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Giulio Cesare Carcano

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Intervista di Luca Angerame, in collaborazione con Aldo Locatelli

 

Grazie a:

Aldo e sua moglie Terry., senza i quali non sarebbe stato possibile organizzare questa intervista;
Fange, Goffredo ed Alberto, per il contributo pre e post;
Paola, per la pazienza ed il supporto;
mio zio Marco per l’ospitalità

 

 

 

Eravamo finalmente arrivati, sotto una pioggia implacabile. Tra i viottoli della vecchia Mandello, in riva al lago, ci ritroviamo in un cortiletto senza tempo.

In cima ad una scaletta c’è una porta di legno, con una semplice targhetta di ottone. La leggo, e mi perdo una sistole: “Ing. Carcano”.

AnimaGuzzista Protagonisti Giulio Cesare Carcano _
La targhetta di ottone

Tutto era partito mesi prima, con l’idea di far autografare il mio manuale d’officina dal progettista della mia moto, che pian piano si era trasformata nell’idea di intervistare l’Ingegner Carcano per AnimaGuzzista.

L’Ingegner Giulio Cesare Carcano, l’uomo che ha progettato sia la moto più straordinaria di tutti i tempi, la 500 V8, sia uno dei motori motociclistici più famosi di sempre, il V90 che tiene a galla la Moto Guzzi da più di 35 anni.

Avuto il suo assenso grazie ai buoni uffici di Aldo Locatelli, sono seguite ore ed ore a leggere interviste passate, a pensare domande inedite, con l’aiuto di Fange, Goffredo, Alberto e dello stesso Aldo, poi a rileggerle mille volte per purificarle dalla banalità, a stendere il piano d’intervista, ad organizzare la logistica.

Finalmente il viaggio in treno da Roma, un robusto pranzo a casa di Aldo ed un ultimo controllo all’attrezzatura, sempre con tanti dubbi: sapremo porre domande interessanti? O sarà tutto troppo banale per uno che avrà già rilasciato centinaia di interviste? Ci congederà frettolosamente? L’attrezzatura funzionerà come si deve?

Ma ora eravamo lì, e tutte quelle domande stavano per perdere senso.

Ho bussato, e ci ha aperto un signore alto, appena curvo sotto il peso dei suoi novantatré anni, con tanti capelli bianchissimi. E’ lui, lo riconosco dalle foto del Colombo, scattate mezzo secolo fa. Un’altra sistole mi dà buca.

Ci fa entrare nella sua sala da pranzo, di quelle con il marmo a rombi per terra ed i mobili di altre epoche, dove sembra che il tempo passi senza intaccare nulla. Ci sediamo, e riscaldati dal caffè della signora Carcano iniziamo con le domande.

 

Luca Angerame: volevo innanzitutto ringraziarla per la sua disponibilità e per la sua gentilezza. Io sono qui a nome di un motoclub di guzzisti e volevamo innanzitutto ringraziarla per quello che ha fatto: noi tutti i giorni usiamo il suo motore, e tutti i km che facciamo dipendono da lei.

Aldo Locatelli: ogni avviamento è ing. Carcano… ing. Carcano… ing. Carcano…

LA: volevamo farle qualche domanda per un’intervista.

Giulio Cesare Carcano: (ride) faccia pure, fin dove sono in grado di risponderle lo faccio volentieri.

 

LA: intanto ecco per lei la maglietta del nostro sito Anima Guzzista: tutti appassionati al limite della mania.

GCC: (sorride) ah sì, le Guzzi con l’anima, bene, bene…

 

Il motore a V e la prima moto V7

 LA: volevo partire con il suo motore V90. E’ un progetto del 1965 che è rimasto attuale ancora oggi: qual’era l’evoluzione che lei aveva previsto quando l’aveva progettato? Dove poteva arrivare questo motore?

GCC: è una storia vecchia. Come sapete, perchè ormai è di dominio pubblico, i Corazzieri avevano bisogno di una moto di rappresentanza perchè il Falcone, che era la moto che loro avevano in dotazione, gli sembrava un pò misera. Un colonnello comandante dei Corazzieri, mi disse: “Sa, noi ordiniamo i nostri cavalli in Normandia, perchè vedere un uomo di due metri su un cavalluzzo è male per il cavallo ed è male per l’uomo. Avremmo bisogno di un motociclo che fosse come il cavallo normanno per il nostro cavaliere”. E questa è stata l’impostazione principale all’origine di quella moto. Fu così realizzato il primo progetto del V (lo pronuncia “vì” e si riferisce al motore, non al modello di moto, NdA), che era 704 cm cubici. Da lì poi sono nate tutte le complicazioni e le derivazioni delle moto successive.

In quell’epoca avevo anche fatto un V, prima 500 poi 600, che avevo montato su una Fiat 500. Ricordo che mi dava delle grandi soddisfazioni. Era un motorino, il 600, che dava 36 o 38 cv: era esattamente il doppio del motore originale Fiat, che dava 18-20 cv.

La macchina era brillantissima, piacevole, divertente: aveva delle accelerazioni notevoli ed una velocità fin troppo elevata. Faceva 140 km/h, per una macchinetta così…

Poi feci anche un altro V, molto più modesto, che era montato sul mulo meccanico, il 3×3. Anche con quello avevamo fatto delle prove per quello scopo.

Quello della motocicletta è stato un modello fortunato perchè è piaciuto alle Polizie ed alle Forze Armate, non solo italiane ma un pò in tutto il mondo.

Poi l’hanno portato a 750 cc, sportivizzandola fino a farla diventare una macchina non dico da corsa ma quasi. Tuttavia quello schema, a mio modo di vedere, nonostante abbia tanti vantaggi per il turismo e per i servizi di polizia, vigilanza urbana etc., non è lo schema più adatto per una macchina da corsa (usa il termine “macchina” per indicare la motocicletta, NdA), per tante ragioni che non vi illustro qui per non annoiarvi.

 

AL: anche per i cilindri che sporgono…

GCC: non solo per la difficoltà ad essere carenata. La difficoltà principale è che la trasmissione ad albero comporta una coppia di ribaltamento che è dannosa per una macchina da corsa, mentre è tollerabilissima per una macchina con cui andare a spasso. La prova migliore di questo è la BMW, che ha avuto successi continui con il sidecar, che resta appoggiato, mentre senza carrozzino aveva prestazioni non molto soddisfacenti, proprio a causa del coricamento laterale in curva.

Dopo, dal motore 700 sono state derivate le moto che ci sono ancora adesso, sempre su quello schema che, le ripeto, a mio modo di vedere è molto pratico ed attuale ancora oggi per una moto granturismo, mentre non lo è per una moto da corsa.

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Aldo Locatelli dialoga con L’Ing Carcano

 

LA: in effetti il V è stato spinto parecchio…

GCC: sì, hanno fatto il quattro valvole… (ride). Ma pensi a certe moto che ci sono in giro adesso… delle supermacchine che poca gente può usare al livello di quello che possono dare. Le giapponesi da 100 cv, con velocità parecchio oltre i 200 km/h: sono macchine bellissime, ma non possono portarle tutti.

 

AL: tutti però le vogliono guidare…

GCC: sì, ed è davvero una cosa un pò strana vista dal di fuori. Il mercato della motocicletta è in crisi con i cinquantini ed i motoscooter leggeri, ma non lo è per le supermoto, che sono dedicate ai pochi che sanno veramente portarle.

 

LA: dunque lei quando ha progettato il V90 non pensava che arrivasse fino agli attuali 1100 cc.

GCC: (ride) no, le assicuro. Io pensavo che quella moto avesse successo nelle polizie di tutto il mondo. A parte la nostra, l’abbiamo venduta in America, in Egitto, in Argentina… era proprio una moto richiesta dalle polizie, infatti era nata per quello.

 

LA: molto affidabile…

GCC: affidabile, pulita, con buone prestazioni e soprattutto robusta.

 

LA: per cui la 850 LeMans del 1975, che all’epoca fece scalpore, lei non l’avrebbe vista inizialmente?

GCC: no, è stata una cosa venuta in seguito e che ha avuto un successo commerciale. Ma come le dico, la nascita di quella moto è stata la richiesta del Cavallone (era il soprannome del colonnello dei Corazzieri, NdA), ossia una moto imponente fatta per essere cavalcata da un uomo prestante, da un Corazziere.

 

LA: vedendo dove è arrivato quel motore oggi, 1100 cc, 4 valvole…, secondo lei quali altre evoluzioni potrebbe avere in futuro? Tipo raffreddamento a liquido…

GCC: mah, oggi c’è una parte del mercato sportiva ed una parte semisportiva. Ora accanto al Campionato del Mondo per la cilindrata classica, ci sono anche Campionati dedicati alle moto di produzione, che hanno incontrato poi il favore del mercato

 

LA: per cui secondo lei continueranno ad evolvere il V90, perchè comunque vende.

GCC: sì, sicuramente, anche se non so come stia andando la Moto Guzzi dopo essere stata acquistata dall’Aprilia.

In Guzzi ho ancora qualche vecchio disegnatore mio amico. Non sono addentro ai loro programmi, ma qualcosa di nuovo, di diverso lo dovranno fare.

 

LA: si parla di raffreddarlo a liquido e di ruotarlo di 90°, con i condotti di aspirazione all’interno della V ed i condotti di scarico sull’esterno laterale.

GCC: sempre sullo schema del V?

LA: sì.

AL: l’evoluzione più attuale sono le punterie idrauliche, già sono uscite.

GCC: mah, non lo so, ormai sono passati 35 anni da quando sono venuto via. Ho ancora qualche amico… Todero per esempio che era il mio braccio destro: ogni tanto mi racconta qualche cosa ma non sono molto al corrente di cosa stanno facendo. Qualcosa di nuovo dovranno fare.

 

LA: anche perchè di fatto il suo motore è quello che ha tenuto a galla la Moto Guzzi dal 1965 fino ad oggi, ed ancora oggi lo vendono.

GCC: sì, il problema c’è, ma non so bene cosa abbiano in mente.

Per quanto riguarda le competizioni so che adesso è uscito un nuovo motore che ha già corso nella categoria Gran Premio a 4 tempi. Come sapete, dall’anno prossimo la massima categoria sarà solo 4 tempi, mentre quest’anno corrono sia i 2 tempi che i 4 tempi.

Loro (l’Aprilia, NdA) hanno fatto un 3 cilindri che per adesso ha fatto qualche corsa, ma è ancora molto, molto indietro. Non so se sarà in grado di competere con il 5 cilindri Honda o con la pletora dei 4 cilindri Yamaha, Suzuki e compagnia bella.

Per la produzione non so cosa vogliono fare. Ho sentito che volevano fare il V con il raffreddamento a liquido (è il VA10, NdA), però non so se lo porteranno avanti.

 

AL: ormai il suo motore l’hanno strizzato in tutti i modi.

GCC: sì, ma io credo che il pubblico venga sempre attratto da qualcosa di nuovo, e ormai credo che il mio V di nuovo non possa dare molto. Sì, forse il raffreddamento a liquido… l’avevo sentito, ma chissà…

 

LA: ma non tutto il pubblico, comunque, ad esempio avevo letto un sondaggio in cui la maggioranza ha dichiarato che non comprerebbe una Guzzi con il motore diverso dal suo.

GCC: (ride)

 

AL:sarebbe lo stesso problema di quando uscì il V90, che nessuno avrebbe abbandonato il Falcone monocilindrico.

GCC: la questione è che, astraendosi dal concetto Guzzi per un momento, la concorrenza che c’è oggi sul mercato delle moto grandi e sportive è una concorrenza fondatissima. Io mi ricordo che tutti dicevano “sti giapponesi… chissà…” ma i giapponesi oggi riescono impeccabilmente, sia nelle motociclette che nelle vetture.

Non c’è più la remora del prodotto giapponese che affascina sul momento ma che poi scavando, sotto sotto…: fanno delle ottime macchine. Quindi oggi se si vuole abbandonare quello schema per fare qualcosa di appetibile bisogna andare su cilindrate frazionate e su potenze grosse. Ormai 100 cv non bastano più.

 

Le moto da Gran Premio di oggi

 

LA: si vendono moto da 160 cv, difficile pensare di andare oltre, su strada…

GCC: sì, io non li capisco. Adesso c’è questa nuova formula del 990 4 tempi da Gran Premio che nel primo anno doveva correre insieme alla 500 2 tempi: guardate che il 1000 4 tempi si avvia verso potenze di 300 cv. Sa cosa vuol dire 300 cv?

È una pazzia: già il 2 tempi ha più di 200 cv, e per questi 4 tempi che stanno iniziando a correre adesso parlano di 240-250 cv.

Il ragionamento è semplice: assumiamo come attendibili le potenze della Formula 1, che con 3 litri di cilindrata e 10 cilindri: parlano di 800 cv con disinvoltura. Con un motore piccolo i giri salgono e le potenze specifiche salgono, o almeno non diminuiscono. E’ facile pensare che l’Honda che corre quest’anno sarà vicino ai 300 cv quando sarà a sviluppo completo, l’anno prossimo.

Ora lei pensi a cosa vuol dire 300 cv su una gomma larga 4 pollici…. è un assurdo.

Come vede, uno degli scopi delle corse è quello di attrarre il pubblico, di affascinarlo con il sempre più difficile, ma poi alla fine diventa un assurdo.

 

LA: dovranno sicuramente introdurre qualche forma di elettronica, come sulle Formula 1.

GCC: ma su quelle macchine è già tutto elettronico…

 

LA: intendevo controllo della trazione, sospensioni, controllo della frenata…

GCC: Tra l’altro quei circuiti che c’erano una volta dove effettivamente contava la maggior potenza non ci sono più. Io ricordo, non so voi, il circuito dell’Avus in Germania, che erano due rettilinei di 10 km, una curva da fermo ed un curvone sopraelevato che all’epoca le Auto Union e Mercedes facevano a 400 km/h.

Oggi questi circuiti non ci sono più, ma ci sono dei circuiti dove è difficile stare in piedi con una moto con tutti quei cavalli.

Pensi solo sul bagnato: è un’esagerazione, ma la gente è attratta da quello spettacolo.

Se lo scopo è incassare i soldi del pubblico, allora lo scopo è raggiunto, ma se lo scopo è di riportare sul terreno pratico qualcosa di recepito da quelle potenze spaventose, allora… non so (è perplesso).

 

LA: quindi secondo lei è poco probabile che la Guzzi torni alle competizioni?

GCC: non so. Io ho sentito dire che la Guzzi tornerebbe alle competizioni, ma non so quando e non so come, era solo una voce. Anche perchè tornare alle competizioni adesso vuol dire partecipare a questa formula Grand Prix, dove c’è già questo tentativo Aprilia.

Non so che potenze abbiano; hanno fatto una moto affidata a Laconi, nelle prime corse sta intorno all’ottavo-decimo posto… (è perplesso).

Non so quanti cavalli abbiano a disposizione, ma per battersi lì… tra l’altro c’è una scala di pesi, con un peso minimo per cilindrata e frazionamento, con l’esclusione del frazionamento superiore ai 6 cilindri.

Naturalmente il 6 cilindri ha un certo peso, il 4 ha un peso inferiore, il 3 ancora un peso inferiore… sono differenze dell’ordine dei 20 kg, che contano sì, ma non abbastanza per tagliare le potenze di quei motori.

 

AL: certo che tutte queste nozioni che conosce dimostrano che ancora adesso è rimasto vicino al mondo delle corse motociclistiche…

GCC: (ride) no, no, ora sono solo un orecchiante… guardo volentieri i gran premi auto e moto.

 

AL: ha ancora passione, dunque non ha dimenticato il suo primo amore.

LA: che motore da competizione progetterebbe oggi?

GCC: sempre per la formula da 1000?

LA: sì.

GCC: bisognerebbe studiare bene quella scala di pesi che è determinante. E’ chiaro che, a parità di cilindrata, un 6 cilindri ben fatto dà qualcosa in più del 5 e del 4 cilindri ed anche del 3 e del 2 cilindri, non c’è dubbio.

 

AL: da qui nasce la sua scelta dell’otto cilindri?

GCC: sì, ma ora non si può più fare quindi non ne parliamo. Il 3 cilindri può essere una soluzione buona, ma bisogna mettersi in mente i limiti della possibilità di girare del motore.

Non so la potenza massima ed il numero di giri del 5 cilindri Honda. Se il 3 cilindri italiano riesce a girare quasi agli stessi giri può essere competitivo, ma se quello gira a 20000 e questo a 14000 non si può fare. Mi hanno detto che in quel 3 cilindri c’è la zampa di un ingegnere che era alla Ferrari e che ha il richiamo delle valvole pneumatico: in questo caso può darsi che riesca a girare abbastanza.

Il problema è che per essere competitivi bisogna ragionare sull’ordine delle potenze che dicevamo prima: almeno 200 cv e credo che per adesso siano lontani.

 

La nascita del motore 500 8 cilindri

 

LA: per cui a suo tempo la scelta dell’otto cilindri era dettata dal fatto che andava meglio di un 6 e di un 4?

GCC: era un ragionamento diverso: abbandonando il monocilindrico ed il bicilindrico dove eravamo arrivati noi, la soluzione più vicina era il 4 cilindri. Ma se avessimo fatto un 4 cilindri, saremmo partiti con anni di ritardo sull’esperienza della Gilera e della MV ed avremmo dovuto tribolare almeno un paio d’anni per portarlo al loro livello.

Allora pensammo che puntando su un 8 cilindri il problema potenza non era in gioco, piuttosto erano importanti il problema peso ed il problema ingombri. Il nostro 8 cilindri era brillante perchè era largo come un 250, così (fa il gesto con le mani).

Quando è stato provato al freno per la prima volta dava già 63 cv, mentre il Gilera ne dava 60, ed eravamo ai primissimi test. Poi è andato su fino a 70-72 e sarebbe cresciuto ancora se non gli avessero tagliato le gambe con quel famoso accordo del ’57.

 

LA: dove sarebbe potuto arrivare secondo lei?

GCC: avevamo tante cose da provare, un nuovo albero a gomiti e tanto altro. Dai 75 cv sarebbe arrivato ai 100 cv con relativa facilità, uno o due anni dopo. Ne sono sicuro, perchè noi provavamo il motore al banco a 12500 giri, ma Lomas mi diceva che lui all’Avus andava a 14000 giri. Mi ricordo che gli dissi che avremmo messo un limitatore dei giri (ride).

Sicuramente i 14000 giri erano possibili con quelle dimensioni. Era questione di arrivarci anche con la distribuzione. Pensi che margine di miglioramento aveva quel motore, rispetto a quello che oggi è una cosa normale, con la possibilità di avere un’accensione elettronica, o una distribuzione con richiamo delle valvole pneumatico.

C’era una possibilità di miglioramento enorme.

 

LA: ed anche un’iniezione elettronica in mezzo alla V dei cilindri, che avrebbe risolto il problema dei carburatori.

GCC: sì, certamente, con l’iniezione indiretta o diretta, a seconda dei casi. Noi siamo riusciti a fare il V con 8 carburatori e tutte quelle balle lì, ma sa come si semplifica con l’iniezione? Si guadagna sui consumi, sulle potenze, su tutto. C’era un’enorme prospettiva davanti.

 

LA: se non fosse proibito dal regolamento, oggi sarebbe ancora attuale il suo 8 cilindri?

GCC: quello lì no, ma un figlio di quel motore probabilmente sì. Adesso c’è un gran numero di innovazioni tecnologiche che sono venute dopo quel motore. E se fosse libero, stia tranquillo che i giapponesi l’avrebbero fatto subito.

Io vi ricordo che nel 1956 la Honda fece un 125 cc a 5 cilindri. Sa cosa vuol dire? Faceva i 19000 giri, io l’ho visto girare al Tourist Trophy. Era tra il 1955 ed il 1957.

(riflette)

Poi l’otto cilindri ha affascinato molti cultori nel mondo. (indica un quadro appeso sul camino con il disegno della Ottocilindri) Il Motoclub Mandello mi ha regalato quello.

L’anno scorso è venuto a trovarmi un australiano, uno strano tipo, che in Australia aveva fatto due motociclette 8 cilindri, una 750 ed una 1000 e mi ha raccontato un pò la storia. Le aveva costruite tutte lui.

 

LA: per cui se fosse possibile oggi progetterebbe lo stesso un 8 cilindri per le gare?

GCC: se fosse possibile, sì. Un 8 cilindri, che di quello avrebbe lo stesso schema a V, ma poi poco altro. Oggi chi non fa 4 valvole o 5 ha perso in partenza e quello ne aveva 2; poi con teste ed accensioni diverse.

Il problema dell’accensione per quel motore, a quell’epoca, era praticamente irrisolvibile.

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L’otto cilindri è ancora vivo nella mente dell’Ing. Carcano

 

Eravamo partiti provando con del Vertex, un magnete svizzero;era fatto anche bene, ma non durava. Girando a metà giri, a 6000-6500 giri era già in crisi. Allora avevamo fatto quel sistema di una bobina a cilindro con le puntine etc. Andava bene, ma quel sistema sarebbe ridicolizzato dai sistemi di accensione attuali.

 

AL: il suo motore con i servizi moderni di accensione, iniezione e distribuzione…

GCC: sì certo. Mi pare che quel motore fosse quadro, con il diametro uguale alla corsa. Oggi invece fanno i motori sottoquadri che permettono di girare di più. Penso che un 8 cilindri così concepito potrebbe girare a 20000 giri/minuto, e sarebbe possibile avere potenze di 150 cavalli con mezzo litro.

 

LA: è vero che all’epoca si pensò anche di ricavare un 4 cilindri da metà dell’otto?

GCC: no, veramente no. E’ stata fatta una prova riducendo la cilindrata a 350. Era stato anche detto di togliere un blocco di cilindri. Si pensava di fare una prova, che non è mai stata fatta, con un otto cilindri con la sola fila di cilindri davanti, che diventava così un 250.

Di questo 250 quattro cilindri se ne era parlato, però era ingombrante perchè aveva carter, cambio, frizione ed anche il radiatore dell’otto cilindri 500. Era una cosa macchinosa, e la prova non fu poi portata avanti.

Il 350 [8 cilindri], invece, è stato fatto e provato a Monza; mi ricordo che quel motore dava più di 50 cv, 52 o 53 cv. Era un gioco, e fu fatto solo il 350, otto cilindri.

 

LA: ma poteva avere sviluppi commerciali interessanti, per un uso stradale?

GCC: sì, forse sì, ma sarebbe stato impopolare da vendere perchè avrebbe avuto un prezzo molto elevato. Chi è disposto a spendere quei soldi si compra un 500, un 750 o un 1000. Le supermoto sono tutte di alta cilindrata.

 

LA: magari poteva poi crescere fino a 500 o 600 cc, e diventare come i 4 cilindri che i giapponesi hanno venduto poi all’inizio degli anni ’70 [solo che arrivava 15 anni prima, NdA].

GCC: sì, ma a quell’epoca, che io ricordi, non si era mai pensato di arrivare a qualcosa da vendere partendo da quelle esperienze delle competizioni. Anche perchè a quell’epoca il gusto della supermoto non era ancora entrato nel pubblico.

 

L’Ing. Carcano e la Moto Guzzi

 

AL: che rapporti c’erano tra il reparto corse e la produzione? Pochi, nessuno?

GCC: l’organizzazione della Guzzi di allora farebbe rabbrividire chi pensa alle organizzazioni di adesso. Penso alla Guzzi come era organizzata allora: per esempio, la parte corse non aveva un’officina propria. Aveva un personale proprio che era quello che gestiva le corse, ma per tutto il resto dipendeva dalla produzione di serie.

Noi avevamo un reparto attrezzisti che faceva le attrezzature per produrre le moto normali, e noi del reparto corse eravamo lì a soffiargli sul collo, con una parte dell’officina che nicchiava. Era una lotta continua.

Non c’era un’organizzazione, per esempio, come la Ferrari adesso, indirizzata per le corse e dedicata a quello; noi dipendevamo da questo reparto attrezzisti, i quali, andando a sollecitarli, ci facevano quello di cui avevamo bisogno, a mò di cortesia.

 

LA: lei come ha vissuto la fine delle corse, il famoso “patto di astensione” del 1957?

GCC: l’ho vissuto male, dico la verità, perchè è stata presa una decisione in maniera del tutto inaspettata, non so poi se giusta o sbagliata. Se mi avessero chiamato…

Io mi ricordo che eravamo a Modena per delle prove per la corsa cittadina sul circuito locale di Modena, in un prato tutto cintato. Al ritorno qualcuno mi ha detto “ma lo sai che la Guzzi si ritira dalle corse?”, l’ho saputo da terzi. La decisione poteva essere giusta o sbagliata, ma ci voleva un altro approccio.

