu in prova, lungo quella discesa che ho descritto, e davanti a lui c’era Artie Bell, allora considerato il corridore di punta della Norton e senz’altro il più veloce della squadra Norton. Io vidi Duke seguire Bell, che stava facendo cose incredibili con quel fondo e su quel circuito, e rimasi talmente impressionato che prognosticai a Parodi che il giovane Duke, salvo incidenti, avrebbe vinto facilmente il Tourist Trophy nella 500, e che, per la nostra bicilindrica allora guidata da Foster, ottimo corridore inglese, le possibilità erano assai scarse. Infatti quella corsa fu un’esibizione spettacolosa di Duke che, partendo con il n° 57 (le partenze al Tourist Trophy erano a coppie ogni 30”), si permise di superare tutti quelli partiti davanti a lui e di arrivare, quindi, primo anche in tempo reale; e questo dopo 426 km di corsa, dando una dimostrazione chiara di capacità e potenza.

Infatti, il seguito della carriera di Duke dimostrò che era un raro esempio di corridore veloce, coraggioso e ragionatore, che contribuì non poco con le sue doti ai successi della Gilera nel Campionato Mondiale.

 

IL QUATTRO CILINDRI

La situazione della nostra 500 era, però, quella che era: non potevamo pretendere che la gloriosa bicilindrica, nata nel 1932 e ancora sulla breccia nel 1951, potesse avere un avvenire contro i quattro cilindri Gilera e poi MV e contro il bicilindrico BMW, che rappresentava sempre un pericoloso rivale in campo internazionale.

Il nostro Presidente Giorgio Parodi decise allora di commissionare all’Ing. Gianini, che era il padre della prima “Rondine”, un quattro cilindri raffreddato a liquido che, a mio parere, soffriva di un peccato originale nel senso che era stato concepito come un motore automobilistico, ossia in asse longitudinale tra le ruote del telaio, con il cambio e la frizione in linea.

Si trattava di un vero e proprio piccolo motore automobilistico, bi-albero raffreddato ad acqua, con un particolare sistema di iniezione, che ci avrebbe forse creato delle grane regolamentari e che, comunque, non adoperammo mai perché, quando la macchina arrivò a Mandello, dovemmo rifare il telaio praticamente subito e, nell’evoluzione del motore, passammo ai carburatori, appunto per non avere quelle possibili grane regolamentari.

La macchina dava 50/52 CV, che era una potenza buona per quei tempi, a 9000 giri, ma aveva il grosso inconveniente comune a tutti i motori con asse disposto longitudinalmente di avere un comportamento diverso a seconda se si curvava a destra o sinistra, perché da un lato tendeva a raddrizzare, mentre dall’altro tendeva a chiudere la curva.

Questo inconveniente, che è assolutamente irrilevante per una motocicletta da turismo, com’è la BMW o il nostro “V7”, ha sempre dato qualche noia in corsa e la BMW, infatti, ebbe molto più successo nei sidecar che non con le moto sciolte, proprio per questo motivo.

Io allora avevo la qualifica di “Direttore degli esperimenti e prove” e di esperimenti e prove, alla Moto Guzzi, ne facemmo in grandissima quantità e di questo devo dare atto sia al Presidente Giorgio che a Enrico Parodi, che ricordo ancora con molta nostalgia ed affetto, sia a Carlo Guzzi, che era molto largo di vedute in fatto di esperimenti e che si interessava di qualsiasi prova e ricordo che proprio con lui ne facemmo di ogni genere. Ricordo uno speciale motore che consentiva di provare tutti i rapporti possibili di alesaggio/corsa, cambiando naturalmente cilindro pistone e testa ed, infatti, era soprannominato “Esagera”.

Prima che nascesse il “Galletto”, Guzzi era curioso di sapere se un motore a corsa cortissima avesse qualche inconveniente ignoto; e mi ricordo che provammo a cilindrata fissa rapporti alesaggio/corsa esagerati nei due sensi e ne ricavammo una certa esperienza.

Ed il “Galletto”, fra le creature più originali di Carlo Guzzi, non solo come aspetto e concezione, ma anche come motore perché, tra l’altro, non aveva un albero a gomito tradizionale, ma la biella lavorava su un volantino a sbalzo ed una corsa molto corta, trasse ispirazione da alcune delle prove che facemmo col motore “Esagera”.

 

LA GALLERIA DEL VENTO

Nell’ambito di questa apertura agli esprimenti vi fu anche la famosa galleria del vento, che nel 1950 fu realizzata alla Moto Guzzi, ed anche in questo caso, con una preveggenza che oggi è facile intuire quanto fosse felice; noi potemmo provare oltre alle carenature per le motociclette da corsa molte altre cose, tra cui la carenatura del famoso bob progettato per le Olimpiadi del 1956 (che vinse la medaglia d’oro con gli Ufficiali della Aeronautica Militare Italiana).

Questa carenatura fu costruita e provata alla Moto Guzzi perché noi eravamo certi di poter dare all’equipaggio italiano un vantaggio valutabile tra 1,5+2 sec. in una discesa sulla pista olimpica.

Il nostro tunnel nacque con un motore di aviazione Fiat di 900 cavalli che faceva un tremendo rumore e che fu presto sostituito con un motore elettrico; venne installata un’elica a tre pale a passo variabile e potevamo provare nella camera di prova con motocicletta e corridore al vero, e riuscivamo ad ottenere una velocità di 220+225 km/h.

Noi lo usammo molto, tanto è vero che tutte le carenature della Moto Guzzi ufficiali furono messe a punto nel tunnel e noi riuscimmo a controbattere la NSU, che disponeva di motori più potenti dei nostri, soprattutto grazie alla galleria del vento.

L’inconveniente era che, poco tempo dopo aver visto le nostre carenature, anche gli altri ne avevano di analoghe ed il nostro vantaggio risultava di breve durata; bisognava, quindi, risolvere il problema del 500 non affidandosi solamente all’aerodinamica. Il problema poteva, a mio parere, essere risolto in due modi: o costruendo un monocilindrico leggerissimo, che pesasse circa 100 kg, e già avevamo raggiunto con la 350 il peso di 98+100 kg, mentre con la 500 eravamo a 105+110 kg, che però potesse disporre di almeno 50 cavalli, oppure battere l’altra strada di avere una potenza ragguardevole, cioè la massima ottenibile, rinunciando a quei pesi così ridotti.

In effetti, scegliemmo entrambe le strade, e questo apparente controsenso mi fu fatto notare; ma io ritenevo che, se si volevano ottenere dei risultati, bisognava esplorare le soluzioni limite per poi, eventualmente, adottare una soluzione intermedia.

A quell’epoca il 4 cilindri Gilera ed il 4 cilindri MV, che erano molto simili, anche perché l’Ing. Remor era passato dalla Gilera alla MV, avevano anche il vantaggio di disporre di piloti eccezionali quali Duke e McIntyre. L’idea di fare un quattro cilindri trasversale a immagine e somiglianza dei due sopracitati, che inoltre avevano il vantaggio di essere ormai ben collaudati e perfezionati, non mi sembrava valida.

Il sei cilindri, che poi fu fatto dalla MV, aveva certamente una larghezza eccessiva.

 

IL MOTORE OTTO CILINDRI

L’otto cilindri a V sembrava la soluzione più interessante, perché molto stretto e ben equilibrato.

All’epoca avevamo già fatto qualche motore bicilindrico a V di 90°; avevamo, quindi, qualche esperienza e quindi adattammo lo schema che ci poteva dare qualche speranza di ottenere potenze superiori a quelle delle macchine concorrenti. Con i miei validissimi collaboratori: Umberto Todero, tutt’ora affezionato collaboratore della Moto Guzzi, Enrico Cantoni, che dopo il 1976 andò alla Dell’Orto carburatori, e l’Ing. Renzetti, che oggi è consulente della Ferrari e che, dopo aver lasciato la Moto Guzzi, ebbe una brillante carriera alla Fiat, realizzammo in un tempo molto ristretto l’otto cilindri e lo portammo al banco alla fine del 1955. Questo motore, col quale speravamo di ottenere 70/72 CV, ci sorprese perché diede subito potenze più elevate di quelle che ci aspettavamo. Va ricordato che il primo otto cilindri era un doppio quattro, con le manovelle a 180°. Avemmo inizialmente qualche noia, legata essenzialmente alla lubrificazione.

Il motore aveva cinque supporti: i tre centrali su cuscinetti ad aghi ed i due laterali erano uno su cuscinetto a rulli e l’altro su cuscinetto a sfere.

Tentammo varie soluzioni, quali: gabbie in duralluminio con centraggio esterno e con centraggio interno, fino a che potemmo adottare i colli costruiti in Germania dalla Hirth, che ci risolsero ogni problema.

La macchina fece le primissime uscite nel 1956 e, nel 1957, era già abbastanza a punto, vinse con Colnago a Siracusa la prima gara di Campionato Italiano, dopo un bellissimo duello con gli amici della Gilera e vinse con Dicky Dale la Coppa d’Oro ad Imola.

Nell’ultimo anno di corse di questa macchina, va ricordata la battaglia tra Duke e Bill Lomas, in Germania alla Solitude, che si concluse con il ritiro di entrambi dopo sette giri di duello furibondo.

Devo ricordare anche Campbell, che fu Campione del Mondo nella classe 250 e che, con la otto cilindri, nel Gran Premio di Spa a Francorchamps fece il giro più veloce e condusse la gara fino a quando non fu costretto al ritiro a causa di un guasto all’accensione.

Noi arrivammo a Monza, quell’anno, con la macchina a punto, ma senza i corridori; infatti, Lomas non si era ancora ripreso da una caduta, Dale era indisponibile ed anche Campbell, nostro uomo di punta, ebbe una caduta e così la macchina non poté correre.

Fu un vero peccato perché, in prova, la macchina aveva percorso la bellezza di tre Gran Premi senza inconvenienti.

 

LO STOP ALLE CORSE

Alla fine del 1957, mi trovavo a Modena per una corsa, quando ricevetti la notizia che Moto Guzzi, Gilera e Mondial avevano firmato un impegno a non correre più.

