di Marco Valdemi
C’è nebbia, anche se è strana, non è come quella del T.T., no, quella era un’altra cosa,
e neppure quella che viene dalla valle quando arriva la brutta stagione. È bagnata,
tanto da restare sugli occhiali, e poi compare e scompare all’improvviso, così come viene,
spessa da far paura, se ne va lasciando comunque un cielo grigio come i miei pensieri.
Sento male dappertutto, me l’han detto in tanti a casa che son vecchio per ste cose,
avevan ragione, forse, i dolori delle tante cadute si stan facendo sentire con questo tempo
infame. Magari è solo colpa di sta nuova moto che m’ha dato l’ingegnere che di bello ha
solo la velocità, per il resto vibra come una cinquecento e si muove troppo in curva, gli ho
detto a Franco che c’è qualcosa che non mi convince nel posteriore, ha detto che non ci
sono abituato e girando l’avrei capita di più. Gepin invece m’ha detto, con la solita mezza
cicca spenta in bocca, che era come una ragazza giovane, tutta da conoscere e poi m’ha
dato una pacca sulla spalla e il solito: va la va la ca tià indrisi tuti anca sta volta Bono!
Poi me l’ha accesa e ha buttato la sigaretta in terra. Ho abbassato gli occhiali, come tante
volte, l’ho guardato, m’ha passato i guanti e ho dato un colpo di gas leggero innestando
la prima. Il motore era freddo, alcuni erano già scesi in pista anche se iniziava a piovere,
una pioggia leggera, come l’astio che avevamo notato nei nostri confronti, colpevoli
d’essere italiani; che coraggio da parte di gente neutrale per interesse, e poi gli inglesi con
le loro nuove moto forti come le vecchie. Avrei voluto nel box anche l’ingegnere, ma sarà
per la prossima, m’ha detto, aggiungendo che avrei avuto la moto nuova da testare
subito e di portarmi anche la mia per poi decidere, visto che il circuito era da
considerarsi nuovo, come nuovi erano i concorrenti di questo primo campionato del
mondo. Già, i giovani, ne ho visti tanti in questi ultimi giorni, qualcuno m’ha
riconosciuto e m’ha allungato la mano, altri m’hanno evitato, di solito son quelli che poi
in pista durante le prove ti si attaccano dietro e tirano le staccate alla fine; vedremo se
sarà così anche oggi. Il motore sale di giri, le marce entrano un po’ ruvide, saranno gli
ingranaggi nuovi, apro con decisione il gas, va davvero forte sta moto, ecco il primo
pilota, posso già sentire il rumore del suo motore avvicinarsi a gran velocità, magari è un
italiano, magari no, provo a non mollare la staccata e vediamo come va in curva la mia
moto e lui. Freno quando devo frenare, lui lo fa con più facilità e mi passa all’esterno,
io arranco un po’, la moto si sposta molto: o è il fondo o è troppo dura nell’inserimento,
tanto da perdere troppo tempo nel riaprire il gas, si mette anche la pioggia e la nebbia,
e dopo qualche attimo lui è sparito davanti a me! Mi sento lento, giro dopo giro,
non prendo confidenza né con lei né con la pista, sento solo il freddo che mi penetra e un
indolenzimento alle braccia, le vibrazioni sono solo aumentate con il passare dei minuti,
ho cercato di impostare le curve in modo diverso, sono stato dietro a Pagani per un po’,
e a Woods ma avevano un altro passo rispetto al mio, ora mi sto innervosendo, rientro ai
box, tanto spingere di più non ha senso, piove ancora di più e questa nebbia, che si
ferma lungo i lunghi rettilinei del tratto di foresta, m’ha solo rallentato e la curva veloce
a destra l’ho percorsa in modo diverso cercando la miglior traiettoria ma non ne ho
ricavato nulla di buono; tanto che mi sono messo a pensare al Mountain, al Lario,
a Monza, ma ogni volta ho dovuto alzare un pelo di gas, meglio la mia, non c’è dubbio,
rientro e la riprendo. Franco deve aver sentito il rumore, è già li con la moto accesa che
m’aspetta, il fumo è pulito, è già calda, sembra contenta come Bilu, quando rientro
a casa la sera, che sa che lo porto a correre nei campi della Marisa, dietro il ponte.
