Caffè Nero Piccola storia di Anime Guzziste di Enrico Verago
Prologo
Mi chiamo Enrico e sono un non più giovane avvocato-centauro di 33 anni.
Ho sempre avuto una sfrenata passione per le moto e da vent’anni ne serbo (almeno) una nel mio garage.
Ho posseduto motociclette ad uno, due e quattro cilindri, di tutte le tipologie e marche: dall’enduro professionale alla maxi tourer, dalla nuda cattiva alla sportiva pistolata da pista.
Mi piacciono molto le Moto Guzzi. La Casa dell’Aquila ha un fascino irresistibile, una storia ineguagliabile ed un blasone da brividi.
Perciò mi sono comprato, nel luglio dell’anno scorso, una rara Moto Guzzi Daytona RS 1000, figlia della passione di un dentista americano per le creature di Mandello e della sua fissa per le corse dedicate alle derivate di serie.
A tutt’oggi, quella moto non sono ancora riuscito a guidarla, ma questa è una storia che racconterò, forse, in un’altra occasione.
Oggi vorrei parlarvi, invece, dell’avventura in cui ci siamo imbarcati io ed il mio socio Massimiliano, detto Acciuga, all’incirca un anno fa e che consiste nella trasformazione, fatta nel garage di casa, con pochi mezzi e tanta buona volontà, di una vecchia e paciosa Moto Guzzi in una cattivissima cafe racer.
Quest’ultimo termine, per chi non lo sapesse, sta ad indicare una tipologia di moto molto in voga negli anni Sessanta. Allora, infatti, si usava spogliare di tutto il superfluo normali moto stradali (spesso mono o bicilindriche inglesi, ma anche italiane e tedesche), per renderle più leggere e performanti e per assecondare i pruriti sportivi degli spesso squattrinati proprietari, che le modificavano personalmente nel proprio garage, per poi ingaggiare epiche sfide sulle strade aperte al traffico. Spesso tali ingarellamenti partivano dai locali di ritrovo dei centauri, tra cui il mitico Ace Cafe di Londra.
Dopo tale doverosa precisazione, diamo inizio al racconto che ripercorre la storia della evoluzione di una Moto Guzzi turistica, per la precisione una T3 850 del 1975, da tranquilla macinatrice di chilometri in fascinosa fuoriserie sportiva.
CAPITOLO PRIMO
La vecchia signora
Tutto cominciò nell’estate del 2008, quando mi trovai ad assistere ad una prova del campionato Endurance per moto d’epoca, nell’infuocato catino di Franciacorta.
Vedere le arzille vecchiette darsele di santa ragione in pista e, soprattutto, sentire il boato gutturale dei bicilindrici Guzzi che competono in quella categoria, mi fece vibrare di emozione.
Subito in me nacque la malsana idea di procurarmi una base mandelliana per una elaborazione in stile Seventies e non avendo i capitali per farne una special da gara e correrci in circuito, decisi di dedicarmi alla preparazione di una sportiva stradale.
Serviva la moto di partenza e quindi mi misi a setacciare la rete.
Qualche tempo dopo riuscii a trovare quello che cercavo. Si trattava di una T3 850, modello da turismo senza troppe pretese, ma dotato del mitico telaio progettato da Lino Tonti, comune alle sportivissime V7 Sport e Le Mans.
Ecco una foto del modello in questione, tratta da una brochure dell’epoca:
Come si vede, il leggendario bicilindrico a V trasversale raffreddato ad aria era destinato al servizio di una moto tutto sommato tranquilla, votata al turismo a lungo raggio anche in coppia, stabile e ben frenata, poiché dotata dell’ingegnoso sistema di frenatura integrale.
A dire il vero, l’effettiva base di partenza del nostro progetto era a sua volta una sorta di special, in quanto il precedente proprietario aveva modificato il modello di serie per ottenere un mezzo che potremmo definire una custom all’italiana.
Infatti, la sostituzione del serbatoio con uno proveniente da una più moderna Nevada 750 e l’adozione di una sella monoposto di derivazione Nuovo Falcone (!), avevano dato al mezzo una impronta più ammerigana, completata da una vera chicca: l’innesto, sul cannotto originale, di un avantreno estirpato niente meno che da Sua Maestà California, guarnito dai due minacciosi disconi da 320 mm dell’impianto frenante Brembo Serie Oro.