La cosa mi addolorò profondamente, non tanto perché questo significava un cambiamento nella mia vita, ma per il fatto di non essere stato avvisato. Probabilmente, anche se lo fossi stato, non avrei avuto peso sufficiente per far cambiare una decisione sicuramente ben ponderata dai miei dirigenti; ma, il fatto di apprendere dal giornale della fine di una carriera gloriosa di tutto il reparto corse della Moto Guzzi, mi addolorò profondamente, anche e di più perché avevamo in preparazione diverse novità, quali: un 500 leggero che nessuno aveva ancora visto, una testa a quattro valvole per il nuovo 500 e varie modifiche per la otto cilindri, che era arrivata a 72 CV alla ruota, ma che prometteva ulteriori sviluppi, avevamo dei nuovi radiatori che ci risolvevano il problema del raffreddamento, avevamo intenzione di mettere un radiatore per l’olio che sapevamo essere troppo caldo in certe circostanze ed infine un collo nuovo fatto in casa Guzzi.

Avevamo, in complesso, molta carne al fuoco, e questo dover troncare di colpo mise tutti noi in una condizione di grande disagio.

Quando tornai a Mandello fui consolato dai miei dirigenti con la nomina a Direttore della progettazione e, con i miei amici collaboratori, ci mettemmo a lavorare alla realizzazione delle varie macchine che ancor oggi sono in circolazione.

Il V7, che ci era stato richiesto dai Corazzieri come macchina di rappresentanza, fu uno dei nostri primi lavori.

Realizzammo anche lo Stornello, ed alcuni motori sperimentali fra i quali il motore a V di 90°, nato di 500 e poi portato a 600 cc, che fu montato su una Fiat 500, riconoscibile esternamente per una fascia rossa.

Il nostro motore dava 36 CV, invece dei 19+20 del 500 Fiat, e consentiva di avere prestazioni brillantissime, specie in salita ed in ripresa, e di ottenere una velocità massima di oltre 135 km/h.

Fu naturalmente un esperimento che non ebbe seguito.

Ricordo anche, tra le escursioni automobilistiche che fece la Moto Guzzi, che realizzammo con un vecchio motore BMW di 750 cc, residuato bellico, una vetturetta da corsa che anni dopo venne ritirata da Ruffo, che la utilizzò per disputare qualche corsa in salita nel Veneto.

Quella vetturetta era da ricordare perché costruita sullo schema delle attuali vetture da corsa ossia con motore posteriore, con i due cilindri che uscivano ai lati della scocca, la trasmissione era stata realizzata adattando un gruppo differenziale, con i freni adiacenti al differenziale, di provenienza Lancia Aprilia, e le quattro ruote erano indipendenti.

I motori Moto Guzzi, oltre che sulle motociclette, vennero montati su vari altri veicoli, quali: il primo “Bisiluro” di Taruffi, che stabilì numerosi record, i vari “Nibbio” del Conte Lurani, che ottennero altri record e, per ultimo, la strana vettura costruita da Gino Cavanna, che veniva guidata stando bocconi e agendo su due leve, che ottenne dei record sull’Autostrada del Sole non ancora aperta al traffico, superando i 200 km/h con un motore di 250 cc con compressore.

Moto Guzzi stabilì anche dei record motonautici con Gino Alquati che, col nostro 250 ad asse a camme in testa, realizzò uno strano fuoribordo raffreddato ad aria, che superò i 90 km/h.

 

DOPO LA MOTO GUZZI

Il mio incarico alla Moto Guzzi è durato fino al 1966.

In questo ambiente ho avuto la fortuna di lavorare per trentun anni, ma gli ultimi anni non furono certo piacevoli come i primi. Debbo confessare che la mia gioia di lavorare alla Moto Guzzi finì nel 1957; dopo di allora, purtroppo, mi venne a mancare quello che a poca gente al mondo è stato concesso di provare, di poter cioè lavorare per il piacere e non per il denaro.

Posso dire che avrei pagato di tasca mia tanto era il piacere e l’entusiasmo con cui lavoravo alla Moto Guzzi.

Nel 1966, la Moto Guzzi si trovava in difficoltà. Della vecchia guardia era rimasto solo Enrichetto Parodi, che ricordo come uomo troppo generoso per poter fare l’industriale; Giorgio Parodi era morto a Genova nel 1954 ed anche Guzzi era morto nel 1964. Nel novembre di quell’anno fui chiamato improvvisamente dal liquidatore, Prof. Marcantonio, che, con buone parole, mi disse di andarmene ed io, da un giorno all’altro, me ne andai.

Lasciata la Moto Guzzi, ricevetti parecchie proposte di lavoro da parte di persone che mi conoscevano.

Fra tutti ricordo il Conte Domenico Agusta, che mi avrebbe voluto a Gallarate alla MV e che mi offriva la possibilità di dedicarmi a quello che preferivo: motociclette da corsa o di serie, elicotteri, aeronautica…

In un pomeriggio nebbioso e piovigginoso, andai con mia moglie a trovare il Conte Agusta e francamente mi si strinse il cuore al pensiero di cambiare la mia casa, le mie abitudini, di lasciare i miei gatti, che già allora erano i padroni di casa, non me la sentii di accettare e così bastò uno sguardo a mia moglie per capire che la mia scelta era fatta e che non avrei mai più lasciato Mandello.

Dopo il 1966, con Cantoni e un altro disegnatore ex Moto Guzzi, aprii uno studio di progettazione nautica e mi dedicai anima e corpo alla realizzazione di barche a vela, non per lucro, ma, anche in questo caso, riuscendo a lavorare con molta soddisfazione alla realizzazione, per clienti amici, delle barche che mi piacevano.

In complesso, ritengo di aver avuto una vita molto divertente, dal punto di vista professionale, e di aver trascorso degli anni indimenticabili alla Moto Guzzi, almeno fino al 1957, anni che rimpiango veramente e di cui mi resta vivissimo il ricordo di tanti amici, dei piloti, della gente.
* * *

Domanda: Quali furono le esperienze in Moto Guzzi sull’impiego di motori motociclistici su autovetture?

L’esperimento di montare il motore bicilindrico a V sulla scocca di una Fiat 500 non era avvenuto dietro richiesta o previo accordo con la Fiat; si trattava, invece, di uno dei tanti esperimenti che, in quegli anni, alla Moto Guzzi eravamo liberi di compiere.

Quando quel motore fu costruito e provato, il nostro Enrico Parodi ne parlò in Fiat e la cosa ebbe un seguito, perché quella vettura fu portata a Torino e fu provata dai collaudatori Fiat, ma la cosa finì lì.

Questo era abbastanza logico. Infatti, come la Moto Guzzi a suo tempo non volle adottare, nel caso della “Rondine”, una macchina fatta da altri (e fu un errore, a mio parere), così non era facile che il maggior costruttore automobilistico italiano equipaggiasse una sua vettura con un motore costruito da altri.

Comunque, dalla Fiat, ricevemmo lusinghieri apprezzamenti sulle qualità di questo motore.

Lo schema da noi adottato, che pur risultava ottimo dal punto di vista delle vibrazioni e del bilanciamento, aveva il difetto di avere gli scoppi non equidistanti e, quindi, girando a un minimo veramente basso, questo motore sembrava zoppo.

Questo fenomeno, però, non dava praticamente nessun fastidio, tant’è che nelle moto da turismo ancora in circolazione la cosa risulta impercettibile.

Domanda: Come ha influito sul dimensionamento del motore e sulla scelta del rapporto alesaggio/corsa il limite alla velocità lineare del pistone?

Il motore sperimentale Moto Guzzi, senza alcune intenzioni corsaiole, era stato costruito in occasione della realizzazione del “Galletto”, per tentare di ovviare ad un inconveniente tipico delle moto a motore orizzontale: il grande interasse del telaio che era provocato dalla lunghezza del motore.

Infatti, tutte le Moto Guzzi, sia da turismo che da corsa, avevano in generale un passo superiore a quello delle analoghe macchine fatte dalla concorrenza.

Questo fatto, non rilevante per le macchine da turismo, poteva costituire un inconveniente per le macchine da corsa.

La velocità lineare del pistone, all’epoca, non superava i 20+21 m/sec. Nelle nostre esperienze arrivammo ad un limite massimo di 23 m/sec. Nelle nostre macchine da corsa vennero di regola adottati dei motori sottoquadri, a partire dal famoso 88×82 mm del “quattrovalvole”, seguì la 250 e la bicilindrica, che erano quadre 68×68 mm, l’otto cilindri era leggermente sottoquadro, ma non riuscivamo a ridurre la corsa facilmente, tant’è che il collo che avrebbe sostituito quello attualmente montato avrebbe portato ad una corsa leggermente più lunga dell’alesaggio per una questione fisica alfine di poter ottenere dei più alti rapporti di compressione.

Con la 350 avemmo la possibilità di effettuare molte prove, perché si trattava di un motore nato dalla 250 maggiorata nell’alesaggio; le prime uscite nella 350 furono, infatti, compiute con dei 250 alesati che avevano cilindrata di poco superiore al 250. Poi realizzammo un motore di 320, lontano quindi dal limite della categoria, ottenuto ancora con la corsa 68; poi, quando passammo al vero 350, avemmo la possibilità di provare sempre dei motori sottoquadri e dei motori quadri; ma non andammo mai sulla corsa lunga.

L’unica escursione Moto Guzzi nella corsa lunga fu il “Gambalunga”, che aveva tanti vantaggi come macchina, ma non come motore, tant’è che gli ultimi esemplari che corsero facilmente erano dotati di motori “Faenza” ancora sottoquadri.

Per la nostra esperienza dell’epoca, non conveniva mai, salvo casi di forza maggiore imposti dall’elevazione del rapporto di compressione, ricorrere a motori a corsa lunga.

Domanda:Quale angolo delle valvole veniva impiegato in Guzzi e quale era la geometria delle teste che veniva adottata?

La Moto Guzzi non ha mai usato teste emisferiche con valvole a 90°; l’angolazione delle valvole normalmente si aggirava sui 30° rispetto all’asse cilindrico, cioè 60° complessivi.

Quando venne fatto il quattro valvole di 250 cc, nel 1950, l’angolo era stato ulteriormente ridotto a 27° ed avevamo in progetto per la 500 di diminuirlo ulteriormente.

Il problema era che, con angoli molto aperti, si potevano avere valvole molto grandi, ma peggiorava la forma della camera di scoppio e, quindi, per avere rapporti di compressione sufficienti, bisognava avere il pistone a tetto che dava altri inconvenienti.

