di Grigiotopo
Questa è una bella storia con un lieto fine. Ieri ero impegnato in un bel giretto con dei guzzisti smanettoni. Dico impegnato perché per stargli dietro con il mio Cali T3 del ’75 ho fatto un bel po’ di fatica. Tant’è, abbiamo fatto sera e via via il gruppo scemava. Un bivio, un colpo di clacson e via che il gruppo diminuiva. Sulla via del rientro, con già il sole basso, mi perdevo a guardare la mia ombra sull’asfalto, con la ruota che girava. La degna conclusione di una giornata coi fiocchi, con le minchiate che solo un gruppo di animeguzziste sanno dispensare con tanta abbondanza. Freccia, ed ecco che il capofila accosta per un’ultima sigaretta. Rallento, scalo 1, 2 marce, scalo la terza ed il bilanciere si affloscia come una medusa al sole. Uh oh.
Guardo gli altri con lo sguardo tipo labrador della scottex. Capiscono che qualcosa non va. Subito si forma un capanello di espertoni meccanici, ma la diagnosi è rapida e dolorosa. Un braccetto del leveraggio del cambio ha deciso di crepare lì, a San Casciano , a fianco di una panchina, con l’ora già tarda, ma sopratutto a 54 chilometri da casa.
Mentre mi sdraio per terra, nella più meccanichesca delle pose, gli espertoni di cui sopra iniziano il valzer delle ipotesi. Si va da suggerimenti sulle più estemporanee riparazioni, al prelievo con carro attrezzi, al deposito forzoso nella vicina casa di una AnimaPiaGuzzista, al trasporto con elicottero, alla baratto del bestio con una tenda, all’accampamento sulla panchina per una improvvisata Oktoberfest.
Mentre, tra una Madonna e l’altra, io sto valutando la scelta tra Oktoberfest e l’elicottero, nel frattempo il gruppo aumenta. Guzzisti che, visto un loro fratello sdraiato con le mani sulla moto, si fermano e nella migliore tradizione Italiana, secondo la quale siamo tutti CT della nazionale, si fermano e dispensano consigli. Il capannello aumenta, gli accenti si mescolano e nel frattempo, il mio perno rotto è diventato un grippaggio, il cambio rotto, una ruota sgonfia, una scarpa slacciata, mio nonno aveva un Falcone.
Abbandono l’ipotesi Oktoberfest, a pagare da bere a tutti mi ci vole uno stipendio. Per l’elicottero è tardi.
Apro la bibbia che mi porto sempre dietro per cercare altre Madonne, ma in un versetto dei SS Carlo e Giorgio trovo l’ispirazione. “L’Aquila riportò sempre Zaccaria al tempio, egli, quando era colto da sventura, era solito rovistare nella borsa degli attrezzi per trovare aiuto e conforto”.
Mi riavvicino al Cali con rinnovata Fede, il capannello ha oramai quasi deciso che si tratta della famigerata molletta del V11. Mi faccio largo, apro le sacre borse laterali ed estraggo il borsino degli attrezzi. Lo apro e… miracolo… nemmeno un pezzetto di fil di ferro. Che guzzista del piffero sono. Adesso il capannello mi deride ed aprendo ciascuno la propria borsa degli attrezzi escono fuori, lime, salami, fiaschetti, cotton fioc, ma del fil di ferro nemmeno l’ombra. E poi il fil di ferro non basta, ci vuole un bastoncino, abbastanza robusto, per steccare il perno e permettermi perlomeno di inserire una marcia. Gia’, infatti la sfiga vuole che scalando dalla seconda sia entrato il folle, che a beccarlo alla prima nel mio Cali è più difficile che fare un numero di telefono a caso e beccare quello della Canalis, libero e libera anche lei per cena.
Ci vorrebbe un tubicino, esclama un vecchio canuto. Già, un tubicino rigido sarebbe perfetto, ma l’ora è tarda, è domenica e di ferramente aperte non ce ne sono. Parte il secondo valzer di perlustrazione nelle borse. Il bottino ammonta ad una lucertola, un peluche, un imbuto per damigiane e delle fascette.
Le fascette possono sostituire il fil di ferro, ma il tubicino?Arrivano ancora motociclisti, ed ogni volta occorre rispiegare tutto, confesso che mi sembrava di essere nel Monopoli, Imprevisti, arretra di dieci caselle e attendi 2 turni. Intanto le romantiche ombre lunghe erano ormai sparite… sta facendo buio penso ed urge tornare al tempio per i vespri.
“Va per le piazze e per le strade a diffondere la buona novella” Omobono 30, 12.
La bibbia mi viene in aiuto. Decido che è giunto il momento di chiedere supporto alla popolazione indigena. Scatto con un vermiglio V11, accompagnato da un guzzista, presso un gruppo di case vicine. Il compagno guzzista mi indica una porta, schiaccio un campanello.
La serratura scatta, la porta si apre. Entriamo e sulla destra un bambino che gioca col suo Gameboy non si cura di noi. Nell’altra stanza una donna indaffarata a pulire.
