Home Incontri e racconti Nordkapp 2004

Nordkapp 2004

3730
0

Di Wild Goose

 

Non importa a quanto, ma dove stai andando…

Una sera d’inverno
A casa, una sera d’inverno, Simona fa esplodere una macchia iridescente nel mezzo di una sbiadita chiacchierata a tavola su cose quotidiane: “Perché quest’estate non andiamo a Nord Kapp in moto?”
Studio il suo sguardo per cogliere eventuali segni di coscienza alterata, ma lei mi fissa seria e lucida.
Io ho sempre desiderato raggiungere Capo Nord in moto, lei ha sempre desiderato visitare l’Europa del Nord. “Affare fatto”.
Da quella sera iniziamo a costruire, mattoncino su mattoncino, il nostro viaggio. Istituiamo il “Fondo Norvegia” (rivelatosi provvidenziale…) nel salvadanaio a forma di coccodrillo, approntiamo la fida Moto Guzzi, prenotiamo i traghetti ma… sorpresa: non c’è posto sul traghetto Helsinki- Rostock, che ci avrebbe riportato sull’ultima tappa di ritorno. Decidiamo così di prenotare il tratto Helsinki-Tallinn, e chiedere un ulteriore sforzo al Guzzone per attraversare Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Germania e Svizzera. La cosa si fa ancora più interessante.


24 Luglio: Milano-Hannover (960 Km)
La sveglia suona alle 6.30 del 24 luglio, le borse sono pronte, la moto ha il pieno. Il tempo è incerto. Ci accorgiamo che il peso dei bagagli eccessivo manda a raso terra il Guzzone. Lasciamo a casa qualche maglione e finalmente partiamo. Sulla Milano-Laghi veniamo colti da una serie di secchiate d’acqua dal cielo, che ci costringono a rallentare e sostare per indossare le tute. La pioggia è talmente fitta e battente che mi sale la preoccupazione per le infiltrazioni d’acqua nei conetti di aspirazione. Ma la moto avanza ostinata e ignorante come un mezzo anfibio. In Svizzera ci fermiamo a mangiare un Hamburger di plastica spendendo 30€. Era meglio la fame.
Il maltempo ci accompagna attraverso la Svizzera e parte della Germania. Abbiamo anche problemi di itinerario: sbagliamo più volte strada e accumuliamo ritardo. Decido di spronare il Guzzone: carico alla morte, sulle salite chilometriche dell’autostrada tedesca, a 150 all’ora, sento attraverso le ghigliottine spalancate dei Dell’Orto i pistoni che ringhiano.
Raggiungiamo a fatica l’albergo di Hannover alle 11.00 di sera.


25 Luglio: Hannover-Kiel (250 Km)
La stanchezza della sera prima si attenua dopo una notte di sonno e una splendida colazione al mattino. L’albergo, il cui personale è gentile e l’atmosfera accogliente, ci offre un buffet comprendente vari tipi di affettati, formaggi, frutta, marmellate e yogurt, tutto di ottima qualità. Partiamo sereni e raggiungiamo Kiel senza particolari problemi, salvo, per nostra inesperienza, la ricerca del terminale per il Check-In. All’imbarco leghiamo la moto di fianco ad una meravigliosa Harley aerografata di un Ancient Trooper norvegese, il quale ci ha pure salutato cordialmente (…proprio non era italiano…). Sul traghetto ceniamo nel lussuoso ristorante, serviti da un cameriere che parla perfettamente italiano. Filetto alle verdure ottimo, accompagnato da altrettanto eccellente vino rosso. Ci voleva, visto che, per le poltrone scomode, decidiamo di dormire sdraiati per terra.
Alle 3.00 del mattino vengo svegliato dal molestissimo rollio della nave. Penso subito al cavalletto centrale della SP, notoriamente instabile, e immagino la moto che cade rovinosamente sulla meravigliosa Harley a fianco. Passo il resto della notte ad escogitare varie ipotesi su come si dovrebbe affrontare un energumeno norvegese inferocito che alza di peso la tua Moto Guzzi intento a scagliartela addosso.

 

26 e 27 Luglio: Oslo
Ci svegliamo alle 7.00 e, giusto il tempo che occorreva al traghetto per raggiungere il porto di Oslo, facciamo colazione nel bar di bordo. Incontriamo 4 ragazzi di Bergamo, di “Mucche” dotati, diretti verso Capo Nord. Mi ricorderò sempre lo sguardo allucinato di Simona quando ha sentito parlare di manopole riscaldate e parabrezza regolabili, per non parlare del fatto che uno di loro ha lasciato a casa la fidanzata per fare spazio alle provviste di pasta e pesto alla genovese!
Allo sbarco trovo la moto ancora al suo posto, e il grizzly norvegese ci sorride ignaro del pericolo che ha corso il suo destriero.
Sbarchiamo ad Oslo, e subito riceviamo l’impressione di una città splendida e vitale.

