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Un Viaggio Odissea

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Traversata delle tre Americhe in moto

di Claudio Giovenzana

 

UN VIAGGIO ODISSEA

Il punto della situazione, quasi due anni di viaggio e 40.000 km di strade che hanno offerto molto più di curve e panorami. Lungo la strada che conduce alle coste dove le tartarughe depongono le uova racconto le emozioni e i cambiamenti di una vita si rinnova km per km a cavallo della mia inseparabile Guzzi.
Certi viaggi cambiano la vita, è un fatto, posso con certezza dire che è il fatto degli ultimi due anni della mia vita. John Steinbeck diceva che non è l’uomo a fare il viaggio ma il viaggio a fare l’uomo. Mai più che ora capisco il senso di questa frase. Dopo una lunga collaborazione con Euromoto ci siamo sentiti di condividere con voi lettori alcuni aspetti più intimi e avventurosi di questo viaggio che continuo e sperimento nelle sue mille trasformazioni. Se lo volessi quantificare in un modo spartano potrei dire che dura da 40.000 km ma questa volta voglio abbandonare le tabelle di marcia e parlarvi invece di alcune delle 40.000 esperienze vissute e delle 40.000 storie di persone incontrate, amate, perdute o ritrovate.
In un viaggio di lungo raggio il “km” perde di efficacia come unità di misura. Le esperienze e le persone incontrate diventano il nuovo sistema metrico per raccontare, condividere e ripercorrere la storia e la strada fatta. Sono il sale del viaggio e questo viaggio è come fosse mio figlio. Come tale non posso parlarvi di lui solo in km di paesaggi e città, c’è un amore nascosto che scappa dalle tabelle chilometriche e che per forza devo raccontarvi.
Noi viaggiatori motociclisti abbiamo il privilegio di cavalcare un mezzo costituzionalmente aperto al mondo, esposto all’aria, al sole e purtroppo anche alla pioggia. Abbiamo scelto un mezzo che si infila in ogni dove, quasi come una bicicletta, un mezzo che poco ingombra il paesaggio, che appare costruito per l’avventura e che ricorda lontanamente quell’andare fiero e avventuroso dei cavalieri medievali. Usare una moto per andare solo dal punto A al punto B vuole dire viaggiare per il mero gusto di arrivare. Invece proprio tra due punti geografici, la partenza e l’arrivo, noi motociclisti e viaggiatori viviamo la nostra quinta essenza: il piacere legato alla guida, il godimento del paesaggio, la sensazione di sentire sulla pelle i cinque elementi della madre natura e l’entusiasmo dell’incontro, quell’incontro magico con persone e culture che può scardinare i pilastri che reggono il modo di concepire la vita. Quando il viaggio diventa lo stile del vivere, come nel mio caso, nel proprio itinerario arrivano curve improvvise da affrontare. Queste curve inaspettate sono innamoramenti, fughe e ritorni, lavori provvisori, espedienti per sopravvivere, volontariato e nuovi tentativi di costruirsi una professione.
Un giorno un famoso giornalista e scrittore, Paolo Rumiz, mi ha detto: “i luoghi sono sempre quelli per tutti i turisti ma le persone no, quelle le incontri solo tu nel tuo cammino”. Così km dopo km in motocicletta ho raccolto le storie di alcune di questi viandanti che ho avuto la fortuna di incontrare. Storie intense piene di lezioni di vita, piene di una meravigliosa forza lanciate all’ inseguimento della felicità, dell’amore, dell’amicizia o della saggezza. Storie che mi sono appuntato in una rubrica che ho chiamato “L’anima del mondo”.
Con la penna, la macchina fotografica e la videocamera ho tessuto una rete per catturare la bellezza delle storie delle genti e dei loro luoghi per poterle poi raccontare su internet e sulle riviste. Ho realizzato una serie fotografica chiamata “i sogni del mondo” che presto esporrò in alcune città del Messico. Trattasi di fotografie di persone che abbracciano quell’orsacchiotto che spesso avete visto nei miei articoli apparsi su Euromoto. Orso che è simbolo dell’innocenza e della forza che appartiene all’atto di sognare, quel compagno di quando eravamo bambini, custode dei segreti e testimone dei desideri. Accanto a ogni foto viene scritto il più grande desiderio che la persona fotografata ha avuto nella sua vita. Il Governo dello Stato messicano di San Luis Potosì ha notato il mio lavoro e mi ha proposto di collaborare con un team che aiuta comunità indigene di Trikis e Mixtecos a integrarsi alla popolazione superando barriere culturali. Lavorerò prima come psicologo di gruppo (questa è la mia prima professione) e poi come fotografo immortalando sogni e desideri per avvicinare queste culture indigene alle città di cui sono satellite.
Un branca della National Geographic, la NatGeoAdventure al contempo mi ha riconosciuto come reporter e grazie a questa credenziale posso presentarmi con tutti gli onori di un fotografo di livello facilitandomi così il lavoro, l’accesso a siti ristretti e l’accoglienza di certe istituzioni.

