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ZIO BIGIN

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di Giancarlo S. Zulato

 

Questa e’ una storia vera, di quelle tramandate in famiglia come un cimelio prezioso, di tempi antichi. Una storia di uomini, di passioni, di moto. Di MotoGuzzi.

L’ho sempre chiamato Zio Bigin, anche se non era propriamente mio “zio”.

Era parente acquisito, fratello della moglie di mio zio paterno e compagno d’infanzia di mio padre; tanto bastava allora, nelle famiglie che si ritrovavano puntualmente, Natale un matrimonio un funerale, nel basso Piemonte di tanto tanto tempo fa… Quando noi tutti “cuginetti” ci trovavamo a ruzzare gridare e farci dispetti, e dopo una certa eta’ ad amoreggiare di nascosto…

Dunque, zio Bigìn. Tanto amico di mio padre con lui erano cresciuti insieme; vita da contadini di una volta, gia’ grandi quando adesso si e’ ancora alle medie, lavorare fuori casa alla vendemmia, alla mietitura alla mungitura per avere qualche lira da spendere liberamente e fare mostra da spavaldi, la bicicletta sportiva (Gloria, la marca di allora) per girare le balere della pianura, coltello in tasca tanto per darsi delle arie, le prime scazzottate coi fascisti o per difendere la piu’ bella, quella che poi sposava il fattore ricco e magari dopo di notte ti apriva di nascosto la porticina del retro… Storie raccontate ammiccando, le donne aggruppate a chiaccherare e non sentire – o forse a far finta di non sentire – e noi ragazzini li’ intorno divisi per gruppi di interesse, naturalmente i grandicelli coi maschi a bersi i racconti e i discorsi…

Discussioni animate: Guzzi e Bartali, Coppi e Gilera, Anquetil e Magni, e Mondial e Maserati e Ferrari…

La guerra no, stranamente di quella non parlavano gli uomini, delle sofferenze la prigionia la liberazione seppi solo piu’ tardi, dei rastrellamenti le bombe le armate di passaggio solo le donne anziane si rammentavano a vicenda.

Zio Bigin e la sua passione segreta. Lui che era uomo tutto d’un pezzo, niente osteria ne’ carte ne’ “case”; vita tranquilla, lavoro tanto, la cascina alzarsi prima dell’alba le vacche i vecchi da accudire la bella moglie, saggia e lavoratrice anche lei da accontentare e i figli da crescere.

Poi, un giorno la tragedia; venne convocato il consiglio di famiglia e papa’ parti’ d’urgenza: la zia, cioe’ sua moglie, voleva separarsi, aveva scoperto il tradimento, era tornata in casa dai genitori e sbraitava che il marito era pazzo uno scriteriato insomma un rovinafamiglie…

Sapemmo tutto al ritorno di papa’, che nel duplice ruolo di amico d’infanza del marito ma anche parente autorevole della moglie era stato eletto arbitro naturale. Tornato dalla guerra smagrito e sofferente ma figlio unico e coi genitori piu’ malconci di lui, Zio Bigin si era messo a lavorare e ritirare su’ la cascina.

Soddisfazioni solo dal frutto del duro lavoro e poche distrazioni: solo, la balera il sabato, e per andarci le alternative erano poche; in bici, e via in gruppo ma poca confidenza, uomini e donne separati e solo qualche battuta; oppure la moto, e rimediavi la piu’ bella da accompagnare e poi darci un appuntamento….

Con due soldi ereditati e le economie dei genitori lui compro’ un Airone Guzzi , bello rosso e cromato, veloce come il vento per quanto le strade allora consentivano.

Gia’, le strade: tutte rovinate dalla guerra, bombe e carrarmati, pietre sporgenti, forature assicurate e camere d’aria introvabili.