Domanda: Quale fu la genesi delle soluzioni telaistiche Moto Guzzi più originali?

I telai delle Moto Guzzi erano costruiti totalmente in casa, salvo la forcella che, su tutte le moto da corsa di prima della guerra, doveva essere obbligatoriamente la vecchia “Brampton” inglese, e non era chiaro cosa avesse di speciale questa forcella, del resto analoga alle altre forcelle dell’epoca.

Una delle prime prove che feci, ancora prima della guerra, fu quella di adottare sulle macchine da corsa quella strana forcella impiegata dalla OEC, che non aveva il cannotto di sterzo, ma era costituita da un trapezio superiore ed uno inferiore deformabili, e col perno ruota che si muoveva parallelamente a due foderi collegati ai trapezi deformabili.

Il sistema era molto attraente perché consentiva di guadagnare i 15+20 cm d’altezza richiesti dal cannotto di sterzo.

Realizzai, prima della guerra, un telaio per una 250 destinata a tentativi di record, particolare in quanto comprendeva anche l’ossatura della carenatura ed il pilota era in posizione prona analogamente a quanto fece qualche anno dopo Ray Amm con la Norton “Kneeler”.

Provammo con Tenni a Monza quel telaio, ancora privo di carenatura, montato con la forcella a trapezi deformabili.

Il pilota era racchiuso dentro la struttura del telaio e per l’arresto la moto era dotata di un carrello che poteva scendere a comando e mantenerla in equilibrio da ferma.

Feci a Tenni tutte le raccomandazioni di prudenza, prima dell’inizio prova, e infatti, nel primo giro sull’anello, fece 162 km/h di media, e nel secondo giro uscì di pista sulla curva alta, per sua fortuna senza troppi danni.

Il secondo tentativo con la forcella a trapezi deformabili fu fatto con il 500 cc a quattro cilindri in linea, che era piuttosto alto e, quindi, poteva essere interessante vedere se si riusciva ad abbassare il telaio.

In questo caso provai io stesso la motocicletta, rendendomi conto che non andava bene e che, se l’avessi data in mano ad un corridore, questi probabilmente sarebbe caduto. In conseguenza di questi fatti, decisi di accantonare quella soluzione.

La forcella che adottammo sul “Gambalunga”, e poi su tutte le Moto Guzzi, con ottimi risultati, era a biscottini oscillanti bassi, le parti non sospese ridotte al minimo, ammortizzatori e molle inizialmente nei foderi, che vennero poi portati all’esterno per facilitarne la regolazione e sostituzione.

An interview with Ing. Giulio Cesare Carcano

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An interview with
Ing. Giulio Cesare Carcano

Mandello del Lario, 09.05.2002
by Luca Angerame with the cooperation of Aldo Locatelli

Thanks to:

Aldo and his wife Terry: without them organizing this interview wouldn’t have been possible.

Fange, Goffredo and Alberto for editing.

Paola for her patience and support.

My uncle Marco for hospitality.

 

 

Under a merciless rain we arrived. We were in a timeless courtyard among the alleys of the old part of Mandello, on the shore lake.

At the top of a little staircase there was a wooden door with a simple brass nameplate. I read it and I lost a heartbeat: “Ing. Carcano”.

 

AnimaGuzzista Protagonisti Giulio Cesare Carcano _
The simple brass nameplate

Everything started some months ago with the idea to have the workshop manual of my bike autographed by its designer, then slowly this idea became a bit different: interviewing Ing. Carcano for “Anima Guzzista”. (note: ing. is the italian abbreviation for Ingegnere, Engineer)

Giulio Cesare Carcano is the man who designed both the 500 V8, the ultimate racing bike of every time, and the V90, one of the most famous motorcycle engines, the engine that made “Moto Guzzi” surviving by more than 35 years.

Thanks to Aldo Locatelli’s good offices, we had his approval and then I spent a lot of hours reading the preceding interviews, thinking to new questions with the help of Fange, Goffredo, Alberto and of Aldo himself. Then I spent a lot of time reading again the questions in order to eliminate banalities, manage the interview properly and organise the logistics aspects.

The train trip from Rome, then a good lunch by Aldo and a last equipment check and I was ready, but still full of doubts: will our questions be interesting? Or our interview will be banal for a person who already has had hundreds of interviews. Will he say goodbye to us unceremoniously? Will the equipment be OK?

But now there we were and all these questions became meaningless.

I knocked at the door and a tall gentleman just a bit bent for being 93 years old, with a lot of white hairs opened the door. It’s him! I recognized him from Colombo’s pictures taken some 50 years ago. I lost another heartbeat.

We were invited to enter in the dining room. A dining room with a floor made with squared marble tiles and old time’s furniture. It seems like time passed there without touching anything. We sit and start the interview warmed up with Mrs Carcano’s coffee.

Luca Angerame: First of all, I whish to thank you for being willing and so kind. I’m here on the behalf of a Motoclub of guzzisti and above all we simply wish to thank you for what you did. Everyday we use your motor and the all the kilometres we travelled depend on you.

Aldo Locatelli; every starting it’s: ing. Carcano… ing. Carcano… ing. Carcano…

LA: we wish to ask you some questions for an interview.

Giulio Cesare Carcano: (smiling) please do! If I’m able to answer, it ‘ll be a pleasure.

LA: as a present for you there is the T-shirt of our web site “anima guzzista”; all fans, you know, almost maniac people…

GCC: (smiling) I see! Guzzi having soul, that’s very very nice!

 

The V motor and the V7 the first motorbike

 

LA: I would like to start by asking about your engine V90. It’s a project dated 1965, and nowadays it is still there; what was the evolution you foresaw when you projected it? What could this engine achieve?

GCC: it’s an old story. As you know, because now it’s common knowledge, the corps of cuirassiers (note: the special Guard of the President of Italy) needed a new official motorbike because the Falcone they had, looked very poor. A colonel commander of cuirassiers said to me “you know we choose our horses in Normandy because it’s bad for the men and for the horses to see a two meters tall man riding a little horse… We need a bike that is what those Norman horses are for our rider”. And this was the main starting point. We realised the first V project (note: he referred to the engine and not to the motorbike), a 704 cc. From that project all the complications and the elaboration of the subsequent motorbikes were born.

At that time I also built a V, 500 cc first and then a 600 cc. I put it on a Fiat 500. I remember that it gave me a lot of satisfactions. It was a motor, the 600, giving 36 or 38 HP. Exactly twice the output of the original Fiat engine, giving 18-20 hp.

The car was very brilliant, pleasant and funny; it had a very good acceleration and the maximum speed was almost too much:140 Km/h for such a small car!

Then I built another V, much more a humble project, I’d say; it was assembled for a a military vehicle, the so-called mechanical mule, the 3×3. We did some tests for that purpose.

Eventually, the V model for the bike was the chosen one, because police forces and the Army liked it, and not only the Italian ones but all around the world.

Then it was increased to 750 cc. making it a sport engine, almost a racing engine. In any case, in my view, in spite of several advantages for tourism, police corps and stuff, that engine scheme is not too suitable for a racing motorbike, for several reasons that I do not explain for I fear to become boring…

 

AL: is it because of the projecting cylinders…

GCC: Not only for the problem with fairings. The main difficult is that the shaft drive gives rise to an overturning torque. This torque is dangerous for a racing motorbike, while it is tolerable in a walking machine. This can be confirmed by BMW. They have had several successes with the sidecar, because of the third wheel, while without sidecar the performances weren’t satisfactory, because of the side lying down during the bend.

Then, the actual motorbikes have been derived from that 700 cc engine, by using always the same scheme. In my view, the scheme is very practical, even now, for a touring bike, while it isn’t so for a racing bike.

 

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Aldo Locatelli talking with Ing. Carcano

 

LA: indeed the V was supercharged a lot

GCC: yes they even built the four valves (he smiles). But try to think to some motorbikes existing today, they are super machines and only few people can really used them up to what they can give. The 100hp Japanese motorbikes are able to run to speeds over 200 km/h, they are wonderful machines, but few people can drive them.

AL: but still everyone wants to drive them!

GCC: yes and it’s quite strange if you think about that: the motorbikes market is in crisis for mopeds and light scooters but there is no crisis for the superbikes, and they are dedicates to few people able to really drive them…

LA: Thus when you projected the V90 you didn’t think it would be able to get the actual 1100CC

GCC: (smiling) oh no, I didn’t thought that that motorbike could have been so successful with the police corps worldwide. We sold it in US, in Egypt in Argentina… It was a motorbike made for the police corps and in fact it was projected for that use.

LA: a very reliable bike

GCC reliable, clean, with good performances and above all robust.

LA: thus you didn’t foresee the development of that engine for bikes such as the 850 Lemans of 1975.

GCC: no it was something that happened then and it was a commercial success. But as I said before, the origin of the motorbike was as requested by big horse (the nick name of the cuirassier colonel NDA), i.e. an impressive motorbike made to be ridden by an impressive tall man, a cuirassier.

LA: If you consider what that engine eventually got, I mean 1100 cc, 4 valves, etc; according to your opinion what could be the evolution in the future? Do you think about it with liquid cooling?

GCC: mmmm, today a part of the marked is focused on sports motorbikes and another part is focused on half-sports motorbikes. And next to than the GP races there are also championships dedicated to currents road models that are successful in the market, so…

La: Thus according to your opinion the V90 keep evolving because there is market?

GCC yes sure, even if I don’t really know the situation of Moto Guzzi after it was bought by Aprilia. Inside Guzzi, I still know some draftsmen, old friends of mine but I’m not too much informed about their programs, but I think they will have to do something new and different.

LA. People are talking about liquid cooling, rotating the engine of 90°C with aspiration ducts inside the V and exhaust ducts outside on a side.

GCC always keeping the V scheme?

LA: yes.

Al: the most actual evolution, the hydraulic tappets, are already mounted on the engine.

GCC: I don’t know, 35 years have been passed from my retirement, I still have some friends of mine such as Todero that was my tight hand man, sometimes he tells me something but I’m not so informed about what they are doing. But they should do something new.

LA: your engine made Moto Guzzi surviving from 1965 until today, and it is still in production

GCC yes, there is a problem; but I don’t know what they have in their minds. Regarding the competition I know today at Aprilia there is a new engine that already raced. As you know starting from the next year the highest category will be only for 4 strokes engine.