Quante strade deve percorrere un uomo prima che possa chiamarsi uomo? Questa è la domanda che Bob Dylan cantava in Blowing in the Wind. Per lui la risposta era “soffiata nel vento” per me invece la risposta è proprio nelle mille strade che sto percorrendo con la mia moto per potermi un giorno chiamare Uomo nel suo senso più completo e meraviglioso. Vorrei condividere con voi questo esubero di intimità, di avventura e di esperienza unica che, anche se non appartiene all’itinerario geografico in senso stretto, sta segnando l’itinerario nuovo della mia vita e il mio stile di andare in motocicletta.

VERSO LE TARTARUGHE
Iguala – Chilpancingo 160 km

Tanto vi ho raccontato del Messico e tanto ancora vi racconterò perché sembra che con questa terra non abbia chiuso affatto nonostante sia passato più di un anno esplorandola.
Se togliessimo dalla mappa l’enorme Città del Messico avremmo davanti agli occhi un paese con lo stesso numero di cittadini dell’Italia ma in uno spazio 5 volte più grande. Il paese con il più alto grado di biodiversità del pianeta. L’ho vissuto nelle case della gente e nelle fragili tele della mia tenda. Dopo notti nelle montagne, nei vulcani, nella giungla e nel deserto ho voluto spingermi questa volta verso le coste dello stato di Oaxaca. Coste misconosciute dagli italiani che visitano il 99% delle volte quelle dello Yucatan più a Nord.
Ho preso la moto e viaggiato cercando le spiagge vicino alla famosa Puerto Escondido e cercando di raggiungere la mia bella messicana che stava facendo volontariato al Centro Messicano della Tartaruga in uno di questi angoli di paradiso. Questo centro è una importante istituzione per salvaguardare una delle più antiche creature del mondo che fino agli anni 90 è stata massacrata talvolta persino in 3000 esemplari al giorno ed oggi è invece protetta con grandi sforzi contro il contrabbando e contro la ignoranza culturale in materia ecologica che affligge il Paese.

600 km da Iguala a Pinotepa Nacional su strade tortuose da percorrere con il coltello tra i denti e l’occhio vigile sugli asfalti ingloriosi e bastardi che in alcune tratte diventano trappole o pessime sorprese.
Parto da Iguala nello Stato di Guerrero, una area geografica che di giorno diventa fornace, qui i venti non riescono a spingere via la calura della terra secchissima. Questo è un anticipo dello scotto che avrò da pagare sulla costa con i suoi 35 38 gradi all’ombra. Sono in una specie di valle desertica circondata da montagne che scorre lenta per 120 km sino a toccare le pendici della Sierra. La moto sembra non soffrire come me il caldo cocente, forse perché a 100 all’ora il motore riposa sornione sui suoi 3000 giri al minuto, 3000 sbadigli contro i miei 3000 sospiri di fatica. Alla fine della piana la strada inizia a curvare e innalzarsi sulle alture della Sierra Madre.

