di Paolo Miolo
LA STRADA DELL’INFERNO
“Ma guarda che sfiga parto insieme a un Ducati e a un Guzzi e si va a rompere l’Honda”
Appena ascoltata la frase un pensiero un po’ maligno mi si ferma tra i denti un attimo prima di diventare parola.
Stronzo. Adesso però chi ti sta trainando e un Guzzi. Anzi il mio Guzzi.
Se non fosse per le ingenerose parole probabilmente avrei la luna meno di traverso. I guasti si sa che capitano.
E’ quasi mezzanotte, un buio pesto, il T5 è stracarico, tra le strade turche e la ruota da 16’ non c’è amicizia, le cinghie che fissavano tenda e i sacchi a pelo adesso trainano un XL 600 muto ma in garanzia. Suole vicino all’asfalto, gas pelato e trent’allora, meglio meno. La Robi fa contorsioni per tenere fermo il bagaglio ormai legato con approssimazione. Un viaggio bellissimo e senza inconvenienti si sta lentamente trasformando in una medioevale tortura. Ripenso al dopo cena di un paio d’ore fa.
“Dai è presto facciamo ancora un po’ di strada…”
il palestrato ondista ordina un altro giro di roba forte, sottolineando così la sua sfida a chi molla per ultimo. Tutti abboccano. Me compreso. Chiaramente anche il mio buonsenso è in vacanza.
E il Guzzi adesso traina…
Io dò la colpa all’ultimo bicchierino di raki, alla Honda, alla stupidità umana (in particolare alla mia) e in fondo in fondo sogghigno. Lo so, il paradiso dei motociclisti a me sarà precluso. Troppi peccati d’opinione. Mi consolo pensando a quello dei Guzzisti.
Lì sono certo che mi rimedieranno un posto, magari mi metteranno solo a lucidare bilanceri o ad alleggerire volani. Nulla di più, ma andrebbe bene comunque…
Dopo un’ora di strappi e contorsioni, conditi da aroma di frizione cotta, gli orribili ma efficaci proiettori supplementari del T5 illuminano un cartello. A questa folle velocità sarebbero bastate anche le sole luci di posizione…
KAMAN
nufus: 1200
Beh, milleduecento anime non sono già più solitudine. L’odore di questo paese è buono, sa di paglia di frumento bruciata dal sole e di diesel stanchi. Su ambo i lati dell’unica strada grossi cubi in blocchi di cemento che pretendono di essere case. Aria di miseria e fatica che rompe le ossa, poche macchine agricole e luce fioca. Nulla di esotico che possa ricordarci le porte dell’oriente. Piuttosto qualcosa tipo bassa padana o agropontino anni ‘50.
“Spero che questa non sia la piazza principale, in genere c’è un monumento qui invece c’è una pompa di benzina”
Nonostante il guasto al suo mezzo il palestrato non perde il sarcasmo. La sua tipa invece sta cedendo e con lei anche i suoi poco motociclistici fuseaux, che tanto appagavano l’occhio. Adesso non fasciano più tonici glutei, c’è un effetto pigiamone di flanella. Spero di cuore che non siano stati i suoi glutei a cedere.
“Non è benzina, è gasolio.” Il ducatista, che in realtà guida un Elefant 750 ma ama definirsi ducatista, precisa con puntualità il macroscopico errore. E’ un tipo da occhialino rotondo, insomma aria intellettuale, toscano ma di modi raffinati.
“Vabbè sai che differenza” il palestrato risponde con tono irritato.
“Beh oddio se proprio vogliamo qualche differenza tra gasolio e benzina ci sarebbe…” Anche se è tardi il Tosco-Ducati non ci sta. Penso che sarebbe disponibile a scatenare una dialettica interminabile sull’argomento. Si guarda intorno e continua:
“A vedere dalla quantità di fusti da 2 quintali che ci sono in giro, qui c’ è un’officina”
“Non penserai mica che faccia ripare qui la moto?” il palestrato cambia umore, è indignato che una simile idea abbia solo sfiorato la sua muta Honda.
“E’ ancora in garanzia, Io domattina chiamo la Europe Assistance e sistemo tutto”
“Guarda che puoi fare ciò che vuoi, dicevo semplicemente che se c’è un’officina possiamo dare un’occhiata magari è una pirlata, poi decidi”
Mi intrometto tra i due perché lo scambio stava diventando serrato e forse è meglio smetterla.
Il Tosco-Ducati continua: “Non ti fare illusioni: la Europe Assistance non può fare miracoli; anche se individuassimo il guasto qualcuno che ti dia un aiuto e un recapito ci serve comunque”
Nella semi oscurità si sta avvicinando una persona. Tuta blu sporca come un cencio di mille anni, entrambe le mani occupate: sigaretta e gelato. Il gelato si sta copiosamente sciogliendo e dal cono finisce su dita dove le linee sono evidenziate da sporco mal tolto. Lecca gelato, dita e fuma. Farfuglia un saluto, gesticola e dice qualcosa in simil-tedesco che nessuno di noi capisce.