Certo che se la Guzzi avesse continuato a correre avrebbe dovuto modernizzarsi, organizzarsi diversamente da come era organizzata allora.

 

AL: è stata una bastonata insomma

GCC: (annuisce)

 

LA: c’è stato anche un grande spreco di esperienze e di conoscenze, interrompendo le corse così bruscamente, no?

GCC: eh sì, effettivamente… io mi ricordo che nel ’36, il primo anno che sono arrivato alla Guzzi, non c’era una divisione dei compiti e dei lavori, tutti facevano tutto.

Essendo io allora l’unico ingegnere alla Guzzi, ogni volta che c’era una rogna o un problema venivano da me e io dovevo arrangiarmi a risolverlo.

Allora c’erano delle forniture militari che volevano nei contratti allegati una fila di disegni: per esempio le potenze, consumi, coppie etc. rilevati in sala prove. Lì dovevo farli io, non c’era niente da fare. Volevano le accelerazioni delle moto militari in prima, seconda, terza e quarta e bisognava fare tutti quei diagrammi. Ecco, facevo le cose più varie, (ride) ogni volta che c’era una grana venivano da me e mi dicevano “Come dobbiamo fare qua?”

 

LA: qual’è stato il suo momento più bello alla Guzzi?

GCC: il momento più brutto è facile da ricordare, poi ci sono stati molti momenti belli. Le assicuro, senza tema di essere smentito, che ero tanto appassionato che avrei pagato io qualche cosa per lavorare alla Guzzi. Non ho mai avuto orari controllati, o cartellini, nè all’inizio nè dopo.

Certe volte andavo a lavorare alle 10 e veniva il portinaio a dirmi: “Ecco è arrivato, il dott. Parodi  l’ha cercata”, tutto spaventato, e io dicevo “Guardi che io ieri sera a mezzanotte ero su ancora a far disegni”.

Non mi ha mai costretto a timbrare il cartellino, eppure io facevo quel lavoro proprio con passione, non ne sentivo il peso.

Dopo il ’57 non timbravo lo stesso il cartellino, ma era tutta un’altra cosa; non c’era più quell’entusiasmo e quello spirito di corpo, che ci faceva provare e riprovare…

Quando è stato fatto l’otto cilindri, io e i miei collaboratori abbiamo fatto certe tirate per disegnare… poi bisognava andare dal modellista a Milano, poi dall’Isotta Fraschini che ci aveva fuso i primi carter.

Era un movimento continuo, che effettivamente dopo il ’57 non c’è stato più.

 

AL: dopo il ’57 si è dedicato alla produzione di serie.

GCC: dopo il ’57 si è tirato avanti mica male fino al ’65-’66, dopo è venuta ‘sta SEIMM che poi…

Io avevo un principale, il dottor Enrico Parodi, che era una persona d’oro, troppo buona per fare l’industriale. Per fare gli industriali bisogna avere… (fa il gesto del pelo sullo stomaco). Lui, se un suo dipendente stava male, gli mandava lo specialista a casa; era davvero una persona troppo buona.

Naturalmente, sapendo questo, qualcuno se n’è un pò approfittato ed è venuto fuori quel periodo degli anni ’60, quando c’era un pò di crisi generale. La Moto Guzzi non correva più e non c’era quindi quella verve che c’era sempre stata.

Lui fu trattato male dai suoi capoccia vicini. Gli han fatto delle porcherie e questo mi rincresce perchè era proprio un uomo troppo buono, troppo di cuore generoso per fare l’industriale.

 

Le barche a vela e la Coppa America

 

AL: poi lei si è rifugiato nelle barche…

GCC: sì, mi sono rifugiato nelle barche, con cui mi sono divertito molto. Ancora adesso devo dire che mi piacciono più le barche… (ride).

L’anno venturo c’è la coppa America, e mi tocca vederla in televisione.

 

LA: sono meglio le moto o le barche a vela?

GCC: anche quando mi occupavo di moto, ho sempre avuto una passione per le barche a vela, ed è per questo che ho continuato con le barche. Anche le barche a vela mi hanno dato tante soddisfazioni.

 

AL: lei è un artista delle forme filanti, in acqua ed in aria.

GCC: (ride) è un problema piacevole da risolvere perchè è figlio di molte variabili.

Per esempio, la Coppa America è una cosa che ora vedo dal di fuori, ma c’è stato un momento che ho rischiato di vedere dal di dentro. E’ stato nel ’62, quando Gianni Agnelli voleva sfidare per la Coppa America; è andato da Croce e questi è venuto da me a dirmi se mi sarei sentito di fare un disegno. Gli dissi: “Non so, vediamo cosa si può fare”; con Agnelli e Croce siamo andati in America, siamo stati ricevuti da Kennedy, e dal New York Yachting Club. Allora c’era il regolamento, che c’è ancora adesso ma viene scappottolato, che la barca sfidante per la Coppa America doveva essere figlia di un progettista italiano e tutta la parte albero, vele, verricelli, chiglia, timone etc. doveva essere di produzione della nazione che sfidava.

Non si poteva fare una barca e prendere l’albero in America e le vele in Australia, come fanno oggi correntemente. Oggi se i nostri due sfidanti della Coppa America fossero costretti a correre con la strumentazione italiana e con l’albero italiano non sarebbero nemmeno presi in seria considerazione.

(rimane sovrappensiero)

Mi ricordo nel ’62 siamo andati a vedere quella Coppa America, e siccome c’era appunto quella regola severa e controllata, che sia la barca che le attrezzature dovevano essere di produzione nazionale, abbiamo lasciato perdere. Abbiamo fatto bene perchè non si sarebbe potuto essere competitivi.

L’anno prossimo ci sarà questa nuova edizione della Coppa America, dove ci sono due sfide italiane, la sfida svizzera, la sfida francese, la sfida inglese, ce ne sono tante. Chi è messo molto bene, secondo me, sono gli svizzeri, che hanno affrontato il problema con la mentalità giusta, perchè hanno portato via dalla Nuova Zelanda il timoniere ed i progettisti. Hanno preso tutto quello di buono che potevano prendere dalla Nuova Zelanda.

Il problema della Coppa America è affascinante, perchè è terribilmente semplice e terribilmente complicato allo stesso tempo. Il problema, semplice nella sua formulazione, è: bisogna mettere in mare una barca che nelle condizioni medie in cui si disputa la Coppa America sia la più veloce delle altre. Semplice, no?

Il difficile è proprio quello: l’ultima Coppa America l’ha vinta New Zealand, che era una barca piuttosto strana, adatta a quei tempi.Adesso tutti pensano di copiarla, ma è il passo più sbagliato che ci sia, perchè in quattro anni i neozelandesi sono sicuramente andati oltre. L’esperienza della Coppa America dimostra che sia gli americani che i non-americani hanno vinto la Coppa con barche diverse, che rappresentavano qualcosa di nuovo rispetto alla soluzione vincente di quattro-cinque anni prima.

Quando hanno fatto delle barche conformi, come le chiamo io, hanno sempre buscato.

 

L’Ing. Carcano racconta Carlo Guzzi

 

AL: cosa ha detto Carlo Guzzi quando lei propose di fare la galleria del vento?

GCC: la galleria del vento era un pallino di Carlo Guzzi. Io gli dissi di non fare una galleria del vento artigianale come questa qui: o non la facciamo, o la facciamo come Dio comanda, ma farla per bene sarebbe costata quattro volte tanto.

Questa galleria del vento era nata con un motore a scoppio Fiat aereonautico da 900 cv e con un’elica che tirava dentro l’ira di Dio. Solo in seguito è stato messo un motore elettrico.

Comunque la galleria del vento è stata voluta proprio da Carlo Guzzi.

 

AL: come erano i suoi rapporti con Carlo Guzzi?

GCC: io ero un ammiratore di Carlo Guzzi.

 

AL: e lui le lasciava fare quello che voleva?

GCC: sì, specialmente negli ultimi tempi, in principio no. Carlo Guzzi era una persona intelligente, che aveva il senso dell’umorismo come non ho mai trovato in nessun altro. Era un individuo piacevole perchè era spiritosissimo ed indiscutibilmente intelligente.

Come ogni persona, aveva i suoi lati buoni ed i suoi lati meno buoni. Uno di questi era che lui non dava per provata una cosa se non era stata effettivamente provata. Per cui a volte si perdeva in prove di cui si sapeva già l’esito, ma lui voleva provare lo stesso.

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Carlo Guzzi in una foto d’epoca

AL: com’era lavorare con Carlo Guzzi?

GCC: Carlo Guzzi era una persona intelligente e di buon gusto, che aveva un piacevole senso dell’umorismo.

Tante volte ci siamo fatti tante risate.

 

AL: prima del suo inserimento nel reparto corse, era solo Carlo Guzzi che se ne occupava?

GCC: Carlo Guzzi si occupava di tutto il resto, ed incidentalmente delle corse. Prima del ’36, quando sono entrato io, Guzzi aveva fatto il 4 valvole Campione d’Europa del ’24, poi più avanti aveva fatto un 4 cilindri raffreddato ad aria ad aste e bilancieri, che non ha mai avuto successo ma l’aveva fatto già nel ’29 o ’30. Poi nel ’32 aveva fatto il primo bicilindrico, poi i due Albatros 250 già nel ’26 o ’27.

Quindi quando ero arrivato io, le macchine da corsa Guzzi erano il 250 Albatros ed il 500 bicilindrico a 120°. Faceva poi il Condor, su cui io ho lavorato parecchio trasformandolo.

 

AL: da cosa è nata la sua forcella con i biscottini?

GCC: la forcella con i biscottini è nata per il Gambalunga. La prima l’avevamo provata a Bergamo al circuito delle mura con Balzarotti, che era allora con noi.

Mi ricordo che l’ammortizzatore era nei due foderi ed era troppo difficile farlo lavorare bene. Quando sono stati messi i due ammortizzatori esterni, lavoravano benissimo: infatti quella forcella era montata anche sul 350 Campione del Mondo ed anche sull’otto cilindri.

 

AL: che infatti aveva gli ammortizzatori esterni.

GCC: sì, esatto, erano esterni. Era una soluzione pratica, perchè si cambiava la coppia di ammortizzatori in 5 minuti. Adesso le forcelle sono molto più evolute.

Noi portando gli ammortizzatori al di fuori non avemmo più problemi con quella forcella.

 

LA: lei aveva carta bianca per le competizioni. Invece per la produzione di serie, Carlo Guzzi le ha mai rifiutato qualche idea?

GCC: anche per la produzione di serie l’organizzazione non era… (fa un gesto vago)

Allora eravamo un piano sopra la villetta (una parte dello stabilimento Guzzi adibita ad uffici, NdA) che si vede, che era adibita ai disegnatori. Sulla sinistra c’era Pasolini con cinque o sei disegnatori che era il regno di Carlo Guzzi; di fianco a quella sala Guzzi aveva uno studiolo; sulla parte verso la strada c’eravamo io e i miei due collaboratori Cantoni e Todero.

 

AL: Cantoni e Todero sono arrivati dopo?

GCC: il primo, Cantoni, è arrivato subito prima della guerra, quando disegnammo un motorino per bicicletta, con il rullo che lavorava sul pneumatico. Sarà stato il ’40 o il ’41. Io allora non avevo un ufficio, anche perchè non l’ho mai chiesto: ero girovago per lo stabilimento. Quando mi hanno assegnato Cantoni dovetti trovare un posto, con una scrivania ed un tavolo da disegno. Allora andai da Carlo Guzzi, che mi mise in una specie di corridoio, vicino al montaggio motori.Sarà stato lungo meno della metà e lungo il doppio di questa stanza (circa 2m x 10m, NdA).

Era un magazzino dove mettevano le gomme. Lui fece tirare fuori le coperture e disse “ecco fatto” (ride). Me lo hanno detto dopo, lui si meravigliò che non rifiutai di stare in un budello di quel genere. Ci stava solo un tavolo da disegno piccolo, perchè uno grande toccava nelle pareti. Quello fu il debutto con Cantoni.

 

AL: e tornando alla domanda [di Luca] degli interventi in produzione?

GCC: per gli interventi in produzione allora io intervenivo se c’erano delle grane. Ad esempio, qualche volta c’erano stati dei problemi di trattamento termico. Avevamo un reparto Trattamento Termico dove c’era un termico abbastanza specializzato e bravo. Ogni tanto capitava qualche cosa, allora andavo là per vedere cosa succedeva.

Invece dopo il ’57 mi dedicai alla produzione di serie.

 

LA: c’è una moto realizzata da qualcun altro che lei avrebbe visto bene prodotta dalla Moto Guzzi?

GCC: mah, non saprei. Io ero amico ed estimatore dell’ing. Salmaggi, che era alla Gilera in quell’epoca. Il rivale del nostro Condor era il Gilera Saturno, che era una bella macchina. Per me era la migliore Gilera che sia stata fatta dalle origini della Casa, a parte il 4 cilindri che era quello romano. La storia della 4 cilindri Gilera è nota, era la Rondine che era stata offerta alla Guzzi prima che alla Gilera e la Guzzi rifiutò.

 

Mandello del Lario

 

LA: se lei fosse rimasto in Guzzi, che moto avrebbe proposto per la produzione?

GCC: è una domanda da 100.000 dollari (ride). Francamente non saprei, anche perchè quando sono venuto via dalla Guzzi, per un periodo di due o tre anni ho avuto la nausea delle motociclette.

Il conte Agusta mi aveva cercato per darmi carta bianca. Io mi ricordo così bene quel giorno di novembre in cui ero andato con la mia prima moglie Claudina con la macchina a Gallarate, dove mi aveva invitato. Era un giorno che pioveva e c’era una nebbiolina. Mi si è stretto il cuore e gli ho risposto, concorde con mia moglie, che non mi sentivo di abbandonare Mandello.

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L’emozione del nostro Luca Angerame di fronte al papa’ della sua Guzzi

Avevo già allora due o tre gatti che bazzicavano per la casa. Ho ringraziato vivamente il conte Domenico ma non me la sentivo. Lui mi aveva fatto ponti d’oro per occuparmi delle moto, di elicotteri, aereplani, quello che volevo: ma io ero in un momento nostalgico, come capita e non me la sono sentita di lasciare Mandello.

 

AL: Mandello dunque l’ha aiutata anche nel suo lavoro alla Guzzi perchè era un borgo tranquillo e piacevole

GCC: questa casa l’ha comprata mio padre due o tre anni prima che io nascessi, e noi venivamo qui a Pasqua e durante i tre mesi estivi a fare le vacanze.

Mio padre era un ingegnere elettrotecnico, era del 1876, si sarà laureato nel 1900 o 1901.

Quando c’è stata la guerra, nei primi anni che lavoravo alla Guzzi non potevo venire in questa casa perchè non aveva riscaldamento, quindi vivevo al Grigna o al Giardinetto (due alberghi di Mandello, NdA). Dopo, nel ’40, i miei sono stati sfollati ed abbiamo messo qualche comodità. Dopo di allora sono vissuto in questa casa.

 

LA: lei è molto attaccato a Mandello?

GCC: certo, lo frequento da sempre, da quando ero bambino e avevo tre o quattro anni.

Mi ricordo che io e mio fratello, che era maggiore di me di tre anni, facevamo parte di una specie di congrega di villeggianti e c’era anche la congrega dei locali, con cui ci odiavamo. In quegli anni lì bisognava stare attenti che ogni tanto volavano certe sassate… che non si sapeva da che parte arrivavano (ride).

 

LA: secondo lei la gente di Mandello ha influito sul successo della Guzzi? Intesa come carattere e come elemento umano.

GCC: sì, sicuramente. Sa, secondo me Carlo Guzzi è stato fortunato perchè i primi collaboratori che ha avuto, e che io ho conosciuto, erano delle persone semplici, dei meccanici bravissimi. Guardi, io ricordo l’Agostini, detto il Moretto, che era chiamato “l’uomo del ditòn”, che sarebbe il pollice, per come faceva le cammes delle macchine da corsa.

Lui faceva il rocchetto, poi lo passava agli attrezzisti per fresare secondo l’angolo che era stato stabilito. Quindi il profilo lo faceva lui con la pietra d’India e con la lima. Quando era cementato e temperato, quindi duro, lo finiva ritoccandolo con la pietra abrasiva, la pietra d’India. Per sentire se andava bene e se era liscio sufficientemente, col famoso “ditòn” ci passava sopra così (fa il gesto con il pollice). E mi ricordo di ‘sto “ditòn”, che era una barzelletta.

I primi collaboratori di Guzzi erano gente semplice ma molto in gamba.

 

Omobono Tenni

 

AL: come vivevate le trasferte per le gare? Quei momenti della partenza, carichiamo le moto, andiamo…

GCC: negli ultimi anni noi avevamo due autocarri OM, mi pare, carrozzati apposta per il trasporto delle macchine da corsa. Se andavamo molto lontano, come per esempio al Tourist Trophy quelli che andavano con il camion arrivavano a Calais, poi da Calais andavano a Dover, poi da Dover a Liverpool, a Liverpool li imbarcavano sui traghetti ed i traghetti da Liverpool andavano all’isola di Man. Ecco, quella era la trasferta più lunga.

 

AL: una settimana di viaggio

GCC: sì sì

 

LA: qual’era il suo pilota preferito?

GCC: eh, è difficile… sa, io ho avuto degli amici anche tra i piloti. Lorenzetti, per esempio, era una persona intelligente. Non ricordo un altro corridore che fosse simile a lui.

Lorenzetti aveva un dono di natura: non so se è il caso di dirlo, ma era un cattivo motociclista, per il senso dell’equilibrio, eppure era un buon corridore.

Io mi ricordo una volta che eravamo andati a Ginevra; lui aveva un Condor 500 che aveva qualcosa nel passaggio, nella regolazione [della carburazione?]. Siamo andati su una strada aperta al traffico a Ginevra. Lui andava con ‘sta moto e noi cercavamo di regolare la spina, il diaframma, la vitina del minimo etc., in modo che ci fosse un passaggio agevole. Quella volta lui era lì dove eravamo noi, veniva avanti piano e dietro c’era un sidecar BMW di un turista. Lui ha voltato senza guardare e quello l’ha buttato per terra (ride). Sono cose che un motociclista non fa.

Eppure lui era bravo, era tutto il contrario di quello che uno si immagina sia un corridore, per niente spaccone o esuberante, ma molto raziocinante e molto preparato.

Chi ammiravo, pur non condividendone il modo di correre, era Tenni.

Tenni era un individuo stranissimo, se lo aveste conosciuto. Se fosse qui seduto con noi sarebbe calmo, come noi, proprio una persona normalissima. Come metteva il sedere sulla moto cambiava da così a così (fa il gesto con la mano).

Ricordo bene che, quando era sulla motocicletta, il suo scopo era andare forte. Non vincere la gara, ma andare forte. Un giorno mi ha detto: “Ma tu credi che il pubblico vada a vedere le corse per vedere se arriva Gilera o se arriva Guzzi? No, va a vedere le corse perchè vuole vedere andare forte.”

Ad esempio Lorenzetti era un calcolatore: se era in testa staccava 20 metri prima. Lui no, se era primo staccava 5 metri dopo. Diceva: “Mi sento di derubare il pubblico”; era un concetto diametralmente opposto.

Un altro che mi era caro, un amico, era Alano Montanari, non so se ve lo ricordate. Non so quanto valesse come corridore ma era una persona indimenticabile.

Montanari, le dico com’era. Intanto era uno che quando l’ho conosciuto io aveva già sui 45 anni, o forse no ma di sicuro più di 40 anni. Eravamo a Ospedaletti e lui aveva una 250 Albatros. Mi ricordo che me l’ha presentato un romagnolo che io conoscevo.Veniva a spasso qui alla Guzzi e un giorno mi disse “Le presento Montanari”. Era appena caduto e si era staccata l’unghia del pollice, e si stava ancora lamentando.

Era un fanatico guzzista, sa cosa vuol dire un fanatico? Era uno che non avrebbe mai concepito di poter fare una corsa con un Gilera o con un Norton. Moto Guzzi e non se ne parlava.

Questo aneddoto sulla Moto Guzzi mi è stato raccontato: non posso giurare che sia vera ma illustra l’uomo. Lui aveva una 250 PES normale (PE Sport, NdA), per andare in giro. Lui era romagnolo di Cesena ed una volta, in Romagna, aveva un passeggero dietro e andava per la sua strada. Arriva una Gilera e lo passa. Non l’avesse mai fatto!

Era un’offesa personale (ride). Allora con la bocca storta ha detto a quello di dietro “Buttati giù!” (lo dice in romagnolo, suona “bute zò”, NdA), e quello non aveva capito, e lui ancora “Buttati giù!” e quello (ride) l’ha lasciato andare solo alla caccia dell’odiato Gilera.

 

AL: li sceglieva lei i corridori?

GCC: no, qualche volta mi chiamavano ma tutta la parte finanziaria non la facevamo noi.

 

LA: secondo lei fu Tenni il pilota più coraggioso?

GCC: Tenni era uno spericolato. Se uno non l’ha conosciuto, è difficile pensare che un uomo possa guidare in quel modo.

Guardi, c’è stata una gara del Campionato Italiano a Bologna, quando ancora usavano i dentro-fuori, i circuiti cittadini insomma. In quella gara c’erano 4 Guzzi 250 col compressore: erano Alberti, Pagani, Sandri e Tenni.

C’erano 3 Benelli col compressore: erano Soprani, Rossetti e forse Ciani, non mi ricordo bene. E poi c’era il resto di contorno, ma la lotta era fra queste Guzzi e Benelli.

Guglielmo Sandri era di Bologna, un corridore forte, e Bologna era la sua casa.

Morale: pronti, via! Partono e si sono staccati Tenni e Sandri. Tenni è riuscito a far cadere Sandri, cosa che era la sua massima soddisfazione, e s’è trovato davanti.

La Benelli di Rossetti era indietro tanto, ed ad un certo momento, al penultimo giro, c’era Tenni primo, che stava raggiungendo Soprani che era secondo, quasi indietro di un giro. All’ingresso dei Giardini Margherita, la strada si restringeva un pò ed era un passaggio abbastanza largo ma relativamente stretto. Tenni ha raggiunto Soprani e l’ha passato all’interno, sono passati in due alla Porta che se si toccano vanno per aria tutti e due, è una di quelle cose che oggi non si pensano più.

Tenni vinse la corsa con un giro di vantaggio su Soprani. Io gli dissi:”Senti, ma ti rendi conto…?” ma se l’avesse passato dopo, per lui non sarebbe stato divertente come era stato passarlo all’interno alla Porta.

 

AL: lo sa che la invidiamo per tutti questi ricordi che ha?

GCC: (ride) ma io vorrei avere qualche ricordo di meno e qualche anno di meno, ma non è possibile.

 

LA: ricorda la vittoria di Tenni al Tourist Trophy del ’37?

GCC: sì, ma non ero andato all’isola di Man. Ricordo bene il telegramma che venne dall’isola di Man, che Tenni aveva vinto la 250, e poi aveva corso nella 500 con Stanley Woods. Mentre nel ’35 Stanley Woods aveva vinto, nel ’37 non mi ricordo più cos’era successo e non vinse.

Mi ricordo che alla seconda telefonata c’è stato uno che è venuto da me e mi ha detto: “Chi è arrivato, chi è arrivato?” e quando gli hanno detto chi era arrivato lui ha chiesto. “Su Guzzi?” perchè c’era in ballo un premio in soldi che avevano promesso se avessero vinto anche la 500 (ride).

 

LA: e com’era Omobono Tenni dal punto di vista umano?

GCC: aveva un morale ed un coraggio enormi. Mi ricordo con dispiacere di quando è caduto ed è morto a Berna. Io per combinazione ero a Roma, ed ho un rimorso di coscienza. Sa, sono quelle cose che si dicono e magari poi non sono vere, ma forse se ci fossi stato io non sarebbe successo.

Allora avevamo realizzato una bicilindrica sperimentale, e l’avevamo mandata al Centro Studi dell’Esercito, a Roma. C’erano state delle discussioni perchè non ricordo più cosa volevano, ed allora Carlo Guzzi mi aveva detto di andare a Roma per seguire la situazione.