Il materiale grezzo era quindi di ottima qualità, ma, come dimostra l’immagine qui sotto, c’era una infinità di lavoro da fare per giungere al risultato che ci eravamo prefissati…
A guardar bene, tuttavia, le piacevoli sorprese non erano finite. Il telaio, infatti, era stato sabbiato e verniciato; i pregiati cerchi Borrani a raggi vestivano delle Pirelli Sport Demon nuove di zecca ed il motore beneficiava di un aumento di cilindrata fino a 950 cc, dell’alleggerimento del volano, di cammes più spinte, valvole di derivazione Le Mans e di due bei cornetti liberi all’aspirazione.
L’avventura era cominciata.
CAPITOLO SECONDO
La grotta
Trovata la base adeguata per la special, era necessario decidere dove attrezzare un garage per lavorare con calma al nostro progetto.
La scelta cadeva sulla rimessa dell’appartamento di Massimiliano, poiché il mio garage risultava, per le nostre necessità, troppo piccolo e pieno di carabattole.
Vi era, tuttavia, un particolare inquietante: il garage di Acciuga, in affitto da un arcigno proprietario, era privo di collegamento elettrico, quindi niente luce, freddo glaciale d’inverno e impossibilità di usare utensili che non fossero a pile!
L’inizio dei lavori, quindi, coincideva con una sorta di “discesa nella grotta”, in quell’antro buio da cui, quasi un anno e mezzo dopo, sarebbe uscita la nostra creatura.
Se ci ripenso, ancora oggi batto i denti dal freddo…
Ad ogni modo, quando ci sono la passione e l’entusiasmo, niente è impossibile, quindi cominciammo senza indugio lo smontaggio della moto di base, necessario ad un suo accurato esame.
Privata del manubrio California, del serbatoio e della sella monoposto, dei parafanghi e degli orrendi terminali sforacchiati, la Guzzi appariva in tutta la sua razionale bellezza: un motore raffreddato ad aria con una geniale disposizione dei cilindri, incastonato come una pietra preziosa in uno dei telai più efficaci e granitici del motociclismo moderno.
Gli ammortizzatori posteriori, degli onesti Ikon, replica dei Koni dell’epoca, parevano un po’ sottotono se confrontati col magnifico anteriore della California, ma riguardo alla componentistica io ed Acciu avevamo le idee molto chiare: il meglio di tutto, solo prodotti italiani ed in linea con quelle che erano le elaborazioni stradali dell’epoca.
C’era di che fregarsi le mani (e non solo per il freddo polare della grotta…).
Ecco come appariva il nostro mezzo una volta privato delle sovrastrutture e dotato di più sportivi semimanubri, dei Menani color nero opaco.
A questo punto, ovviamente, bisognava cominciare a dare la caccia alle sovrastrutture, quindi cominciammo a battere a tappeto le fiere ed i mercatini d’epoca.
A Novegro, dove periodicamente si svolge una delle manifestazioni di settore più frequentate del Nord Italia, trovammo molte delle cose che cercavamo: un serbatoio in vetroresina, replica di quello usato dalle Honda da GP negli anni Sessanta, stretto ed allungato, un codone monoposto, sempre in vetroresina (da modificare nella forma e nella dimensione, per adattarlo perfettamente al nostro telaio) ed un paio di ammortizzatori Ceriani by Paioli, con corpo in ergal ricavato dal pieno e completamente regolabili in idraulica e precarico (con molla bianca, una vera chicca…).
Con una grezza passata di vernice spray, i pezzi erano pronti per essere appoggiati sul telaio nudo, per cominciare ad avere una vaga idea del possibile risultato finale.
Ecco una immagine, che già permette di individuare le prime modifiche fatte alla vetroresina ed i “tagli” ai pezzi originali che stavano per essere eseguiti.
Il faro ed i relativi supporti, in questa fase, sono ancora quelli originali della California; manca poi del tutto la strumentazione e gli ammortizzatori sono ancora gli Ikon montati al momento dell’acquisto della moto di base. Anche i collettori sono ancora gli originali di provenienza T3, mentre le pedane di serie (orrende) sono state smontate e relegate nel dimenticatoio…
Il lavoro sulle sovrastrutture è stato lungo ed affidato all’estro ed alle capacità di Acciuga, vero maestro della vetroresina, che pian piano ha plasmato il codone di base per cercare di giungere all’idea che entrambi avevamo in testa.
Nel frattempo, io mi dedicavo al reperimento degli altri accessori necessari all’affinamento della special: un bel faro cromato e dei meravigliosi supporti ricavati dal pieno in alluminio arrivavano quindi ad ornare l’anteriore della belva.
Giusto per intuirne l’ingombro, le nostre prove estetiche utilizzavano anche una agghiacciante sella di cartone, appoggiata lì, giusto per immaginare “come potrebbe essere”.