Che merda sarà suo marito penso, lei qui a sgobbare e lui al circolo a vedere la partita.
La donna si volta e dice, ciao amore. Mi sbagliavo, il marito non è una merda, e non è al circolo. Era in moto con me, dalla mattina.
Dopo i convenevoli di rito ci mettiamo alla ricerca del tubicino. Purtroppo la sfiga ha voluto che il guzzista non avesse in casa nemmeno un cacciavite. La cosa più vicina ad un attrezzo era una curiosa farfalla vibrante in silicone, utile in certi momenti, ma inutile per il mio frigido cambio.
Il tempo scarseggia, ho già in mente il lungo viaggio che mi attende, forse con una marcia sola, magari la seconda… o la terza. Le sole che permettano al Cali di partire da fermo, specie se zavorrato da 120 chili di panzuto bipede toscano.
Mentre la disperazione a grandi passi si sta facendo largo nel mio cuore di fedele, la donna, l’unica ancora con i nervi saldi, esclama: “Questa puo’ andare bene? È la cerbottana di Greta?”
Greta… le parole mi suonano come miele. Capisco che è fatta. Tuttavia è curioso penso, in questo villaggio anche le giovani femmine sono dedite alla caccia… ma che diamine… SIII!!!! La cerbottana altro non è che un tubicino di alluminio, appena più grande del necessario, ma si può e deve adattare. Penso che la fortuna inizia a girare, ma ancora una volta mi sbaglio. La donna esige un pagamento per la cerbottana, dopo una breve contrattazione gli lascio il guzzista, con casco in carbonio e tuta di pelle. Un affare mi dico.
Torno dal Cali, dove il gruppetto ancora discute. Hanno chiamato Murri, Scola, Letta, Scalfari, Bergoglio. Quest’ultimo non l’hanno chiamato, ha chiamato lui come da tradizione, allertato da Murri.
Iniziano alacri le operazioni di riparazione. La cerbottana viene tagliata alla giusta misura con una lima da unghie, sul marciapiede, mentre sulla panchina si affetta un salame.
Un po’ di grasso sulle mani, un po’ di sporco sui polsi. 2 fascette. 1 fetta di salame e l’archibugio è pronto.
Una rapida prova ed appare subito chiaro a tutti, tranne a quelli già in overdose per le emosuine del salame, che la cerbottana fa il suo dovere… permettendo di salire di marcia, ma le fascette non reggerebbero alla pressione del mio 46 a pianta larga per scalare. Maledetta carenza di ferro… di fil di ferro.
Si prospetta un mesto ritorno in 3 marcia… ma sarò comunque al tempio prima di notte fonda. E così, come i 3 re magi, monto sul mio CaliCammello e lo avvio. Una pressione sul bilanciere e la seconda entra senza esitazione. I guzzisti intorno sono euforici e da sotto una sella esce un prosecco. “Lo tenevo per un’occasione del genere”, dice un guzzisto con accento Pisano.
Ma io ormai non penso alle bolle, immagino l’ingresso del tempio davanti a me, sgasso, tengo su i giri ed in una fumata grigia di olio come le frecce tricolori, decollo, tra guzzisti brilli e le luci della sera ormai avanzata.Il ritorno è stata un’avventura. 1 ora e venti tra stop in salita da bestemmie, vecchini che saltano gli stop, partenze bruciafrizione e 20 chilometri in superstrada a 60 all’ora, scortato dal guzzista canuto e con un’occhio al contagiri ed un pensiero alla piccola Greta, al quale ho sottratto la cerbottana senza nemmeno chiedere il permesso e senza nemmeno conoscerla.
Adesso sono a casa, il pezzo è già stato rifatto dal mio affamatissimo carpentiere di fiducia (lo pago in cene di pesce), e tutto è bene quel che finisce bene. Qualcosa mi manca però, ho la cerbottana di Greta senza la possibilità di sdebitarmi in modo adeguato, alla fine quel pezzetto di alluminio mi ha salvato le chiappe e non ho nemmeno la certezza che lei capisca l’importanza ed il valore di quel gesto. Allora le scrivo.
In mare, si è soliti dare alle barche nomi di donna, perché questo porta buon vento. Quindi ho deciso che del pezzetto di cerbottana farò un portachiavi e che da oggi il nome della mia moto sarà Greta, attrice anche se inconsapevole, di una storia di buoni amici e di sani valori. Forse adesso piccola Greta non capirai il succo di questa storia, ne tantomeno alcuni mie vaneggiamenti letterari, ma ti voglio ringraziare di tutto cuore e ti auguro di crescere con i sani principi che solo le animeguzziste ti garantiscono sempre.
Grazie ancora ed un abbraccio. Gianluca
Per dovere di cronaca
Grigiotopo nel ruolo del predicatore
Valtertre nel ruolo del Guzzista venduto per una cerbottana
TotoV11 nel ruolo del Canuto guzzista e dell’affamato carpentiere
Luca39, Reverendo e Zar75 sono stati il capannello
Guzzisti vari nel ruolo di comparse
Greta Veltre nel ruolo di se stessa