Là a Berna Tenni aveva provato a lungo questa 250 bicilindrica ed era convinto sì e no, se adoperarla in corsa e prima che chiudessero gli allenamenti aveva detto al Moretto “Io voglio provare la mia 250 monocilidrica”. Le due moto erano diverse, nel senso che la 250 bicilindrica era molto più alta, di pedane e di tutto, mentre l’altra era più bassa. Insomma prese questa Albatros normale e ci ha fatto un giro, è arrivato dove comincia la salita, una curva a destra, ha inclinato molto, ha toccato giù ed è andato via. Ha picchiato col collo proprio contro un alberello grosso così (fa il gesto) ed è morto sul colpo. Non so… gli allenamenti stavano finendo e se lui decideva di correre con la bicilindrica o con l’Albatros non aveva bisogno di provarla, perchè l’aveva straprovata chissà quante volte. Son cose che vanno così. Era un uomo buono.

 

LA: lei ha avuto la fortuna di vedere dal vero sia i piloti degli anni ’30 sia i piloti moderni. Qual’è stato il pilota migliore in assoluto ed il più coraggioso che lei abbia mai visto?

GCC: è difficile dire il migliore in assoluto (ci pensa su), sa ce ne sono parecchi, ed è difficile dire questo è meglio dell’altro anche perchè bisognerebbe vederli sulle stesse macchine e nelle stesse condizioni. Degli italiani, a parte Lorenzetti, che era un tecnico più che un pilota, e sapeva tirarci fuori cose che altri non sapevano, degli italiani c’era Tenni e Vandirolo. Vandirolo, che correva con la Gilera, è stato un coraggioso, era un ottimo pilota.

Degli stranieri, Duke mi ha impressionato. Non mi ricordo esattamente che anno era, l’anno in cui ha vinto il primo Tourist Trophy con il Norton 500; noi eravamo all’isola di Man con la bicilindrica a 120° che aveva Bob Foster, mi pare. Io sono andato a Craig Ni Bah, che era una curva in discesa. Quel circuito, adesso l’hanno sistemato, ma allora era una roba da ucciderli, a far correre della gente in una strada con un asfalto con una grana grossa così, tutta buche ed ondulazioni con a sinistra ed a destra dei muretti di pietra viva, che se uno ci andava contro si faceva male.

Mi ricordo di aver visto questo Duke, che aveva 18 anni ed era il primo anno che appariva;girava dietro ad Harty Bell, che era il numero 1 della Norton. L’ho visto a Craig Ni Bah e mi sono messo le mani nei capelli, questo ragazzo dietro ad Harty Bell, dava l’impressione di dire “tirati via che io vado”, era una cosa impressionante. Duke è stato veramente un grosso pilota.

Un altro grosso pilota è stato Surtees, sicuramente, un grossissimo pilota.

Poi c’è stato Ray Amm Anche quello è durato poco. C’era un gruppo di tre o quattro veramente fuoriclasse.

Noi abbiamo anche avuto per molti anni Bill Lomas, che era un ottimo pilota, Campione del Mondo nella 3 e mezzo, ed era il pilota della Otto Cilindri. Poi, oltre a Duke, la Gilera aveva McIntyre, che era forte, un grosso pilota anche lui.

 

AL: certo che adesso vedendo le corse, come cadono e si rialzano in un attimo…

GCC: intanto ora hanno delle vie di fuga che allora non c’erano, uno cadeva e si faceva male, e poi ora hanno quel salvaschiena che hanno messo dopo l’incidente di Rainey. Lo sapete che è rimasto paralizzato, povero Cristo.

Anche adesso è sempre meglio non cadere, però vedo che otto volte su dieci cadono e si fanno solo un pò male alle mani.

 

LA: e di Valentino Rossi che ne pensa?

GCC: Valentino Rossi per me è bravissimo.Per la verità lo vedo molto volentieri perchè è molto bravo. Adesso, come dicevo, con quelle moto da Gran Premio, è difficilissimo, poter andare al limite o quasi.

Rispetto a tutta la concorrenza che c’è in giro è veramente bravo, niente da dire.

 

AL: mamma mia.

LA: abbiamo fatto una carrellata di ricordi… uno starebbe qui ore ed ore ad ascoltare.

GCC: eh sì.

 

AL: lei che è il progettista del V90, dicono che il cilindro di destra del suo motore sia più fragile e più soggetto a rotture.

GCC: del V7?

AL: sì.

GCC: mah, non lo so, questa è la prima volta che lo sento, non saprei.

 

LA: si dice perchè è meno lubrificato del cilindro di sinistra.

GCC: quella è una vecchia storia dei libretti Moto Guzzi, ora ve la racconto.

Quando sono entrato io alla Guzzi, vendevano le motociclette con insieme un libretto di istruzioni.

Insieme al libretto di istruzioni c’era una specie di vademecum per il guzzista, in cui era spiegato perchè c’era il cilindro orizzontale, perchè il motore girava indietro e poichè il motore girava indietro si diceva che mandasse l’olio sopra e lubrificava… Son tutte balle, eh, perchè lei capisce che all’interno di un carter di un motore che gira c’è una nebbia d’olio che va su, giù, dentro, fuori, da tutte le parti.

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“Adesso ve la racconto io ‘sta storia del motore che gira al contrario!”

Ma quel fatto del motore che girava all’indietro perchè mandava gli spruzzi d’olio sopra e poi da sopra scendevano giù, si leggeva solo sui libretti d’istruzioni dell’epoca.

 

AL: quindi non c’è una ragione di progettazione per la presunta fragilità del cilindro destro?

GCC: io veramente è la prima che sento che il cilindro di destra fosse più fragile. Non l’ho mai sentito.

 

LA: secondo lei oggi sarebbe attuale un monocilidrico orizzontale su una stradale?

Sto pensando al suo monocilindrico 500 a corsa lunga. Un figlio di quel motore, magari adattato su una stradale sportiva o turistica oggi.

AL: diciamo un Gambalunga rivisto e corretto, adattato all’uso stradale.

GCC: sarebbe forse adatto, ma la difficoltà sarebbe trovare il cliente. Chi compra una moto del genere? Oggi vogliono i 4 cilindri ed i 100 cavalli, con alte prestazioni.

Io credo che una moto così sarebbe difficile da vendere. Naturalmente lei la vende ad un prezzo inferiore alle 4 cilindri, ma sarebbe difficile trovare un mercato.

Il ragionamento fondamentale è questo: la motocicletta non è un mezzo di trasporto, ma è un mezzo di divertimento: se uno cerca un mezzo di trasporto trova l’auto.

Se lei mette in commercio un 500 monocilindrico oggi, anche a prezzo relativamente modesto, penso che trovi difficoltà a venderlo.

 

AL: rimane il gruppo di estimatori della Guzzi,…

GCC: non so, io penserei di no ma può darsi invece che sia sì.

 

La Guzzi del futuro? Diesel!

 

LA: secondo lei in questo momento quale sarebbe la mossa migliore per la Guzzi?

AL: se lei fosse in Guzzi adesso.

GCC: mah, io le direi una cosa, ma forse è meglio che non la dico, o la dico in separata sede.

LA: la dica, casomai poi la togliamo.

GCC: se fossi la Guzzi, dovrei fare qualcosa di nuovo. La cosa nuova che ho sentito parlano di voler fare è raffreddare a liquido il V90, però è sempre quello… Io farei – non spaventatevi – un tre cilindri. Diesel.

 

AL: ah…

LA: diesel?

GCC: diesel, sì, perchè con un common rail fatto bene, oggi lei con un tre cilindri diesel avrebbe tutte le polizie del mondo, tutti gli eserciti. In una motocicletta militare il vantaggio di non avere benzina ma gasolio è enorme. Oggi lei fa un tre cilindri di 900 cc, con una sessantina di cavalli ed è una moto che può fare i 180 km/h, che ha un serbatoio che riempie una volta al mese. Una moto che dura un’ira di Dio. Ma io l’ho detto così scherzando ai miei amici, poi non so se lo fanno.

Effettivamente il diesel ha fatto dei progressi enormi rispetto al motore normale a benzina. Certo che se chi compra la moto è lo sportivo che vuole la brillantezza per prima, allora non è la soluzione. Ma se invece chi compra la moto è l’Esercito o le Polizie stradali come base e poi qualche appassionato come plus, allora magari non è un’idea sbagliata.

Se io oggi fossi in Guzzi riterrei importante il fatto di avere le mani in pasta sul common rail.

 

AL: Vedi, Luca, da dove nascono le idee!

GCC: poi possono farlo o non farlo ma oggi il fatto di dire…

 

AL: sarebbe un’idea rivoluzionaria!

GCC: più che rivoluzionaria sarebbe un’idea proiettata nel futuro. Guardi che mentre la la tendenza dei motori a benzina è orizzontale, la tendenza dei diesel è in impennata. Il fatto di dire “non so neanche dove mettere le mani su un diesel” non è un vantaggio per una Casa che fa motori.

 

LA: penso solo con il traffico di oggi, la Polizia che vantaggio avrebbe da una moto del genere.

GCC: sì, il fatto di poter dire “io ho una base di clienti quasi sicura, che sono le Polizie, Vigili Urbani etc.”, poi su quello costruire, con la stessa evoluzione del V7.

 

AL: cosa ha perso la Guzzi con l’ing Carcano! Possiamo dirlo.

GCC: mah, io glie l’ho anche detto, sono stato chiamato circa un anno fa… devo dire che il proprietario, Beggio, è gentilissimo con me, non posso che parlarne molto bene.

Appena c’è una festa o una riunione mi invita, manda a prendermi. E mi ricordo che mi hanno presentato i cinque capoccia, di cui adesso mi sfugge il nome, ed abbiamo parlato un pò del più e del meno, e di quello che potevano essere programmi futuri.

Quando loro mi hanno chiesto “Ma se lei fosse ancora in Guzzi, cosa farebbe?” e io glie l’ho detto. Adesso poi non so se quel seme è andato a finire sulla pietra o sul terreno fertile. Credo sia andato a finire su… (lascia in sospeso), tanto più che ho sentito parlare di questa voglia di fare il bicilindrico raffreddato a liquido. Non so poi cosa faranno.

 

AL: Questo sarebbe un proseguo del progetto iniziale…

GCC: sì sì

 

AL: …la sua massima evoluzione, invece questa idea è una cosa nuova, rivoluzionaria.

GCC: sì, vuol dire arrivare primi nel mondo, con un tipo di motore che ha un avvenire davanti, è innegabile.

Io ricordo cosa erano i diesel solo di qualche anno fa, erano fastidiosi, rumorosi, puzzolenti. Qualche tempo fa una signora con cui dovevo pranzare è venuta a prendermi con una delle ultime Lancia, mi pare una Lybra con il common rail. Se uno non lo sa è difficile dire che è un diesel.

Bello, elastico, hanno fatto un progresso enorme.

 

LA: possiamo pensare per tutti gli scooteroni da città cosa sarebbe un motore diesel motociclistico, molto meglio di un benzina

AL: io già vedo l’ing. Carcano che se avesse la possibilità di mettere le mani, smanettare su un diesel…

GCC: sono troppo vecchio, cari signori

 

LA: prima [Aldo], mi hai preceduto, perchè volevo domandare se quando lei è uscito dalla Guzzi, si è impoverito più lei o la Guzzi. Secondo me la Guzzi, glie lo dico a cuore aperto.

GCC: (ride) io se ha perso la Guzzi non lo so. Io ho sofferto per il modo con cui sono venuto via, dalla sera alla mattina. Non mi è piaciuto. Come direbbe il Poeta: “Il modo ancor m’offende”.

Sarebbe stato meglio se mi avessero chiamato e mi avessero detto “Guardi, lei costa troppo”, anche se non era vero. Io tra le tante cose sbagliate che ho fatto in vita mia, alla Guzzi ho sempre preso quattro soldi, perchè era più il sottobanco che prendevo che il banco.

Poi però si è ripercosso sulla mia indennità di licenziamento e sulla mia pensione, perchè io dovrei vivere, se non avessi qualche soldo da parte, con (omissis) al mese. Ossia dovrei non vivere, perchè loro hanno calcolato la pensione sul palese e non sull’ignoto e quindi… c’è stata quella fregatura lì.

 

LA: è un fatto comunque che quando lei è andato via, la Guzzi è rimasta lì, l’ultimo motore è stato il suo. Dopo non c’è stato nulla di veramente nuovo. De Tomaso ha fatto il quattro cilindri negli anni ’70…

GCC: (annuisce) era una copia dei giapponesi, ma mal fatto

 

LA: …per cui la Guzzi è rimasta ferma lì.

GCC: (annuisce perplesso, ma non commenta)

 

Ancora sul V8

 

LA: è opinione comune che lei abbia progettato la più straordinaria moto di tutti i tempi, la V8. Però poi passa alla storia per il V90, che ha fatto un pezzo della storia d’Italia, ha motorizzato le moto dei Carabinieri etc. Che effetto le fa aver progettato una macchina favolosa come la V8 e passare alla storia per il V90, non le sembra strano?

GCC: (ride) mah, non so, sono due cose completamente diverse. Quella lì [la V8] è nata come possibilità per la Guzzi di difendere il suo nome nella classe 500, perchè la Guzzi nella classe 500 ha tirato avanti, modificando quel 120° bicilindrico del 1930-32 fino al 1950 o giù di lì. E da quello è stato tirato fuori tutto il possibile.

Naturalmente ci siamo trovati davanti al problema di avere una macchina nuova. Il concetto di quella macchina è stato, a mio modo di vedere, abbastanza semplice, nel senso che c’era poco da fare: se facevamo un quattro cilindri, per un paio d’anni almeno dovevamo fare scuola perchè c’erano già il Gilera e l’MV che erano già evoluti e sviluppati. Allora dovendo fare qualcosa di nuovo, che potevamo fare? Il sei cilindri no, era troppo largo. Mettendo un sei cilindri in linea c’era il famoso effetto che volevamo evitare (la coppia di rovesciamento, NdA).Ci sembrava che la soluzione fosse di avere un motore largo come un 250, sia pure con tutte le complicazioni dovute ad un 8 cilindri. Specialmente per quell’epoca, perchè se fosse di oggi, quella soluzione sarebbe venuta molto più semplice.

Noi ci siamo trovati ad inventare un sistema d’accensione perchè con il magnete non si riusciva ad avere risultati soddisfacenti.

Quella soluzione ci sembrava abbastanza logica, partiamo con un 8 e vediamo di evolverlo.

 

LA: certo, è normale…

GCC: (ride)

 

AL: ma in progetti di quel tipo le persone ci devono credere, ed avere la voglia e lo stimolo di qualcuno che gli dica “fai”, e uno ci mette l’anima.

LA: e alla fine lei è diventato famoso con il V90, che è un motore utilitario.

GCC: ma alla fine io non ho inventato niente con il V90. E’ uno schema abbastanza logico e razionale, ed è abbastanza pratico per una macchina da turismo. Non è che io abbia inventato il V di 90°. Era solo una buona soluzione per una macchina con quelle caratteristiche.

 

AL: sì, ma l’ha fatto solo lei.

LA: ed ha progettato un motore che trent’anni dopo tiene ancora a galla la Guzzi.

GCC: sì, ma… (fa un gesto come per indicare una cosa trascurabile).

 

LA: quale motore le ha dato più soddisfazioni?

GCC: difficile… (ride) mah… è difficile. Il V8 tra l’altro mi ha lasciato tanto rimpianto perchè lei pensi che nel ’57, quando decisero di smettere le corse, noi avevamo già disegnato ed avevamo in produzione un nuovo albero a gomito ed avevamo UNA FILA di cose. Il V8 del 1958, se ci fosse stato, sarebbe stato non una modifica di quello del ’57, ma probabilmente un deciso passo avanti.

 

LA: lei poi ha seguito la vicenda di Tonti quando ha sviluppato il bicilindrico a V per la Guzzi serie piccola?

GCC: Tonti l’ho conosciuto, ma quando c’era lui non c’ero più io e non ho più seguito. Come le dicevo i miei rapporti con la Guzzi erano cattivi fino all’arrivo di Beggio, che invece è una persona gentilissima.

Io andavo a trovare il mio amico Todero e l’amico Cantoni, facevamo quattro chiacchiere ma alla fine ne sapevo come l’uomo della strada, non di più.

 

LA: per cui non ha seguito neanche la vicenda di De Tomaso…

GCC: so che aveva fatto ‘sto quattro cilindri copiato dai giapponesi, che era un disastro, ma solo perchè ogni tanto trovavo qualcuno che me lo diceva, non perchè sapessi le notizie in prima battuta.

 

LA: De Tomaso aveva ritardato la Le Mans 850, la sportiva, che era pronta nel ’72, ma lui la scartò e la fece uscire nel ’76 dopo che al Salone di Milano del ’75 vide che c’era stata una buona accoglienza.

GCC: (annuisce ma non commenta)

 

LA: si è mai occupato di automobilismo?

GCC: me ne sono occupato sì, perchè sono stato per alcuni anni, ora non ricordo esattamente il periodo, membro della Commissione Sportiva Automobilistica Italiana, la CSAI, quando era presidente un certo ing. Rogano. Mi ero occupato di Formula 1 e di regolamenti. Mi ricordo che avevo un bracciale di cuoio che mi permetteva di entrare dovunque e di girare dappertutto (sorride). E’ durato tre o quattro anni.

Le corse di Formula 1 mi sono sempre piaciute, le guardo volentieri in televisione, ma non è che sia addentro le segrete cose.

 

LA: che effetto le fa vedere che ci sono tanti appassionati del suo motore V90, anche più giovani di quando lei l’ha progettato? (volevo dire che non erano ancora nati quando il motore è stato progettato, NdA)

GCC: (ride) le dirò che non mi fa nessun effetto…

 

LA: c’è gente che ha il culto del suo motore.

AL: beh, quando lei si trova al raduno 10.000 guzzisti che hanno la moto, un pò di orgoglio ci sarà pure, che diamine.

GCC: sì, sì, ma vede, per quanto possa sembrarvi strano io penso molto di più alla barca a vela che non alla moto.

 

AL: (ride) quello è stato il suo rifugio…

GCC: sì, un rifugio, ma ancora oggi mi soffermo più volentieri, e sono più al corrente di quello che stanno facendo sulle barche a vela che sulle moto. Poi c’è una ragione abbastanza semplice… io quando sono venuto via dalla Guzzi, per alcuni anni la motocicletta proprio mi ripugnava.

 

LA: incredibile… eppure c’è tanta gente che va in giro con la maglietta con su disegnato il suo motore…

GCC: (ride)

 

AL: e non ci starebbe male scritto sotto “ing. Carcano”.

LA: sì, io lo metterei.

AL: il monocilindrico di Carlo Guzzi è arrivato fino al ’56, è durato 35 anni, poi dopo c’è stata l’evoluzione del Nuovo Falcone, che però era una motorizzazione differente, ma il suo motore sono 40 anni che va, è ancora lì (ride).

LA: ci sono molti ragazzi di 20 anni…

AL: …che non sono alla ricerca della prestazione da 150 cavalli. Sono più oculate quelle scelte, perchè come diceva lei giustamente all’inizio quanti sono in grado di condurre una motocicletta da 120, 130 o 150 cavalli?

GCC: (annuisce) sì, sono pochi. Le dirò anche che io quando ero alla Guzzi ogni tanto provavo anche le motociclette da corsa, ma so di essere un pessimo motociclista, e forse è la mia fortuna, è per questo che sono ancora vivo.

Mi ricordo che tante volte provavo e mi dicevano di provare a frenare ad un paracarro, ed io niente, passavo sempre oltre. Io ho un’ammirazione enorme per i motociclisti che hanno quella dote innata, che non è trasmissibile, non è acquistabile.

Mi ricordo un circuito a Ospedaletti, pioveva che Dio la mandava. Classe 250, c’era il solito duello Ambrosini su Benelli e Ruffo su Guzzi. Primo giro, io ero con il suocero di Lorenzetti, con i cartelli dei tempi. Partono e… vi ricordate il circuito di Ospedaletti?

AL: qualcosa, sì…

GCC: partono, fanno 100 metri, tornante, vanno su, poi vanno in fondo, girano e tornano indietro. Alla fine del primo giro sento il rumore delle macchine che arrivano, c’era davanti Ambrosini con la Benelli. Davanti all’Hotel Regina, che è a 100 metri dal tornante, in piena velocità sul bagnato ha grippato, si è sentito un rumore forte, ‘sta macchina si è messa per traverso. Noi abbiamo mollato il cartellone e siamo scappati. Lo sa che ha fatto 20 metri con le due ruote così (di traverso, NdA) senza cadere? Di fianco, poi è riuscito a mettersi un pò dritto ed è andato a posare la moto accanto alle balle di paglia.

Quello lì aveva otto palle, io non lo so. Per dire cos’è la vita, io non ho mai visto una roba del genere.Me la ricordo finchè campo questa grippata a duecento all’ora sul bagnato e non è successo niente.

LA: è un senso dell’equilibrio che…

GCC: sì, sì, sono bravissimi, e lo sono ancora adesso, quando cascano. Se casca uno di noi sono guai, ma se cascano loro si raggomitolano e battono con le mani per terra (fa il gesto di battere le mani sul tavolo) e a fare così per stare nella strada. Sono bravi.

 

La Mille Miglia

 

LA: ed invece il pilota automobilistico che preferisce?

GCC: io all’epoca, , quando c’erano Varzi e Nuvolari, mi ricordo che ero un ammiratore di Varzi e pensavo che Nuvolari fosse uno sfrondato, uno spaccamacchine. Poi invece sono diventato ammiratore di Nuvolari quando ha corso con le vetture tedesche.

LA: con le Avus (volevo dire le Auto Union, NdA)

GCC: erano le Auto Union

LA: ah, sì

GCC: guardi che Nuvolari nel ’38 fece un Gran Premio a Monza che fu commovente.

Allora la lotta era Mercedes e Auto Union, e i primi dieci giri Nuvolari su Auto Union era in lotta con Lang su Mercedes. Poi Lang ha rotto ed è rimasto lui. Quando faceva il rifornimento arrivava lì e gli mettevano sopra la testa un grembiale grande come questo tavolo, andavano dentro 200 litri di alcol ed avevano paura [che durante il riempimento del serbatoio, fatto con alcool, l’eventuale tracimazione o dispersione di carburante bagnasse appunto il pilota e lo rendesse cosi’ una torcia umana in caso di un eventuale incidente o di un guasto che avessero come conseguenza una scintilla o un incendio]. (L’integrazione è di AL, NdA).

Mi ricordo che quando ha finito, ha vinto, e l’hanno tirato fuori che sembrava un asciugamano, poverino. Era un bestione di macchina quell’Auto Union, 16 cilindri, con la guida seduta, era una cosa paurosa. Che corsa che ha fatto.

 

LA: tra Nuvolari e Varzi ci fu l’episodio della Mille Miglia, dei fari spenti.

GCC: sì, i fari spenti… Guidotti, che ora è morto, abitava a Bellagio. Guidotti era un caro amico, una cara persona, e ci trovavamo due o tre volte all’anno io e degli amici a Bellagio. Adesso saranno già due o tre anni che è morto. Lui mi raccontava queste storie della Mille Miglia: nella storia dei fari spenti le coppie erano Varzi-Bignami e Nuvolari-Guidotti.

 

AL: sto pensando a come l’ing. Carcano si ricorda di tutti questi particolari.

GCC: non si rallegri troppo. Le dirò che purtroppo io ricordo le cose antiche, ma se lei mi chiede cosa ho mangiato oggi a mezzogiorno… forse ci arrivo, ma faccio fatica (ride).

 

AL: non si preoccupi, capita anche a noi di non ricordare le cose immediate.

LA: e nel ’57 finì anche la Mille Miglia…

GCC: sì, l’incidente di Guidizzolo.

LA: De Portago e Nelson.

GCC: e vinse Taruffi.

 

LA: Pietro Taruffi era poi il padre di Prisca Taruffi, la pilota che si vede ogni tanto in televisione.

GCC: sì.

 

LA: per cui il ’57 fu un anno strano per lo sport motoristico italiano, hanno chiuso la Mille Miglia ed anche le corse motociclistiche.

GCC: (annuisce)

 

LA: e comunque la Mille Miglia non era più fattibile su strada, macchine da trecento all’ora nei viottoli.

GCC: no, assolutamente era già poco fattibile nel ’57.

 

LA: e nella Mille Miglia correvano anche le macchine di serie, trovavi la 500 e la Ferrari.

GCC: sì.

 

LA: e doveva svolgersi rispettando la segnaletica stradale.

GCC: sì, uno doveva stare a destra e curvare a sinistra stando a destra, perchè se tagliava la curva era colpa sua in caso di incidente.

