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Milano-Mandello: 3522 km

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Un viaggio un po’ di lavoro, un po’ turistico, molto motociclistico
Di Massimo “ledzep” Viegi

 

La sera prima di partire sto facendo il bagaglio e si presenta il problema di portare qualcosa da leggere. Guardo i miei libri e, un po’ perché a volte è bello rileggersi le cose a distanza di anni, un po’ per una sorta di intuizione, faccio una scelta che condizionerà lo stato d’animo di tutto il viaggio e lo farà diventare un puro vagabondare motociclistico attraverso l’Europa. Decido di portare con me il capolavoro di Robert Pirsig “lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”.
Partiamo dunque da qui:
“ Se viaggi in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto dentro ad una cornice.
In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. E’ incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi.”
…..
L’inizio è stato alquanto sportivo. Io sono partito con le migliori intenzioni: il primo weekend di luglio, il primo con la patente a punti, tutte quelle moto in Valtellina, consigliavano un approccio tranquillo. Attraverso una Milano calda e deserta e prendo la superstrada per Lecco. Monza, Lissone, Desio, ad ogni svincolo il numero di moto sulla strada aumenta e con lui la velocità media. Un flusso costante sul piede dei 150kmh. Superata Lecco iniziano le gallerie, sarà il rumore amplificato, sarà l’assenza di turbolenze, sarà quel K100 là davanti, ad un certo punto guardo il tachimetro: “ !! 190.. Vediamo di calmarci un po’ “ . Rallento, finisce la superstrada, adesso il numero di moto che risale la valle è enorme. Moto di tutti i tipi, un flusso costante fino a Bormio. Un veloce rifornimento ( veloce per modo di dire, c’era una coda di cinquanta moto) e attacco lo Stelvio. Finalmente siamo in salita, il terreno ideale per me e per la mia California. Un po’ troppa gente, persino un paio di ingorghi! Appare alla vista il passo e con lui l’albergo Folgore con l’enorme striscione Moto Guzzi…peccato siamo tutti fermi in fila! Vedo un paio di tornanti più sotto una moto che prende una strada sterrata. Beh, se non avessi indipendenza di giudizio non avrei una Guzzi! Via da questa folla di quattro cilindri! Giro la moto, scendo due tornanti e prendo la via alternativa al raduno. Un minuto di sterrato e sono all’albergo.
Pausa. Iscrizione alle GMG, presentazioni con gli amici del forum che vedo per la prima volta di persona, piacevolissimo pranzo e…partiamo!
La meta finale è Parigi, l’obbiettivo di giornata è arrivare in Francia. Per farlo devo attraversare tre passi: il primo è l’Umbrail, subito sotto lo Stelvio, che ha qualche chilometro di strada sterrata che si fa senza problemi. I paesaggi sono bellissimi, il traffico quasi inesistente. Arrivo nel fondo valle e prendo la strada per Davos. Settanta km attraverso l’Ofenpass e il Fluelapass. Tutta alta montagna, curve e tornanti sulle quali spremo me e la moto, che non si tira certo indietro, il motore canta che è una meraviglia ed in un attimo sono a Davos. Da qui una bella strada di fondovalle porta all’autostrada per Zurigo. Autostrada svizzera… sempre meglio che la pianura padana! Dolci curve in bei paesaggi che mi faccio in pieno relax, intorno ai 150kmh. Vabbè, siamo oltre il limite, ma non sono certo quello che va più forte! Zurigo va attraversata, non c’è modo di evitare di passare dal centro, di superare le macchine in coda ai semafori e di mandare a cagare quelli che ti suonano per dirti che dovresti stare in fila. Riprendo l’autostrada e arrivo a Basilea, la città delle industrie farmaceutiche. Quei furbacchioni di Svizzeri le hanno messe qui così avvelenano il Reno giusto 500 metri prima del confine tedesco. Un nuovo tunnel sotto la città mi porta verso il confine Francese che attraverso in un attimo. Dalla frontiera prendo la D419 fino a Belfort. Strada bellissima. Dolci ondulazioni, boschi, prati, curve quasi mai ceche,asfalto perfetto, la luce del pomeriggio inoltrato, ci fosse un pezzo degli Steppenwolf sarei dentro Easy Rider. E’ il momento di guidare con senso estetico, basta spostare il peso del corpo e la California disegna le curve con la precisione di Giotto: marce lunghe e mi faccio cullare fino a che non entro in città. La stanchezza inizia a farsi sentire. In Francia esiste una catena di alberghi molto spartani ed economici chiamati F1. Sono alla periferia delle città. Venticinque euro una camera con tutto quello che serve.