They (Aprilia NdA) built a 3 cylinders engine that raced in some competitions but they are very late. I don’t know if this engine will be able to compete with the 5 cylinder Honda or with all the 4 cylinders Yamaha, Suzuki and so on.

Regarding the production, I don’t know what they want to do. I felt they wanted to built the V liquid cooled (It’s the VA10 NdA), but I don’t know if they will keep developing it.

AL by now your engine has been developed to the maximum…

GCC Indeed and I believe that people are always attracted by something new and frankly I believe my V cannot be something so new, yes maybe it can become the liquid cooled; I heard rumours but, who knows…

LA: Not everybody would agree on that; for example I read of a pool in which the majority of people declared that they would not buy a Guzzi with a different engine!

GCC (laughs)

AL: there was the same problem when the V90 turned out, i.e. nobody would have abandoned monocylindric Falcone…

GCC if we forget Moto Guzzi for a moment, the problem is that today the competition on the market of racing motorbike is very hard. I remember that people said “Japaneses? Will they be reilable?” but Japanese men today succeed impeccably either in motorbikes or in cars.

There are not qualms anymore about Japanese products. Such as considering the product only as fashionable at a first view ; now they are able to built very good cars. Thus if today one wants to abandon the V scheme it is necessary to go on high fractioned engine and high powers. Today, 100 hp are just not enough.

 

 

Actual Racing Motorbikes

 

LA: today motorbikes having up to 160 hp are sold; it is difficult to think to pass this value talking street motorbike

GCC: yes and I’m not able to understand. Now there is the new 990 4 strokes formula for the GP. In the first year this formula has to rice together to 500 2 strokes: you have to consider that a 1000 cc 4 strokes can reach 300 hp. Do you know what this mean? They are crazy, the two strokes engine has more than 200 hp and the new 4 strokes engine that is trying to race now seems to have 240 250 hp.

The argument is simple. If we assume that in the Formula 1 a 3 litres powered has easily 800 hp. A small engine is able to turn quicker or at least at the same regime thus it is easy to predict that the Honda engine racing this year would have almost 300 hp once it will be completely developed, next year.

Now think what means 300 hp on a 4 inches tyre…. It’s..absurd!!

Thus one of the scopes of racing it’s to attract the public, fascinate it by showing that it’s always more engaging and difficult, but at the extreme, it’s only absurd.

LA: they will have to introduce some electronics controls as in formula 1

GCC on these machines everything is electronic..

LA: I meant traction, suspensions brakes control

GCC: yes and by the way, those old circuits where effectively power made the difference have now disappeared. I remember Avus circuit in Germany. It was composed by two straight tracks 10 km long, one bend to be made practically at very low speed and a big banked bend where at the time, Auto Union and Mercedes speeded at 400 km/h.

Today these circuits do not exist anymore, but there are circuits in which it is difficult to remain on the seat with a motorbike having so much power.

Just think about a wet race nowadays! I know it is exaggerated, but people are fascinated by this show.

If the aim is to make money with the public then fine, it is achieved, but if the goal is to use this r&d in practical way what can be learnt from such powerful bikes, I really don’t know… (He is puzzled)

LA: thus according to your view it is unlikely Guzzi come back to competitions

GCC I don’t know, I heard that Guzzi would come back to competitions, but I don’t’ know when and how, it’s only rumours. Even because to go back to the competitions means to race in the Grand Prix formula where Aprilia is already present.

I don’t know the power they have. They gave a motorbike to Laconi, in the first racings he is in the eighth, ninth position (he is puzzled)

I don’t know how much horsepower they have, but for fighting there among other things there is a weight scale. With a minimum weight depending on the power and splitting, with the exception of a splitting above to 6 cylinder.

Of course the 6 cylinders engine has a weight the four weights less the three even less. The differences are about 20 kg. That is important but not enough to cut the power of these engines

AL: it seems that even today you are still close to the motorcycle racing world…

GCC (smiling) no no I’m just one who listen to rumours from time to time… But I see car and motorcycle races with pleasure.

AL Thus you still have the passion, you didn’t forget your first love!

LA what competition engine would you use today?

GCC for actual formula of 1000cc?

LA yes.

GCC The weight scale need to be studied because it is decisive. It’s clear that with the same power a 6 cylinders is able to give something more than a 5 and 4 cylinder and even more than a 3 or 2 cylinders, that goes without saying…

Al: Is this what you were thinking when you thought about the V8?

GCC yes, but now it is not possible anymore to do it, so we can simply avoid talking about it. The three cylinders could be a good solution, but one has to keep in mind the limitation of the turns of the engine.

I don’t know the maximum power and the number of turns of Honda 5 cylinder. If the Italian three cylinders is able to turn at almost same speed it could be competitive, but if that turns at 20000 and the latter at 14000 it is not possible to do. People said that an engineer who worked at Ferrari cooperates for the 3 cylinders and that the engine has pneumatic return of the valves. In this case, well, it could turn enough.

The problem is that to be competitive you have to think about power as we said before. At least 200 HP and I believe now we are quite far from that.

 

 

The origin of eight cylinders engine

 

LA: The choice of the eight cylinders was made because it would be better than six and four cylinders?

GCC: We thought differently. Once abandoned the monocylindric and the bicylindric, our closest solution would be a four cylinders. But building a 4 cylinder meant stay behind Gilera and MV because they started earlier and we would had to work at least a couple of years to be at the same level of experience and development.

Then we thought that aiming to the eight cylinders the power was not an issue anymore, on the contrary weight and dimensions would be important. Our 8 cylinders was brilliant because it was as large as a 250 (waving)

When it was tested on the bench for the first time it already gave 63 hp while the Gilera gave 60 hp, and we were just at the very first tests. Then it achieved 70-72 hp and the power would be increased more and more if they did not kill it with the famous 1957 agreement.

LA: What will it would have been able to achieve, according to your view?

GCC: we had so many things to test. A new crankshaft and other things. From 75 hp, I think 100 hp could have been achieved relatively easily in one or two years. I’m pretty sure because we tested the engine at the bench at 12500 rounds, but Lomas said that at the Avus circuit, it turned at 14000 rounds. I remember I said we were going to install a turns limiter (smiling).

For sure 14000 rounds were possible with that dimensions. The problem was with distribution. Think what margin of improvements that engine had, by using what today is normal, the possibility to have an electronic starter or the distribution with the pneumatic return of the valves…There were huge possibilities to improve it.

LA: and even an electronic ignition in the middle of the V of the cylinder would have solved the carburettors problem.

GCC yes sure, with the indirect or direct ignition, depending on the case. We were able to do the V with eight carburettors and all these stuffs. But it would be so much simplified with the injection. It would be possible to improve fuel consumption, the power, everything. There were plenty of room for development in front of us.

LA if regulations would not forbid it, would today your eight cylinders still relevant?

GCC the actual engine we were talking about, no I don’t think so; but its son, probably yes! There are so many technological innovations that became available after that engine. And if it would be possible, you can bet that Japanese would have already done that. I remember on 1956 Honda built a 125 5 cylinders. Do you know what it means??? It turned at 19000 rounds; I saw it turning at the Tourist Trophy. Was it between 1955 and 1957? Maybe later… (he thinks).

It is true that the V8 engine had fans worldwide (He points out a picture hanged above the fireplace with a drawing representing the eight cylinders): the Mandello Moto Guzzi Club gave me that.

Last year an Australian man comes to visit me. It was a peculiar person: in Australia he built two eight cylinders motorcycles, a 750 and a 1000 and he told me a bit of the story. He built them by himself

LA: thus if it would be possible, today would you project the same 8 cylinder for racing?

GCC if it would be possible, you bet I would do that! An 8 cylinders engine with the same V scheme but very few other common features besides it. Today if you don’t build a four or 5 valve you will already lose. The old 8 cylinders had two valves. Then the new one would have completely different cylinder heads and starter. At that time for that engine the ignition problem was practically without solution.

 

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8 cylinders is still alive in his mind

 

We started trying the Vertex, a Switzerland magnet. It was quite good, but it didn’t hold. When the engine turned at half of the maximum (6000-6500 turns) it already had problems. Then we built a system with a cylindrical ignition coil and spark plug point. It worked well but such a system today would be ridiculous.

AL: I am thinking about your engine with the modern starting injection distribution…

GCC: yes, sure. It seems to me that engine is square, with the diameter equal to the stroke. Today they built undersquare engine able to turn more quickly. I think that an 8 cylinder thought in this way could turn at 20000 rounds/min and it would be possible to have 150 hp with half a litre…

LA: is it true that at that time it was thought to develop a four cylinders from half of the eight one?

GCC no it isn’t true. A test was made by reducing the power to 350. It was thought to take of one cylinders block. But the test was never carried out.

We talked about this 250 four cylinders, but it would be bulky since it has the carter, speed gear clutch and also the radiator of the eight cylinders engine. And the test was not carried out.

On the contrary the 350 (8 cylinder) was built and tested at Monza: I remember that engine was able to give more than 50 hp, 52 or 53. But it was only for fun, and only the 350 8 cylinders was built.

LA: Could it have been interesting development for a street use?

GCC: Yes maybe you are right but it would not have been so easy to sell it because of the high price. The ones who can afford to spend so much money on race bikes, would rather buy a 500, a 750 or 1000 cc, that kind of superbikes.

LA: maybe it could have grown until 500 or 600 cc and hence become as the japanese fours of the seventies, but with 15 years earlier?

GCC: well, maybe yes but at that time, from what I remember, nobody ever though to have something to sell, starting from the bikes we used in the competition. At that time people were not into superbikes.

 

 

Ing Carcano and Moto Guzzi

 

AL: what was the relation between the racing department and the production department?

GCC: If you thing about modern factories, The Guzzi’s organisation of that time will make you shuddering! Thinking about Guzzi’s organization at that time, for example: the racing department didn’t have a workshop of its own. We had our own staff managing the racing but for the rest it depended on the production department.

The toolmaker department that normally produced the tools for normal motorcycle, had to work also for us and we, in the racing department, had always to beg them while a part of the workshop people shilly-shallying. It was a continue fighting.

There was not an organisation dedicated to the races as for example today in Ferrari. We depended to the toolmaker people that helped us on a personal courtesy base!

LA: how did you live the end of the racing, the famous “patto di astensione” of 1957?