Cosi’ un giorno, sposato da poco e padrone assoluto della cascina con tutto quel che comportava, la prima tragedia: e’ il ’47, una strada alzaia, di quelle dritte che costeggiano i canali; la moto lanciata, un carro da fieno che balza con la rincorsa per superare l’erta fangosa… Le gomme rappezzate oltre il limite non tengono piu’ la frenata e scoppiano, la moto si infila sotto il carro e zio Bigìn che vola e ricasca malamente: due gambe spezzate in piu’ punti, la rovina se non ci fosse l’ospedale da campo americano, che stava smobilitando. Lo trasportano, lo salvano; dopo qualche mese le gambe sono a posto, almeno per quanto si poteva pretendere di quei tempi.

Anche allora, consiglio di famiglia: un fattore e padre di famiglia che resta invalido e’ una tragedia, il benessere sta appeso a un filo e terra, bestiame, lavorare duro e buona salute sono la sola previdenza conosciuta… Promette di vendere la moto e mai piu’ salire sopra uno di quei mostri; rinsavira’ e fara’ vita seria, solo lavoro lavoro e risparmiare, ma…

Ma non puoi vivere come se fossi gia’ morto, a 30 anni; Bigin non conosceva altro che il lavoro e la famiglia, mai visto all’osteria con le carte o un bicchiere in mano fuori pasto, braghe e scarpe nuove solo quando necessarie, figurarsi poi le donne d’altri…

L’Airone rimase, nascosto nel fienile sotto un telo, celato tra le balle di fieno, in paziente attesa. Magari accarezzato di nascosto prima dell’alba, complici le vacche silenziose e con la moglie impegnata tra pollame e conigli dall’altra parte del cortile…

Messa all’alba e lavoro anche la domenica, le bestie hanno sempre fame e il bisogno di mungerle non conosce festa. Solo un giorno l’anno la zia mollava la sorveglianza: la domenica di Pasqua, messa grande alle 10 poi un dito di vermuth e biscottini con le amiche, a casa per mezzogiorno. E in quelle poche ore frenetiche presto, rimontare candela e batteria controllare l’olio due colpi di pedale… e via, inutile raccontare a motociclisti COSA si poteva godere anche se per poche, fuggevoli ore l’anno…Il pieno per i prossimi 364 giorni…Finche’ un giorno, nel ’61, una vicina pettegola che ritarda alla Messa…

Sbollita la furia, rientrato lo scandalo, riappacificati gli animi: grazie anche a papa’ che in moto – Gilera lui – ci andava ancora regolarmente, Bigin ottiene la grazia: potra’ usare la moto in determinate date, Pasqua e poche altre, ufficialmente e alla luce del sole.

E cosi’ quando una domenica, dopo tanti anni, io che finalmente guidavo, torniamo a trovarli, lui ormai piccolo e magro mi porta al fienile, piano e amorevolmente sposta le balle solleva il telo…

Lucida e perfetta, ancora nuova con le cromature e gli ori dei filetti e le guance nere, le manopole bianche tese all’infuori come un paio d’ali e il faro ammiccante che ti invita a partire… E’ cosi’ che ho conosciuto la moto dello zio; il bellissimo Airone 250 e’ poi restato li’, i figli irremovibili a vendermelo ed io con il rimpianto…

Ma forse e’ stato meglio cosi’, non avrei saputo conservarla e magari l’avrei rovinata nell’incoscienza giovanile e nel traffico di Milano.

Zio Bigin da lassu’ ora puo’ rimirarsi la sua moto, e magari discutere con papa’ su quanto sia meglio dell’ottobulloni Gilera, magari insieme a Omobono Tenni (pilota Guzzi) e tutti gli altri guzzisti e gileristi…

Ciao zio Bigin, ciao papa’, che possiate cavalcare in eterno le strade del cielo; dove Golf e scooteroni non saranno mai ammessi…

Vabbe’ scusatemi, ma ‘sta storia si vede che bolliva dentro da tanto

tempo.

Mettetemi pure in moderazione per un anno, cambiate sito segretamente

per togliermi di torno… ma prima o poi doveva uscire!!