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Mattina, sveglia di buonora, aria frizzante, giornata splendida. Ho tempo, quindi ho deciso di farmi il viaggio tutto fuori dall’autostrada. N19 fino a Langres e poi dipartimentali fino ad Auxerre. Le dipartimentali francesi sono la spiegazione delle soffici sospensioni delle auto francesi. Non hanno buche ma una serie infinita di ondulazioni; comunque sono godibilissime. In questo tratto continua l’alternarsi di boschi e terreni coltivati. La campagna francese è radamente abitata, il paesaggio è ampio e c’è poco traffico se si eccettuano i Mirage a bassa quota che prima li vedi e poi li senti e che se prima non li vedi ti fanno venire un coccolone. Comunque ad Auxerre entro sulla N6 e poi a Fontainebleau in autostrada. La A6 o “autoroute du soleil”, che poi è quella che fa chi viene dall’Italia, è il modo migliore per entrare a Parigi: due corsie, poi tre, poi quattro, poi le autostrade sono due, un continuo saliscendi finchè, dopo uno scollinamento, vedi la città tutta intera, con la Tour Eiffel, il Sacro Cuore, la tour Montparnasse. Una bella discesa, un tunnel, uscita a Porte d’Italie. In zona Place D’Italie è pieno di alberghetti con prezzo sotto i 50 euro che chissà perché hanno sempre posto…
Parigi… che dire di Parigi che non sia già stato detto…. Ok, sparo le tre cose che faccio sempre quando ci capito:
1) prendo il boulevard periferique interno, esco sul quai d’issy, attraverso il pont du Garigliano, prima a destra, ancora prima a destra ed entro sulla via rapida George Pompidou. A questo punto velocità da turismo e mi faccio tutta questa meravigliosa strada che attraversa la citta, senza semafori e stop, a livello del fiume, tranne un paio di tratti in galleria che fanno tanto metropoli. Una cavalcata attraverso tutti i monumenti principali che finisce al palasport di Bercy ( l’unico che abbia mai visto con un tetto d’erba), con un’occhiata d’obbligo alla nuova biblioteca nazionale, un edificio che farebbe venir voglia di studiare anche a Mike Tyson.
2) Visita a L’Astrolabe, un negozio in Rue De Provence dove trovate qualsiasi carta, turistica, militare, topografica, navale, che esista. Volete organizzare un viaggio in moto su Marte? Venite qui a comprare la carta stradale. Una miniera per me che sono appassionato. Stavolta me ne vado con una semplice carta del Benelux visto che ci dovrò viaggiare.
3) Cena in un ristorante turco nella via forse più stretta di Parigi: Passage de la main d’or, una traversa di Rue du Fauburg Saint Antoine. Per intenderci più o meno la zona dove sono ambientati i libri di Pennac. Sembra di essere ad Algeri e si mangia da dio.
Per il resto, in una città dove hanno fatto una nuova linea di metrò nel tempo che a Milano hanno fatto una stazione e dove ci sono il doppio di sale cinematografiche che in tutta Italia, mi affido alla rivista Pariscope ed al caso.
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Mi faccio la mia giornata lavorativa, non senza allietarla con qualche giro in moto. Guidare a Parigi, soprattutto in moto, non è roba per principianti. Lo stile somiglia molto a quello milanese: se non sono in coda vanno tutti alla massima velocità possibile, nessuno si ferma ai passaggi pedonali, le moto tendono a fare tutte le preferenziali ( almeno a Milano è legale), non sono ammesse incertezze. Divertente, tranne che per gli inglesi: me li immagino, tutto il giorno a girare intorno all’arco di trionfo senza riuscire a beccare una di quelle maledette avenue.