Indichiamo la honda e diciamo “Kaputt”
pigiamone chede “Hotel”
Tuta blu è strabico da un’occhio, quindi niente sguardo intelligente, inoltre odore di giornata lavorata fino in fondo e alito da senza filtro raccomandano distanze di sicurezza. Il gelato mezzo sciolto tra le dita e i denti così bianchi da sembrare finti rendono la figura un pò ridicola.
Mimando teatralmente il gesto dello svitare con una chiave ci fa capire che lui è meccanico e abita lì sopra, alla moto ci penserà lui domani. Il Tosco-Ducati ci aveva visto giusto.
Hotel, Hotel, gut Hotel. Tuta blu si sbraccia e ci fa segno di seguirlo.
A cinquanta metri scorgiamo una vetrina d’angolo verniciata di bianco dall’interno. Oddio Hotel è una parola grossa, diciamo che l’alternativa era la strada…
Roberta dopo il primo sguardo al giaciglio decide di dormire con la tuta di pelle. Io pure.
I diesel, solo odorati la sera precedente, ci svegliano molto presto o meglio lo fa il loro minimo bradicardico. Un paio di vecchissimi Dodge col muso e qualche trattore attendono di fare colazione alla pompa. Niente ressa invece intorno all’unico bagno dell’Hotel. Anche i più duri rinunciano.
Guardando il viso di Roberta scoppio in una risata alle lacrime.
“Perché mi quardi e ridi?” Mi chiede acida intuendo che il motivo di tanta ilarità è lei:
“Eh allora cos’ho che non va?”
“Dai, non fare così si vede che hai dormito non solo con la tuta ma anche anche con il sottocasco! Hai i segni delle cuciture stampati sul viso!”
“Si è vero, però tu hai dormito con gli stivali”
Confesso e ridiamo di cuore entrambi. E’ già una bella giornata.
Tuta Blu è nel bar dell’albergo che ci aspetta così come un’infinità di bicchierini di çai bollente che offre a tutti. Stamane ha un’andatura e un portamento migliori. Forse ieri non ero l’unico ad averci dato dentro con il raki.
Con gesti inequivocabili i presenti ci propongono di fare colazione. Formaggio di capra, pomodori, olive e cipolle in insalata. Ci sono anche delle piccole salsicce a forma di granata a frammentazione ma il colore rosso violento induce tutti ad un atteggiamento prudente. Visto il menu a molti il coraggio viene meno, altri ci provano. Così, almeno per l’alito, combatteremo ad armi quasi pari con i nativi.
Tutto sommato una Marlboro secca sarebbe stato un modo peggiore di iniziare la giornata.
Nel bar c’è aria di festa, non si può non apprezzare ciò che fanno e la carica di umana dignità che ci mettono. Hanno poco ma ce lo offrono tutto.
Tuta Blu freme: sta attendendo con impazienza che finiamo di fare colazione, si vede lontano un chilometro che ha voglia di darsi da fare nel suo ambito e il suo ambito sono i motori. E noi abbiamo un motore che non va.
A me Tuta Blu piace. La figura sa di nottate fumose passate a bestemmiare cercando una soluzione a problemi più grandi di lui, con l’imbuto dell’olio in una mano, lo spessimetro nell’altra e come colonna sonora un tornio che gira.“Honda, Honda, Honda” ripete e mima continuamente il gesto di avvitare e svitare con la chiave inglese. Punta a metterci le mani al più presto.
“Noo, non se ne parla neppure: quello la mia moto non la tocca, voi siete fuori come delle biglie, state scherzando: ho su meno di 10 000 chilometri, ma l’avete visto? Avete visto che razza di personaggio è?” Il palestrato è fuori, quasi incazzato.
“Senti, gli chiediamo solo in prestito l’officina, controlliamo noi l’impianto elettrico, guardiamo se arriva benza, insomma proviamo a capire cosa c’è che non va” propongo.
Anche le ragazze stanno facendo squadra, ormai siamo cinque contro uno ma il palestrato non molla.
“Senti, la moto è tua: dicci cosa vuoi che facciamo, ma sbrigati! Non possiamo stare qui tutta la vacanza”. Pigiamone, ritemprata dalla dormita, ha ripreso la sua solita verve e lo incalza.
“Vabbè, adesso telefono in Italia e sento cosa mi dicono. Ma che nessuno si azzardi a sfiorare la mia moto. Non vi voglio vedere vicini. Soprattutto quell’essere lì!”
Così il palestrato e pigiamone si avviano verso l’ufficio postale. Nel 1989 telefonare in Italia dalla dall’Anatolia non era impossibile: bastava avere tempo a disposizione. A noi non mancava.
“I go”
Purtroppo Tuta Blu ha capito di non essere gradito e con molta sobrietà si ritira. Ai più dispiace, proviamo a trattenerlo ma capiamo che talvolta gli atteggiamenti sono più esplicativi delle parole e lui di atteggiamenti ne ha già sopportati fin troppi. Se ne va salutando con un cenno del capo e dice qualcosa al barista.
Il conto per sei persone lo ha pagato lui.
