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Una Lodola per il Bepi

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di Vanni Bettega

 

Introduzione
di Fange

Questo racconto merita una premessa visto che il suo autore ha qualcosa di ‘speciale’!

Vanni Bettega è un signore che ha passato 36 anni della sua vita a svolgere diverse mansioni all’interno degli stabilimenti Moto Guzzi a Mandello del Lario. Potrebbe succedere facilmente che dopo tanti anni a contatto con un certo ambiente uno si senta un pò… ‘saturo’. Vanni invece ha lavorato sempre con tanta passione, così tanta che oggi ne ha ancora in abbondanza e ce la dispensa con le sue partecipazioni ai nostri incontri, con i suoi mille aneddoti, con i suoi consigli tecnici e le sue esperienze vissute li, in fabbrica, tra i banchi da lavoro e il rumore dei motori accesi.

Quanti libri si potrebbero scrivere con quello che Vanni racconta, come di quando De Tomaso non credeva ai suoi occhi dopo aver visto la potenza erogata dal V35 rispetto al suo 4 cilindri simil-Honda, o di quando in fabbrica nessuno avrebbe scommesso una lira sulla prima 850 Le Mans perchè tutti credevano fermamente nella 750S3, o di quando il lunedì mattina la tinta colava giù dai serbatoi appena verniciati perchè i forni non erano ancora in temperatura e fuori faceva -7.

Da un anno è in pensione ma quando uno nel cuore ha l’aquila della Guzzi stare lontano da quel mondo è come chiudersi in una stanza buia. E così Vanni ha deciso di farci un regalo e ci ha preparato questo racconto di vita vissuta al quale ci auguriamo che ne seguiranno molti, ma molti altri…

Vanni: un fatto italiano che il mondo ci invidia!!

 

Sto tornando a casa da Sondrio con la mia GTV classe 1947, ho superato il Crottino e si prospetta la discesa verso Dorio. E’ la vecchia statale 36, la strada di casa mia.

Nello specchietto vedo un faro acceso e allora voglio provare se la mia moto regge il passo con andature “moderne”. Controllo che il manettino sia tutto anticipato e tutto tirato lo starter, quindi apro tutto. La moto è lunghetta e nelle curve, se si marcia sui 100 all’ora, bisogna dare un filo di controsterzo.

Son tutte curve amiche mie e quando arrivo in fondo al rettifilo di Dervio il faro nello specchietto non c’è più.

Il semaforo è rosso e dopo qualche istante mi si affianca il ragazzo col Monster. Mi fa segno col pollice alzato. Forse è alle prime armi… lo saluto mentre vien verde e giro a sinistra perché sono arrivato.

Le sbarre del passaggio a livello sono abbassate mentre io, soddisfatto della mia “performance” chiudo il gas, tolgo l’anticipo e mi ascolto il respiro del motore.

Distinguo perfettamente il rumore dell’aspirazione da quello dello scarico e mentre sto assorto ad ascoltare questa musichetta mi si affianca lui, con il suo benellino scassato. E’ il Bepi che sta portando a spasso le sue 87 primavere.

Alza la visiera e guarda il volano girare: “ela una Guzzi?” mi fa con quella vocetta un po’ in falsetto e un po’ sorniona che fanno quelli che hanno conosciuto Carlo Guzzi e che ne imitano la voce raccontandotene qualche aneddoto, e che io conosco bene, perché di questi aneddoti ne ho ascoltati tanti.

Io sto al gioco e faccio cenno di sì col capo. Passa il treno, io riparto e lui tranquillo richiude la visiera e prosegue per la sua strada.

Diavolo d’un Bepi, c’è stato quarant’anni in Guzzi, per me quand’ero piccolo lui era “LA GUZZI! “. Quando andavo a casa sua a giocare con suo figlio Tato e ogni tanto alternavamo le partite coi soldatini di piombo con lo sfogliare i Libri d’Oro che l’azienda donava ai dipendenti alla fine delle stagioni vittoriose.