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Lascio Parigi per Amsterdam. Voglio andarmi a cercare un po’ di belle strade alternative, di quelle che sulla carta Michelin hanno il bordo verde e tante curve. La cosa non è semplice in Belgio ed Olanda. Decido di prendere l’autostrada A4 per Reims. La bellezza delle autostrade francesi è che , rispetto a quelle italiane, sono più larghe e con meno traffico. Complice la leggera discesa e la fresca aria del mattino, parto a razzo tra i campi di grano. Mi metto sui 180 e in cinquanta minuti sono arrivato. A Reims c’è una delle più belle chiese del mondo. Per me vale da sola un viaggio in Francia. Il gotico alla sua massima espressione. Si potrebbero stare ore a guardare le innumerevoli statue sulla facciata, o, una volta entrati, a farsi avvolgere dalla luce colorata che entra dalle immense vetrate dipinte. Esco bello rilassato e noto un gruppo di turisti polacchi che, saranno pure davanti ad una delle più belle chiese del mondo, ma fanno crocchio intorno ad alla moto più bella del mondo. Casualmente la mia. “ eh eh… salve… come?.. vengo dall’Italia… Quanto tempo?…E che ci vuole…con questa?…mi metto a 240…un attimo. Ora devo andare…sapete…Amsterdam, Berlino, Varsavia….Mosca….come?….devo stare attento in Russia? Ok…don’t worry…bye”
Parto verso il Belgio, ancora un po’ di supestrada. Il paesaggio è quello delle zone minerarie del nord. Case di mattoni e molti segni di emigrazione italiana. Pasta pizza e mozzarella. La strada continua a scendere, vabbè che vado verso i paesi bassi ma quanto bassi sono! A Charleville prendo la D988, i campi diventano boschi e una ripida discesa (!!) mi porta fino sulla riva della Mosa. Da qui iniziano un centinaio di km di strada in un paesaggio così perfetto da sembrare irreale. E’ la valle della Mosa. Il fiume scorre attorcigliandosi intorno a colline ripidissime coperte di boschi. Ogni tanto un paese interrompe il bosco e vari sistemi di chiuse scandiscono il corso del fiume, navigato perlopiù da barche di famigliole in vacanza. A volte il bosco è così fitto che cartelli raccomandano di accendere i fari. Un altro tratto da godersi a velocità turistica.
Lascio la parola a Pirsig:
“ Su una moto in corsa passi il tempo a percepire le cose ed a meditarci sopra. Su quello che vedi, su quello che senti, sull’umore del tempo e i ricordi, sulla macchina che cavalchi e la campagna che ti circonda, pensando a tuo piacimento,senza nulla che t’incalzi, senza l’impressione di perdere tempo”
Finita la valle entro in autostrada. Devo superare Bruxelles e arrivare ad Anversa. Un sacco di traffico, un sacco di svincoli. I Belgi, sarà perché sono tanti in un paese piccolo, viaggiano molto più lentamente dei francesi. Mi adeguo e a 130 attraverso tutto lo stato. Appena dopo Anversa entro in Olanda e giro a sinistra verso il mare del nord e le dighe. Un tunnel mi dice che lascio il continente per un’isola: la Zelanda. Le isole sono per gli olandesi terra di frontiera. I villaggi non sono circondati da mura ma da dighe, vedi passare barche molto più in alto della strada che stai facendo. Era una terra che non c’era per cui ogni albero ogni siepe è lì perché doveva essere lì. Aggiungeteci le strade con le curve ad angolo retto e l’impressione è quella di essere in un plastico.
Le enormi dighe mobili che separano il mare dai vari rami del delta del Reno sono veramente impressionanti. Prima di Rotterdam ce ne sono quattro e tra l’una e l’altra mi perdo tra le stradine di campagna tra mucche, oche e fagiani. Una bella passeggiata prima di salire su un altissimo ponte che supera il porto di Rotterdam. O meglio, una parte del porto, che è il più grande del mondo ed è lungo cinquanta km. Rientro in autostrada ed arrivo ad Amsterdam.