 

LA: semafori compresi. Perchè all’epoca non c’erano limiti di velocità.

GCC: (annuisce)

 

LA: si vedono le foto dell’epoca con le macchine che sorpassano carretti e biciclette…

GCC: sì sì, mi ricordo una delle esperienze automobilistiche di Omobono Tenni. Sapete che Tenni ha corso in automobile, e ha fatto una Mille Miglia con Bertocchi, che era il Moretto della Maserati. Questo Bertocchi dopo le prime uscite che ha fatto con Tenni, per prima cosa ha messo un bottone grosso così che metteva a massa l’accensione, (ride) perchè se succedeva qualcosa pigiava e via. Bertocchi diceva che Tenni era terribile, era Tenni anche in automobile.

A Milano avevano fatto un circuito intorno all’Arena, tra il parco e l’Arena. L’anno di preciso non me lo ricordo, era dopo la guerra. La Maserati aveva portato il 1500 ed il 3000. Tenni fece una decina di giri in prova con il 3000 ed aveva già portato via tutte le balle di paglia che c’erano. Allora l’hanno fatto correre con il 1500 (ride).

Mi ricordo che lui aveva il 1500 quattro cilindri, e c’era Trossi che aveva la nuova 1500 sei cilindri. Ha vinto Trossi, ma Tenni era lì, stava dietro non so se per ordine di scuderia o se perchè non riusciva ad andare più forte.

Corre Omobono… anche con l’auto era un irriducibile.

(c’è un attimo di silenzio, si alza per offrirci delle caramelle)

 

LA: pensavo di non riuscire a fare tutte le domande, invece…

AL: l’ingegnere è disponibilissimo, poi va a ruota libera con i ricordi.

LA: ha un aneddoto inedito da raccontarci? un episodio…

GCC: (ci pensa) saranno anche tanti ma non mi viene in mente nulla.

 

AL: la ricerca della leggerezza nelle moto da corsa?

GCC: noi con il 350 Campione del Mondo nel ’57 eravamo arrivati a farlo pesare 98-100 kg, chilo più chilo meno. Quella era una macchina che io ho amato molto perchè, nel suo piccolo, era completa. Pensi che il motore aveva 38 cavalli, e correva contro Gilera quattro cilindri 500.

Questo è un pettegolezzo che non si dice, ma lei sa che c’è stata quella famosa indiscrezione di una corsa a Monza, nelle cui prove il 350 quattro cilindri Gilera aveva rotto.

Allora non volevano non farlo correre nel giorno dopo e hanno fatto correre una 500 nella classe 350, il che è antipatico. Solo che quando è finita la corsa, la moto si è fermata a Lesmo, prima del traguardo, ha preso la strada per Arcore e nessuno l’ha vista più.

E nessuno avrebbe dubitato di quella cosa, se non che io ho ricevuto una lettera firmata da uno di Arcore in cui diceva che quella moto… così e cosà… era una lettera firmata. Ma sarebbe stato impossibile andare a tirare su una grana di quel genere.

Ma quel fatto, che non è arrivata più sul traguardo ed è sparita con il motocarro con la moto sopra, dava molti sospetti.

 

AL: la galleria del vento, leggerezza, aereodinamica…

GCC: sì, era una delle manie di Guzzi, l’ha voluta lui, e noi l’abbiamo adoperata.

Certo che i vantaggi che lei ottiene con la galleria del vento sono vantaggi per tutti. Mi ricordo che noi facevamo un tipo di carenatura e quindici gorni dopo l’avevano anche gli altri.

E’ lo stesso nelle vetture di Formula 1, che stanno lì a coprire l’alettone davanti, ma lo coprono per la fotografia sulla Gazzetta dello Sport. Poi nel momento in cui lo levano lo vedono tutti, e se pensano che costituisca un vantaggio lo fanno tutti.

 

LA: lei ha anche progettato delle vetture da record per la Guzzi, la Nibbio…

GCC: no, no. La Nibbio era una fissazione del conte Giovannino Lurani, che era amico di Parodi ma la vettura non l’abbiamo progettata noi. Gli abbiamo fornito il motore e basta.

 

LA: abbiamo esplorato quasi tutto lo scibile.

(A questo punto chiudiamo l’intervista. Ringrazio e gli chiedo un autografo, sul mio manuale d’officina che gli porgo. GCC sembra meravigliato)

GCC: manuale d’officina… questo qui non l’ho mai visto, sarà più recente (sfoglia). Bello però, è fatto bene (firma il frontespizio).

AnimaGuzzista Protagonisti Giulio Cesare Carcano __006
“Thò, qui spiegano il motore che ho fatto io!!”

AL: a questo punto noi ci congediamo, le siamo riconoscenti.

GCC: ma s’immagini, abbiamo fatto una lunga chiacchierata.

LA: è stata molto bella, grazie.

GCC: ma si figuri.

(Lo informo che l’intervista sarà pubblicata sul sito, e che glie la manderò prima per approvazione).

GCC: vuvuvu guzzisti it…, va bene, me la mandi.

(facciamo la foto con la maglietta di AnimaGuzzista. Si presta ridendo, sorpreso. Gli diamo la maglietta in regalo, ringrazia)

GCC: bene signori, vi ringrazio.

LA: grazie a lei.

GCC: mah, per quello che avevo da fare oggi…

LA: oggi siamo andati oltre le nostre speranze.

 

Ci congediamo ed usciamo dalla vecchia casa, mentre l’Ingegnere ci saluta sulla porta. Non ha smesso un attimo di piovere. Nel tragitto tra i viottoli in riva al lago, fino alla macchina, parliamo poco, forse ancora dobbiamo assimilare l’evento. Siamo ancora stupiti dalla sua disponibilità, e dal tono amichevole che ha subito preso il nostro colloquio.

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Le suggestive strade di Mandello Del Lario

Abbiamo esaurito tutte le domande, trascorrendo più di due ore con un uomo che ci ha fatto fare un tuffo nel passato, fino a toccare le radici della Moto Guzzi.

Uno che scherzava con Carlo Guzzi, esprimeva la sua disapprovazione a Omobono Tenni per la sua condotta in gara ed andava a pranzo con Guidotti, che gli raccontava le sue MilleMiglia con Nuvolari. Te lo racconta con naturalezza, come se fosse successo il giorno prima.

Ho la sensazione di aver dialogato con un pezzo di storia, di aver assaporato uno spirito che non esiste quasi più.

Ripenso all’Ingegnere che va a Gallarate: il conte Agusta gli offre carta bianca e lui rifiuta per il clima piovoso e per i gatti che aveva a Mandello. La pioggia bagna imperterrita il mio giaccone. Non riesco a trattenere un sorriso… questa si chiama passione e lealtà d’altri tempi, il clima c’entra poco!

Passiamo davanti all’imbarcadero di Mandello, in stile liberty.

Mi sembra di sentire ancora l’Ingegnere raccontarci che l’aver progettato motori come il V8 o il V90 era una mossa obbligata, addirittura ovvia. E presentarci con disinvoltura un’idea rivoluzionaria come il tre cilindri diesel motociclistico.

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L’imbarcadero

Penso a cosa potrebbe essere oggi la Moto Guzzi, se non l’avessero mandato via.

 

Grazie di tutto, Ingegner Carcano.

 

Luca Angerame

 

 

Due Guzzi a Ficuzza

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Report tragicomico di un sabato “affamato” nella Sicilia del West

Lunedi 13 Maggio 2002

Nicola scrive:

Di Ficuzza, il mio amico Pippo, me ne parlava sin dai tempi del liceo, ma, pensando che fosse mosso da incontenibili smanie sessuali, non gli davo retta. Col tempo però, l’argomento Ficuzza non si è mai sopito, anzi, causa esuberanti produzioni giovanili di testosterone, togliendo, il vezzeggiativo “…uzza”, siamo andati, ognun per la sua via, baldi e rampanti alla ricerca costante ed indefessa di quella vera, l’unica, insomma, di quella….. “originale”. L’abbiamo trovata? Forse!!!! Ora, padri di figli e mariti di mogli, l’argomento “Ficuzza”, vuoi per stanchezza, vuoi per monotonia, da qualche tempo, insistente, era tornato a roderci la mente! Finchè, dopo vari tentativi di coinvolgimento tra amici motociclisti Trapanesi, dopo ben quattro settimane passate ad organizzare la “zingarata”, dopo vari rimandi e posticipazioni, questo sabato, con la pioggia, con la neve od anche sotto il solleone, a Ficuzza dovevamo andarci per forza! E così fu!

Sebbene il destino si mostrasse avverso, sabato mattina, dopo aver liberato il Quota 1000 di Pippo, che era stato imprigionato in garage da un’impalcatura edile spuntata nottetempo, come un gigantesco fungo di 8 piani, dopo essere sfuggiti da un mega-ingorgo causato dal “giuramento delle reclute” che ha bloccato per l’intera giornata tutta la città, dopo le defezioni causate dalla pioggia e dall’influenza di due nostri amici “bancari”, alle 11.00 io e Pippo ci incontriamo e con una semplice, gelida inequivocabile occhiata da sotto il casco, ci intendiamo e partiamo per la nostra “misteriosa” avventura. Misteriosa perché, nonostante fosse ben chiara la nostra destinazione finale, nonostante fossimo muniti entrambi di cartine geografiche, Guida Monaci, Pagine Gialle ed aggiornamenti Treccani in volumi da 4 Kg cadauno, nonostante fossimo preparati a qualsiasi condizione meteo, nonostante fossimo psicologicamente pronti ad ogni evenienza, appena usciti dalla città, la domanda sorta spontanea è stata “per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?”. La cosa tragica è che la risposta, non è arrivata altrettanto “spontanea” e tutto questo ci ha fatto capire che l’esperienza “Ficuzza” sarebbe stata oltremodo avventurosa.

Decidiamo per una veloce Trapani-Partinico via A29 perché, cosa che ancora non ho detto, l’obiettivo principe era una bella grigliata di salsiccia nel bosco di Ficuzza e, sebbene avessi da più d’una settimana preparato la griglia metallica, gli spiedini di bambù, forchette e coltelli, mancava tragicamente la materia prima, ovvero l’insaccato di porco, indi per cui, dovevamo arrivare al primo paese utile, prima che chiudesse l’ultima macelleria utile. Col California ed il Quota a “manetta” ci fiondiamo in autostrada come Rossi inseguito da Capirossi, solo che alla prima piazzola di sosta ci siamo fermati per decidere chi dei due fosse Valentino e chi Loris. Dopo esserci picchiati selvaggiamente, all’unanimità stabiliamo, per motivi di stazza io avrei fatto ‘u ‘rossu e Pippo che si era accalorato più del solito ‘u caparrussa. Per recuperare il tempo perduto, ho viaggiato lungo gli ultimi km denunciando un’inesistente emergenza col fazzoletto fuori dal finestrino, ma non ci ha creduto nessuno anche perché avete mai provato voi ad andare in moto reggendo tra i denti una portiera di 600 divelta dall’auto del primo contadino che incontri? E’ molto difficile, credetemi.

Per motivi di tempo si conclude qui la prima parte del report. .

NiQ. (che a Pippo di questo report ancora non gli ha detto niente)

P.S. a presto il seguito, se sopravvivo

Martedì 14 Maggio 2002

Pippo scrive:

…..o part one and a half :

A Partinico, dopo aver rifocillato la “Califfa” di NiQ, ci rechiamo dal più vicino macellaio, non prima di essere passati dal più vicino panettiere: due quartini di pane di casa, risultati poi insufficienti, e appena Kg 1.700 di carne, tra salsiccia e pancetta: da…. “scialo”. La sasizza alla pizzaiola (carne di porco, pomodoro, cipolla, pepe, sale, origano gli ingredienti principali ‘sniffati’ da NiQ ad un primo assaggio) ci mette le ali alle ruote, si parte alla volta di Ficuzza, ma Ficuzza non è alle nostre ali, non è alle nostre ruote, insomma comincia la vera avventura: la ricerca di Ficuzza. Cosa non facile per chi non batta abitualmente quelle zone. Strade e straduzze tutte simili tra loro, senza uno straccio di indicazione, tutte dello stesso colore (sulla cartina) e con gli stessi odori (stallatico).

Come se non bastasse tutto ciò, ci si mette anche un villico che ci manda in direzione del Santuario di Tagliavia. Non lo conoscevamo neanche, molto bello, isolato e quindi molto caratteristico (stile ‘cattedrale nel deserto’, forse meglio ‘cattedrale tra i funnachi’). Stop e foto di rito, con autoscatto. la macchinetta del NiQ, poggiata di traverso su un blocco di marmo cade all’indietro spinta da una folata di vento proprio mentre aspettavamo che autoscattasse una foto. vengono inquadrati mestamente il cielo e qualche nube di passaggio.

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021
Intanto la fame e la pipì, incalzavano…………………………………………………………………………………….

con questi ed altri sentimenti che passerò ad esprimere in una mia prossima,

caro NiQ

a te la linea

fine della seconda puntata (o della prima puntata e mezza)

the big one

Martedi 14 Maggio 2002

Nicola scrive:

Al villico di cui ha parlato Pippo, l’informazione sulla via per Ficuzza, gliel’ho chiesta io, ecco come è andata: dopo aver riempito la Kambusa dell’ammiraglia Californiana con tutto quel bendiddio acquistato alla “boutique della carne” di Parti…”nico” (ma se si mangia cosi tanto Torni…”grosso”), seguiamo l’indicazione “San Cipirrello” e ci ritroviamo a percorrere la provinciale 2, una strada molto bella e panoramica che si affaccia sulla Valle dello Jato, con curve quanto basta, con traffico quanto basta, buche quanto basta e quasi interamente costeggiata da platani secolari purtroppo però quasi tutti bruciati e capitozzati.

Arrivati ad un “fatidico bivio”, consultando la cartina che Pippo aveva fotocopiato in formato A4 a colori con vari ingrandimenti, stabiliamo che la strada da percorrere era la Veloce 624 Palermo/Sciacca. Considerando che carnevale era passato da tempo, poco prima di arrivare a Sciacca, il tarlo del dubbio di aver sbagliato strada comincia ad insinuarsi nella mia mente, ma visto che la cartina consultata era quella di Pippo, per non dargli un dispiacere, ho aspettato che fosse lui ad indicare di fare marcia indietro.

Ritorniamo al “fatidico bivio” ed imbocchiamo l’altra strada che ci porta in aperta campagna. Ormai i platani ombrosi sono solo un vago ricordo. Intorno a noi, solo messi verdeggianti di frumento e, sotto le nostre ruote, zolle enormi di terra impastata da sterco appiccicoso di vacca. La strada si restringe sempre più, ogni tanto intravediamo un servo della gleba con badile e cappellaccio di paglia, potremmo chiedergli qualcosa, ma chissà in che lingua ci avrebbe risposto e chissà cosa ci avrebbe detto, dato che, alla nostra vista, l’espressione che gli si dipinge sistematicamente sul volto è quella di uno che ha avuto un incontro ravvicinato del 4° tipo con chissà quale entità extraterrestre.

Proseguendo per la Provinciale ecco che davanti a noi si apre un secondo “fatidico bivio”. Ci fermiamo e decidiamo di consultare nuovamente la cartina. Questa volta prendo una delle mie: “Sicilia Occidentale, itinerari turistici edizione 1999 – De Agostini in carta patinata”. Ma non abbiamo il tempo di aprirla che da lontano, come nei cartoons di Wilcoyote, vediamo formarsi ed avvicinarsi una nuvola di polvere. Davanti al polverone una SIMCA 1100 con carrozzeria a pois su sfondo bianco e ruggine d’annata a macchia di leopardo. Percorreva la trazzera a velocità impressionante ed in men che non si dica, ce la siamo ritrovata davanti. A 30 metri dall’incrocio pianta i freni ed alza una nuvola di terra mista a ghiaia.

A bordo un villico dalla faccia eburnea e gli occhi di cielo, età incalcolabile ad occhio e variabile dai 35 ai 70 anni, cappello di paglia e sorriso a 3 denti, uno di sopra e due di sotto ad incastro. Si ferma per dare la precedenza, ma capiamo che era un pretesto, il vero scopo era cercare di capire che ci facevano due “fessi” in motocicletta, vestiti da “spaziali”, persi in mezzo alle campagne. Non mi lascio sfuggire l’occasione, prendo il coraggio a due mani e mi avvicino al Villico che aveva già il finestrino abbassato, (o forse era scassato da anni e non poteva rialzarlo). Pippo assiste attonito alla scena. Gli chiedo in maniera “circoncisa” senza perifrasi:

“Scusi, la conosce Ficuzza?”

“Unca!! Cetto ch’a canuscio” mi risponde ed aggiunge sornione con sorriso malizioso “havi un bel vuschiceddu… cavuru e accogliente!”

-ma guarda ‘sto vecchio porco!- penso io e gli ribatto:

“Ficuzza, il bosco di Ficuzza, quello con gli alberi, noi ci vorremmo andare, ci sa dire che strada dobbiamo fare?”.

Il Villico capisce che le sue fantasie sessuali, spesso spente da qualche pecora o gallina o vacca, se le poteva tenere per lui e mi dice:

“Vaìte ‘ri ‘ddocu, seguite la strata, e arrivati a lu’ Santuariu, e ppoi chiedete indicamento”.

Manco il tempo di capire quale delle due strade era quella da seguire, che il Viddrano, sicuramente imparentato con Alesi, era già ripartito.

Pippo mi aspettava appoggiato ad un palo sul quale c’era il cartello marrone con la freccia che indicava “Santuario della Madonna di Tagliavia”, cerchiamo di capire, inutilmente, in quale zona della cartina ci trovassimo e poi, felici di perderci ancora una volta, decidiamo di imboccare la trazzera da cui il contadino era arrivato con la sua SIMCA. Dopo una decina di Km percorsi attorno a collinette, su per dossi e giù per valli, sempre avvolti dal frumento e dalle distese lillà di malva, quando ormai stava per spegnersi anche l’ultimo barlume di speranza di incontrare un’anima viva, finalmente, su un’ermo colle, vediamo una costruzione. Non era la dimora di qualche latitante, bensì una chiesetta, bella, antica, misteriosa. La raggiungiamo e con sorpresa scopriamo che tutt’attorno, numerosi ambulanti avevano allestito le loro bancarelle. Ci vedono passare e parcheggiare le Guzzi nella piazzetta e sicuramente avranno pensato:

“Ma questi, qui, che ci fanno? la festa della Madonna è domani?”.

Decidiamo di fare i turisti ed, anche per sgranchirci le gambe anchilosate, entriamo nella chiesetta già addobbata per la festa. Il colpo d’occhio è stato inebriante, e subito capiamo il significato della parola “pellegrino”, ovvero colui che per voto o devozione nell’antichità, a piedi o a dorso di mulo, percorreva tanta strada per raggiungere un posto così lontano e solitario. Dopo una prece alla Madonnuzza, convinti che ci avrebbe Ella stessa condotta a destinazione, dopo le foto di rito, una al Cielo e l’altra a noi, dopo aver chiesto “indicamento” ad uno degli ambulanti, ci rimettiamo in viaggio. Ficuzza è vicina, ce lo dice la pansa vuota che, alle 13.30, comincia a lamentare il suo avere.

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021_001

 

Fine Terza Parte

NiQ.

MARTEDI 14 Maggio 2002

Pippo scrive:

………il servo della gleba, nel suo idioma personale, ci aveva indicato tutto sommato la direzione esatta. Infatti, seguendo poi le indicazioni dell’ambulante raggiungiamo l’agognata meta in 15 minuti e 32 secondi netti.

Il passo successivo consistè nell’acquisto di acqua e birra che berremo avidamente mentre si succedono i tentativi di accendere un fuoco per cuocere quella salsiccia che, nel nostro immaginario, ormai diventava un’eterea chimera, in perfetto stile tantalico, una meta che si allontanava man mano che noi ci si avvicinava. Ma vedremo come alla fine avremo giustamente la meglio.

Prima di volgere le nostre biciclettone a fuoco, verso l’area attrezzata chiediamo all’alimentarista di cosa sarebbe attrezzata la suddetta area. Risponde testualmente:

“In verità vi dico…. di niente, ci sono solo i tavoli e un ricordo di barb-q”

Tristemente compriamo anche la carbonella. Allorchè io chiedo a NiQ:

“Ma come accendiamo il fuoco per arrostire e, indi, sgramarci la salsiccia?!?!?”

niq risponde poco profeticamente:

“Ci ho l’accendino!!!”

Aveva parlato troppo presto!………………………..

s’è fatto tardi,

NiQ, please, go on, it’s your turn!

the big one

Giovedi 16 maggio 2002

Nicola scrive:

…….finalmente arriviamo a Ficuzza. La strada imboccata dopo l’obelisco (o la “culunna” come l’aveva chiamata l’ambulante) che si staglia quasi al centro dell’incrocio con la Provinciale che sale verso Piana Degli Albanesi, ci fa capire che i nostri sforzi ed il nostro perderci, avrebbero avuto la giusta ricompensa. In leggera salita, circondata da un lussureggiante querceto, ci conduce, tra poche villette ed ampi parcheggi, lenta e stanca fino al paese. Oddio, definirlo paese forse è un’esagerazione. Diciamo pure quattro casuzze che si ergono attorno alla dimora di caccia borbonica che fa di questo sito una meta molto indicata per le gite scolastiche. Il palazzo sembra quasi una Reggia ed innanzi alla costruzione secolare, un prato inglese grande quanto un campo di calcio che quel giorno si presentava tutto transennato, il perché lo scopriremo dopo. Ora è il momento di soddisfare gli ultimi dettagli prima della grigliata.

Non avevamo infatti portato nulla di liquido se non la benzina delle nostre Guzzi, ma quella, anche se poi ci sarebbe servita ugualmente, con la salsiccia alla pizzaiola, non si sposa al palato. Parcheggiamo le moto nella piazzetta e Pippo, che a Ficuzza c’era già stato, con fare austero e deciso, si infila dentro l’unica bottega alimentare del paese. Lo seguo e lo shock è peggio di un pugno nella pancia (purtroppo ancora vuota): il negozio è stracolmo di ragazzi e ragazzine che stanno litigando con l’unico banconista, circa gli ingredienti da schiaffare dentro i paninazzi che si dovevano sbafare per pranzo. Considerando la velocità dell’alimentarista (tra tagliare il pane, affettare il companatico, sistemarlo senza sbavature dentro il panino, avvolgere l’opera d’arte nella carta, calcolare il costo in virtù del peso e del tipo del companatico, fare la conversione da £ire in €uro, prendere i soldi, calcolare il resto contare le monetine ed asciugarsi il sudore dopo tutta ‘sta fatica = circa 7 minuti a panino), e considerando il numero incalcolabile di panini che doveva preparare, se avessimo aspettato il nostro turno avremmo fatto direttamente cena. Così, dopo una tacita occhiata, sempre restando sull’uscio della bottega, quasi all’unisono esclamiamo: “si arrabbia qualcuno se prendiamo una bottiglia d’acqua, paghiamo e ce ne andiamo?”. Tutti si girano per vedere da quali bocche fosse uscita quella proposta oscena. Sarà stato per i due metri di Pippo o per il mio quintale e mezzo, non lo so, ma cordialmente ci dicono “Prego! Accomodatevi!!!!” mentre il nonno ottuagenario dell’alimentarista aveva già tirato da sotto il bancone la bottiglia più fresca che aveva e porgendola tentava di dirci “Ba-ba-stano du-du-due litri o ne volete d-di più?”

Venerdi 17 Maggio 2002

Alle 03.30 del mattino Nicola termina di scrivere:

Presa la bottiglia d’acqua, approfittando spudoratamente della situazione, ci siamo fatti consegnare anche 66cl di birra Bavaria e, chiacchierando con l’alimentarista, veniamo a conscenza della ricca offerta turistica dell’area “attrezzata” del bosco di Ficuzza, ovvero: alberi, verde e natura, come in qualsiasi bosco non “attrezzato” e in più, quattro assi di legno inchiodate a formare tavoli e panche, sistemate un po’ qua e un po’ là, sotto le querce.

-“Ma ci avevano parlato anche dei barbeque”- proviamo ad obiettare.

-“No signori, queste cose non le abbiamo a Ficuzza” -ci risponde il brav’uomo chiedendosi, fra se e se, come mai questi strani motociclisti di città devono venirsene in campagna per farsi la “barba-qua”?

-“Senta, noi abbiamo quasi due chili di carne da arrostire e da mangiare, che lei sappia, ci sarebbe la possibilità di accendere un fuoco?”