GCC I’m saying the truth: I lived it in a bad way because it was a completely unexpected decision; I don’t know if it was right or wrong. If they had called me…

I remember we were in Modena, for some tests for a city race on the Modena local circuit, a simple fenced lawn. When we came back somebody told me: “do you know Guzzi withdrawn from racing?” I got the news like that, the decision could have been right or wrong but a different approach was necessary. In any case if Guzzi have had keep racing, it would have become more modern. Organize itself in a different way.

AL: So it was that bad for you…

GCC (nodding)

LA: by brusquely interrupting the racing a lot of knowledge and experience was wasted, wasn’t it?

GCC yes it’s true, I remember in the 1936, my first year in Guzzi, there wasn’t a divisions of works and responsibilities, all people did everything, sharing knowledge.

Since at that time I was the only engineer in Guzzi, every time there was a problem or a trouble, people come to me and I had to find a way to solve it. There were some military supplies that needs to have a list of drawings about the values of some tests such as powers consumption, torque and so on, and these drawings were due according to the contracts. And I had to do them, there was no choice! They wanted the accelerations of the military motorcycles in the first second third fourth gear, and I have to draw all the plots. I did so many different tasks, every time there was a trouble, they came to me saying: “and now? What do we do?”

LA: What was your nicest moment in Guzzi?

GCC the worst moment is easy to remember, on the other hand then there were a lot of good moments. Let me say, and nobody can deny that, that I was so enthusiast, I would have paid to work in Guzzi! I never had controlled time or badges, neither at the beginning nor later.

Some times I went to the work at 10a.m. and the porter, scared, told that Dr Parodi was looking for me. And I answered: “Yes I am late but yesterday at midnight I was still drawing”.

He never obliged me to clock in or out, and I worked with passion; I didn’t fell the weight.

After the 1957 I didn’t’ clock in or out but the situation was completely different. That enthusiasm, that team spirit which made us try and try again everything, just disappeared. When we built the eight cylinder my co-workers and me did enormous efforts for drawing, then we had to go to the model maker in Milan, then to Isotta Fraschini that moulded the first carters… It was a continuous moving, then after the 1957 everything stopped.

AL After the 1957 you was employed in the series production…

GCC; after ’57 more or less we went on pretty well until 1965-66 then SEIMM arrived, then… You see, I had a boss, Dr Enrico Parodi, who was such a nice person, a good fellow, too good to be a manager. To be a manager you have to be cruel. If one of his employers was sick he sends him a specialist at home, he was really a remarkable person. Of course, some people knowing that took advantage of the situation and therefore we had that period of ’60 when there was also a general crisis. Moto Guzzi didn’t participate to races anymore and the thrill of past times was gone. He was badly treated by some managers. And I’m very sorry for this because he was really a good fellow; he was too generous to be an executive officer.

The boats and the American Cup

AL: then you took refuge in the boats.

GCC: yes I took refuge in the boats and I have also had a lot of fun. You see, I honestly have to say that I still prefer boats to bikes! (he laughs)… Next year there is the American Cup and I can only watch it on the TV…

LA: So, what is better, motorbikes or boats?

GCC even when I was involved in motorbikes, I always loved sailing boats. For this reason I keep working with boats. Sailing boats gave me a lot of satisfaction.

AL: so you are an artist for aerodynamic and hydrodynamic shapes both in the water and in the air…

GCC (laughing) it‘s a very pleasant problem because there are a lot of variables. You see, now I can only watch the American cup on the telly, but there was a period in which I was near to be part of it. It was on 1962 when Gianni Agnelli wished to challenge the America’s Cup. He went to Croce and the latter to me asking if I would be able to make a drawing. I answered something like: “I don’t’ know, let’s see what can be done”. I went in America with Agnelli and Croce, we were received by Kennedy at the New York yachting club. At that time there was a rule that the challenging boat for the American cup had to be the drawn by a designer of the challenging nation, and all the boat parts such as masts, sails, winches, keel, and rudder and so on had to be built in the challenging nation. I think that rule still exists but it is possible to bypass it. It was not possible to build a boat and take say the mast in America, the sails in Australia and so on as it is done today. Now if the two Italian challenging teams were forced to compete using only the Italian instrumentation and Italian masts they would not even be taken in serious consideration.

So, I remember on 1962 we went to watch the American Cup and since there were the strict and controlled rule that the boat and all the tools had to be Italian we just forgot about it. And we were right because we couldn’t have been competitive.

Next year there will be this new edition of the American Cup, where there are two Italian challenging the Switzerland, France and England among others. In my view the best one is the Swiss boat because they faced the problem in the right way. They took away the steersman and the design engineers from New Zealand. They took away from New Zeeland all the good they can.

The America’s cup problem is fascinating because is at the same time easy and complicated; the problem is easy in its formulation, you need to have a boat that in the average conditions in which the American Cup is played is quicker than the others. It’s easy, isn’t it?

But here the difficult bit: New Zealand won the last American cup, it was a quite strange boat. Now everybody thinks to copy it but it’s the worst thing you can do, because after four years New Zealand people have gone for sure further on. The experience of the America’s cup shows that both the Americans and the non Americans won the cup with different boats representing something new with respect to the solution that won four or five years before.

When people did copy-cat boats, as I called them, they always lost badly.

Ing Carcano tells about Carlo Guzzi

AL: what Carlo Guzzi told when you proposed to built the wind gallery?

GCC: The wind gallery was a Carlo Guzzi‘s craze. I said him not to do a home-made wind gallery as this one: we either had a good one or none. But to do that perfectly, would have been four times more expensive…

That wind gallery was born with an internal combustion engine. A Fiat aeronautic one of 900 hp it had a propeller capable to suck everything around it! After then it was installed an electric engine. As I said, Carlo Guzzi really wanted the wind gallery.

AL: How were you relationship with Carlo Guzzi?

GCC I admired him a lot.

AL, and he let you did whatever you wanted?

GCC well, yes especially lately, but at the beginning no, he didn’t. Carlo Guzzi was a clever person, having a sense of humour I didn’t find in anybody else. He was a pleasant person because he was facetious and unmistakably clever .

As everybody, he had his good and less good sides, one of them was that he didn’t give acknowledged a thing if it wasn’t effectively tried and tested. As a results, sometimes he was lost in tests and trials of which he already knows the result, but he wanted to try nonetheless.

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Carlo Guzzi in an old photo

AL how was working with Carlo Guzzi?

GCC Carlo Guzzi was a clever person with a pleasant sense of humour; plenty of good laughs…

AL: Before you were introduced in the racing department was Carlo Guzzi the only one involved?

GCC Carlo Guzzi was involved in everything and accidentally also in the races. Before 1936 when I joined Guzzi, he built the four valves European champion of 1924 and then after he built a liquid cooled 4 cylinders with a timing with push-rods that didn’t was successful, but he did that in 1929 or 1930. Then in 1932 he built the first twin, then two Albatros 250 in 1926 or 1927.

Then when I joined the company, the Guzzi racing motorbikes were the Albatros and the 500 twins at 120°. The Condor was then built. I worked a lot on the Condor.

AL: How was your “fork with little biscuits” born?

GCC the “fork with little biscuit” was born for Gambalunga. We tried the first one in Bergamo in the “Circuito delle Mura” with Balzarotti who was still with us at that time

I remember that the damper was in two sheaths and it was too difficult to let it work well. When we put the two external dampers, they worked very well. In fact that fork was mounted also on the world champion 350 and even on the V8!

AL, In fact it had the external dumper

GCC yes right they were external. It was a practical solution because we could change the couple of dampers in 5 minutes. Now the forks are much more evolved, we didn’t have problem anymore with that fork putting the dampers outside

LA: you had full power for the races. On the contrary, for production bikes, did Carlo Guzzi sometimes refuse an idea of yours?

GCC well, even for production series, factory organisation wasn’t exactly… (He does a vague gesture) At that time we were a floor above the “villetta” (a part of Guzzi plant used for the offices) that was used for the designers. On the left there were Paolini with 5 or 6 draftsmen: that was Carlo Guzzi’s reign, on the side Guzzi had a little office. On the other side, facing the street there were my co-workers Cantoni, Todero and me

AL When did they join you?

GCC Cantoni arrived just before the war, when we drawn a small engine for a bicycle. With the roller working on the tyre. It was around 1940 or ’41. At that time I didn’t have an office even because I never asked for it. I was itinerant in the plant. When Cantoni was assigned to me I had to find a place, a desk and a drawing table. Then I went to Carlo Guzzi who gave me a sort of passage near the department in which the engines were mounted. It would have been about half of this room wide and twice long (note: about 2×10 mt)

It was a warehouse for the tyres. He had it emptied and then said: “that will do!” (he laughs). People told this to me only later… He wondered I didn’t refuse to stay in that tunnel. There was space only for a small drawing table because the big one touched the walls. That was my debut with Cantoni.

AL: and going back to the question (Luca’s question) about assistance with the production models…

GCC: if there were problems in the lines, then I attended. For example sometimes there were problems with the thermal treatment. We had a thermal treatment where there was a quite good technician. Sometimes they had a problem and then I went there to see what the problem was.

Of course, after 1957 I was involved only in production only.

LA: Was there a motorbike built by something else that according to your opinion should have been built by Guzzi?

GCC: mmm I don’t know. I was a friend and a fan of Ing Salmaggi. At that time he worked in Gilera. A competitor of our Condor was Gilera Saturno. That was a very good machine. In my view the best Gilera motorbike of all time. Exception made for the first 4 cylinders, I mean the Roman one. The story of the Gilera 4 cylinders is known. It was the Rondine that was offered to Guzzi before. But Guzzi refused it.

Mandello del Lario

LA: if you’d stayed in Guzzi, what would be the motobike you’d have suggested for the production?

GCC That’s the million dollar question (he laughs). To be honest, I don’t know… When I left Guzzi, for a period of two or three years, I was disgusted by motorcycles…

Count Augusta looked for me to give me a free hand. I remember well that day of November. I went to Gallarate with my wife Claudine, where I was invited. It was raining and there was a bit of fog. I reluctantly answered that I didn’t feel ready to abandon Mandello, and my wife agreed with me. You see… I already had two or three cats going around my home.