 
Facciamo fatica a trovare un albergo con una stanza disponibile. Fra l’altro, sui passaggi di porfido e piccole asperità delle strade cittadine, avvertiamo i primi preoccupanti “fondo corsa” del retro treno. Finalmente troviamo un buon albergo.
Il personale dell’hotel ci permette gentilmente di parcheggiare la moto all’interno del cortile di servizio.
Incominciamo ad esplorare Oslo, e mentre Simona si lustra gli occhi con il passaggio di locali vichingoni biondi e fieri, io rimango un po’ deluso dalla fauna femminile: a parte i visi molto piacevoli, le ragazze hanno per lo più il fisico dell’orso Yoghi.
Dopo la cena ad un Burger King, torniamo in albergo per svenire sul letto.
Alla mattina ci ammicca un bellissimo buffet a base di uova, pancetta, polpettine, formaggio, aringhe in salsa dolce e marmellate.
Andiamo a visitare la zona di Bygdøy, dove si trova il Folk Museum e il Museo Navale Vichingo. In quest’ultimo rimaniamo colpiti dal buono stato di conservazione delle due navi vichinghe e ne subiamo davvero il fascino. Solo quei pezzi di legno erano in grado di trasmettere il senso di fierezza ed il coraggio (o incoscienza?) degli esploratori del Nord.

 

Ci spingiamo poi fino al Vigeland Park, molto ben tenuto e suggestivo: costellato di statue di granito antropomorfe , dallo stile tondeggiante, realizzate dallo scultore norvegese Gustav Vigeland, rappresentano gli innumerevoli sentimenti umani nelle relazioni di amicizia e di eros fra le persone. Rimaniamo perplessi per ò sul gusto dell’opera.

A pranzo ritorniamo in centro città, al Johnas Gate, dove troviamo una tavola calda all’aperto dove servono ottimi spuntini a base di gamberetti, salsa rosa e aneto. Ne conservo un bel ricordo, forse perché associato all’idea di aver fatto colpo sulla cameriera (niente male…)…eh eh, il fascino del terùn incomincia a seminare disordine…
Occhio al prezzo della birra però: una pinta costa il corrispettivo di 8 (OTTO!) euro!!!

 

28 Luglio: Oslo-Trondheim (516 Km)
Al check-out dell’albergo, mentre stavo radunando le valigie, la coda dell’occhio viene interessata da una figura che passa fuori dall’albergo: una meravigliosa creatura di sesso femminile, altezza approssimativa di 1.80m, dalle forme che neanche il più dotato designer mondiale potrebbe replicare, mi induce ad una reazione poco ortodossa, trasformandomi in una bestia delirante, non cosciente degli apprezzamenti dal dubbio gusto che devo aver pronunciato con la schiuma alla bocca in presenza delle receptionist e dei clienti presenti in quel momento. Ma vengo subito richiamato ai ranghi da Simona perchè era ora di partire.
Il viaggio è faticoso, anche perché all’arrivo, all’ora di cena, facciamo ancora più fatica che a Oslo a trovare un albergo. Grazie ad una botta di chiappe veniamo rincorsi da una receptionist che ci aveva appena rimbalzati per dirci che in un hotel vicino è stata cancellata la prenotazione di una stanza. Che gentile!
Salendo di latitudine diventa più evidente la tarda luce. Ne approfittiamo per fare un giro per la città, molto piacevole, ma un po’ deserta. Carina la cattedrale. Rinuncio all’idea di bere una birra insieme ad uno dei miei gruppi preferiti, i Motorpsycho, originari di Trondheim, visto che in quei giorni sono a Rimini…
E’ stata una tappa un po’ ardua, e ci viene il dubbio se non sia il caso di arrivare fino a Tromso per poi stoccare a Est verso la Finlandia. Capo Nord? Troppo male alle chiappe.

29 Luglio: Trondheim- Mosjøen (390 Km)
Continuiamo il viaggio verso nord fino a Mosjøen, un piccolo e tranquillo paese situato alla fine di un fiordo. C’è pochissima gente, e troviamo un piccolo ristorante in una costruzione in legno, vicino all’acqua, in cui abbiamo assaggiato un eccezionale filetto di renna. Sappiano che mettiamo in atto una discriminazione: nel menu era presente anche la bistecca di balena. Non ce la siamo sentita. Forse perché di renne ce n’è a bizzeffe. Di balene no.
La pace in quel paesino è commovente.