Il modello GP, la 350 da competizione, i lunghissimi elenchi di vittorie, le foto di Bill Lomas, Mentasti, Stanley Woods e poi Tenni, Lorenzetti, Dickie Dale, Ken Kawanag e quelle moto con la carenatura a campana.

Ma come faranno a inclinarle così tanto in curva ?

Le mezze giornate, ci perdevamo. Altro che studiare!!

Erano i tempi che i miei mi mandavano d’estate alla Colonia di Cesenatico. Con noi del lago c’erano i ragazzi di Milano. Ovviamente noi eravamo quelli della Guzzi e loro quelli della Gilera.

Canzonavamo gli avversari con una cantilena che faceva così:

La Gilera
Sconquassera
che prima no la gh’era
adess a l’è rivada
tuta sconquasada!
adess a l’è rivada/ tuta sconquasada!

Noi non sapevamo che la Gilera era nata dodici anni prima della Guzzi ma, dato che non lo sapevano nemmeno loro, la cosa funzionava perfettamente!

Poi un giorno mio padre che aveva fatto la Ritirata di Russia col Bepi, arrivò a casa e mestamente mi disse che per qualche giorno era bene non andare a impicciare in casa del Tato perché suo papà s’era fatto molto male. Ora so cos’era successo.

Bepi era addetto al banco prova. Si stava provando il motore V2, l’antenato del V7, quello che avrebbe dovuto motorizzare la 500 FIAT, roba che poi non andò in porto.

Il motore girava ed era collegato al banco con un giunto. Fuori dal vetro c’erano l’Ing.Carcano, il Bepi, il Piero e l’Ing.Renzetti. A un certo punto, il giunto si ruppe, rimbalzò sul soffitto della sala prova e fra i quattro scelse di colpire il Bepi in pena faccia.

Tutti credevano che il Bepi sarebbe morto, invece recuperò ed eccolo ancora qui, con quella sua faccia ridotta a metà per la mancanza di uno zigomo.

Quando si rimise, l’azienda gli regalò una Lodola Gran Turismo, rossa e fiammante che era la più bella moto del paese. Lo vedo ancora, in tutte le stagioni arrivare col telo, una specie di tonnau che partiva dal manubrio e s’allacciava dietro al collo, i guanti rigidi applicati fissi al manubrio, gli occhialoni gialli e il berretto in pelle, portarsi appresso al portone del deposito in cui teneva la moto, accostare di lato, aprire la porta, mettere dentro la ruota e infine togliere la chiave e ricoverare tranquillamente la moto.

Di tanto in tanto, le domeniche d’estate, di mattina, mi s’accostava e vedendomi un po’ annoiato, mi diceva “dai salta su che si va a Livigno”.

Metteva la prima e con un colpo di gas scendeva la moto dal cavalletto, io sistemavo i pedalini e salivo dietro. Prima, seconda, terza e quarta senza tirare le marce.. A questo punto si sistemava gli occhialoni e tranquillamente s’infilava i guanti, senza far ondeggiare la moto. Ecco, adesso si poteva aprire.

La moto andava via con signorilità, si sentiva solo il rumore dell’aspirazione e il variare dei profumi man mano che la vegetazione cambiava in virtù dell’altitudine. Com’era bello senza casco!

Una volta a Livigno si compravano le sigarette per gli amici, qualche tavoletta di cioccolato, la saccarina per la zia diabetica, poi due panini a testa e due birre da divorare in uno di quei grandi prati che circondano la cittadina.

Seduti sull’erba, si parlava del più e del meno e poi, prima che calasse il sole, il pieno alla moto e giù. Tanti giovanotti di allora, di una decina d’anni più vecchi di me, in paese comprarono la Lodola, forse più per lo stile con cui la portava il Bepi che non per la moto in se stessa.

Oggi non posso nel vedere una Lodola non pensare al Bepi, ma lui non sa che se son diventato Guzzista è proprio colpa sua!

 

Vanni Bettega