-“Certo!” – ci risponde, – “vicino ogni tavolo, per terra, c’è la brace, quattro pietre incementate con i tondini di ferro per appoggiarci sopra la carne, solo che non c’è la legna! Se volete vi posso vendere una confezione di carbone così non restate a digiuno!”.

Con la leggera sensazione di essere stati elegantemente presi per il culo, paghiamo quasi 5 Euro, prendiamo bottiglie e scatolone e ce ne andiamo.

Il bosco è appena fuori al paese, verde, ombroso e bucolico, recintato al di là del nastro d’asfalto. Parcheggiamo le moto sotto un’albero sul ciglio della strada e ci infrattiamo di corsa tra la boscaglia per due torrenziali pisciate che ci portavamo dentro da Partinico. Dopo il deposito “liquido” scarichiamo le vettovaglie e Pippo, che pur non essendo un fumatore, aveva, come me, il fumo della fame che gli obnubilava la vista, esclama la fatidica frase:

-“NiQ, come l’accendiamo il fuoco?” ed io

-“Con l’accendino!!!!”.

Nell’immaginario collettivo il rude biker, quello vestito di pelle e borchie, quando va dal benzinaio, si fa riempire sia il serbatoio della moto che lo “Zippo” e, quando gli chiedi da “accendere”, se non gli stai a giusta distanza, col fuoco inestinguibile del suo “lanciafiamme” tascabile sarebbe capace di arrostirti la faccia dalla quale penzola il mozzicone di sigaretta che volevi fumarti. Io di Zippo ce n’ho una collezione, ma, a casa! A Ficuzza, m’ero portato uno di quegli accendini usa e getta, 10 a mille lire, di plastica verde trasparente, che dopo il primo pacchetto di sigarette, s’è scassato, fuso, svuotato, esploso. Dobbiamo innescare il carbone col fuoco vivo e Pippo non trova di meglio che fare a brandelli il cartone in cui era contenuto il carbone da noi profumatamente acquistato. Lo sistemiamo strategicamente sotto i cocci di carbonella e gli diamo fuoco.

-“Prende!!!… prende!!!!” – esclamo entusiasta – “Pippo, dai… prepara la sosizza nella graticola che io lo tengo vivo!” e Pippo serafico:

-“Caalma!, prima che s’adduma u carvuni cinne voli!”. Ed infatti, il cartone va in cenere ed il carbone sembra rimasto indenne alla prima ed unica fiammata!

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021_002 – “S’astutò!”

– “’U vitte!”

– “Ch’amaffari?”

– “Sciusciamo!”

– ” Ammatula! ‘un s’adduma!”

– “E tu sciuscia!”

– “E se piglio la benzina dal California?”

– “Và pigghiala!”

Inizio a cercare una lattina, un bicchiere, qualcosa in cui mettere il liquido combustibile, trovo tra l’erba una bottiglietta di Estathè, la stappo e mentre sto per dirigermi verso la moto mi arriva un messaggio sul telefonino. Mollo tutto e con le mani tutte nere di carbone digito sull’apparecchio e leggo l’SMS. È Giulio che, pur volendo venire con noi, causa “pioggia”, ha preferito rimanere a casa e, saputo della nostra partenza solitaria, non potendoci raggiungere mi ha scritto in tre parole tutto il suo disappunto:

-“SEI UN CORNUTONE”.

Incasso la botta, prendo le chiavi della Guzzi e dal bauletto tiro fuori la “sucalora” che mi porto sempre dietro. Succhio il carburante, che a stomaco vuoto è davvero un piacere, riempio la bottiglia e mi catapulto da Pippo ch’era rimasto a fare il Guardiano del Fuoco (spento ovviamente).

-“Per accendere il fuoco, ci vuole strategia!” mi dice il saggio Pippo

-“Ora prendiamo lo Scottex, lo strappiamo, lo appallottoliamo, lo imbibiamo di Verde, sistemiamo le esche madide sotto il carbone, le accendiamo ed il gioco è fatto!”.

Dopo aver fatto a pezzi un rotolone di carta assorbente e pregustando il fascino della fiammata, ancor prima del sapore della salsiccia, esclamo:

-“Professore, qui è tutto pronto, puoi accendere!”

– “Dammi l’accendino ed ammira il falò!”

– “Pippo, ce l’hai tu l’accendino!”

– “No, l’hai preso tu!”

– “Io non ce l’ho!”

– “E dov’è? Cerca nelle tasche che la benzina si sta asciugando!”

Ho cercato nelle tasche, nei pantaloni, nel giubbotto, nelle mutande, nel bauletto della moto, per terra, vicino al fuoco, in mezzo all’erba…. dappertutto! Dopo un quarto d’ora, m’arrendo:

– “Ebbene sì, Pippo! ho perso l’accendino!”

– “Ed io ho perso la pazienza! staiu murennu ‘ra fami, ora mi mangiu u pani e a sosizza m’a portu ‘ncasa!”

– “Aspetta! Ora chiedo a questi ragazzi che stanno passando se hanno da accendere!”.

Erano quelli dei panini, che dopo esserseli sbafati tutti, allegramente satolli, se ne stavano tornando a casa. Ne placco uno e gli estorco un mini-mini-Bic, quegli odiosi accendini talmente piccoli che, uno come me, se non sta attento se lo succhia in gola con la prima sospirata di sigaretta. I batuffoli di Scottex erano ancora umidi, verso sul carbone quel po’ di benzina rimasta nella bottiglia e dò fuoco! La fiammata è stata IMMENSA! Con tutti i peli della mano arricciati dalla vampata, restituisco al ragazzo l’accendino e quello, preso lo strumento, rincorrendo gli amici che se ne stavano andando inizia a gridare:

-“Minchia picciotti! Avete visto che fiamma potente che ha questo BICCHE!”

La fiammata era stata potente, ma troppo veloce. La benzina stava per spegnersi e quel cornuto di carbone era appena appena bruciacchiato negli angoli.

Io e Pippo, stanchi, disperati ed affamati, nei vari tentativi di resuscitare un morto, ad un certo punto, ci siamo ritrovati inspiegabilmente sdraiati a pancia in giù, uno di fronte all’altro, con le facce infilate nel braciere, a soffiare, come due zampognari scemi, sopra i ciocchi di carbone che stavano per spegnersi. Soffio io, soffi tu, con le guance deformate alla Dizzie Gillespie, alziamo lo sguardo dal carbone e ci fissiamo per tre lunghissimi secondi negli occhi col fiato ancora in bocca. Scoppiamo a ridere! Una risata incontenibile, isterica, liberatoria.

A Pippo gli vengono i crampi alla pancia, a me una paresi sottonasale che mi blocca la bocca da orecchio a orecchio in un ghigno demente. Spunta anche qualche lacrima, ma non può essere solo colpa della fame!

Sono quasi le tre del pomeriggio ed i tafani e le vespe di campagna già pregustano un’abbuffata di carne di porco. Pippo si decide, si rimette il giubbotto, prende la moto e va’ in paese a comprare un’accendino nuovo. Io resto a contemplare il nero carbone pensando ad alta voce a ciò che la maestra mi aveva insegnato alle elementari:

-“La più grande conquista dell’uomo è stata il fuoco!”

-“Ma anche la più grande botta di culo!” aggiunge il saggio Pippo allontanandosi verso il Paese.

Passano pochi minuti e Pippo sconsolato ritorna a braccia aperte

-“E’ tutto chiuso, ninni putemu iri!” esclama da lontano!

-“Buttanazza d’a miseriaccia!” Gli faccio eco. E mentre comincio a fare l’appello di tutti i Santi e le Santissime del calendario afro-birmano, da lontano, lungo il sentiero sento alzarsi potente una canzone. Alzo lo sguardo cercando di capire chi fosse a cantare a squarciagola in mezzo al bosco, in una mal riuscita imitazione di Celentano la canzone che fa’:

“SI E’ SPENTO IL SOLE….. E CHI L’HA ACCESO SEI TU!!!!”

Era Pippo! Aveva ritrovato in mezzo all’erba verde, il mio schifiato accendino verde, dopo che ci aveva fatti diventare verdi anche a noi!

Capriole, salti di gioia, balletti Can-Can, fotografie per immortalare l’evento:
1) “Pippo che tiene in mano l’accendino”

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021_003

 

2) “Nicola che prende in braccio Pippo che tiene in mano l’accendino”

3) L’accendino che ha preso per il culo Nicola che prende in braccio Pippo che tiene in mano l’accendino”

4) “Nicola e Pippo che, con l’accendino in mano fanno al carbone il gesto dell’ombrello”

5) Nicola e Pippo che cercano di convincere la pattuglia dei Carabinieri di passaggio che va tutto bene!….Che è tutto ok! Che non siamo scappati dalla Neuro……

Prendo la bottiglietta, faccio di nuovo il pieno con la “sucalora” e questa volta il carbone s’accende, la salsiccia si cuoce, la pancetta frigge di grasso colante, il pane, un quartino a testa, non basta per la nostra fame e, come cannibali ci pappiamo quasi un chilo di carne a morsi. Lo scialo è stato immane. Ci appansiamo come due Buddha e scateniamo immantinente la furia degli “Elementi”!

Tolta la “terra” che ci sta ospitando in questo ameno boschetto, tolta l’acqua che ci siamo scolata tutta per spegnere il peperoncino della salsiccia, tolto il “fuoco” che ormai abbiamo domato e sfruttato, non ci resta che l’”ARIA”. Ma quanta…..aria! da ogni dove! da sopra ed anche da sotto!!!

-” Tanto…. che ce frega, siamo all’aperto!” E vaaiii col concertino per fiati senza orchestra, anche se, a dire la verità, saranno stati i fumi della birra a stomaco vuoto, da lontano qualche “SAALUUTE!!!!” m’è sembrato di sentirlo.

Sono le 16.30. Ci vuole un caffè. Raccattiamo il pattume. Raccogliamo le vettovaglie. Lasciamo quello str…o di carbone a bruciare fino a diventare cenere e ce ne andiamo in paese salutando il Bosco di Ficuzza. C’è una specie di festa che ci aspetta in piazza. Cavalli e Falchi Pellegrini abilmente ammaestrati stanno intrattenendo sul prato antistante la Reggia un centinaio di persone. Lo spettacolo è coinvolgente, un falco che in picchiata afferra al volo con gli artigli due “bolas” che il suo istruttore gli ha lanciato. I piccioni che svolazzano appena il falco decolla, le circonvoluzioni del rapace, cose che avevo visto soltanto nei documentari TV, tutto molto bello.

È tardi, dobbiamo tornare a casa, dopo il caffè ripartiamo, non prima di aver chiesto una foto ad una ragazza in gita, troppo stanchi per scegliere l’autoscatto.

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021_004

Il ritorno è stato più facile, senza perderci, abbiamo raggiunto Piana degli Albanesi ammirando la Valle dello Jato dalla sponda opposta.

Entrati in paese, seguiamo l’indicazione “Portella della Ginestra” e ci ritroviamo di nuovo in altura. Paesaggi mozzafiato si offrono al nostro sguardo, colori intensi sotto un tiepido sole che volge al tramonto, una leggera bruma che azzurra le valli e, sui costoni, le colline verdi di frumento e rosse di papaveri e malva. Ci fermiamo a Portella, foto e via di nuovo in moto.

AnimaGuzzista Due Guzzi a Ficuzza021_005

Ritorniamo allo svincolo di San Cipirrello che all’andata ci aveva “fottuto”, ma stavolta, passata la prova del fuoco, “un ‘nni futte cchiù ‘nnuddu!!!”. Ripercorriamo la Provinciale dei platani fino a Partinico. Sosta benzina e caffè e poi di nuovo Autostrada fino a Trapani. Quando arriviamo sono già passate le 19.00. Stanchi, ma soddisfatti ci salutiamo ripromettendoci che a Ficuzza ci dovremo tornare, magari con le mogli ed i figli. Prima di partire dico a Pippo:

“Professo’, ma tu, a Ficuzza, non hai detto che ci sei andato per la gita scolastica? E che cacchio di strada hai fatto col Pullman???”

“Non lo so!” – mi risponde – “non guidavo io!”

FINE

Trapani 17 Maggio 2002

Nicola Conforti e Pippo Lombardo

Sardegna

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Guzzisti… magnifica comunita’
di Mauro Iosca

 

Vi è mai accaduto di vedere all’improvviso, con la chiarezza di una bella mattina di sole, una verità, una risposta, una spiegazione logica ad un vostro desiderio mai contornato? Mi spiego meglio: è mai successo che un evento sebbene temporaneo e circoscritto, limitato di spazio e tempo, abbia anestetizzato completamente la vostra insoddisfazione latente e tutti i suoi “simpatizzanti”? Continuo: vi è capitato mai, in barba all’egoismo e alla ricerca di un ragionevole isolamento, di sentirvi parte, ingranaggio felice e giocondo di una democrazia viaggiante, mai celebrata ma assolutamente reale?

La mia prima volta con i Guzzisti

Un paio d’anni fa entrando in un negozio di Carate Brianza vengo colpito al cuore da una fetta di pandoro; d’accordo a Natale si usa, ma cosi? Cioè tempo zero sconosciuto avventore e al minuto due pandoro e spumante nelle mani, circondando insieme ad altri un “ponte” malfermo su cui dorme un Idroconvert? Scusate gente, sono nuovo dell’ambiente.
Epicentro del sistema Bruno e Tiziano che stanno direttamente proporzionali nella complementarità ad Andy Cup e signora, ma al tempo stesso massa gravitazionale del sistema “STORIA DELLA MOTO GUZZI”.
Tutti gli altri li rivedrò, costantemente nelle “Collezioni Estate-Inverno” di quei sabati qualunque, spesi con gioia nella noiosissima Brianza di Carate.
Viaggio o son desto?

Tiziano ci teneva molto e Bob da laggiù lo prendeva veramente sul serio, tanto sul serio da riuscire insieme ad organizzare la più bella vacanza in moto che io personalmente ricordi.
Gli ingredienti c’erano e tutti di prima qualità: in primis la meta, la Sardegna terra magica, che in una primavera per noi lombardi solo annunciata esplode di colori, sole e mare immaginati tutto l’inverno come ricordi di estati lontane.

La strada: chi non conosce le strade della Sardegna non conosce uno degli ormai pochi paradisi rimasti per il motociclista viaggiatore; qui badate non si parla di avventura estrema, ma di ore in sella inseguendo un abominio di curve dolci e veloci in un panorama di bellezza naturale infinita.

La sicurezza: volete mettere viaggiare con due meccanici al seguito, pronti e attrezzati a qualsiasi evenienza e volete mettere se quei meccanici si chiamano Bruno e Tiziano?
Il ritrovo è fissato a Carate davanti all’officina:

giovedì 25 Aprile 2002 primissimo pomeriggio: ci sono quasi tutti, compresi alcuni amici che per motivi diversi non verranno, altri addirittura ci scorteranno fino a Monza per poi salutarci, sono sicuro, con un pizzico di benevola invidia.

 

Prima sosta dell’allegro serpentone all’inizio della MI – GE , “ueh ueh bisogna aspettare il Bellotti che l’e’ de Milan el ve’ colla fidanzata la Michela”, infatti arriva e dai che si riparte. Il viaggio si fa materia ed i rettilinei di risaie uno dopo l’altro li archivi nel carniere dei ricordi: che bella la Padania quando te ne vai.
In fondo all’orizzonte sgranato nei contorni appare finalmente il segnale, la scritta che aspettavi, e che per tutti ha l’effetto di cento caffè: Serravalle.
E’ il Nino a cominciare, l’hanno visto tutti, e allora Roberto che certo non si tira indietro parte all’attacco e dietro tutto il gruppo.
Per quanto divertente non bisogna esagerare: in fondo siamo solo a Genova e gia’ qualche motoretta necessita di cure straordinarie. Niente di che; il solito record, infatti Marcello l’ingegnè ha bucato; il solito chiodo penserete voi; troppo facile: a fermare il pratico “sp” ci ha pensato una punta da trapano demolitore.
Prendiamo possesso della Nave e delle rispettive cabine (proprio impeccabile questa organizzazione “ma non è la bmw ? Curioso!”).
Nelle ore precedenti alla notte si parla tra noi, ci si rilassa, si ride e al mattino non più colleghi ma compagni.
La sveglia coincide con l’arrivo o quasi. A terra ci aspetta Bob con la Manu, da non credere: è venuto col “Fiorino” e si offre di trasportare tutti i bagagli, “ma siamo sicuri che non c’è dietro la bmw ?” Bob, leader assoluto, ha pensato itinerari, tappe, visite ed altre necessità; così da quel giorno assumerà il governo della comunità e ci accudirà per tutta la vacanza.

Sintesi delle giornate Sarde:
26.04
Arrivo a Porto Torres
Visita alle grotte di Nettuno
Alghero – Bosa (litoranea da non perdere)
Bosa – Macomer – Villacidro (quest’ultimo sara’ il punto dove rientreremo dopo ogni gita)

27.04
Visita al museo delle miniere di Montevecchio, Piscinas e le dune
Bugerru e Nubida (scogliere di un’inquietante bellezza)
Rientro a Villacidro passando da Vallermosa

28.04
Cagliari – San Priamo (Costa Rei)
Villa Simius – (rientrando sulla litoranea fino a Cagliari)

29.04
Visita al Nuraghe di Barumini (con tanto di guida)
Spiaggia del Poetto

30.04
Rientro direzione Olbia con pranzo-spettacolo direttamente sul mare di Budoni

Credete: non c’è modo più suggestivo per concludere un viaggio meraviglioso che una nave in partenza verso est, mentre sulla poppa ti struggi guardando lo schermo più maxi che c’è; dove il sole con cura si sta mettendo via…
Si dice che l’uomo ad una certa età ritorni bambino (ovviamente il seguente concetto non vale per le donne, per loro tema libero; pensate cosa vi pare), dicevo l’uomo, ma guardate che non è mica vero che il bambino che abbiamo dentro ritorna, il bambino non è mai andato via: come lo so? Semplice:

1° principio della termodinamica guzzista

Qualsiasi sia la moto la si trasforma
Qualche pezzo lo si crea
Qualcuno lo si distrugge
Ma se biella e pistone sono sgusciati sul banco, pieni d’olio come si conviene e voi tutti avete la camicia pulita, almeno in quattro infilerete le mani e palpando alesaggi senza capirci un’acca arriverete a sera.
Comportamento adulto? Sicuramente no! Ma guai se non si potesse…!

Sonetto del Notaio

Scrive l’integerrimo:

Noi abbiamo lasciato a casa la macchina fotografica.
E la cinepresa era troppo ingombrante.
Noi non riuscivamo a piegare.
Eravamo troppo scadenti.
Cavoli che ci fa uno che non sa fotografare, non sa riprendere, non sa piegare, su una moto, in Sardegna?
Eppure abbiamo fatto tutto questo che non sappiamo fare senza che ce ne fossimo accorti. Sembrava volassimo sulle ali di una magnifica nuvola, in un magnifico cielo turchino, dentro una magnifica favola.
Una piccola, infinitesimale, insignificante (per gli altri siigh! ), meravigliosa favola che ha il sapore di un altro tempo. Di un tempo in cui gli uomini sapevano essere amici, ciascuno aldila’ dei propri mezzi. Di un tempo in cui respiravi e sentivi l’odore del fieno. Di un tempo in cui guardavi il mare ed il vento ti sniffava dentro tutti i sapori del sale. Di un tempo in cui mangiavi il formaggio e la cipolla odoranti di campo sul pane appena sfornato dai forni di pietra. Di un tempo che ci lasciava ancora il tempo per essere umani. Non c’e’ stata differenza tra le cilindrate. Hanno aspettato anche noi!
C’era chi sfidava le leggi della fisica (e poco ci mancava che me la facessi addosso quando Mauro mi portò a comprare un pacchetto di sigarette!).
Chi ha sfidato le leggi della meccanica (eppure Roberto ha comunque salvato un pistone). Chi ha sfidato le leggi del tempo (ma che fusto comunque quella moto del Bruno!). Chi quelle dello spazio (vero Tiziano che la Sardegna si avvicina?).
Ma tutti siamo stati fratelli, amici, compagni di un’avventura fantastica a due passi da casa ma lontana nel tempo. Di un’avventura che per sei brevissimi giorni ci ha fatto rivivere echi di un passato che ogni giorno sembra sempre più lontano, finito, in disuso.
Ne abbiamo raccolte di foto! Le abbiamo staccate dall’album dei sogni, siamo stati capaci d’incollarle alla realtà ed ogni giorno vivranno al cadenzare sordo del nostro bicilindrico. E, per una volta, consentiteci una vittoria:
IN CULO ALLE GIAPPONESI!

Antonio Testa

JACQUES IFRAH

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AnimaGuzzista V11 Sport verde legnano AgostiGno Gilglio Vincenzo Crea

A cura di Goffredo Puccetti

 

Parigi, Aprile 2002

 

Immaginatevi una Guzzi Daytona RS. Ve la ricordate? Usci’ nel 1996; arrivava tardi ed era ormai anni luce lontana dalle piu’ leggere Honda, Suzuki e Ducati che si contendevano i favori degli smanettoni.

Con i suoi 225 chili e il suo interasse chilometrico, quella che era pur sempre la Guzzi sportiva piu’ potente, non riusci’ a fare breccia tra gli appassionati e rimase un prodotto elitario: alcune soluzioni tecniche poi, soprattutto per la ciclistica facevano storcere il naso ai puristi. Ora immaginatevi che cosa avrebbe potuto combinare in un campionato per bicilindriche, una Daytona da sogno, che non pesasse piu’ di 160 chili, con un interasse non piu’ lungo di 1450 mm, spinta da 142 cavalli erogati dal quattro valvole…

A dire il vero non c’e’ bisogno di farsi questa domanda perche’ una Daytona cosi’ esiste davvero e ve lo diciamo noi cosa ha fatto:

ha vinto il campionato francese Protwin nel 1999!!!

 

Questa la classifica finale di quel campionato:

 

FRANCE PROTWIN 1999

 

1- C. Charles-Antigues 127 pts (MOTO GUZZI, Moto Bel su base Daytona)

2- M. Amalric (Aprilia RSV, cazzo, ha stracciato la RSV!!!) 126 pts

3- M. Robert (Suzuki TL-R HA SVERNICIATO PURE QUESTA CHE C’HA ER MOTORONE!!) 99 pts

4- C. Schiavinato (Ducati) 53 pts

5- C. Loustalet (Yamaha TRX) 42 pts

6- T. Gallo (Ducati) 38 pts

7- F. Vidal (Ducati 916) 38 pts

8- P. Thomas (Honda VTR) 31 pts

9- A. Watkins (Ducati) 31 pts

10- D. Dalet (Ducati) 31 pts

 

Andiamo a fare quattro chiacchiere col suo creatore, Jacques Ifrah, titolare di Moto Bel’, Concessionario Guzzi di Levallois, periferia nord di Parigi, indiscusso riferimento per i Guzzisti dell’Ile de France dal 1979.

Monsieur Jacques Ifrah e’ una persona schietta e dai modi spicci.

Me ne ero accorto due settimane prima, quando ero andato a cambiare le gomme per la mia V11.

– Le gomme te le cambio, ma sappi che io al posteriore ti metto un 160, non un 170.

Era stato il suo esordio.

– Sul cerchio da 4,5 della V11 non ci va un 170 ma un 160. Ti caschera’ un po’ in curva fino ai 60 kmh, poi e’ tutta un’altra cosa.

Inutile dire che aveva perfettamente ragione. Adesso siamo all’interno del suo negozio, vero tempio dedicato alla Guzzi. Alle pareti selle, borse da serbatoio, una infinita’ di parti speciali artigianali. E la Daytona ProTwin che fa bella mostra di se’ in attesa di tornare a ruggire in pista. Iniziamo l’intervista. Alcuni Guzzisti si uniscono alla chiacchierata: a giudicare dalle loro risate trattenute a stento il mio francese deve avere su di loro lo stesso effetto del “noio volevan savuar’ di Toto’…

 

G: Dunque, Moto Bel: Concessionario Guzzi dal 1979.

J: Esatto.

G: Esclusivista?

J: Esclusivista: sempre e soltanto Guzzi!

G: Perche’?

J: Pardon?

G: Perche’ Guzzi e non un’altro marchio. Ce lo dica in tre parole.

J: Eh…Dunque…Ci posso pensare? Ci torniamo dopo su questa domanda?.