 

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Great emotions for Luca with the father of his Guzzi

I thanked Count Domenico but I did not accept the offer. He gave me absolute freedom to take care of motorbike, helicopters airplane, anything I wanted! But I was in a sort of nostalgic moment, as it happens and I didn’t fell right about leaving Mandello.

AL Mandello helped you also for your work at Guzzi because it was a quiet and pleasant village

GCC: My father bought this house a couple of years before my birth. We spent here Easter holidays and summers.

My father was an electronic engineer, born in 1876. He got his degree in 1900 or 1901.

During the war, the first year I worked in Guzzi, I couldn’t use this house because there was no heating, so I lived at the Grigna or at the Giardinetto (note: two hotels of Mandello) after 1940 my parents was evacuated and we installed some small commodities. From 1940 on, I always lived in this house.

LA: are you somehow addicted to Mandello ?

GCC sure I was here till I was 2 or 3 years old…

I remember that me and my brother who was three years older than me, were members of a sort of gang of tourists. There was also the gang of local people, and of course we hated each other. Those days, one needed to be very careful because sometimes there were some fights and stones flying by (laughs)

LA: In your view, the people of Mandello made an impact on Guzzi success? I mean from the human point of view.

GCC: Yes for sure. In my view Carlo Guzzi was lucky because his first co-workers I known were good local fellows and very good technicians. I remember Agostini called “Moretto” who was called also “l’uomo del diton” (the big thumb man, NDT) for his way to build the cams of racing motorbikes

He made the bobbin, and then he gave it to toolmakers to mill the crankshaft according to the established angle. Then he made the profile with the Indian stone and the file. Then the crankshaft was cemented and tempered, he finished it off with the abrasive stone, the Indian stone. In order to check if it was good and if it was smooth enough he used his “diton” (big thumb) and passed it on the crankshaft in this way (he makes the gesture) . I remember this “diton”, he was such a joke.

The first Guzzi’s co-workers were simple people but very very good technicians.

 

Omobono Tenni

 

AL: How did you live the races? The journeys, those moments when you are preparing a race..

GCC: in the last year we had two OM trucks, with the body fitted to transport racing motorbikes. If we were going to go very far, such as the Tourist Trophy, the truck drivers arrived at Calais, then from Calais to Dover, then Liverpool and at Liverpool they took the ferry boat for the Isle of Man. That was the longest travel.

Al : about a week?

GCC yes.

LA: What was your favourite racer?

GCC: it’s difficult to say, you know, I had some friends of mine also among the pilots. For example I remember Lorenzetti: he was a clever man, I don’t remember another person similar to him. Lorenzetti had a talent, I don’t’ know if it’s the case to tell about it, but he was a bad rider in terms of sense of balance, but he was a good pilot. I remember once we were in Genew, He had a Condor 500 with something wrong in the carburettor. We went on a street open to the traffic in Geneve: he was riding the motorbike and we tried to regulate it; he was going slowly and behind him there was a BMW sidecar of a tourist; suddendly he turned without looking and the sidecar make him fall. A rider doesn’t do these things. In any case he was good. He was the opposite of what people can imagine about a pilot, he wasn’t a boaster neither exuberant, but he was very clever and expert.

The one I truly admired, even if I did not agree with his views, was Tenni.

Tenni was a very strange person. If you knewn him..if Tenni were to sit with us right now, he would have been calm, quiet, as a timid person. But as he was on a motorbike, he changed completely (makes a rapid gesture with his hands). I remember well that his only aim was to go fast when riding; not to win the race but to go fast. One day he told me: “ d’you believe the public come here to watch the races just to see if Guzzi or Gilera win? No! They go to the race to see people going fast”.

For example: Lorenzetti was a calculating man, if he was ahead, he cut off the gas 20 meter before. Tenni was the opposite, if he was leading, he cut off only 5 meters before the bend. He said “I fell as I am stealing from the public otherwise”. He was exactly the opposite of Lorenzetti.

Another good friends of mine was Alano Montanari. I don’t know if you remember him. I don’t know exactly how good as a pilot he was but he surely was a unforgettable person. Let me tell you about Montanari: when I knew him, he had an Albatros, he was already about 45 years old, I’m not sure, but in any case he was more than 40. We were at Ospedaletti and I was introduced to him by a friend of mine who came often to make a visit in Guzzi. He said I’d like to introduce you Montanari: he has just fallen, losing a thumb nail and he was lamenting.

He was a Guzzi’s maniac; do you know what maniac means? He would never conceive to race on a Gilera or Norton. To him it was either on a Guzzi or no race at all.

This story was reported to me thus I’m not sure it is true, but it gives you a picture of the man: he had a 250 PES normal (PE sport NdA) for using everyday. He was a “Romagnolo” from Cesena (Romagna is the Region in central Italy famous for the passion about motorsports) and once in Romagna he was on its bike with a passenger, riding very peacefully; all of a sudden, a Gilera came and passed him. Terrible! It was a personal insult, then with twisted mouth he said to the passenger behind: get off the bike, jump! (He is saying that in romagnolo slang) but the passenger didn’t understand immediately, so Alano repeated: jump! And so did the passenger and let him go to catch the Gilera who dared to pass him!

AL: Were you in charge for the selection of the pilots?

GCC: no I didn’t, sometimes they called me for an opinion but we were not involved in the recruiting of riders.

LA: In you view, was Tenni the most courageous pilot?

GCC Tenni was reckless. If you didn’t know him, it is difficult to think that a man could drive in that way…

There was a race of the Italian championship in Bologna, at the time when city circuits were still used. In that race there were 4 Guzzi’s with 250 equipped with the compressor. The pilots were Alberti, Pagani, Sandri and Tenni. There also were three Benelli’s equipped with the compressor, the pilots were Soprani, Rossetti and maybe Ciani, I don’t remember well; then there were all the other people around them, but the fight was between Guzzi and Benelli. Guglielmo Sandri comes from Bologna, he was a very good pilot and Bologna was his homeland.

Ok, so: ready?And go: Tenni and Sandri left behind all the others. Tenni was able to force Sandri to fall (something that gave him huge satisfaction) and he was the first.

Rossetti, with Benelli was late behind and at the penultimate turn there was Tenni first and Soprani second with a delay of almost one turn. At the entrance of Giardini Margherita, the street become narrow and there was a small passage Tenni caught Soprani up and overtook him on the inside of the bend! Both of them passed by but if they just touched each other… they would fly off. That was the kind of riding that today you would never think possible. Tenni wan the race with a turn of vantage with respect to Soprani, I said him: “listen, do you understand how crazy was what you did???” “Yes” he replied” “But if I’d passed him after the narrow bend it would not have been as fun…”

AL: You know what? We envy you for such memories!

GCC (laughs) I would love to have fewer memories and fewer years too, but it’s not possible, I am afraid…

LA: do you remember the Tenni victory at the 1937 Tourist trophy?

GCC: yes of course, but I wasn’t at Isle of Man. I remember well the telegram coming from the Isle saying that Tenni was the winner in the 250 class and that then he run in the 500 class with Stanley Woods. While in the 1935 Stanley woods won, in 1937 I don’t remember what happened to him but he didn’t win…

I remember that when I received the news, there was people coming to me asking: “who is arrived? Who is arrived?” and then they asked :“ with Guzzi?” ; that because there bets on the victory and a premium promised if Guzzi would have won also in the 500 class (laughs)

LA: how was Omobono from the human point of view?

GCC he was positive and proud. I remember with sadness when he felt and died in Bern. I was in Rome and I have remorse of conscience. You know, there are things that one thinks and, who knows, maybe they are not true but… maybe if I was in Bern, it would not have happened.

You see, at that time we built an experimental bicylindric motorcycle and we sent it to the “centro studi” of the Army in Rome there were some discussions because there was something they wanted, some specifications and stuff… but I don’t remember well and then Carlo Guzzi told me to go to Rome to see what it was all about.

In Bern Tenni tested for a lot of time this twin 250 and he wasn’t sure to use it in the race, and before the practice close, he said to Moretto “ I want to try my 250 mono as well” . The two motorbikes were different: the 250 twin has taller footboard and the rest while the other one was lower. In few words, he took this normal Albatros, he did a turn and arrived when the climb starts; in a bend on the right, he leaned the bike too much, touched the street and lost it. He knocked his neck against a small three (he makes a gesture) and he died on the spot. I don’t know, I don’t know… Practice sessions were about to finish and if he decided to run with the twin or with the Albatros he wouldn’t need to try it because he tried it a lot of times… But this is how things go, sometimes… He was a good man.

LA you were lucky to see both the pilots of 30’s and the modern pilots. Who was the best one and the most courageous you have ever seen?

GCC: It’s difficult to say who was the best one (he pauses thinking…) there were a lot of them and it’s difficult to say who’s better even because you should test them on the same machines and the same conditions… Among the Italians, excepting Lorenzetti who was more a technician than a pilot and he was able to do things the other wasn’t, I’d say riders such as Tenni and Valdirolo. The later run for Gilera; he was a daring and very good pilot.

Among the strangers, Duke amazed me. I don’t exactly remember the year, it was when he won the first TT with the Norton 500. We were at the Isle of Man with the twin 120° of Bob Foster. I was gone to Craig Ni Bah; that was a descent bend. That circuit now it’s more or less put in order but at that time.. One wanted to kill the managers because they allowed to race on that street with tarmac having such a coarse grain full of holes and with stone walls on the left and the right that if you went against them you could seriously damage yourself…

Well, I remember to have seen Duke, when he was 18 years old and was at his first year of racing. He was the co-pilot of Harty Bell who was the Norton number one. I saw this boy at Craig Ni Bah and I was speachless: this young boy behind Harty Bell gave the impression to say :“go away! let me pass!” it was amazing to see! Duke was really a very good pilot. Another good pilot was Surtees, for sure a very good pilot.

Then there was Ray Amm, He did not race for long though. There were a group of three or four riders who were really exceptional.

We have had for a lot of years Bill Lomas who was a very good pilot. Champion of the word in the 350 and he was the pilot of eight cylinder. Then , besides Duke, the Gilera Team had McIntyre who was another very good pilot.

AL: now when you watch the races, the pilots fall and get up in a second….

GCC: it has to be said that now they have runaways that we haven’t at that time; if one crashed, he would be damaged, period. Now they have that shield back they started using after the Rainey’s accident. You know he was paralyzed, the poor man.