Non ci parliamo, tolgo gli occhiali, sono troppo sporchi per continuare, Gepin mi allunga
gli altri insieme ai guanti asciutti, ne ho davvero bisogno, sento le dita fredde
e indolenzite. Hanno capito dai tempi dei cronometristi e dal mio sguardo che non sta
andando affatto bene, gli faccio segno che il problema è dietro e che si muove troppo
anche sullo sterzo quando apro. Franco mi sorride porgendomi la mia Albatros; sa che lei
non mi deluderà di certo, Gepin invece mi sembra contrariato, crede nel potenziale del
nuovo mezzo, è da un anno almeno che me lo dice. Monto in sella, piove come se fossimo
nella terra d’Albione, avrebbero detto i radio cronisti dell’era fascista, piove come se
fossimo all’epilogo di una tragedia iniziata troppi anni fa, ormai per me, sono del cinque,
accidenti, qui c’è gente che potrebbe essere mio figlio! Ingrano la prima, poi la seconda,
la terza e inizia la sinfonia del mio motore. Sembra che la pioggia neppure mi colpisca,
sembra che il dolore alle braccia sia svanito, sembra che riesca a vedere oltre la fitta
nebbia che si sta parando davanti ai miei occhi mentre entriamo nella foresta, curva
dopo curva riprendo gli automatismi. D’un tratto m’accorgo che non sto guidando da
solo, davanti a me vedo un altro pilota, provo a raggiungerlo, anche se dovrò spingere
parecchio per come si butta nelle curve senza badare troppo al fatto che ne uscirà vivo,
è terribilmente veloce e la sua moto ha qualcosa di famigliare da dietro, anche se la
nebbia e gli occhiali, di nuovo sporchi, non mi fan ben capire che moto stia guidando.
Passiamo sotto il traguardo, gli sono in scia ormai, dai box non mi segnalano niente,
Franco m’ha sorriso e Gepin di sicuro sta sistemando l’altra moto pensando a tutto il
lavoro dell’ingegnere. Magari con un altro anche quella moto diventerà vincente, io non
ho più tempo d’aspettare ormai, è l’ultima occasione, l’ho detto e soprattutto me lo son
detto: o la va o la spacca e dopo il T.T. vedrò se continuare o meno. Accidenti piove
ancora di più e lui non molla di un metro, è bravo, vola davvero e non si volta indietro,
passiamo alcuni concorrenti con facilità, ora è il momento di attaccarlo e di vedere se
sono ancora io visto che lei è lei. Apro senza pensare a niente; al freddo di questi lunghi
anni lontano dalle gare; al freddo che ti lascia la guerra nel cuore; al freddo dei cari amici
persi per le gare su strada; al freddo della rabbia di dover svegliarsi da un sogno e di
trovarsi in un incubo che ti strappa i parenti e la gioia di vivere. Apro che di più non si
può e non ce n’è. Lo affianco, ha il mio vecchio numero, il 29, guida una moto guzzi
rossa, quella del 36, della candela bruciata ad un soffio della vittoria che m’avrebbe fatto
diventare ciò che sono, ciò che gli altri vogliono che sia. Lo guardo in viso, lui non fa lo
stesso, anzi si allunga sul serbatoio e prende ancora più velocità. Entriamo in un banco
di nebbia fitta, chiudo un pelo il gas, rallento, non ha senso, spero che anche lui abbia
fatto lo stesso, non sento più il rumore del suo motore, l’Albatros perde giri, procedo ad
un’andatura da pilota modesto, dietro nessuno mi raggiunge, davanti a me pioggia,
nebbiolina, freddo. Alzo gli occhiali, tanto son sporchi ed appannati. Mi ricordo di mio
figlio ancora piccolo che se li infila e mi chiede perché non corro più, gli rispondo che c’è
la guerra e a nessuno viene in mente d’andare a correre in moto, lui mi sorride, gli do un
bacio sulla testa pensando se un giorno farà quello per cui ho vissuto io. Manca ormai
poco al traguardo, saranno due chilometri, dietro ancora nessuno, strano, vuoi dire che
tutti questi giovani hanno paura di un po’ d’acqua? Impossibile, gli inglesi ci nuotano da
quando son bambini! Eccoli i box, chiudo quasi del tutto la manopola del gas, Franco
non c’è ad aspettarmi, strano, neppure Gepin è li con lui, saranno di sicuro al muretto,
adesso vedrai che arrivano con i tempi. Non scendo per scaramanzia, se i commissari si
sono sbagliati a cronometrarmi come a Roma devo rientrare. Eccoli che arrivano, hanno
le facce tristi però, vuoi dire che sono fuori dalla griglia, impossibile, mi è sembrato di
volare, sono sicuro d’aver fatto un buon tempo, con l’altra no ma con l’Albatros non
posso non entrare in griglia, so quando vado forte, sono nato per farlo. Perché non mi
prendono gli occhiali e i guanti, perché Gepin bestemmia e da i calci al bidone della
benzina, perché Franco è andato dal Silvio che si dispera, perché la mia Albatros è ferma
nel box, perché si è spenta, perché non riparte? Perché nessuno mi vede e crede a ciò che
dicono adesso gli altoparlanti?
Non doveva finire così, senza neppure poter portarmela con me………
Un breve racconto romanzato e per nulla veritiero sull’ultima gara di Omobono Tenni.
E’ un mio personalissimo omaggio a ciò che è stato probabilmente il più grande pilota dell’inizio secolo, saluti