CAVALCANDO LA SIERRA
Chilpancingo – Tierra Colorada 120 km

Raggiungo le montagne che sono la salvezza da quel torrido clima che affligge gli abitanti degli altipiani centrali. Mi preparo a un giostra di curve che mi portano in vetta a quasi 2800 metri sul livello del mare. Il Guzzi procede bene e il Toporso, l’orsacchiotto, è legato al posto del passeggero con indosso il casco che userà la mia compagna dopo il mio arrivo. L’arido deserto ormai è un ricordo dimenticato nei retrovisori, le nuove stradine scappano come fuggiasche tra i tronchi resinosi dei pini. Le narici succhiano più aria dei pistoni, la guzzi carica di brio la marcia ma nelle curve a medio raggio si scompone come un cane che sbanda con il sedere. Mi fermo e precarico le molle afflosciate sotto il peso del tempo e dei bagagli. Riprendo come un fulmine, sono felice, apro la bocca e sento l’aria fresca gonfiarmela come un paracadute, sto cavalcando la Sierra Madre. Mi lancio sull’altro versante, quello che discende verso il mare.
Direzione Acapulco ma prenderò prima possibile la deviazione verso Pinotepa Nacional, a suo tempo conoscerò anche la famosa Acapulco ma per adesso non sono attratto da una città scoppiata di turismo e traffico.

IL RESPIRO DEL MARE
Tierra Colorada – Pinotepa Nacional 290 km

I gradi aumentano, ritorna la fornace e mi inghiotte un calore che non mi toglierò più di dosso nelle varie settimane in cui vivrò sulla costa. Divento un gavettone di sudore alla guida di un ferro da stiro bollente, l’erogazione della moto cambia di nuovo. Spalancando inizio a sentire i colpetti in testa che un bicilindrico raffreddato ad aria non può non fare in certe condizioni atmosferiche. Ingrasso la carburazione perchè la vecchia centralina modello “Fiat punto” che monta questo modello mi offre una graditissima vite per ingrassare e smagrire. Le Guzzi moderne qui sarebbero castrate dalle norme Euro 4 che esigono miscele asciutte le quali scaldano i cilindri come tizzoni ardenti.
E’ sera, il caldo da tregua, raggiungo la strada costiera fastidiosamente scomposta che però porta il nobile nome di Panamericana, qui in Messico contrassegnata come la numero 200. La Panamericana è una enorme via di transito lunga tutto il continente che corre a lato delle dorsali montuose che assieme fanno la “colonna vertebrale” del continente Americano.
Mi si stringe lo stomaco pensando che oltre il mio orizzonte, più in là del cielo che vedo la terra continua per decine di migliaia di km sino a sparire negli abissi dopo l’ Argentina. Provo la stessa sensazione di infinito di quando iniziai il viaggio, il senso del movimento perpetuo e la percezione di una terra che ha sempre da offrirti distanze da percorrere. Fa notte, mi fermo a una Taqueria dove una signora dai tratti mascolini con la spossatezza del calore diurno mi recita il menu. Scelgo uno yogurt e la colgo di sorpresa, non ne ha più così manda la figlia che corre a comprarlo. Finisco di mangiare ed avanzo umilmente la richiesta di poter piantare la tenda dentro il recinto polveroso che delimita la sua proprietà separandola dalla strada.
Sono poche le luci delle case che sfidano il brillare delle stelle, la natura intorno a me, le palme lontane e le vicine spiagge sono amiche della volta celeste e lasciano la via latea esprimersi sopra la mia testa. La luna fa giochi di luce con l’esigua carrozzeria della guzzi, i miei occhi si coricano infilandosi sotto le palpebre e sento ancora i ticchettii dei cilindri che si raffreddano.
Domani arriverò nel paradiso delle tartarughe: spiagge chilometriche create ed erose dalle acque del pacifico, battute dai venti tropicali ed abitate da iguana, granchi, cani selvatici e qualche uomo nella sua capanna dal tetto di paglia. Conoscerò un italiano-sciamano e un pittore famoso ritirati nei loro piccoli paradisi discreti e nascosti. Diventerò il fotografo ufficiale del Centro Messicano della Tartaruga, in prima linea per riprendere la vita delle creature marine più antiche e indifese del pianeta. Questo e altro nel prossimo numero.