G: Ok, Moto Bel’ adesso e’ rinomata soprattutto per le vittorie di Christophe Artigues con la Daytona nel Campionato Protwin ma prima di questa vittoria, in cosa vi siete cimentati?

J: Siamo stati per decenni l’unico team Guzzi in molte manifestazioni, soprattutto Endurance, Bol d’Or, 24h di Le Mans, Spa ma anche Supermotard…

G: Supermotard Guzzi?

J: Si! Siamo stati Vicecampioni nell’85 eccola – e mi mostra la foto della sua creatura, animata dal piccolo 4v 750, opportiunamente riveduto e corretto – pesava solo 140 chili!

G: Veniamo alla sua creatura piu’ famosa. Un giornale ha scritto che l’unico pezzo che non ha toccato e’ il cardano.

J: E’ vero. Tutto il resto della moto e’ completamente rivisto. Il telaio e’ completamente nuovo, il motore e’ stato tagliato di 15 mm e…

G: Come, tagliato?

J: Si, lavorando sugli accoppiamenti tra carter cambio e motore, c’e’ ne e’ di roba da togliere. E poi ovviamente il monobraccio interamente in alluminio, completamente diverso da quello di serie, vede? il motore e’ perfettamente centrato e monto una gomma piu’ larga. L’interasse e’ di 1450 mm, il peso e’ di 162 chili e l’angolo di sterzo e’ di 22,5 gradi.

G: 22,5? E’ una soluzione abbastanza estrema..

J: Stiamo parlando di una moto che e’ tutta estrema. E’ fatta per andare bene in pista…

Ridacchia e io mi accorgo di aver fatto una precisazione idiota. Provo con un altra:

G: il motore e’ perfettamente centrato. Sulla moto di serie era spostato a destra. Una imposizione, si diceva, dettata dalla…

J: Ma per carita’ – sbotta confermandomi di aver fatto la seconda domanda idiota – non c’e’ nessun problema tecnico che impedisca di centrare quel motore. Certo, se si lascia un cambio fatto in un certo modo, insomma, se non si vogliono fare le cose, non si fanno. Se le si vuole fare bene, le si fa bene… se si pensa che tanto non importa, si fanno le cose cosi’ come vengono…

G: La Daytona Guzzilla della Dynotec ha lasciato molti senza fiato a Mandello.

J: Mmm si’, molto bella. – Jacques Ifrah ridacchia sotto i baffi – Conosco il preparatore. Comunque quando e’ venuto qui al Carole (Circuito parigino) e’ rimasta sempre dietro a Christophe. Ma di parecchio, eh! – poi, in un impeto di cavalleria, concede: – ma del resto noi conosciamo bene il circuito, sai, le traiettorie….

G: Partecipare a queste competizioni ha il suo costo. Chi l’aiuta?

J: Fino all’anno scorso Moto Guzzi France.

G: E quest’anno? Il campionato e’ iniziato la settimana scorsa a Magny Cours ma voi non c’eravate.

J: Quest’anno Moto Guzzi France ha ritirato il suo appoggio.

G: Perche’?

J: Mi hanno detto che l’ordine e’ venuto dall’Italia. La strategia a livello globale Guzzi e’ di non partecipare ne’ sostenere le competizioni.

G: Strategia folle secondo noi e secondo molti appassionati in tutto il mondo che non aspettano altro che un ritorno della Guzzi alle gare.

J: Effettivamente non la capisco come strategia: la Guzzi mi ha aiutato per due anni ma in cambio ha avuto un ritorno di immagine infinitamente piu’ grande di qualsiasi campagna pubblicitaria, ad un costo minore!

Guardo i ritagli di giornale che campeggiano sui muri: la sua Moto e’ effettivamente finita a piu’ riprese su tutta la stampa di settore, anche oltre confine.

G: Anima Guzzista sarebbe orgogliosa di sponsorizzarla ma le nostre finanze non ci permettono di andare oltre il berrettino. Bastera’?

J: Eh, non credo – ridacchia – quest’anno, se ce la facciamo, faremo due o tre gare, sui circuiti che ci piacciono di piu’ ma solo per divertirci, perche’ non sopporto l’idea di tenere la moto ferma una stagione; ma nulla di piu’.

G: Ok, lasciamo le gare per un attimo. E torniamo alla Guzzi. Perche’ Guzzi? sempre in tre parole, eh!

J: Uh, – sbuffa!- eh ma come si fa, dunque… spiegare la Guzzi a uno che non consce le Guzzi, intendi? In tre parole?

G: Si’, ad esempio?

J: Eeh..mmmm..O la la…La Guzzi… beh, Ci ritorniamo, proseguiamo!

G: Ok, il nostro sito si chiama Anima Guzzista. Ma davvero c’e’ una anima nelle Guzzi? Cosa hanno di speciale?

J: Ah, non lo so…e’ un fascino particolare, specialmente quest’architettura a v, questo motore che va messo a punto in un certo modo, ha il suo carattere, ci si puo’ lavorare su, insomma da’ soddisfazione, e’ una base ideale per un preparatore.

G: La storia della Voxan (recentemente fallita ed ora in mano ad una cordata di finanziatori svizzeri)insegna che la passione non basta, il mercato puo’ essere spietato. La Guzzi e’ stata sull’orlo del fallimento. Che cosa serve adesso per il rilancio?

J: Allargare la gamma, senza dubbio, subito, subito. Una moto piu’ piccola, agile.

G: Anche partendo dal piccolo 750 cosi’ com’e’?

J: Ma si’, ma si’! Rivisto pero’, non come e’ adesso. Ma piu’ che altro deve cambiare il processo col quale la casa madre segue lo sviluppo delle moto… Mi spiego, in tutte le moto del mondo ci sono difetti. Sempre. Vengono fuori su una prima serie, il cliente se ne accorge, il concessionario ripara in garanzia e segnala alla casa et voila’: la seconda serie non presenta il difetto.

G Non fa una grinza.

J: Eh, non fara’ una grinza ma in Guzzi non e’ mai accaduto!! C’era un particolare sbagliato su una moto? Beh ci potevi scommettere che sarebbe rimasto con quella moto fino all’ultima prodotta!! E poi le evoluzione dei gusti, del mercato, delle tecnologie… Noi avevamo l’impressione che la Fabbrica a Mandello fosse sotto una campana di vetro, separata dal mondo reale, dal mondo di chi le moto le deve far piacere e vendere…

G: Ha accennato all’importanza del contatto tra casa madre e concessionari e preparatori.

J: Guarda, io per tutti gli anni ’80 e anche piu’ in la’ sono andato tante volte a Mandello… piu’ volte l’anno per imparare, per parlare, per riferire dei commenti. Ma poi, tante volte si iniziavano delle discussioni interessanti ma come si fa? Ogni sei mesi c’era un nuovo manager a cui parlare?

G: E adesso?

J: E adesso non lo so. Speriamo. Aprilia e’ una ditta seria.

G: E’ cambiato qualcosa?

J: No, per adesso no. Cioe’, c’e’ stato un cambiamento con la V11, prima quindi dell’avvento Aprilia. Qualitativamente la V11 e’ stato un bel paso avanti rispetto ai modelli precedenti. Il cliente se ne accorge quando fa il tagliando e non ci sono sorprese, quando la puo’ utilizzare tranquillamente in citta’. Lo sa che in Francia abbiamo venduto piu’ V11 che California? Per la nuova gestione, per quanto riguarda Moto Guzzi France… E’ ancora tutto come prima. E’ ancora presto… Non credo che si siano ritrovati una ditta senza grossi problemi da risolvere..

G: Al salone della moto di Paris ho chiesto che venisse rimosso il coprisella di una V11 Le Mans per poterla provare con mia moglie. Non e’ stato possibile. Non avevano l’attrezzo specifico.

J: Ma quale attrezzo? E’ una brugola!!

G: Lo so anche io, ma questo e’ quanto mi e’ stato risposto. Ed ero un potenziale cliente al Salone della Moto.

Jacques Ifrah scuote la testa: “Non ci sono parole, vero?”

G: Mi dica secondo lei cosa NON deve fare Beggio.

J: L’Esprit de la Marque! (lo spirito del marchio. ndr) – qui Monsieur Ifrah si fa serio – quello non lo deve distruggere. Il marchio Guzzi e’ unico al mondo.

G: Beggio ha parlato di Superbike nel 2004…

J: Bene, benissimo. Oddio…Non so quanto sopravvivera’ la Superbike con questa formula, qui’ sta rapidamente perdendo interesse. Credo che le case si orienteranno su due categorie di gare principalmente: la neonata GPOne e poi l’Endurance e le derivate dalla serie.

G: Problemi di conflitti tra i due marchi, lei non li vede?

J: Ma dove? Guardi il mondiale Rally! Due case si contendono a denti stretti il primato e si fanno una guerra feroce, Citroen e Peugeot! Due team diversi, due responsabili corse diversi, tutti e due che rispondono allo stesso direttore generale del gruppo PSA!!! Dov’e’ il problema? Si fanno pubblicita’ a vicenda, altro che concorrenza. E poi, si potrebbe ad ogni modo evitare ogni problema puntando con Aprilia verso la GPOne e con il Marchio Guzzi verso l’endurance. E poi non serve necessariamente andare a ripescare formule dove si aveva un passato, eh..Pensi alla BMW. Cosa erano le enduro BMW prima delle imprese alla Paris-Dakar?..

G: Per le gare serve un nuovo motore. Cosa sa del VA10?

J: Niente. Ho chiesto un paio di volte in fabbrica ma non ne so davvero molto. So quello che sai te, quello che hanno scritto.

G: Il quattro valvole e’ andato in pensione. Rimpianti?

J: UEh beh, si’: ci si poteva tranquillamente tirare fuori altri 10, 15, forse 20 cavalli su strada.

G: Mi avete dato un ottimo consiglio suggerendomi il cambio del pneumatico posteriore. Quali altre modifiche consigliate?

J: Dipende dal modello e da cosa si cerca e anche da quanto si vuole spendere. Ci sono diverse modifiche per i diversi modelli e motori. Noi realizziamo artigianalmente parti speciali di ogni tipo: dai cambi alleggeriti agli alberi a cammes, alle valvole, bielle. Tutto. Per esempio per la Centauro ho creato io degli scarichi omologati, degni di quel motore.

G: Quelli di serie non andavano bene?

J: Ma per carita’!

G: Ci descriva la sua Guzzi ideale, non necessariamente pensata per avere un mercato…

J: Ah, se fossi libero da ogni logica di mercato… Dunque, a me piacciono le roadster… Quindi io vorrei una nuda con manubrio alto, posizione estrema come il Centauro, come parte ciclistica e look prenderei la V11, e poi il motore, il quattro valvole preparato, s’intende.

G: Un preparatore tedesco ha montato il motore della Daytona sulla V11.

J: Anche io sono in procinto di farlo, ma insieme ad altre cose… e’ tanto che non sperimento cose nuove… Magari… Torni a trovarmi fra qualche mese, ok?

 

E’ tempo di salutare Monsieur Ifrah e di augurargli in bocca al lupo per le gare cui riuscira’ a far partecipare la sua moto quest’anno. Mentre torno verso casa penso a quanto le sue parole assomigliassero a parole gia’ dette, da anni, da tanti appassionati preparatori… L’immobilismo di Mamma Guzzi, l’assenza di strategie e investimenti a lungo termine, la miopia nel riconoscere l’immenso patrimonio di immagine sportiva contenuto nel marchio. Penso all’occasione storica che si presenta a Beggio per riportare questo marchio al posto che gli spetta… Quando arrivo a casa mi viene anche in mente che Jacques Ifrah non mi ha poi piu’ spiegato la sua passione in tre parole. E forse e’ giusto cosi’: la passione per la Moto Guzzi la si vive. Ma come cavolo si fa a spiegarla?

 

G.

Motogiro 1° tappa

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immagine-racconto

il racconto secondo Luca Formenti

 

Mentre scrivo queste poche impressioni la pioggia si fa sentire ancora: presenza inquietante e insistente della prima tappa del Motogiro Guzzi 2002.

 

Lascio gli impegni universitari alle 11.40, mi fiondo a casa, mi vesto e metto nello zaino la tuta antipioggia: a Cinisello non pioveva e la fretta di arrivare a Mandello in orario era proprio tanta, per cui non la indosso.

Arrivato a Mandello già bello bagnato (forse era meglio mettersi subito la tuta antipioggia?!) lascio timidamente la moto nel parcheggio esterno allo stabilimento.

Mentre si partiva l’intensità della pioggia era aumentata parecchio, quando una mezz’ora prima si poteva parlare quasi di pioviggine: come si suol dire, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede parecchio bene.

Per i primi km chiudo il gruppo e ho alle spalle la Volvo bianca di Flavio, agghindata con delle bandierine Moto Guzzi. La colonna di moto fa uno strano effetto, in condizioni meteo così poco motociclistiche. A me fa un piacere enorme già il fatto di essere in un gruppo di sole Moto Guzzi; a ciò si aggiunge lo scopo del viaggio, per cui sto al settimo cielo.

Entriamo in autostrada e ricomincia ben presto a piovere: ma il peggio doveva ancora arrivare. Passiamo l’uscita di Novara est, leggendo a fatica il cartello, e poi passiamo quella di Novara Ovest, con un cartello ancora più nascosto dal muro d’acqua. Dopodichè accade l’incredibile: acqua a secchi! Avete presente gli autolavaggi? Quando l’acqua arriva da sopra, da sotto, destra e sinistra e non riuscite a vedere a più di un metro davanti a voi? UGUALE !!!

Si procedeva a 120- 130 km/h tenendo d’occhio le piccole luci posteriori delle auto che ci precedevano e grazie alla quali l’acqua ci investiva anche da sotto, alzata dalle loro ruote. Io cerco di nascondermi dietro al cupolino fumè del mio 1100 sport, ma è tutto inutile: la visiera resta comunque coperta d’acqua e il cupolino annegato nella pioggia mi copre due volte la visuale. Procedo con enorme attenzione alle condizioni dell’asfalto: con le gomme che mi ritrovo, una pozzanghera un po’ più profonda del solito presa a 120 km/h potrebbe mandarmi a gambe all’aria in un secondo; in effetti la EVO anteriore e il GTS posteriore hanno una scolpitura poco profonda, quindi l’aquaplaning interviene piuttosto facilmente. Un momento di brivido mi pervade la schiena: la moto che mi precede comincia a sbandare vistosamente, spostandosi dentro la corsia di mezzo metro. Il pilota riesce poi a riprendere la traiettoria, ma inizia a procedere più piano. Il conducente non si spiega quello che è successo, considerato che il vento, la pioggia e la velocità a cui si andava non erano così forti. Forse quindi la sbandata è stata causata da una imperfezione dell’asfalto.

All’uscita ho una nuova piccola soddisfazione quando il cameraman del motogiro mi riprende mentre pago il casellante: lo prendo come il riconoscimento per essere arrivato fin lì.

Ci immettiamo sulla SS10: le poche curve che incontriamo mi danno la possibilità di usare una buona parte del battistrada delle gomme, e di osservare con quale facilità il Le Mans scende in piega. Questa nuova versione del V11 riesce ad amalgamare bene sia le necessità turistiche che sportive di chi sceglie l’aquila di Mandello: Alberto riusciva a zigzagare in rettilineo con elevata scioltezza, mantenendo comunque un’ottima stabilità nei curvoni da 3° piena. Il mio trattore non mi stupisce per quanto riguarda la saldezza dell’avantreno né l’agilità (poca) della ciclistica: ciò che mi resterà in mente sono le Pirelli. Sull’asfalto poco bagnato riescono ad avere un’aderenza fantastica, trasmettono una elevata confidenza anche in frenata e perdono presa solo nelle accelerate in prima marcia date senza un minimo di “gentilezza”.

Finalmente arriviamo a Torino: Dolza ci accoglie con tè caldo e pasticcini: aspettiamo la partenza della seconda tappa, facciamo qualche foto di rito e poi ci rimettiamo in sella. Al ritorno siamo in due, accompagnati dalla Volvo di Flavio con a bordo Alberto e Giancarlo. Al casello di entrata Alberto mi dà un’importante missione: portare il rullino a sviluppare da Brambillasca. Caricato da questo onere-onore, saluto l’altro motociclista e parto ad andatura allegra alla volta di Milano: riesco a tenere questo ritmo perché non piove; schiacciato sul serbatoio mi gusto il rumore d’aspirazione della scatola filtro: un invito ad aprire di più! Peccato che alla tuta antipioggia si sono aggiunti dei copristivali e il tutto mi fa sentire una vela del Moro di Venezia. A 60 km ritorna “l’amica” del viaggio d’andata. Oddio, niente di particolare rispetto a prima, infatti non ho calato molto il ritmo. Invece arrivato al tratto milanese della A4 e passato il casello, incontro il secondo autolavaggio della giornata: quantomeno andavo piano, zigzagando in mezzo alla fila di macchine. Ad un certo punto vedo sulla destra un motociclista che spinge una moto antica e non italiana visto che aveva anche la targa sul parafango anteriore: chiaramente è in panne. Mi butto dalla sua parte, su un pezzo dell’autostrada che doveva corrispondere alla corsia d’emergenza e a quella dei camion, ma che in quel momento è quasi una piscina: una grossa pozzanghera, con una profondità d’acqua di almeno 30 cm. Le ruote andavano così tanto a fondo che i miei piedi erano letteralmente immersi e la ruota anteriore alzava un muro d’acqua a 180 gradi: non solo a destra e a sinistra, ma anche davanti al cupolino e sulla mia visiera, praticamente mi stavo buttando secchiate di pioggia in faccia!! Appena mi sono reso conto di dove mi trovavo, ho tirato un poco la frizione e aperto il gas: se il motore si spegneva ero fottuto. Ne sono uscito in pochi attimi, che però mi sembravano un’eternità. Passato il laghetto, non mi sono fermato a soccorrere quell’altro, perché mi sarei dovuto immergere a piedi là dentro,e io purtroppo non sono un buon nuotatore. Poco dopo sorpasso e saluto i tre motociclisti in sardomobile e mi dirigo a Cinisello. Fermatomi davanti al negozio mi tolgo i copristivali, li giro e stranamente escono un paio di litri d’acqua: ma come, con quelle quattro gocce che ho preso??!! Dopo pochi minuti vedo arrivare gli altri guzzisti e li saluto al volo, per buttarmi il più velocemente possibile sotto una doccia bollente. E’ stata una giornata storica, sia per la Moto Guzzi che per me e la mia Moto Guzzi.

Mi auguro che la Moto Guzzi ripeta al più presto un’iniziativa simile.

Luca Formenti

IL FALCONE

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AnimaGuzzista Racconti Il Falcone Stefano Annino

di Stefano Annino

 

Correva l’anno 1980 ed il non ancora capitone ma sicuramente tormentone,

possedeva un magnifico Falcone tutto rosso, tutto accessoriato tipo police (cupolone “rotondo”, paragambe avanti e dietro, borse metalliche laterali. Mancava solo la sirena e il lampeggiante), rigorosamente “fatto in casa”, nel vero senso della parola.

Abitavo al pian terreno di un fatiscente appartamento in Via del’Origine a Livorno ed “ospitai” il Falcone nella camera degli ospiti per tutto l’inverno, smontando ogni sua sovrastruttura e ripittando/lucidando/leccando tutto.

La gatta che, per bontà sua mi sopportava, ancora senza nome e molto timorosa, che prima si nascondeva sotto il letto e sotto il comodino, quando lo vide entrare s’affaccio’ e stranamente un sorriso da gatta illumino’ il suo viso, si avvicino e con un salto degno di una gatta si accovaccio’ sulla sella del Falcone.

Fu lì che si fece, per la prima volta, accarezzare.

La chiamai “Guzzi”.

L’inverno trascorse lento lento, quell’anno a Livorno fece pure la neve (tanta) e il Falcone in letargo, giorno dopo giorno splendeva sempre di più e sempre più intensamente. Bello, rosso, tutto rosso, telaio, serbatoio, cupolone, tutto.

Ebbi un problema per riportarlo in strada….non passava dalla porta!

Smontai la porta di casa e pure quella dell’ingresso condominiale. I condomini, convenuti tutti sul pianerottolo esclamarono in coro “…Dhè!…Budeello de tu’ Mà!” Ma tutti mi aiutarono a portarlo in strada. Poi, TUTTI, vollero farci un girello per il porto vecchio.

Girare per le stradine di Livorno nel quartiere chiamato “Venezia” con la suocera del “bullo” del palazzo, in pantofole, calzettoni di lana pesante rigorosamente corti e mantellina fatta all’uncinetto sulle spalle che, per non cadere, sagrappo’ ai coglioni un paio di volte, fu entusiasmante!

E venne l’estate.

E venne la licenza.

E si decise di andare in Sardegna. La donna (inglesina tutto pepe che tifava Triumph) mi disse, in perfetto italiano imparato in meno di un mese..”dove mettiamo tutte queste cose utilissime per le nostre vacanze….visto che nelle borse hai voluto mettere tutta l’officina e i ricambi della moto???”….”e la tenda?….e i sacchi a pelo?….e il vestito da sera?….e le scarpe coi tacchi a punta?…e la coperta?…e le pinne?…e la maschera con il fucile, quello corto, non lungo?….e il …..?…..e il ….?…e il…..?”……dimenticavo! e il….??”.

Tragedia!

Le vacanze in Sardegna stavano per iniziare male! Molto male!

Nessuna intenzione né da parte mia a rinunciare ai preziosi ricambi della moto, né da parte sua a rinunciare a una tonnellata di monnezza inutile. Per un attimo pensai….”mo’ la scarico qua’ e in Sardegna ci va passando da …Ffanculo (ridente cittadina ricca di inglesine rompi palle).

Poi, idea!

Che idea!

La GROSSA valigia marrone e di cartone che avevo usato qualche anno prima quando salutai mamma’ piangente alla stazione!!

Detto, fatto!

In un nanosecondo tutta la monnezza utilissima per le vacanze venne con cura ed affetto travasata (‘n do cojo cojo) dentro la MIRACOLOSA valigia ENORME valigia di cartone marrone.

In un attimo era legata sul portapacchi del Falcone!

In un attimo, sopra l’ENORME valigia marrone di cartone vennero legati, in ordine di scuderia…la tenda, i sacchi a pelo, la coperta, il fucile a molla (quello lungo….tanto c’era posto!).

In tre mi aiutarono a scendere dal cavalletto!

Tutto il palazzo era alle finestre!

Il macellaio di fronte uscì dal negozio con un paio di salsicce omaggio esclamando “Dhè…Boja dhè!

L’inglesina si sentiva la “Regina” di Livorno e salutava commossa per così tanto interesse.

Io, mi vergognavo come un biemmevuista!

Ero più rosso del Falcone!

Ero felice di NON aver comprato l’inutile bauletto!

Pensai…”ora si parte!….forse!!”

E partimmo alla volta del traghetto.

Fu una bella “avventura”….senza baule, ma con una GROSSA valigia marrone di cartone sul groppone!

Il Falcone?….Nemmeno un lamento……

E’ Natale, non comprate Bauli, ma solo Panettoni!!

L.L.

Stè.

Anima Guzzista at the ACE!

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Dal nostro inviato poco speciale a Londra
di Goffredo Puccetti

23-12-01

N.B. Le foto in bianco e nero provengono dal sito www.ace-cafe-london.com
Quando si passa un fine settimana a Londra, decidere quali posti visitare – e quali per forza di cose tralasciare – diventa un vero problema:

La National Gallery o il British Museum? i mercatini di Cadmen Town o i negozi di Covent Garden? La Torre di Londra o Hampton Court? Saliamo sulla Ruota o facciamo la gita lungo il Tamigi?

La capitale Inglese offre talmente tante attrazioni che il visitatore ne resta sconcertato.
Tutto questo, s’intende, a meno che il visitatore non sia un motociclista.
Perché in quel caso, per lui Londra altro non è che un anonimo insieme di case sistemate intorno ad uno dei più famosi punti di ritrovo di motociclisti del mondo:

il mitico ACE CAFE’!

Sapete tutti di cosa parlo, vero? Per i più distratti, un pò di storia:
L’Ace Café venne costruito nel 1938 come tavola calda lungo un’uscita della tangenziale nord di Londra.
La vicinanza alla nuova – e veloce – strada e il fatto che fosse aperto no-stop 24 ore al giorno, fece si che ben presto alla tradizionale clientela di trasportatori si affiancassero i primi motociclisti.

In breve tempo divenne il posto ideale per incontrare altri appassionati di moto, per organizzare gare o anche solo per riparare la propria motocicletta sul piazzale; oltre che ovviamente per un panino o un thè.

