di Claudio Ranallo
Chi l’avrebbe mai pensato che a quasi 50 anni uno si possa ritrovare in un piazzale antistante un Bar a festeggiare con il Tricolore danzando intorno alla propria moto. Il tutto mentre qualche avventore ti guarda attraverso il parabrezza di un auto divertito, oppure un altro seduto al tavolino attonito pensando a chissà quale droga ho assunto. Le automobili che passano non sentono la cantilena che canto durante la danza gioiosa intorno ad “un pezzo di ferro” appoggiato su uno stangone di ferro, mentre cerco una posizione per fare delle foto a sto cancello altre posizioni per immortalare con l’autoscatto l’idiota con il suo bestio. Tutto questo in un tranquillo week-end di ottobre, non di paura ma di pura e sana minchitudine.
Sei anni fa conobbi lei nascosta tra il vestiario di una concessionaria, rilegata a stare dietro a degli stendini di giubbini da motociclista marchiati perché il concessionario non trovava chi la apprezzasse. Come una bella donna mostrava la sua lunga gamba così lei concedeva solo parte del pneumatico anteriore, e per vederla dovevi andare verso lo stendino, girarci intorno e scoprirla leggera sul cavalletto centrale. “Occasione” scritto di fretta con un pennarello su un pezzo di cartone mal tagliato ed infilato tra la sella del pilota e quella del passeggero. Impolverata è stanca in quella luce tra neon e sole, era li lontana dal salone dove decine di moto di altra cultura si ammassavano plasticosamente rubando la scena l’una alle altre. Neanche le poche cugine italiane stavano vicino come in una favola la bella Cenerentola era condannata a starsene per conto suo.
Non so se in quei pochi minuti tutto questo mi passò per la testa fatto sta che quell’immagine mi è rimasta scolpita dentro ed uscendo avevo già una proposta di permuta tra la Nevada e Lei, California EV Valvole Idrauliche. Una settimana terribile quella, tra la voglia di liberare la Cenerentola da quella polvere e la tristezza di dover lasciare una moto che in 14 mesi mi ha fatto viaggiare per 19.000 km. Ma tutto forse era già stato scritto ed io non dovevo far altro che seguire il copione e farmi trasportare da questa follia, questo venticello che solo con delle grandi ali si riesce a governare per poter ammirare dall’alto quello che in realtà accade in basso. Era Giugno 2008, di sabato mattina mi presentai con la Nevada lavata e lucidata davanti alle porte del concessionario chiedendogli di non lasciarla li ora che ripartivo, mi si strinse il cuore appoggiai la mano sul bauletto e sul manubrio ed in silenzio le chiesi scusa per quel presunto tradimento con la sorella maggiore ed è stato forse proprio li che lo spirito della piccola si spostò sulla maggiore trasferendo quella magia che sentii appena la conobbi. Ammetto che il rombo della maggiore mi fece dimenticare quasi subito il tradimento. In quell’attimo anche un po’ bastardo.
Sono trascorsi 6 anni con lei usata per ogni piccolo spostamento, giorno dopo giorno aumentava la confidenza e la sensazione di essere in simbiosi con questo pezzo di ferro. Chilometro dopo chilometro, curva dopo curva lei mi guidava, mi rallentava, aggiustava traiettorie che mi avrebbero portato fuori strada, mi infondeva sempre maggiore sicurezza ed allo stesso tempo mi ammoniva quando facevo lo scemo. Raccontare circostanze particolari possono farmi passare per scemo o per pazzo ma in fondo queste piccole verità fanno parte della propria storia ormai non più solo mia ma Nostra.
Quando le moto hanno un anima questa interagisce con la tua solo se verso di essa dimostri sincero affetto e profonda gratitudine. Solo chi ama la propria passione ottiene questi miracoli e non saranno le mie farneticazioni a confermare la verità. In diverse circostanze quest’anima si è manifestata e mi ha fatto amare questo pezzo di ferro.
Poi fuori dalla nostra relazione si è conosciuto un mondo fatto di altre persone spinte in alto delle loro ali sulla stessa passione, passione che accomuna uomini e donne di diversi luoghi, città, nazioni, continenti. Passionari che si incontrano ogni 2, 4 o 10 anni nello stesso nido li dove quel ramo del lago di Como diede origine a qualcosa che neanche i fondatori credo avessero mai immaginato, una fratellanza basata su ferro, olio e benzina, odori di officina e rumori di forgiatura. Come allora anche oggi seduti intorno ad un tavolo si parla, si ragiona, si ride e si piange sulle proprie storie e le storie che arrivano da lontano, di fratelli Aquile anonimi e sconosciuti che hanno compiuto e compiono imprese magari oggi non più straordinarie ma comunque cariche di atmosfera e tensione.
Carlo,Vittorio Emanuele e Giuseppe non avrebbero mai immaginato che la loro creatura si sarebbe evoluta in Storia. E quell’Aquila in onore del compagno scomparso stampato sui serbatoio altro non fa che stringere in genuina fratellanza coloro che cavalcano quell’Aquila dalla notte dei tempi siano essi bianchi, neri, rossi, verdi o gialli, è sarà questa passione che ad altri procura un profondo risentimento che li porta a denigrare e sminuire la nostra Storia. Ma sono semplice fantasie e vero, mi spiace per gli altri che non possono sognare, noi ci possiamo permettere questo lusso.
100.000 chilometri di pura passione mista ad un pizzico di follia ed una leggera spolverata di presunzione che mi ha permesso di conoscere centinaia di Guzzisti ed i loro destrieri. Tutti uguali ma tutti diversi, ammucchiati sotto le tende nell’umidità del lago di Como, a mangiare insieme nei locali più impensabili degli Appennini, a trovare amici che li ospitano nelle loro case con la scusa di un piatto di tagliatelle al sugo di cinghiale, a degustare formaggi, vini, castagne e tutto quel ben di Dio che è la più genuina occasione per macinare chilometri, chilometri e chilometri, curve, contro curve e curve contro curvate, sole, vento, pioggia e neve. Tutto questo solo per far andare su e giù i pistoni, far girare il motore e far librare l’Aquila sul serbatoio.
Tutto questo in soli pochi 100 mila chilometri. Non oso immaginare i prossimi 100 mila.
Grazie a tutti voi fratelli Guzzisti, Grazie a te mamma Guzzi.