Ci stavamo davvero prendendo gusto…
Arrivò anche il momento di aprire sul serio i cordoni della borsa, per dare una voce consona alla nostra bassotta. Niente di meglio, per restare in tema cafe racer all’italiana, di una bella coppia di cannoni da contraerea, al secolo Lafranconi Competizione, acquistati nuovi di pacca da Stucchi a Mandello.
Con tanto di “elica” rossa posteriore…da perderci la testa!
Nel frattempo, il codone aveva trovato la propria forma pressoché definitiva ed il posteriore poteva ora fregiarsi dei sopraffini ammortizzatori Ceriani.
Si cominciava, in effetti, a ragionare e, visto che l’appetito vien mangiando, riuscii anche a convincere la ditta Tarozzi a confezionarmi delle splendide pedane nero opaco, con i supporti che calzavano alla perfezione sui minacciosi terminali. Oh yeah!
La strumentazione California, poi, munita di supporto modificato, ritrovava il suo posto sulla testa di forcella, munita pure della batteria di spie di serie.
CAPITOLO TERZO
La luce alla fine del tunnel
Dopo un anno di lavoro, sfruttando in effetti solo una sera a settimana, la nostra special cominciava infine a mostrare la propria linea pressoché definitiva.
Serbatoio e codone risultavano già abbondantemente sgrezzati ed al Bike Expo di Padova avevamo trovato frecce e porta targa adatti al nostro stile. Inoltre, sempre grazie ad Acciu, ora un fianchetto su misura in vetroresina andava a chiudere il vano della triangolazione del telaio, sul lato sinistro.
Occorrevano ancora una buona messa a punto generale, il rifacimento completo dell’impianto elettrico e la sostituzione della maxi pompa freno posteriore. Quest’ultima, sovradimensionata in origine per servire l’impianto frenante integrale, risultava ora inutile sulla bassotta, visti i mostruosi disconi anteriori.
Per fare tutto questo, serviva uno specialista di alto livello e noi ci siamo rivolti ad uno dei migliori, il mitico Marcello Muraro di Murri Factory, nel ferrarese.
Ecco le foto della piccola la sera prima della partenza per la “clinica”: sovrastrutture grezze ormai complete, anteriore caratterizzato da un groviglio di tubi e cavi fuori misura ed una miriade di particolari che richiedevano mani esperte per l’assemblaggio definitivo.
Il lavoro fatto, comunque, ci rendeva orgogliosi e già si scatenavano accese discussioni per arrivare alla decisione definitiva riguardo i colori e le grafiche da utilizzare per la verniciatura finale.
Nel nostro peregrinare fra fiere, manifestazioni e mostre scambio, avevamo rintracciato il nome di un bravissimo painter che si sarebbe occupato di fregi ed aerografie, mentre i maestri artigiani a cui affidare la sella racing su misura avevano il loro atelier a non più di dieci chilometri dal nostro garage.
Evvai!
La moto era bella ed essenziale, la linea pulita e cattiva, da vera bassotta arrabbiata e la componentistica era veramente di alto livello e, come fortemente voluto fin dall’inizio, tutta italiana (compresi i blocchetti elettrici al manubrio e le manopole, tutto della Domino-Tommaselli).
CAPITOLO QUARTO
La belva è fuori
Appena tornata la guzzona dall’atelier di Marcello per la messa a punto e l’assemblaggio finale, bisognava far realizzare una sella monoposto per il codone, che fosse racing il giusto e che avesse quel tocco di aggressivo e retrò che ci serviva.
Optammo per una soluzione estremamente sottile ed in due pezzi, con una struttura a cannelloni trasversali e tappezzata con un materiale antiscivolo resistente e dall’aspetto “tecnico”.
A quel punto la belva era pronta per essere rismontata ed inviata a pezzi dal painter per la verniciatura finale.
Le tubazioni freno nuove e della giusta lunghezza ed il cablaggio ordinato del nuovo impianto elettrico contribuivano senz’altro ad amplificare la sensazione di pulizia e leggerezza dell’anteriore che, comunque, nella versione definitiva e street-legal, avrebbe beneficiato del montaggio di un bel paio di specchi cromati (molto poco racing ma obbligatori per circolare su strada) e di un parafango anteriore.
Quest’ultimo, preso a prestito dalla Moto Guzzi Bellagio, avrebbe avuto il pregio di usare gli attacchi originali California, pur essendo notevolmente più corto, basso, snello e filante.
Insomma, c’eravamo quasi, anche se i piccoli particolari da sistemare (all’apparenza quasi insignificanti, ma ai quali noi tenevamo molto) erano ancora tantissimi.