Durante la Seconda Guerra Mondiale l’edificio venne seriamente danneggiato e fu ricostruito nel 1949.

Nel dopoguerra inizia il periodo d’oro dell’Ace Café: l’industria britannica della motocicletta era ai suoi massimi e una nuova musica, il Rock ‘n’Roll, ne era la sua colonna sonora. Spesso censurato alla BBC, il rock’n’roll veniva suonato nei Juke Box dei bar, ed il Juke Box piu’ caldo di Londra era quello dell’Ace.

Da questa esplosiva miscela di moto e rock nascevano le leggendarie corse che partivano dall’Ace votate al motto “Drop the coin right into the slot”: metti la monetina nel Juke Box e parti in moto fino ad un dato punto e ritorno, prima che la canzone finisca.

E le moto in questione erano Triton, BSA, Norton e Triumph debitamente pompate: erano le cafè racer!

L’Ace Café divenne il trampolino di lancio di moltissime band e clubs inglesi: nomi come Ton Up, Teddy Boys e Rockers nacquero allora, intorno al Juke Box dell’Ace Cafè; nel frattempo la stampa ovviamente incominciava a dipingere l’Ace come uno dei posti che la gente per bene non avrebbe dovuto frequentare.

Tra i vari Club nati intorno all’Ace, il piu’ famoso è senz’altro il 59 Club, nato dall’iniziativa di Padre Bill Shergold, un prete alquanto anticonformista (e motociclista incallito!).

Il 59 è ancora oggi il più grande club di motociclisti al mondo.

Verso la fine degli anni ’60, i cambiamenti sociali, lo sviluppo del mercato dell’auto, la crisi dell’industria motociclistica Britannica e la rapida espansione della rete autostradale intorno a Londra, segnarono la fine dell’Ace Cafè.
Nel 1969 l’ultimo “egg & chips” venne servito. L’Ace Cafè chiuse i battenti.

L’edificio venne in seguito di nuovo utilizzato come bar-ristorante, poi come stazione di servizio, ufficio di bookmakers e infine deposito di pneumatici.

Per oltre vent’anni, la leggenda dell’Ace Cafè rimase solo nelle menti di coloro che vissero quegli anni e di coloro che avrebbero voluto ma che erano troppo giovani.

Questo fino al 1993 quando Mark Wilsmore, un Rocker stufo di sentir parlare sempre e solo del passato dell’Ace, decide di organizzare qualcosa per ricordare i venticinque anni dalla chiusura.

Aiutato dalla moglie Linda, organizza per il 4 Settembre 1994 un raduno destinato a diventare storico: circa 12000 motociclisti si presentano all’appuntamento.

Il piazzale di fronte all’ Ace (all’epoca, negozio di pneumatici) non ne può contenere che una minima parte: le moto intasano la North Circular e tutto il quartiere; la rilevanza dell’evento è enorme. Ne viene fatto persino un film.
Da quell’esperienza Mark e Linda traggono l’entusiasmo per imbarcarsi nella loro avventura. D’ora in poi il loro obiettivo non sarà il raduno annuale ma la RIAPERTURA dell’Ace Café, dov’era e com’era! Per finanziarsi nasce l’Ace Café Club.

Il raduno annuale, l’Ace Day, si ingrandisce e si trasferisce al mare, a Brighton.

Come tutti i raduni che si rispettino, la meta conta quanto il viaggio: la tradizionale “Ride with Rockers” da Londra (Epsom) a Brighton, ricalca le strade che le bande di Rockers – in moto – e Mods – su Vespe e Lambrette – percorrevano nei weekend.

Non è molto diversa dalle tradizionali parate che accompagnano molti raduni solo che la velocita’ media è di 180 all’ora! I motociclisti che arrivano dall’Europa continentale si organizzano e, facendo tappe in luoghi prestabiliti in Germania, Belgio e Francia, danno vita alla Continental Run.

L’idea di Mark e Linda continua a riscuotere successo.

Sul luogo che fu dell’Ace, per quattro anni ogni week-end una roulotte vende hot dog, caffe e the.

Tanto basta per finanziarsi e per far tornare le moto verso Stonebridge.

Niente sembra poter fermare Mark e Linda: quando tre anni fa un alluvione devasta l’area intorno all’Ace, per Mark e Linda si tratta solo di cambiare temporanemante lo storico motto: non più “ride with Rockers” ma “Surf with the Rockers”.
Ogni anno il numero degli iscritti al Club cresce, e rinasce l’interesse verso le moto nude e veloci, le Cafè Racers (indovinate un po’ da dove arriva il nome) e ogni anno l’Ace Day diventa più imponente.

Finalmente Mark e Linda possono procedere all’acquisto dell’immobile e arriviamo così a quest’anno quando 45.000 (leggasi: q u a r a n t a c i n q u e m i l a ) motociclisti hanno salutato a settembre l’avvenuta riapertura dell’Ace Cafè London sulla North Circular tra Hanger Lane e Stonebridge.

Ecco, questa, in pillole la storia.
Immaginatevi dunque che emozione ritrovarsi domenica scorsa di fronte all’Ace.
Avevo ovviamente saltato il raduno quest’anno – per via di un certo impegno a Mandello! – ma avevo visto le foto sul sito ( www.ace-cafe-london.com) e non vedevo l’ora di rivedere quel magico posto. Quando arrivo – su Ford Ka, vergogna – nonostante la temperatura sia intorno allo zero, ci sono già almeno una trentina di motociclette sul piazzale. Nelle domeniche di primavera e estate, se ne contano a centinaia.

 

Io e Francesca siamo già in estasi di fronte alla vista dell’Ace tutto restaurato. Mio fratello e mia madre, passeggeri inconsapevoli costretti ad una deviazione fuori programma, si domandano cosa ci sia di speciale in un parcheggio e in un bar.

Mark e Linda Wilsmore hanno davvero di che essere orgogliosi: il rinato Ace Café è splendido. La roulotte che serviva the e caffé è ormai solo un ricordo; adesso un bancone chilometrico fa da cornice ad un ampia e accogliente sala dove trovano posto numerosi tavoli, in perfetto stile anni 60, e un palco per le band che animano le serate dell’Ace.

Alle pareti, foto e ritagli di giornali degli anni 50 e 60 che ci riportano alla memoria quell’epoca fatta non solo di moto e rock ma anche di tensioni sociali e scontri tra bande e polizia.
In un angolo, una vetrina accoglie magliette, libri, toppe e spille marcate Ace Café London.
Trovo Linda che fa colazione. Del resto cosa fareste voi, la domenica mattina, se foste i proprietari dell’Ace Café? Fareste colazione all’Ace Café, no?

Le avevo mandato un’email anticipandole che sarei passato a trovarli per rinnovare la mia tessera e per portarle come regalo di Natale, la maglietta di Anima Guzzista.

E sì perché le Guzzi hanno moltissimi estimatori all’Ace; uno di loro, John, è qui con la sua Le Mans 1000: la foto è d’obbligo e iniziamo a chiacchierare su pregi e difetti delle nostre adorate. John è soddisfatto della sua 1000 ma mi confessa che vorrebbe mettere le mani su una LM850.

 

Nel frattempo Mark ha sottratto il regalo che avevo consegnato a Linda e si presenta un minuto dopo nella sua tradizionale “divisa” da Rocker, solo che sotto l’immancabile chiodo stavolta porta una maglietta con scritto: Anima Guzzista!

Io sono sul punto di soccombere all’equivalente motociclistico della Sindrome di Stendhal per fortuna che avevo lasciato la macchina fotografica a Francesca che continua a scattare foto mentre io tento di balbettare qualcosa di intellegibile…

Mark, dopo un minuto di assenza, si ripresenta con indosso la maglietta di Anima Guzzista!!

Emozione!!!

Una fiammante Harley V-Rod parcheggiata fuori attira molte attenzioni; solo che fuori fa un freddo cane quindi Mark decide di portarla dentro! Semplice, no?

Con l’Harley tranquillamente parcheggiata tra i tavoli, la conversazione riprende.

Scambiamo i nostri pareri con alcuni harleyisti che non riescono a nascondere le loro perplessità sull’ultima creatura di Milwakee, Mark butta benzina sul fuoco: “Bella è bella, però ci vedrei bene sopra Sigourney Weaver. Hai presente Alien?? Che ne dici?”

Fuori fa freddo?

Qual’è il problema?

All’ACE si parcheggia dentro!!!
Intanto la maglietta di Anima Guzzista (e il mio accento) attirano attenzioni quasi quanto la Harley.

Ho la conferma di quanto sia tuttora forte il blasone Guzzi.

Mark mi chiede se per caso non faccio parte di quel club italiano che gli ha mandato la tessera ad honorem qualche tempo fa. Gliene arrivano un po’ da tutto il mondo.

Gli spiego che Anima Guzzista non è un Club: se mai un giorno lo dovesse diventare, la tessera ad honorem non gliela toglie nessuno!
Finiamo immancabilmente a parlare di “vere” moto, del motociclismo inteso non come mezzo di trasporto ma come passione, stile di vita;

Mark mi espone in sintesi la sua filosofia che riassume in un drastico e sublime “l’importante è andare veloci..”; parliamo di Guzzi, di Triumph, di TT e dei progetti futuri dell’Ace visto che l’infaticabile Linda ha ancora piani ambiziosi da realizzare: al piano superiore dovrà trovare spazio il negozio di giubbotti e accessori per motociclisti.

Mark e Linda hanno riaperto il locale dove sono nate le Cafè Racer.

La storia ricomincia…

A malincuore dopo neanche un’ora, è già tempo di salutarci e scambiarsi gli auguri.
Saluto Mark e Linda con la promessa di risentirci presto, magari in occasione del raduno a Brighton o al prossimo “Italian Day at the Ace”, l’appuntamento annuale per i possessori di moto italiane.

Che ne dite, si va?
Come on guzzisti! See you at the Ace!

G.
Anima Guzzista on Tour

Mandello 2001

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di Fange

 

VENERDI: IL VIAGGIO ROMA-MANDELLO DEL LARIO.

Alle 8.30 in punto ci vediamo io, Alme, Gianni e Massimone. L’appuntamento è sull’Aurelia al bivio di Fregene presso Roma.

Nello, Jackalone e Er Sentenza c’aspettano già sull’autostrada Roma-Civitavecchia.

Sistemati gingilli e gingilletti ci mettiamo in marcia e ci uniamo agli altri sull’autostrada.

Il gruppo è composto da:

2 Cali 2, 1 SP1000, 1 1100 Sport Corsa 99/200, un V11 verde e un V11 Grigio in mano Ar Sentenza (purtroppo! :-D).

L’autostrada fila via in un attimo e ci ritroviamo dopo Civitavecchia. Siamo fermi perchè Alme ha sentito un forte colpo nella carena del 1100 Sport Corsa e sta controllando cosa può essere.

Intanto a Londra le case di scommesse danno la partecipazione di Alme al raduno Guzzi 100 a 1.

Alme non è mai riuscito ad andare a Mandello con la sua moto. Ogni volta la moto lo ha mollato la mattina stessa della partenza. La sera prima funzionava tutto e la mattina dopo puff, non funziona più una cippa. Una volta ha bruciato centralina, batteria e pompa della benzina tutto in una volta.

Che sfiga sto ragazzo!!

Dicevo del viaggio, ripartiamo senza che nessuno abbia capito cosa fosse quel colpo.

Arrivati a Grosseto sparisce er Sentenza. Evvai, pensavo io, se lo semo perso!!!!

E invece Massimone mi riporta all’ordine dicendomi che era il caso di tornare indietro a controllare.

Invertiamo la rotta e ti troviamo er Sentenza a bordo pista….ahem a bordo strada con la moto ferma.

“S’è fermata. Sta stronza!!!! PERCHE’ STA MOTO E’ PROPRIO ‘NA STRONZA!!!!!” urlava Er Sentenza.

Si ferma un giovine con uno scooterone e ci dice che è un guzzista e che se ce la facciamo a farla ripartire ci accompagna dal meccanico Guzzi di Grosseto. Tira fuori dal baulotto i cavetti per la batteria (da bravo guzzista, ha pensato a tutto!!!) e la moto riparte.

A Grosseto conosciamo il concessionario-officina Bellini e Bucci. Gentilissimi, ci accolgono e si dedicano solo a noi. Er sentenza spiega il problema ed è pronta la soluzione: i relè.

Mentre Bucci si mette all’opera mi faccio un giro per il concessionario, bello e ben tenuto.

C’è una ragazza molto graziosa e gentile alla cassa (la figlia di bellini) e alcune belle moto.

Chiaramente io da bravo guzzista ho prestato attenzione solo alle moto!!!

Dopo mezz’ora la moto è pronta, er sentenza paga e ce ne andiamo a raggiungere gli altri.

Non mi sembrava vero, solo mezz’ora persa, il problema risolto così facilmente, che l’avrebbe detto? Infatti come volevasi dimostrare, dopo cinque km Alme rompe il cuscinetto della ruota anteriore.

Ecco cos’era quel colpo di prima nella carena: un pezzo di cuscinetto che cominciava a rompersi.

Le quotazioni a Londra salgono a 300 a 1.

Alme chiama il carroattrezzi che riporterà la sua moto a Grosseto di nuovo da Bellini e Bucci e noi continuiamo il viaggio.

Livorno, La Spezia, la Cisa (bellissima col sole), Parma.

A Parma Alme ci avverte che il meccanico gli ha riparato il cuscinetto e che ci sta raggiungendo alla tranquilla andatura di 180-210 km/h.

Bè scusate, con uno Sport Corsa 99/200 questo e altro.

Arriviamo finalmente a Milano, in tangenziale traffico della madonna, il gruppo si divide perchè io sono ospite da Davide, un guzzista di quelli malati forte che ha in garage un V7 Sport, un 850 GT, un Le Mans 850 ed una Magni Sfida teste tonde esemplare unico che al più presto gli verrà sottratto da due malviventi su mia commissione.

C’è anche Goffredo che, come me, è ospite di Davide.

Saprò più tardi che Alme è giunto a Mandello “solo” 40 minuti dopo gli altri!!!

Ci sistemiamo, ci rassettiamo e siamo pronti per andare a cena a Fiumelatte, un paesino vicino Mandello del Lario.

E qui cominciano le risate

Davide decide di affidare a Goffredo la amatissima Magni sfida per recarsi alla cena.

Partiamo da casa di Davide inforcando io il mio fido cali II, Gof la Magni e Davide il suo Le Mans 850 leggerissimamente pompato (con i Monster 900 ci fa colazione e pure merenda!!)

Ma sulla strada la Magni si spegne. Poi riparte ma va ad uno.

Arriviamo lo stesso alla cena dove troviamo molti amici più alcune sorprese:

Bruno Scola e Filippo e Pina giunti dalla Sicilia in moto con altri due amici.

La cena scorre piacevolmente e dopo i saluti e i baci riprendiamo la strada di casa.

Sul lungolago la Magni muore completamente!!!

DISPERAZIONE!! Ore 1:30 di notte su una strada deserta fermi sul ciglio della strada.

Davide compone il numero del cellulare di Bruno Scola e……….come un fulmine a ciel sereno ecco che in cinque minuti netti si presenta il Bruno, a bordo della mitica V7 ex Polizia cubana (si dice fosse di Fidel in persona) .

Da una delle borse metalliche tira fuori una quantità di ricambi che mi ha fatto impallidire. Dopo poco la Magni è sotto i ferri del Dr. Scola.

Viste le espressioni disperate di Davide e di Bruno che “sente” la pressione del momento, decido di sdrammatizzare cominciando a dare a Bruno “consigli” e “ordini”.

L’atmosfera si rilassa e tutti scoppiamo in una bella risata.

Goffredo mi segue e pure lui si mette a dire cavolate (gli riesce sempre bene!).

E fu così che, dopo aver sdrammatizzato la situazione, per un quarto d’ora ho vissuto l’esperienza unica ed indimenticabile di passare le chiavi al Maestro Scola.

La Magni riparte e non poteva essere altrimenti visto le cure ricevute.

Il tragitto di ritorno è mooooolto piacevole visto che Bruno affronta le curve della superstrada Mi-LC a manetta e le sospensioni del vecchio V7 la fanno sembrare più un cavallo a dondolo che una moto.

Il luogo di destinazione è il tempio di Bruno dove la Magni dormirà per ricevere una revisione generale la mattina dopo.

Veramente esausti per la lunga giornata, rientriamo a casa di Davide dove un caldo e accogliente letto mi aspettava.

 

SABATO: UN SALUTO A SCOLA E POI AL RADUNO DI MANDELLO!!!

Ci svegliamo e facciamo colazione. Davide resta a casa perchè la Principessa Sofia (la sua dolce bambina) ha la febbre e ha bisogna di cure.

Io e Goffredo prendiamo il mio California e ci dirigiamo da Scola per ritirare la Magni.

Ma quando entro nella concessionaria di Bruno, mi assale un senso di esaltazione impressionante. Comincio a bombardare Scola di domande tecniche, lo costringo ad andare in magazzino per mostrarmi alcune parti speciali fatte realizzare da lui, come le testate con valvole 51/47 e le valvole lucidate.

Goffredo è impotente e deve assistere alla mia esaltazione finchè non sono sazio delle risposte di Bruno.

Come se non bastasse Bruno tira fuori una moto destinata ad andare al raduno che partecipò al Bol D’Or del 1976 e che lui stesso aveva preparato all’epoca.

La messa in moto nel piazzale davanti alla sua concessionaria è stata meglio di un concerto di musica house e tecno messi insieme. Da togliere il fiato!!!!

Nel frattempo la Magni era pronta grazie alle amorevoli cure di Tiziano, il meccanico che opera nel tempio di Scola e così io e Goffredo siamo pronti per recarci al megaraduno di Mandello del Lario, sede della nostra adorata Moto Guzzi.

Ci riuniamo agli altri amici che sono intervenuti da tutta Italia e ci facciamo un bel giro per il paese, letteralmente ricoperto di una miriade di Guzzi di tutti i tipi e in tutte le salse.

Non penso che le foto diano la minima idea di ciò che ci fosse per quelle strade.

Tra un giro e l’altro si è fatta ora di pranzo e ci dirigiamo tutti verso la casa di Ricky Scola dove c’è una bella griglia che è già pronta a sfamare le anime guzziste!

SABATO: IL PRANZO A CASA DI RICKY SCOLA.

Più che un pranzo è stata una vera festa. Difficile da raccontare. Meglio far parlare le foto. Diciamo solo che ad un certo punto il clima è diventato moooooolto allegro.

Sappiate solo che Pierpaolo (Pedro) e Piero con rispettive mogli si sono portati una Volvo carica di prodotti tipici dalla Sardegna, Cannonau compreso!!!!!

SABATO: LA VISITA ALLA FABBRICA.

Dopo aver smaltito i fumi del mangiare e del bere, in ordine sparso ci dirigiamo verso il piazzale davanti alla fabbrica.

Io e altri che non avevano visitato la fabbrica la mattina ci buttiamo nella mischia e dopo un pò di coda ci ritroviamo all’entrata dove si effettua l’iscrizione e dove si ricevono gli ambitissimi gadget. Chi non vorrebbe avere la maglietta Guzzi dell’ottantesimo anniversario?

La visita in fabbrica è stata bella, il percorso era obbligato ma faceva passare attraverso i reparti di produzione dove si potevano vedere le macchine utensili e ci si rende conto che qui le moto si fanno “pezzo per pezzo”.

Nei diversi edifici si vede la differenza tra gli impianti “vecchi” che lavorano da una vita, e quelli nuovi che sono tutti tirati a lucido e risplendono come neve al sole. Persino l’aria sembra più profumata.

Comunque le foto dovrebbero farvi capire meglio le mie parole.

Purtroppo per quel che mi riguarda non molto altro da dirvi. La cena organizzata da Alberto Sala (anche quella del venerdi) è stata fantastica con circa 60 persone tutti amici di Anima Guzzista.

E qui devo fare una confidenza. Non riesco a tenermelo dentro.

Io e Goffredo ci siamo fatti prendere dalla pigrizia e per sfuggire alla pioggia che in tutto questo racconto non ci ha mai mollato, prima di cena siamo andati a casa a posare le moto e a prendere la sardomobile di Davide.

Purtroppo questa macchia me la porterò dentro a lungo. Esistono addirittura le prove!!!

Devo dire che la scelta non è stata sbagliata visto che usciti dal ristorante l’acqua era tanta.

La domenica purtroppo quando mi sono svegliato pioveva che Dio la mandava. Sentiti gli altri del gruppo abbiamo deciso di partire per Roma senza tornare a Mandello visto che nelle nostre menti il raduno ormai era terminato.

Non potevamo aspettarci quello che sarebbe poi successo il pomeriggio:

siamo stati premiati per il terzo gruppo più numeroso d’Italia, per la Guzzi più giovane (Mark Pavia) e per il guzzista italiano giunto da più lontano (l’amico di Filippo e Pina).

Addirittura abbiamo sopravanzato il club di Bruno Scola giunto quinto.

Non me lo sarei mai aspettato. Inoltre L’Ing. Beggio si è fatto ritrarre con la nostra maglietta sul petto.

Evidentemente la nostra passione, a differenza di tanti altri gruppi più “interessati” è sincera e tangibile e chi di passione se ne intende “la sente”.

Grazie a tutti voi che avete reso possibile questo idillio.

Fange

La mia prima volta a Mandello

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di Piero Pintore
PROLOGO

Da sempre appassionato di moto (Guzzi! Ho appena comprato la terza), da qualche mese ho scoperto su Internet “Guzzisti.it” e, soprattutto, la lista “guzzistiliberi”. Gente completamente pazza e, quindi, simpaticissima. Quando sono andato a Roma mi hanno accolto come un Re. Ed in Sardegna ho conosciuto Pierpaolo (in arte: “Pedro”) con cui ci siamo visti più volte e con cui siamo indecisi se andare o no a Mandello per l’80° anniversario di mammaguzzi.

Lui c’è già stato e mi incoraggia. Da parte sua nicchia… la moglie non va in moto… i soliti problemi dei motociclisti attempati (come me e lui). Io sono indeciso

Ai primi di settembre (2001) parlo “casualmente” al telefono con Stefano (il fratello di Rita – California EV) del raduno di Mandello. Fremo dalla voglia di andarci ma… ” ecco…non sei mai a casa, non ti si vede mai, e per giunta, nei giorni di festa te ne vai in giro in moto…” mi sembra già di sentirle, queste parole…

Fanculo! Stefano non può prendere le ferie in quel periodo, niente da fare. Non ho nemmeno la scusa per dire: “…quasi quasi, visto che ci va anche Stefano… un saltino ce lo potrei fare…”

Quando chiudo il telefono, invece, Rita mi fa: “Fanno il raduno proprio il giorno del mio compleanno. Ci andiamo??”

“Glom!”, faccio io, incredulo, “come ‘ci andiamo’”?

“Con la moto!”, risponde lei, come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo. Beh, in effetti lo è, di solito, per gli altri. ‘Azz! e chi se l’immaginava? Sì, ogni tanto viene in moto con me, ma non siamo mai andati oltre la Corsica….

Nei giorni successivi lei comincia ad organizzare le cose: serve abbigliamento tecnico, bisogna sistemare la figlia per tre giorni, si informa sul programma….

E chi se l’aspettava??? ‘Sta donna non finirà mai di stupirmi!!!

Nel frattempo mi tengo aggiornato sui programmi del gruppo: sabato a pranzo grigliata organizzata dal Pinetti, sabato sera cena a Bellano organizzata da Alberto Sala (Hare!!)…

Convinco Pierpaolo a venire con la macchina, visto che la moglie di moto non ne vuole sapere. Ed in lista, tra sorrisi e lazzi, tutti gli accordano il “permesso speciale” per lasciare a casa il suo LeMans III (noto Giallobestia) elaborato da Ghezzi.

 

VENERDI’ 28 settembre 2001

Giornata splendida bel sole, temperatura da bagno al mare. I biglietti son fatti, la bambina va dalla compagnetta, io finalmente da stamani sono in ferie.

Ci siamo sentiti con Pierpaolo, arriveranno nel pomeriggio.

Nel frattempo vado da un amico grossista di alimentari, mi fa assaggiare alcuni formaggi. Scelgo il pecorino di Orgosolo, semi-stagionato, non male. Mi faccio preparare anche qualche chilo di salsicce semifresche, le arrostiremo alla grigliata.