Amsterdam….le tre cose che faccio sempre quando sono ad Amsterdam?….eh eh…. Passiamo direttamente alla seconda: il museo Van Gogh, è come un concerto di Springsteen, lo puoi vedere cinquanta volte ed è sempre diverso. E poi un bel ristorante indonesiano. Ce ne sono tantissimi e sono ottimi. Diciamoci la verità…Amsterdam per tutti i mezzi che non abbiano due ruote e due pedali è solo una rottura di palle. Ponti, ponticelli, passaggi pedonali, un sacco di biciclette, pattini, cani, zone con il limite di 30kmh….. grazie alle amicizie altolocate parcheggio la moto nel posto più sicuro della città, il cortile della banca centrale, giusto sopra il caveau, e passo una giornata passeggiando.

Venerdi. Sveglia presto che domattina devo essere a Mandello e oggi ho da fare tutta la Germania.
Autostrada, buon passo, supero strombazzando una California II, chissà se è diretto a Mandello, e arrivo al confine tedesco. Germania limite in città 60kmh, limite su strade extraurbane 100kmh, limite in autostrada “consigliato” 130kmh. Grande! La regina del trasporto individuale! Mi piacciono i tedeschi al volante perché sono corretti, prudenti ma vanno forte. Per spiegare quanto vadano forte facciamo un salto in avanti di qualche ora: autostrada da Stoccarda ad Augsburg. 140 chilometri contrassegnati, forse perché ondulati e con leggeri curvoni, dal limite di 120kmh, non consigliato ma effettivo. Venerdì pomeriggio, traffico sostenuto di famigliole dirette a sud. Mi metto sulla corsia di destra, il mio tachimetro (nuovo) segna 150kmh, in centoquaranta chilometri non supero una, a ribadisco una, macchina. Qualche camion, per il resto mi sembrava di essere fermo. Torniamo indietro. Faccio l’autostrada fino a Colonia. Dopo quella di Reims anche qui faccio una sosta cattedrale. Un’altra chiesa di quelle impressionanti e con uno strano destino. Ci sono foto di colonia nel 1945 in cui si vede una distesa di macerie con in mezzo una cattedrale. Probabilmente in tutta la città non c’è una pietra che risale a prima della seconda guerra mondiale, e la cattedrale credo che sia l’unica al mondo che sbuca dal tetto di un parcheggio sotterraneo. L’effetto è un po’ paradossale ma comunque merita la visita. Riparto e a Bad Godesberg scendo sulla riva del Reno. Da qui a Wiesbaden sono 140 km di valle del Reno, ed è una strada che vale la pena percorrere. Decido di farlo sul lato sinistro e vado… vigneti, castelli e il grande fiume solcato da chiatte di ogni tipo. Poi di nuovo autostrada, dopo Francoforte taglio per le dolci ondulazioni della foresta nera, ancora autostrada fino ad Augsburg, e svolta decisamente a sud fino a Garmisch-Panterkirchen. Mi riavvicino finalmente alle alpi, appena le vedo tutta la stanchezza dei 950 km fatti oggi mi passa e mi godo gli ultimi chilometri di curve. Le alpi Bavaresi non arrivano a 3000 metri ma sono impressionanti per le pareti di roccia nuda altissime e verticali. Trovo da dormire in una casa e faccio un giretto. Sono contento di essere qui perché per un appassionato di sci, oltre che di moto, se Kitzbuhel in Austria e l’isola di Man, Garmisch è Assen ( vabbè… allora Wengen è Laguna Seca, la Val Gardena è il Mugello…. e la Val D’Isere? … ? ‘azz…mi manca la Val D’Isere!). Peccato non ci sia neve.
….
Mattina di sabato…partenza per Mandello. Mi aspettano tre passi, il Fern, il Resia e lo Stelvio.