Ma i risultati del lungo lavoro erano ormai davanti ai nostri occhi…oh yeah!
Epilogo
Il giorno in cui io e Massimiliano ci siamo recati a Treviso per ritirare i pezzi della special finalmente verniciati e rifiniti, c’era nell’aria una certa eccitazione, che non venne smorzata nemmeno dal conto astronomico che il pur bravo artigiano ci metteva sotto il naso.
A questo punto si trattava solo di organizzare l’assemblaggio finale e per far questo dovevamo prepararci al meglio.
La nostra officina, quindi, venne spostata nel garage di casa mia, dal quale erano state sfrattate tutte le carabattole che lo ingombravano, compresa la mia cara Mini Cooper, che certo non ha gradito di essere spodestata nella mia classifica di gradimento.
Il momento era topico quindi, radunati i migliori strumenti ed attrezzi, illuminato il luogo di lavoro con potenti neon ed indossati i guanti bianchi, ci mettemmo al lavoro con la massima concentrazione, in modo che ogni particolare risultasse perfettamente assemblato, che ogni vite fosse accuratamente lucidata nonché serrata alla coppia corretta e che tutto funzionasse a dovere.
Dopo diverse ore di “sala operatoria”, spalmate su diverse settimane a causa dei nostri impegni lavorativi (che ci obbligavano, come di consueto, a ritrovarci solo per un po’ la sera, dopo cena), la bassotta era finalmente pronta.
Con le mani tremanti per l’emozione ed il cuore gonfio di orgoglio, ci siamo riempiti gli occhi della sua maestosa sportività, del suo essere classica ed aggressiva insieme ed abbiamo deliziato le nostre orecchie col suono profondo e molto Seventies dei suoi Lafranconi RC. Che sballo!
Finalmente era finita. Era come l’avevamo sognata. Era perfetta. Ed era qualcosa di unico e tutto nostro.
Non riesco a non usare toni un po’ retorici (quasi epici, in effetti…), ma l’intima soddisfazione di creare qualcosa a tua immagine e somiglianza, che incarni i tuoi desideri ed il tuo gusto estetico è qualcosa che risulta molto difficile da spiegare a parole.
Il fatto che io e Massimiliano avessimo una esperienza tutto sommato limitata riguardo ad interventi di tale portata su moto del genere, ci ha resi ancora più euforici per il risultato raggiunto, per certi versi superiore ad ogni nostra più rosea aspettativa.
E, cosa forse ancora più importante, ci ha permesso di investire il nostro tempo e le nostre energie in qualcosa che ci appassionava e stimolava veramente, avendo la possibilità di condividere una avventura che ci ha impegnato tanto quanto ci ha divertito.
Il primo giro di prova, necessario per verificare che tutto funzionasse a puntino, è stata una emozione fortissima: la moto ha un gran motore, pastoso, potente e ricco di coppia.
I carburatori originali e l’accensione modificata (con l’eliminazione delle puntine e l’adozione della centralina elettronica) hanno donato all’erogazione della potenza una invidiabile regolarità, in questo aiutati dal certosino alleggerimento del volano e dalla più favorevole fluidodinamica, garantita dai pistoni ad alta compressione uniti alle valvole maggiorate.
La forcella California, così come gli ammortizzatori Ceriani, sono risultati perfettamente a punto e magnificamente accordati fra loro (grazie Marcello…), conferendo alla moto un assetto rigido e coerente, privo di eccessivi trasferimenti di carico, ma al contempo pronto ad assorbire le asperità del manto stradale.
La frenata, complici i Bremboni Serie Oro anteriori è risultata letteralmente mostruosa, con spazi di frenata degni di moto molto più moderne.
Il sound dei Lafranconi, poi, gratifica e fa rabbrividire di piacere, con una sonorità baritonale d’altri tempi.
Che moto ragazzi!!
La strumentazione leggermente rialzata, infine, permette addirittura di deviare sopra le spalle del pilota buona parte della pressione aerodinamica fino ai 130 indicati, garantendo pure una certa comodità.
Del resto, l’assetto in sella, moderatamente disteso in avanti, coi polsi poco caricati e le pedane giustamente alte ed arretrate, non risulta nemmeno troppo estremo, consentendo senza troppi patemi (se non per la sella non proprio da turistica…) un utilizzo quotidiano. Ecco qualche foto che testimonia il risultato di tanto lavoro:
Scusate se mi sono dilungato un po’, ma sentivo il bisogno di condividere con altri appassionati la nostra piccola
storia di anime guzziste.
L’Aquila vola!