La faccia di un Hondista in panne è uno spettacolo che vale la pena di essere vissuto.
E’ una maschera di disperazione ed impotenza, è l’espressione del tradimento subìto e consumato sotto i propri occhi. E’ l’impossibile che si materializza. Sono le chiacchere e la supponenza di un marchio, “del marchio”, che rimangono tali davanti all’evidenza dei fatti.
La voce di un Hondista in panne invece è una litania di:
“Io gli faccio causa, vedranno il mio legale…, scrivo a tutti i giornali, faccio un casino che…” con un crescendo che culmina con minacce incendiarie e assalti all’arma bianca alla povera incolpevole concessionaria. Al termine della telefonata scopriamo che la Europe Assistance in agosto effettivamente non può fare miracoli. Il tutto, sotto il sole turco, ha un che di comico.
Il Tosco-Ducati inizia a tranciare: “Siamo fermi, inchiodati qui da dalla tua moto… l’aiuto ti è stato offerto… adesso tocca a te. Spicciati perchè a me stanno iniziando a girare e ho una gran voglia di andarmene.”
“Ok diamogli un’occhiata.” Lo dice più per farci un piacere che altro. Ma ciò che infastidisce è l’aria di compatimento che mette nei nostri confronti.
I palestrato monta in sella. Una pressione al tasto Start fa girare il motorino d’avviamento ma il motore non parte. I soliti controlli di rito testimoniano che la benza arriva dove deve arrivare e la candela fa le sue brave scintille.
Togliamo i primi 2 tappi del coperchio valvole e riproviamo. Il motorino gira ma non succede nulla. Riproviamo e non succede nulla, ma proprio nulla. Io e il Tosco-Ducati ci guardiamo con gli occhi sfanalati fuori dalle orbite. Le valvole di scarico non si muovono! Tiriamo giù anche i tappi dietro e lì qualcosa di animato sembra esserci. Almeno abbiamo escluso che la distribuzione sia completamente andata.
“Allora cosa c’è?” Ci chiede con molta meno tracotanza di 5 minuti prima.
“C’è che siamo nella merda”, rispondo.
“Perchè?” Chiede decisamente incuriosito.
“Perchè i tuoi bei mazzi di valvole non valvolano più. Hai tritato il cammes. Qui non è più questione di ricambi o Europe Assistance: qui serve un meccanico coi maroni. Oppure un passaggio di sola andata fino all‘aeroporto di Ankara.” Rispondo così e il palestrato dà subito in escandescenze. Non lo reggo più.
“Non è possibile: è nuova! La dò dentro! Io il prossimo anno mi prendo il GS… appena arrivo a casa la vendo! Troverò pure un pirletta che vuole l’XL per fare le penne!” Il palestrato ha nuovamente cambiato atteggiamento.
Sembra che il suo culo immaginario sia già sul nuovo BMW e lo sfoggia con orgoglio. Io mi domando come ho fatto a partire con un personaggio così. L’Hondista deluso è solo un ricordo:è lanciato nei proclami di futura rivincita. E’ già un gran tifoso BMW.
Tosco-Ducati intanto ha fatto quattro passi verso l’officina. Tuta Blu è chino su un enorme diesel, è preso, sta lavorando e lo ignora. Lui rispettosamente staziona zitto sul portone e aspetta. Talvolta gli atteggiamenti valgono più di mille parole.
Ogni meccanico che si rispetti ha uno straccio in tasca, adesso Tuta Blu se lo passa sulle mani in modo ritmico, prima l’una poi l’altra, in piedi sotto il sole guarda muto l’Honda muta. Non capisco cosa stia pensando. Ho come il sospetto che l’occhio strabico sia dotato di strani poteri e che stia facendo una metallografia al motore.
Il suo pollice mima una nuova accensione, e il suo indice ne chiede una sola.
E’ serio, immobile, distaccato, labbra serrate che celano denti che non si vedono più. Non incrocia i nostri sguardi. Guarda solo dove c’è da guardare.
Lui sa
Lui ha capito
Lui sa fare
Nell’aria calda e immobile non dice nulla, l’imbarazzo nostro è palpabile. Abbiamo molto da farci perdonare. Spingiamo la moto nell’antro buio della sua officina e ci fa cenno di uscire. Lo lasciamo così accosciato di fianco alla moto, con lo straccio in mano. Non ci guarda, non ci vede, è già da un’altra parte.
Diligentemente uno alla volta riprendiamo le nostre posizioni al bar. Un nuovo giro di çai non richiesto è lì che ci aspetta, tanti altri ne seguiranno. Abbiamo tempo, tempo di imparare il backgammon e di insegnare il tresette, di parlare di Italia e di ascoltare di Turchia. Tempo, abbiamo tempo, non da far passare ma tempo per provare a conoscere.
E’ di nuovo mattina, ma stavolta non è il minimo cardiaco dei diesel Dodge che ci sveglia e nemmeno lo sferragliare di vecchi trattori.
Nell’aria solo sgasate lente e piene di un mono di grossa cubatura.
E trentadue denti che brillano in un antro buio.
Grazie Hazim.