Alle 17 circa arriva Pierpaolo. Io non conosco la moglie; Rita non conosce entrambi. Dopo qualche minuto il ghiaccio è rotto: le signore fraternizzano immediatamente su quello che hanno in comune: un marito pazz…. Ehm, motociclista. La birra è fresca, si sistemano le vettovaglie sulla macchina.

Pierpaolo si offre di caricare anche le borse ed il bauletto della moto ma con Rita rifiutiamo senza indugio: se viaggio in moto deve essere, viaggio in moto sia. Siamo attrezzati di Borsa da serbatoio, coppia di borse Givi (ma con marchio Guzzi) da 35 lt e bauletto da 50 lt.

Le vivande per la grigliata sono una cosa diversa, possono stare anche in macchina.

Ci imbarchiamo alle venti. La nave è bella ma sappiamo che la cucina non è granché. Quando Rita tira fuori i paninazzi (e le uova sode!) preparati nel pomeriggio, Pedro e Toia prima ridono, poi apprezzano. Tutto bene, a parte la birra che servono sulla nave: evapora troppo in fretta!

Verso le dieci giro per i negozi, breve sosta al piano bar e poi in discoteca. Musica soft, ballabile, da una coppia di musicanti niente male. Io sono rilassato e tranquillo, l’atmosfera è proprio bella, sto per andare in moto al Santuario…. andrei anche a fare un po’ di Karaoke, ma vengo stoppato dagli sguardi congiunti di Pedro e Rita: “lascia perdere, stattene buono (e zitto – ma questo è impossibile)”.

Si chiacchiera tanto (nel senso che Rita parla tanto) e si rafforza piacevolmente l’intesa.

Fine della giornata. KM percorsi: 1,2 (da casa al molo).

OK. Si va a nanna che siamo al traverso di Ajaccio.

 

SABATO 29 settembre 2001

In nave ci svegliamo presto: tempo uggioso, il cielo coperto minaccia pioggia.

Sbarchiamo appena possibile. Ho fretta, voglio passare l’Appennino prima che cominci a piovere. Nella fretta non ho nemmeno messo l’imbottitura al giubbotto.

Ci fermiamo al casello ad aspettare Pierpaolo, attardato con la macchina dal traffico. Lì al casello vediamo un gruppo di moto. Sono tutte Guzzi, è tutta gente che si è data appuntamento lì per andare a Mandello.

Arriva Pedro, infiliamo l’autostrada e comincia la salita. Strada umida, bauletto, borse e borsa da serbatoio sono pieni. In più io e Rita. Con il pieno, ad occhio e croce, 230-250 kg di carico. La Jackie sembra non accorgersene, anzi: non è la prima volta che ho la sensazione di maggior stabilità, con Rita in sella. Forse dovrò alleggerire la taratura degli ammortizzatori. Al casello abbiamo inaugurato l’interfono. All’inizio è una specie di tortura cinese: scariche continue veramente disturbanti.

Dopo qualche tentativo capiamo qual è il volume ottimale e che il cavo deve stare al riparo dal vento: le scariche diminuiscono di molto. A metà salita mi fermo per foderare il giubbotto: fa freddo e comincia a piovigginare. La pioggerellina intermittente ci accompagnerà per tutta la giornata. Nella salita verso Serravalle la moto va come sa fare lei, ma non tiro più di tanto (100-130) perché sennò mi perdo Pedro. Non che m’importi, ma… che diavolo! in macchina ci sono le salsicce ed il vino per la grigliata!!

Passato l’Appennino si arriva in Padania. L’autostrada è abbastanza sgombra, tengo agevolmente il passo di 130-150. Di più no, sennò rischio il divorzio. Ma va bene così. Ad una trentina di chilometri da Milano sosta e ristoro all’autogrill. Acquisto anche una carta da mettere sulla borsa del serbatoio. Faccio il pieno e si riparte. Sulla tangenziale comincia la noia. Potrei andare avanti ma sono con Pedro e devo tenere il passo delle auto. Prima e fermo Prima e fermo. Prima, secon… frena! E così via. Oltre un’ora per trentacinque KM! Ma come cacchio vive ‘sta gente? In fila per andare al lavoro, in fila per tornare, in coda per il supermarket, per il cinema, per andare in vacanza, per tornare dalle vacanze… Boh!!! Dalle mie parti in un’ora faccio almeno cento chilometri.

Piove, pioviggina, nebbiolina, no, foschia, no, smog… eccheccacchio!! Ma dov’è il sole???

Passata la tangenziale la Brianza. Una statale trafficatissima che sembra di stare in città. E, infatti, il passo è di 50 – 60 all’ora. Carate, Usmate, Velate, Vimercate, Cornate, Patate, Cazzate sul Serio, sfilano ininterrottamente, tutte uguali, tutte grigie… Tra Vergate sul Membro e Inculate da Tergo uno stronzo su una Renault sbuca improvvisamente da una stradina sulla destra e mi taglia la strada per voltare alla sua sinistra. Non ho ancora capito come ho fatto a fermarmi senza toccarlo. La voglia è di dargli una massaggiata….

Man mano che ci avviciniamo al Tempio aumentano progressivamente le Guzzi per la strada, che, in gruppi o isolate girovagano per quelle strade.

E’ tardi, quasi l’una e non siamo ancora a Lecco. Si cerca di accelerare, per quanto possibile. Finalmente il ponte sul lago e Lecco. Proseguiamo per Mandello e quando arriviamo al Santuario tentiamo di trovare gli altri. Dopo frenetici e ripetuti contatti telefonici riusciamo a capire dove andare.

Arriviamo in casa Scola, accolti all’ingresso da Alberto Sala (gentilissimo) che ci dà una mano a scaricare le vettovaglie. Entrati nella caverna ci troviamo in mezzo ad una cinquantina di persone. Riconosco e saluto Nello, Fange, Adriano Lazzarini, il Reverendo e GSZ. Mi presento a Stefano e Raffa, Anna Zulato, Goffredo, Pino, Mauro, Danio, Ettore ed altri, tra cui Ricky Scola. Detto fatto mettiamo al fuoco le salsicce, tagliamo il formaggio e Pedro apre un pacco di apprezzatissimo pane carasau. Abbiamo con noi anche una ventina di litrozzi di vino delle nostre parti, un po’ di mirto, e nessuno protesta. Pedro distribuisce il vinavil, io il formaggio. C’è una bellissima atmosfera allegra, tanto disordine alla “ognuno fa quello checazzoglipare”. Splendido.

Verso le 4 ringraziamo Pino, i padroni di casa e ci rechiamo al santuario.

L’approccio non è dei migliori. La fila per l’iscrizione è troppo lunga. Avrebbero potuto organizzare molti più punti di iscrizione. Ma il panorama è splendido. Centinaia di moto sul piazzale ed altre migliaia per il Paese. Le più strane, taroccate, trasformate, rifatte… Il massimo dell’abiezione??? un centauro con il sidecar!! Entriamo al museo, faccio qualche foto ma c’è troppa gente. Anche la fabbrica è invasa dalla gente… ma quanti siamo?? una miriade. Pedro si innamora del Furia di Ghezzi e non vuole andare più via. Sta già trattando per versare il Giallobestia, ma è indeciso. Lo portiamo via con l’ambulanza della neuro.

All’uscita piove, governo ladro!!!

Dobbiamo andare a Bellano ma decidiamo di farlo con la Volvo di Pedro e di lasciare la moto a Mandello. Al ritorno, si vedrà. GSZ ci ha prenotato un albergo a Carate (tra Cinghiate, Usmate e Velate) vicino a casa sua. Arriviamo in anticipo al ristorante.

Arrivano Filippo e Pina, con altri amici siculi, Vàltere, Orazio Lupis, Moltemarce, e tanti altri. Conosco finalmente Antonella Dessolis che ogni tanto si fa sentire in lista e sta per acquistare un T5. Cerco di fissare i volti di tante persone con cui da mesi chiacchiero e scherzo, ma non è facile. Siamo sparpagliati in vari tavoli. Io me ne impippo e comincio a girare per tavoli rompendo le palle a destra e sinistra.

Bella gente, ‘sti guzzistiliberi, ci sono persino dei milanesi simpatici.

E’ il massimo!!!

La cena è ottima, il Sala ha fatto un lavoro impeccabile, e di questo lo ringraziamo tutti. Durante la cena spariscono in un attimo tutte le magliette che Fange ha portato. Gran successo, anche quello!

Si esce. Continua a piovere (eccheccacchio!!). Aiutiamo Gsz a raddrizzare la pedana del tricheco essepì (Pedro, con nonchalance lo fa … a calci!) e, prima di partire, avverto il Reverendo che all’ingresso di Mandello ci dobbiamo fermare perché devo prendere la moto. Continueremo poi insieme per Carate.

Devo aver parlato in logudorese. Il Reverendo e GSZ partono sparati e non li vediamo più. Arrivati a Mandello decido di andare in moto da solo e lasciare Rita in macchina. Non è una decisione felice. La pressione delle gomme e gli ammortizzatori sono tarati per il doppio carico e, su quel fondo, la moto saltella. La pioggia è battente, la strada viscida ed io non sono abituato a portare la moto in queste condizioni. Ma tu guarda in che razza di posti vive la gente!!

DA NOI NON PIOVE, QUANDO SI DEVE ANDARE IN MOTO, PERDINCI !!!

Nei pressi di Lecco mi perdo e finisco in pieno centro. Poi mi perdo altre due volte in Brianza (strade uguali, nomi uguali, case uguali, booh!). Alla fine, con l’aiuto di uno dei tanti santi bruscamente risvegliati per l’occorrenza, arriviamo a casa Zulato. Anna che era in macchina con Pedro, rientra. Di GSZ e del Reverendo non c’è traccia. Decidiamo che si sono persi anche loro ed andiamo in albergo.

Siamo stanchi, vorremmo dormire ma…

Io mi ritrovo in una camera con bagno per disabili (Il cesso sembra un sedile da bar e manca il bidet) Pedro viene accolto tra le lenzuola dalle passate vestigia di amori ardenti… Finalmente verso le tre ci viene data una sistemazione accettabile: copriletto leopardato, pareti rivestite di specchi… il bagno è più grande della stanza e la vasca per idromassaggio sembra il bacino di carenaggio della Michelangelo… Vabbè, abbiamo sonno vah… Buonanotte!

Domenica

Dopo la nottata tra gli specchi, doccia nella vasca idromassaggio dimensioni Forrestal e scendiamo alla reception. Sono le 9,15 e ci annunciano che l’orario per la colazione è scaduto da dieci minuti. Per grande concessione il portiere (un giovane con un’improbabile giacca abbinata ad un’assai più inverosimile cravatta e la testa carica di gel ad effetto brillantina) ci prepara un cappuccino alla cicuta. Una medicina di quelle cattive, ma cattive..

Dopo breve consultazione con Pedro e Toia chiediamo il conto e annunciamo di aver deciso di anticipare la partenza. Esco fuori per prendere la moto e…

PIOVE!!!

Che strano, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Scendono Pedro e Toia. Carichiamo i bagagli e decidiamo di abbandonare la bella terra di Brianza alla volta delle Prealpi. Su una guida turistica individuiamo un albergo a Lecco dal nome suggestivo: “Don Abbondio”. Telefonata, prenotazione e via! Arriviamo a Lecco ripercorrendo la solita strada. Anzi no: nella nebbiolina piovigginosa mi perdo un paio di volte per stradine secondarie e finiamo nel centro di un paio di villaggi decisamente carini, con la loro architettura primo novecento e tanto, tanto verde. Certo, non fa che piovere e fare umido. L’effetto serra secondo me l’hanno inventato qui!!

Riusciamo ad arrivare a Mandello che sono passate le 11. Al Santuario incontriamo Danio, Mauro, e… Gnappo! Ha passato la notte a rimontare i parafanghi ritirati all’ultimo momento e Gioietta sfoggia cromature a profusione, teste lucide, gambali lucidi… tutto fa “pendent” con la crapa del padrone che…. cacchio!! Il matrimonio lo ha rovinato!! Si sta facendo crescere una zazzera di almeno mezzo centimetro!

Ho lasciato la moto a Lecco e me ne pento quando spunta un sole incerto tra nuvoloni carichi ma sparsi. Mi aggiro per il piazzale con la telecamera e la macchina fotografica.

I Romani sono partiti, gli altri padani non li vedo. Noto sul piazzale una EV fiammante che su una delle borse reca l’adesivo con il bicilindrico alato. Gnappo mi spiega che è di Marc – Pavia. Lo aspetto un po’, vorrei conoscerlo, ma stanno partendo tutti. Riprendo le immagini della partenza alla spicciolata di tedeschi, olandesi, etc.

Sono quasi le due. Nessuno sa se, quando e dove ci saranno le premiazioni e, non immaginando l’exploit del nostro gruppo, rinunciamo ad occuparcene. Ancora non sappiamo quale rodimento di gomiti ci provocherà tra qualche giorno questa infausta decisione.

Dopo un immondo panino all’improbabile salsiccia pagato in sterline-oro al furgoncino che sosta davanti alla fabbrica, optiamo per due spaghetti come si deve ed un giro sul lago.

Oggi è il compleanno di Rita che, nonostante i disagi, è sempre più rilassata e contenta. Ieri, sul registro del Museo, ha firmato: “felice di trascorrere qui il mio compleanno”. Eddire che non ha mai voluto imparare ad andare in moto!!!

Nel primo pomeriggio siamo tranquilli e sereni a cazzeggiare in auto mentre ci dirigiamo verso Nord e ci godiamo il panorama della strada sul lago. Rita è talmente gasata che, vedendo l’indicazione su un bivio, vuole andare a Saint Moritz. Grazie al cielo non insiste e ci fermiamo su una spiaggia a prendere un po’ di quel poco sole che illumina questi splendidi luoghi. Arriviamo a Menaggio verso le cinque. Caffè sul lungolago in un baretto su una piazzetta niente male. Il versante comasco è decisamente più bello, si susseguono gli edifici umbertini e liberty, gran profusione di verde e di fiori. Si programma per la cena. Ovviamente offre Rita. Decidiamo di cenare a Lecco per non dover fare molta strada dopo cena. E con calma, rientriamo verso Como. La strada è suggestiva ma strettissima. La deformazione professionale (e gli anni passati a lavorare in medicina d’urgenza) mi fanno pensare alle difficoltà che avrebbe un’ambulanza a portare un paziente urgente all’Ospedale di Como. Mi stupisce pensare quanto possono essere isolati quelli che non vivono su un’isola.

Non vengo in questa zona da quando ero bambino e, inevitabilmente, mi incuriosisco sui luoghi, gli usi, il modo di vivere il modo di pensare, i vezzi. Mi ha colpito il fatto che, da quando sono in questa zona, se mi capita di chiedere indicazioni sulla strada da fare, la risposta, gentilissima, mi viene ripetuta almeno tre volte, prima che io riesca a ringraziare e sganciarmi. Ho un’aria così poco sveglia? Oppure è normale che uno non possa capire se non alla terza volta?? Tornerò a casa con questo dubbio.

Nel frattempo imbrunisce e arriviamo a Como. Dopo una breve sosta prendiamo la strada per Lecco e torniamo in albergo. In viaggio inevitabili le battutacce sulla strada Como Lecco. E sì, perché in sardo como significa: “adesso” (es: “mo’ vengo” si dice “como ‘enzo”).

Rita per festeggiare ci porta in un ristorante trovato sulla guida Michelin. Quando arriviamo ci squadrano con severità (Giubbotti, jeans, maglietta “Anima Guzzista”, stivali.) e, dopo qualche esitazione, ci fanno comunque entrare in una saletta separata. Ci rendiamo conto che tutti gli altri clienti sono in abito scuro e le signore elegantissime sono tutte ingioiellate. passando, ad un tavolo, intravedo un Ministro della Repubblica che si intrattiene con altri serissimi ed elegantissimi commensali.

Con Pierpaolo decidiamo che, se vogliamo che ci diano da mangiare, dobbiamo far finta di essere delle persone per bene, e rimpiangiamo il clima della grigliata in casa Scola.

Cena a base di raffinatissimi piatti con funghi porcini e…. oh cacchio!! Mi portano una lista di vini che sembra la treccani con i prezzi di una gioielleria. E chi li conosce quei vini?? Io con i porcini bevo Cannonau, e va benissimo. Ci teniamo sul classico: un Chianti, che si rivelerà poi pessimo!

La cena è buona, anche se i porcini, da queste parti, sono meno saporiti dei nostri. Decidiamo che ci rifaremo in autunno a casa nostra!

Stiamo bene. Le nostre mogli hanno subito legato. E’ vero, sono due grandi chiacchierone, ma stupisce la voglia di parlare, conoscersi e scoprire le esperienze comuni, raccontare e confrontare la storia di ognuno di noi. Mi sorprendo ad “osservarci” ed a godermi l’atmosfera davvero piacevole. Che bella vacanza!

Verso l’una rientriamo in albergo. Domani si deciderà che fare.

LUNEDÌ

Finalmente un bel sole!!! Era ora! Liberiamo le camere e, finalmente in moto, ci dirigiamo a Mandello. Giro da Agostini, Stucchi e Valassi. Hanno esaurito tutto!! Da Agostini tento di comprare un paio di pantaloni in cordura ma si sono venduti anche le buste dell’immondizia come antipioggia. Facciamo rifornimento di toppe e mi compro i coperchi cromati per i corpi farfallati. Finora è andata bene ma non mi fido a lasciarli ulteriormente esposti alla pioggia. Facciamo incetta di toppe e gadgets. Si vede che siamo stati bene e non vogliamo deciderci a partire. Giriamo per Mandello, ammiriamo le montagne che sembrano tuffarsi nel lago.

Alla fine della mattinata però prendiamo la strada del rientro. Ci separiamo e ci diamo appuntamento all’autogrill ad una quarantina di Km a sud di Milano per fare uno spuntino insieme. Sulla tangenziale di Milano sfilo la fodera interna del giubbotto. Un termometro su un’insegna indica 25° e fa caldo. Viaggio tranquillo, con la moto mi muovo ovviamente meglio nelle code e “sentire” Rita dietro di me mi riporta indietro a quando, sul Gilera “Arcore”, noi due, studentelli squattrinatissimi e innamorati, ce ne andavamo in giro insieme… tanti anni fa…

Quando arriviamo all’autogrill, scorgiamo a sud dei nuvoloni scuri poco rassicuranti. All’arrivo di Pierpaolo gli indico l’itinerario alternativo: a sud dello svincolo per Alessandria prendiamo la bretella per la A26. Non mi fido della Serravalle-Genova: due settimane fa l’ho fatta in macchina rientrando dal GP di Monza ed è veramente disastrata: buche, asfalto vecchio e viscido, brecciolino. Con Rita dietro ed i TIR che ti costringono ad accelerare anche se è bagnato. Meglio prendere per Savona: più gallerie ma asfalto nuovo. Teniamo il passo dei 130-140. Quando comincia a piovere mi fermo per rimettere la fodera ed indossare i pantaloni antipioggia. Smontato di sella mi accorgo che nella stessa piazzola c’è la stradale che controlla un autocarro. Pedro, che mi seguiva a qualche distanza, passa dritto. Scoprirò poi che pensava ci avesse fermato la Polizia e (eh, le vecchie abitudini…!) ha preferito non fare la stessa fine. Riparto e mi tengo sui 110. Il motore ronfa tranquillo, la moto con Rita sopra è più stabile, ed io mi sento un re.

Arriviamo al casello di Genova alle sette. Pedro e Toia ci salutano al casello perché si intratterranno qualche giorno in Liguria o sulla costa francese, non hanno ancora deciso. Ci separiamo e ci avviamo mestamente al porto. Ha smesso di piovere ma c’è un libeccio uggioso ed il cielo è ancora carico di cumuli scuri.

Sulla nave arriviamo in cabina un po’ stanchi. Lo stato d’animo è incerto, come sempre quando si rientra: la voglia di riabbracciare Eleonora fatica un po’ a prevalere sul desiderio di rimontare in sella e rimettersi in viaggio…

Sorridiamo, contenti e stanchi, ci abbracciamo e ci promettiamo che, alla prima occasione, ci faremo un’altra bella zingarata con la nostra splendida California Jackal.

Domani si lavora.

Motovacanza 2001

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di Anfema Milano

 

Domenica 12 agosto 2001

Si parte! No anzi si dorme… sono stanco e passo tutta la mattina a letto (non succedeva da tempo…) e nel pomeriggio raggiungo Luca e Mara a Dervio: occasione ideale per sgranchire le gambe alla mia fedelissima “aquila Rossa” in vista del ben più impegnativo giro…

Era un po’ che non passavo dalla strada “vecchia” del lago: paesi e curve noti alle nostre Guzzi ! Mandello del Lario: un brivido percorre il mio corpo scaricandosi sul motore fiero dei propri natali.

Nel ritorno sosta a Lecco, città amata ed odiata, città di ricordi e sogni… classica passerella sul lungolago dove nella quantità delle moto parcheggiate la mia Rosso Mandello n° 129 attirava l’attenzione e la curiosità degli appassionati e dei semplici passanti!

Lunedì 13 agosto 2001

Si parte! Veramente… Ritrovo a casa di Luca, ardua scelta dei bagagli da scartare, (tenda o sacco a pelo?!), zaino in spalla (Luca) e via in direzione lago di Garda! Il percorso non è entusiasmante e anche se è tutta autostrada, ci concediamo una sosta caffè (o meglio panino) a Desenzano: qui tra l’ammirazione per i truffatori del gioco della pallina che “spennavano” £. 900.000 in due minuti ad un ingenuo signore (oltre al portafoglio vuoto aveva la moglie incazzata…) scopriamo che la scarpa dx i Luca ha subito un enorme danno (nb da buttare) a causa del tubo della moto: ecco cos’era quell’odore di gomma bruciata…

Arrivo al mitico “Camping Piani di Clodia” memori delle passate entusiasmanti esperienze e sistemazione del poco bagaglio. Giornata dedicata alle piscine (ben 5) e al relax.

Intanto la mia mitica Guzzi non tardava a farsi notare fra le varie colleghe tedesche e giapponesi e così di sera abbiamo pensato bene di fare un giretto in quel di Lazise per una bella cenetta (al lume di candela) sul lago. Che libidine passare tutti in coda in macchina….

 

Martedì 14 agosto 2001

Eccoci tranquilli a goderci il sole e la tranquillità della vacanza.

Un giorno senza moto non si può stare: ecco allora il classico giretto a Peschiera per una birretta e la sosta al campeggio degli amici per qualche minuto in compagnia!

 

Mercoledì 15 agosto 2001

Ferragosto! Scollinata mattutina tra le colline veronesi e i monti Lessini: si parte con la strada panoramica del Bardolino per poi passare a quella del Valpolicella classico. Stupenda scoperta: la chiesa romanico – barbarica del VIII sec in località S. Giorgio: qualcosa di eccezionale e da non perdere, la filosofia più profonda della religione, dove la semplicità e la povertà delle costruzioni sono lo strumento ideale per avvicinarsi a Dio.

Continua il giro e visita al ponte di Veia, splendido esempio di carsismo (roccia erosa dall’acqua), passando attraverso i caratteristici paesini locali con case e tetti costruiti interamente in pietra.

Rientro a Lazise con breve sosta alla Pieve romanica di San Floriano. Percorso semplice ma ricco di storia, o meglio preistoria, arte, architettura e da ultimo ma non meno importante, del buon vino.

 

Giovedì 16 agosto 2001

Dopo una parca colazione eccoci di nuovo in sella: i cavalli della mia guzzi scapitavano ed era ora di lanciarli liberi in un bel percorso: eccomi allora a scegliere un itinerario interessante passando per la Virgiliana Mantova, attraversando il Po, continuando sulla statale in direzione Parma costeggiando le mura della particolare cittadina di Sabbioneta.

In quel di Parma poi la mitica Guzzi non perde l’occasione di farsi notare e seguire da un “amico” centauro che in sella ad una apatica Honda Vfr vuole gustare dal vivo l’estetica e la personalità della Guzzi ammirata solo sulle riviste. Affascinato e con una punta di invidia mi indica la via per prendere la Cisa (statale chiaramente) attraverso la quale punto a Riomaggiore paese delle Cinque Terre.

Strada statale della Cisa: l’esaltazione pura delle qualità del V11! E’ uno spettacolo, non solo il panorama ma anche il comportamento sui tornanti e sulle curve veloci! E’ una libidine che auguri a tutti i motociclisti di poter provare!!!

Serata in macchina (incredibile, ma vero) tutti in compagnia

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