Sure, even today it is always better to avoid falling but I see that eight times to ten they fall and they have only some scratches on the hands…

LA: and what do you think about Valentino Rossi?

GCC: I think Valentino Rossi is very good. To be honest, I always enjoy watching him because he is really very good. Now as I said, with the motorbikes used in the GP it is very difficult to be able to go up to the limit…With all due respect to all the competitors around but he is really good.

AL: indeed…

LA: one would stay here for hours to listen to your memories…

GCC: yes I understand

AL: You were the designer of V90: some people say that the right cylinder of the engine is more brittle and more subject to breakage

GCC do you mean on the V7?

AL: yes.

GCC I don’t know, this is the first time I hear this story! I don’t know it at all.

LA: people say that it is because is less oiled than the left cylinder…

GCC: well, this is an old story of the workshop manual of Moto Guzzi, now I’ll tell it to you: when I joined Guzzi, they sold the motorbikes with the workshop manual.

Together with the workshop manual there was a sort of vademecum for the Guzzi rider, in which there was explained the reason for which there was an horizontal cylinder, because the engine turn on the contrary and there was written that since the engine turned on the contrary it push the oil above and in this way oiled. That was all false, because, as you know, inside a carter when there is an engine running there is just oil fog going everywhere.

 

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“Now i’m going to tell you this thing of the engine that runs reverse “

But the fact that the engine turned on the contrary because it sprayed the oil above and then they went down was written on the workshop manual of that time…

AL: Thus is there no reason in the project for the presumed fragility of the right cylinder?

GCC to be honest it’s the first time I hear that the right cylinder is more fragile! I have never heard about it.

LA: in your view would today a horizontal monocylindric on a street motorbike be possible?

I’m thinking to your monocylindric 500 long stroke. The son of that engine may be adapted on a sport street or a tourist motorbike…

AL: lets say a modern Gambalunga revised and adapted for the street use…

GCC it may be would be fit, but the difficult would be to find a client. Who would buy this kind of motorbike? Today people want 4 cylinders for 100 hp or more with high performances.

I believe that this kind of motorbike would be difficult to sell. And of course it has to be cheaper than a 4 cylinders… It would be difficult to find a market.

The main argument is that the motorbikes are not means of transportation but they are means for fun: if you are looking for means of transportation, you get yourself a car.

If you put on the market a 500 monocylindric today even at a modest price, I think you would find a lot of problem to sell it

AL: but there would be the Guzzi lovers…

GCC I don’t know… I would not agree, but maybe I’m wrong.

 

The Guzzi of tomorrow; why not a diesel?

 

LA: according to your view in this moment what would be the best choice for the Guzzi…

AL: if you’d work in Guzzi now…

GCC: Well, I‘d tell you something, but maybe its better I don’t say it, or maybe I’ll tell you later, privately…

LA: please say it, then if it’s the case we will delete it…

GCC: well, if I worked in Guzzi I think I should do something completely new: Rumours say that they want to liquid cooling the V90. But it is in any case always the same engine. What I would do -please don’t panic!- it’s a three cylinders diesel engine.

AL: I see…

LA: You said diesel?

GCC: diesel indeed! Because with a properly done common rail, today with a three cylinder diesel you can target all police corps and the army. In military motorbikes the fact to use diesel instead of petrol gives an enormous advantage. Imagine today you build a three cylinder of 900 cc. With about 60 HP. This motorbike could achieve 180 km/h with a tank that you fill once a month. A motorcycle what will never break easily. I told about this idea to some friends of mine in Guzzi. I don’t know if they will ever give any thoughts on it.

If you think the diesel engine did enormous progress with respect to a petrol engine. Surely if we are thinking about sport bikes, the ones who want a brilliant engine,, well, this is not the solution. But if the buyer is the army or the police dept and then maybe some enthusiasts…Well, then I think this is not a completely wrong idea.

If I’d be in Guzzi I will judge important the fact to be implied with the common rail technology development.

Al: You see, Luca, how ideas are born…

GCC: then they can do that or not but today the fact to be ablet to say…

AL: Yes, it would be a revolutionary idea

GCC: more than revolutionary; it would be an idea for the future. If you see that the trend y for petrol engine is flat while the trend for diesel engine is steadily growing. To say: “I don’t even know how to touch a diesel engine” it is not an advantage, for a brand that used to build engines.

LA: I think just by considering the traffic we have today, the advantages of motorcycles of this kind…

GCC: yes, you start from a pool of potential clients that are police departments, urban police etc, and then from that you make the project grow with the same evolution of the V7…

AL: Oh my, what a loss for Guzzi your departure…

GCC: Oh well, I already told you that I was called again about one year ago. I have to say that the new proprietor, Mr. Beggio was very kind with me, that must be said. As soon as there is a party or a meeting about Guzzi I’m invited, he send somebody to pick me up. I remember I was introduced to five top managers, now I don’t remember their names, but we talked a bit about what the future programmes could be. When they asked me “but if you are still in Guzzi what will you do? I answered as above. Now, I don’t know if that seed will fall on a fertile soil or on a stone. I think the seed has fallen on… Oh, well, I headt about this project to build the liquid cooled twin engine. I really don’t know what they will do.

AL: this would be a follow up of the initial project.

GCC: yes yes

AL: the maximum possible evolution; on the contrary, this diesel idea would be a new thing, a revolutionary thing

GCC: yes it means to be the first in the world, with an engine that has a future, it’s undoubted.

I remember the diesel engine of some years ago, so irritatingly bad smelling and noisy! Some days ago a lady with whom I had to have a lunch, picked me up with one of the last model of Lancia, I think a Lybra, with a common rail diesel engine, and it’s hard to recognize it as a diesel engine if you don’t know it!

Nice, smooth… the diesel technology has made tremendous progress.

LA: we can think about the big scooters used in the city, the diesel engine would be better than petrol…

AL: I already see Ing Carcano designing a diesel engine if asked….

GCC: I’m too old, gentlemen!

LA (to Aldo) you preceded me, because I wanted to ask: when you left Guzzi, who lost more? I Would say Guzzi, to be honest…

GCC (smiles) I don’t know if Guzzi lost a lot, but I suffered a lot for the way I was forced to leave suddenly. I didn’t like it. As the Poet says “il modo ancor m’offende!” ( I’m still upset by their ways) It would be better if they called me and said: “you cost us too much” even if it is not true because, among the wrong things I did in my life in Guzzi, I always have a very low salary, because it was more what I got from Guzzi under the table.

That mistake was reflected in my severance pay and my pension, because I should now live with (omissis) but fortunatley I have had some savings. In other words, I would not live on my pension schem, calculated on what I officially had.

LA in any case it is a fact that when you left Guzzi. Guzzi stopped innovating. The last engine was yours. After, there wasn’t anything really new. De Tomaso built the 4 cylinder in the 70’s…

GCC (agreed) a bad copy of Japanese engines

LA thus Guzzi stayed at that point

GCC: (agreed puzzled without commenting)

 

V8 again…

LA: it is a common opinion you designed the most extraordinary motorbike of all time: the V8. But you are remembered as well for the V90 engine, a piece of Italian story, the engine that motorized Carabinieri’s motorbike and so on. What’s your feeling about the fact to be the designer of a fabulous racing machine as the V8 and to be remembered for the V90, don’t you think it is strange?

GCC (laughs) I don’t know, they are two completely different things. That one (the V8) was born as the possibility for the Guzzi to defend its name in the 500 class, because Guzzi in 500 class lived modifying the bicylindric 120° from 1930-32 till 1950. And from that engine they pulled out everything possible.

Of course we had the problem to build a completely new machine. The concept of that machine was, in my view, quite simple, in the sense that we didn’t have any choice. If we made the 4 cylinders at least for a couple of years we would have to learn because there already were Gilera and MV and they were already evolved and developed. Then if we must make something new what would be our choices? No the Six cylinders too large, by putting 6 cylinders in line there was the well known effect we wish to avoid (overturning torque NdA). It seemed that the solution was to have an engine as large as a 250 even with all the troubles due to 8 cylinders. Especially for that time because today that solution would be match more easy.

We had to invent a new starting system because it was not possible to have satisfacting results by using a magnet. That solution seemed quite logic to us, let’s start with a 8 cylinder and then try to evolve it …

LA: sure! A V8 it is pretty normal!

GCC: (laughing) Well…

AL: people has to believe in such a project. They have to see someone’s will and incitement who told them “make that” so one puts the heart in the project.

LA: at the end you are famous for the V90 that is a utilitarian engine.

GCC: at the end I didn’t invented anything with the V90. It is a quite logic and rational scheme. And it is quite practical to be a tourism engine. I didn’t invent the V of 90° it was only a good solution for an engine having those features.

AL: yes but you were the one who did that.

LA: and you designed the engine that allowed Guzzi to survive.

GCC: ok, but come on…(he makes a gesture as to say ‘that’s not so important”…)

LA: what is the most satisfactory engine you worked on?

GCC: it’s a difficult question, (laughing)… It’s difficult. Well, the V8 among others left me with a lot of regrets. Because in 1957 when they decided to stop racing, we had already designed a new crankshaft and we had a list of things to do. The 1958 V8, if it had existed, would have not been just a modification of that of 1957 but probably a big evolution.

LA: Did you follow Tonti’s course of events when he developed the V bicylindric for the small series?

GCC: I knew Tonti, but when he was in Guzzi I wasn’t there anymore. As I told you, my relationship with Guzzi was bad and stayed bad until Mr. Beggio’s arrival; He had been a very kind person with me. I visited Todero and Cantoni, we had a chat, but at the end I didn’t know much more than people in the street.

LA: For this reason you neither followed the stories of De Tomaso…

GCC: I know he built the four cylinders copied from the Japaneses; it was a disaster, but I know it only because from time to time I met somebody who told me the news. Not because I was informed in a particular way.

LA: De Tomaso delayed the Le Mans 850 the sport motorcycle. It was ready on 1972, but he rejected it till ‘76 after that in the Milan showroom of 1975 he saw the motorbike was judged very well.

GCC: (agrees without commenting)

LA: Have you ever been involved with motor racing?

GCC: yes, I was involved with that because for some years – now I don’t exactly remember the period – I was a member of the Italian motor racing sport commission the CSAI when Ing Rogano was the president. I was involved with Formula One rules and stuff. I remember I had leather arm-band that allowed me to enter everywhere (smiles). I did that for 3 or 4 years. I always loved the formula 1 racing; I watch them with pleasure on TV but I’m not into the secret things…

LA: What do you feel to see that there are a lot of v90 fans? Even people who wasn’t born yet when the V90 was projected…

GCC (laughing) to be honest, I don’t feel anything!