Entro in Austria e son subito bestemmie perché gli autoctoni hanno pensato bene di mettere indicazioni stradali che ti portano sempre ad imboccare autostrade. Perdite di tempo ad ogni incrocio, magari tre giri di rotonda per capire qual è la mia strada , alla fine imbocco la salita del passo Resia. L’andatura è allegra e supero due moto con targa tedesca. Una curva, due, sento un rumoraccio che viene da dietro e due presunti missili che mi superano con fare intimidatorio. Sono i tedeschi di prima. La salita si fa più seria e si avvicinano i tornanti che non sono molti e sono abbastanza larghi. Riconosco davanti a me una Suzuki GSX R 750. Dunque, oggi ci sono le prove a Donington ergo quello davanti a me non può essere Rossi e neanche quel flaccidone di Roberts Jr quindi vale la prima legge della Guzzi in montagna: dato che escludo che i miei freni siano peggiori dei tuoi posso frenare dopo di te. Dal che deriva la seconda legge della Guzzi in montagna: non mi stacchi, è inutile…non mi stacchi. Primo tornante, il crucco frena, come volevasi dimostrare gli sono dietro, apro il gas in uscita di curva ma devo richiuderlo un po’ per non tamponarlo (!). “azz…ma non c’hai 120 cavalli? E dove sono, da tuo zio stalliere?”. Breve rettilineo, si allontana ma mi avvicino in frenata “guarda che io c’ho l’integrale e posso frenare ben dentro la curva neh!”…stavolta incrocio la traettoria e apro il gas, lo supero di una buona mezza moto fino a che lui non arriva ai suoi quattrocentomila giri e mi passa con tutto quel rumoraccio di cilindretti. Ma, poveraccio, deve mettere la seconda, io no, io tiro la prima ancora un po’così mi avvicino. Faccio appena in tempo a mettere la seconda -immagino che lui sarà in quinta- che arriva l’altro tornante, stavolta a sinistra. Stavolta sto all’interno, lui frena, io(dopo) freno, gli sono di fianco, sono a cento curva e apro tutto il gas, sento la mia ruotona che addenta l’asfalto, i cilindri che riprendono a più non posso, faccio in tempo a vederlo nello specchietto prima che mi ripassi sul rettilineo. Così per tutti i tornanti, ci tengo a dire che, salendo la strada per degli enormi pratoni non c’era neanche una curva cieca e non c’era traffico. Una strombazzata ed un saluto reciproco una volta arrivati in vetta mette fine alla contesa mentre lui si ferma a far benzina. In fondo siamo rimasti tutti e due contenti, il crucco perché è arrivato davanti, io perché con una moto con cinquanta cavalli in meno (ma con 2kgm di coppia in più alla metà dei giri) gli sono stato dietro. Una bella pacca sul serbatoio della cali e via per la discesa tra i prati della val venosta. Spettacolari! Fine della discesa e bivio per lo Stelvio. Il passo preso dalla parte Trentina è mostruoso. Si capisce perché è il mito di ogni ciclista quando ai piedi della salita si vede il cartello “tornante n°48”. Sarà per la recente battaglia col crucco suzukato, sarà per la strada in sé, mi butto per la salita come un assatanato, prima-seconda, prima-seconda, tutte le marce tirate a non meno di 6000 giri, supero tutti. Moto, bici, macchine,pedoni, mi avranno preso per scemo ma chi se ne frega, mi godo i miei dieci minuti di irrazionalità e sono in cima. Pausa sigaretta e coca cola e in discesa verso Mandello.
Con calma la Valtellina e il lungo lago e il mio Milano-Mandello finisce allo stand di Anima Guzzista.
Sono contento di aver fatto questo giro. Primo per una ragione “politica”: ho attraversato Francia, Belgio, Olanda, Germania e Austria senza passare una frontiera e senza dover
“cambiare” , e questo è bellissimo. L’altra ragione è che benché in un anno e quattro mesi abbia fatto 30000 km con il mio California, anche con delle belle trasferte e su strade di tutti i tipi, questo è stato il primo vero viaggio con questa moto che adesso è più che mai la MIA moto. Il perché naturalmente l’ha spiegato Pirsig:

 

“con l’andar del tempo le sensazioni che una particolare moto ti da si individualizzano sempre più, tanto che quando ne provai una identica alla mia – stessa marca, stesso modello e persino stesso anno di fabbricazione – che un amico mi aveva portato a riparare, sembrava impossibile che fosse uscita dalla stessa fabbrica. Si vedeva benissimo che da molto tempo aveva trovato il suo ritmo, la sua andatura e il suo rumore, che erano completamente diversi da quelli della mia.
Immagino che questa si possa chiamare personalità”