LA: there are people for which your engine is a cult.

AL: when you find 10.000 guzzisti at a meeting that own your motorcycle, you would be a bit proud, would’nt you?

GCC: yes yes, but to be honest, even if it could seem a little strange, nowadays I think much more about sailing boats than about motorbikes…

AL: (laughing) that was your refuge.

GCC: yes a refuge, but even today I’m more informed of what people do with the boats than on motorbikes, there is a quite simple reason. After I left Guzzi, for some years I was disgusted by motorbikes.

LA: it’s incredible. You know, there are a lot of people going around with the image of your engine drawn on a t-shirt…

GCC: (laughs)

AL: And it would not be bad to add a writing: “Ing Carcano made it”

LA: Yes I’d put it on mine!

AL: The Carlo Guzzi’s monocylindric lasted till 1956, it went on for 35 years, then there was the evolution of the new Falcone, that was a different motorization, but your engine it is 40 years old and it is still running (laughing)

LA: there are a lot of teenagers who don’t look for the performance of 150hp, people who choose carefully, because as you said how many people are able to drive a motorbike having 120, 130 or 150 hp?

GCC: (agreed) yes only few people can. I have also to say that when I was in Guzzi sometimes I tried to ride motorcycles, but I know I have always been a mediocre biker, and maybe I’m lucky, for this reason I’m still alive.

I remember than every time I tried a motorbike and they told me to brake when I reached a roadside mark, I always missed it. I fell an enormous admiration for the bikers having that innate talent… You can’t buy it…

I remember a circuit in Ospedaletti, it was raining cats and dogs, class 250, there was the usual duel between Ambrosini on Benelli and Ruffo on Guzzi. First lap, I was with the Lorenzetti’s brother in law with first time sign. They leave, and do you remember the Ospedaletti circuit?

AL: Ehr…a little bit

GCC they leave, and after 100 meters a sharp turn, they keep climbing, then the slope they turn and come back. At the end of the first lap I heard the noise of the motorbikes arriving. Ambrosini was preceding everybody with Benelli. In front of hotel Regina, that is 100 meter far away from the sharp turn, at full speed on the wet he seized! I heard a strong noise, the motorbike turned on itself… We left the paddock and run for our lives! Do you now he runs 20 meters with the wheel in this way? (Across, NdA) without falling? Then he was able to push himself up and went to gently leave the motorbike near the straw bales…

That man had… eight balls for sure. I have never seen such a thing. I’ll remember it till I live that he seized at 200 km/hour on wet tarmac… And nothing happened.

LA: it‘s the sense of balance that….

GCC: yes yes they were very good, and they are even now when they fall. If one of us falls, he is in trouble, but if they fall they make their selves into a ball, and knock the hands (it make the gesture to knock the hands on the table) and they manage to get away with. They are good.

 

The Mille Miglia Race

 

LA: and your preferred car pilot?

GCC I remember at that time when Varzi and Nuvolari run, I was a Varzi’s fan and I thought Nuvolari was a brag and a car-destroyer! Then I become a Nuvolari fan, when he runs with German cars…

LA; with the Avus (I meant Auto Union NdA).

GCC: With Auto Union actually.

LA: Sure.

GCC: in1938 Nuvolari run at Monza GP. It was a moving moment. At that time there was a fight between Mercedes and Auto Union and the first ten runs Nuvolari on Auto Union fought with Lang on Mercedes. Then Lang broke and he was alone. When he was at the refuelling they put on his head an apron as big as this table. You see, they put 200 litres of alcohol in the tank and they were afraid that during the refuelling the alcohol could wet the pilot so that to make him as a human torch in case of accident… I remember at the end he won and when they pulled outside him he was as dry as a towel, poor boy. That Auto Union was so big, 16 cylinders, very hard to drive, it was a terrible thing, what run he did…

LA between Nuvolari and Varzi there was the episode of driving with the light turned off…

GCC: yes the light turned off. Guidotti, who now is dead, lived in Bellagio. Guidotti was a dear friend of mine and a good fellow. We meet twice or three times a year with him and some other friends of mine. Now it’s two or three years he is dead. He told me these stories. In the turned off light story the couples were Varzi-Bignami and Nuvolari-Guidotti.

Al: I was thinking how Ing Carcano remembers all these particulars and…

GCC: Well, nothing to be too happy about it! To be honest I remember all these old things but if you ask me what I had for lunch, I have to think about it twice and it is not easy…

AL: don’t worry, it also happens to us to not remember immediate things…

LA: in the ’57 even the Mille Miglia stopped

GCC: yes because of the Guidizzolo crash

LA: involving De Portago and Nelson

GCC: and so Taruffi won

LA: PietroTaruffi is the father of Prisca Taruffi, the pilot that appears sometimes at the TV.

GCC: yes, indeed.

LA: thus the 1958 was a quite strange year for the Italian motor sport. the Mille Miglia and the motorcycle races ended..

GCC (agrees)

LA: Anyway the Mille Miglia was not possible anymore. Cars at 300 km/h in small open roads

GCC: Indeed. it was simply not possible in 1957.

LA: and in the Mille Miglia there were all kinds of cars too: ranging from Fiat 500s to Ferraris.

GCC: yes, indeed.

LA and it had to be raced respecting the street signals!

GCC: That’s true; people had to stay on the right and bend on the left keeping staying on the right because if the bend was cut the fault, in case of crash would be of the driver…

LA: and traffic lights were to be respected too, because at that time there weren’t speed limits

GCC: Exactly.

LA: In the old pictures cars speed by bicycles and barrows…

GCC: yes yes I remember one of the Omobono automotive experiences. Tenni, you know that Tenni run with the cars. He run the Mille Miglia with Bertocchi who was for Maserati what the “Moretto” was for Guzzi. Bertocchi when he go out with Tenni the first time, put a big button that connected to the ground the starter, (he smiles) because if something happened he would have pushed the button. Bertocchi said that Tenni was terrible; Tenni was simply Tenni.. even in a car.

In Milan they built a circuit around the Arena between the arena and the Park. I don’t remember the exact year but it was after the war. Maserati came with the 1500 and 3000. Tenni did about ten rounds testing the 3000cc and he already took away all the straw balls!!! Thus they made him run with the 1500cc (he smiles)

I remember he had the 1500 4 cylinders and there was Trossi with the new 1500 6 cylinders. Trossi won but Tenni was just there immediately behind. I don’t know if it was behind because of a team’s order or because he wasn’t able to go faster. Omobono… always running… With cars too he was irreducible…

LA: I thought I wasn’t able to ask all the questions, on the contrary…

LA: do you have an unpublished anecdote? An episode?

GCC: (thinking) a lot of them probably! But no episode in particular rises to mi mind right now.

AL: the research of lightness in the racing motorbike?

GCC we were able to make the 350 world champion on 1957 weighting 98-100 kg more or less. That was the motorbike I loved the most, because it was complete. The engine had 38 HP and it run against Gilera four cylinders 500cc.

Now, listen… Here, the episode! This is the gossip that shouldn’t be reported, ok? You know the famous rumours where in in a race at Monza during the tests the four cylinders 350 Gilera broke? Then they didn’t want to miss the race the day after so they run with a 500 in a 350 class, and that is not nice at all. When the race ended the motorcycle stopped at Lesmo, before the finishing line and it went straight in the direction of Arcore and nobody saw it anymore! Nobody doubted about that race, but I received a letter signed by a person from Arcore saying that the motorbike was so and so… It was a signed letter. But it would be impossible to raise such a weird episode but the fact that it didn’t arrive to the finishing line and then it quickly disappeared on a truck gave rise to a lot of rumours..

AL: Let’s talk about the wind gallery the aerodynamic lightness…

GCC yes it was one of the Guzzi’s obsession; he wanted it and we used it for sure! The advantages you get with the wind gallery are pretty straight-forward advantages: we did a certain kind of fairing and fifteen days after the others had exactly the same fairing!

It’s the same on the formula 1 cars. They cover the aileron in the front for the picture on the Gazzetta dello sport (an Italian sport newspaper NdT) then when all people sees it, if they think it could be an advantage, they will copy it

LA: you also projected the Guzzi records car, the Nibbio.

GCC no, actually I didn’t; the Nibbio was an obsession of Count Giovannino Lurani who was a friend of Parodi; but we didn’t projected the car, we just supplied the engine.

LA: I think we covered almost all the topics…

At this point we end the interview. I thank him and I ask for an autograph on the first page of my workbook.

GCC this is a workbook… (he seems to be amazed) I never saw it, it should be more recent (he turns the pages) it’s very well done (he signed the first page) and Look here: they explain the engine I did!!!

 

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“Look here: they explain the engine I did!”

AL: well, I think that concludes our interview. We are grateful…

GCC: you are welcome, It has been a long chat.

LA: thank you!

GCC: not at all, you are welcome.

 

Epilogue

 

We leave the old house, while the ‘Ingegnere’ escort us to the door. It is still raining. We walk the narrow roads on the lake shore, we don’t talk too much, still amazed by how the meeting went.

We spent two hours with a man who let us approach at the very roots of the Moto Guzzi legend.

 

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The suggestive street of Mandello Del Lario

A man who used to joke with Carlo Guzzi, who disagreed with Omobono Tenni, who used to go out for lunch with Guidotti who talked with him about Nuvolari and the Mille Miglia… And he talks to you about that, as the simplest thing, as it has happened the day before… I feel I talked with a piece of History itself, I had glimpses of a spirit almost disappeared nowadays. I find myslef thinking about Carcano refusing the offer from Count Agusta. Because of the rains and the cats he had in Mandello…

I am soaked under the rain and I cannot help smiling. It was the passion that made him refuse that offer, surely not the climate…

We pass by the liberty-style ferry dock at Mandello, I still hear the Ingegnere talking about designing the V8 or the V90 as a pretty simple thing, suggesting a three cylindres diesel engine as an obvious design.

How different Moto Guzzi history could have been if only they asked him to stay…

 

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The ferry dock

Thank you for all, Ignegner Carcano.

 

 

Luca Angerame

 

 

 

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