 

30 Luglio: Mosjøen- Narvik (473 Km)
Lungo la tappa attraversiamo paesaggi magnifici, dove il verde intenso dei boschi e il viola vivace dei fiori abbraccia laghi e fiordi che attingono dal cielo un colore blu intenso. La Moto Guzzi, anche se appesantita, pennella le curve con dolcezza e armonia, quasi come se conoscesse la strada, e Simona accompagna le pieghe con maestria, alleggerendomi non di poco la guida.
Verso metà del tragitto, i boschi iniziano a diradarsi, il verde diventa più chiaro e l’orizzonte si espande. In pochi chilometri gli alberi e i fiordi lasciano il posto alla Tundra e alle dolci colline ancora innevate. Il clima è splendido, e il vento leggero e piacevole fa da sfondo ad una sensazione di nulla, ma nulla pieno (frase ad hoc di mio suocero che ho riciclato…). E’ la linea di confine col Circolo Polare Artico.
Proseguiamo il viaggio sulla E6 verso Narvik, che troviamo un po’ vacua, così decidiamo di andare poco oltre e fermarci in un campeggio dove troviamo un bungalow. Qui decidiamo che a Capo Nord ci andremo eccome. Dormiamo discretamente.

 

31 Luglio: Narvik- Alta (513 Km)
Prima di iniziare il viaggio, facciamo un salto allo Zoo Polare. Dopo aver avvicinato le renne, la lince, il bue muschiato, rimaniamo affascinati dall’orso bruno, possente, bellissimo, anche se sembrava un po’ accaldato (c’erano 27 gradi).
Ripartiamo verso nord e non ci stanchiamo di ammirare la danza di linee e colori vividi fra acqua e terra. Senza difficoltà arriviamo ad Alta, una cittadina tranquilla e ben tenuta, dove troviamo un confortevolissimo albergo dal personale squisito. C’era anche a disposizione gratuitamente un internet point da dove abbiamo segnalato ad Anima Guzzista la nostra posizione: 240 km a Capo Nord.

 

1 Agosto: Alta – Nordkapp (240 Km)

Prima di metterci in viaggio visitiamo il museo antropologico di Alta. All’aperto, attraverso un sentiero pieno di vegetazione, vicino al fiordo, sono visibili le rocce dove, circa 6000 anni avanti Cristo, gli abitanti incidevano scene di vita quotidiana, caccia e pesca. Nell’edificio del museo erano esposti, invece, tanti reperti e varie ricostruzioni dai modelli di vita norvegesi, dalla costruzione di capanne primitive, agli strumenti di esplorazione, e all’armamento dell’esercito fino al secolo scorso. Molto suggestivo.
Risaliamo sul Guzzone e riprendiamo il viaggio. Dopo aver raggiunto il casello per accedere al tunnel che porta a Magerøya (dove stiamo per ipotecare casa e parenti), raggiungiamo Honningsvåg, un paese caratteristico, abitato per lo più da pescatori e poco altro. Pochissima gente in giro, mentre i gabbiani sono i protagonisti. Molliamo i pesanti bauli in albergo e risaliamo in moto. E qui il momento è catartico: se già il circolo polare artico era spettacolare tanto minimale, la strada di 30 Km che porta a Capo Nord si snoda lungo un paesaggio che sembra appartenere ad un pianeta di galassie sconosciute al genere umano, dove il verde chiaro, maculato dal color argento dei laghetti, veniva tagliato solo dal nastro grigio dell’asfalto, che si perdeva in un orizzonte in continua trasformazione. A parte la fase poco poetica del biglietto di accesso all’ultimo tratto (altro che ipoteca…), la magia si ripresenta quando parcheggiamo la moto e arriviamo a piedi fino al famoso globo di metallo, costellato di adesivi e testimonianze di persone che hanno seguito la stessa meta. Alcune di queste testimonianze sono davvero commoventi, accompagnate da dediche di amici a persone che non sono potute venire, o persone che non potranno mai, ma guardano dal cielo.
Siamo contenti di essere arrivati al …secondo punto più a nord d’Europa (il primo è poche centinaia di metri più a ovest, ma non è raggiungibile con mezzi di ogni sorta). Tuttavia il bello deve ancora arrivare, perché dopo le foto di rito sotto quella costruzione, volgiamo lo sguardo ancora verso nord, e veniamo rapiti dalla spietata e brutale immensità, dalla meravigliosa desolazione del Mare Artico. Rimaniamo per diversi quarti d’ora a contemplare in silenzio il dio blu.

 

2 Agosto: Honningsvåg- Inari (351 Km)
Riprendiamo il viaggio verso Karasjok e quindi verso la Finlandia. Superato il confine ci troviamo in Lapponia a percorrere una strada piena di lavori in corso. Abbiamo dovuto affrontare qualche tratto sterrato non divertendoci, visto che la Guzzi stracarica storce il naso. Per manifestare in segno di protesta, ha pensato bene di mandare al creatore il cavo del contagiri che, allo smontaggio, è sembrato malconcio già da tempo.
Ci fermiamo ad Inari, presso una sorta di Motel curioso: le stanze, quasi perennemente soleggiate, sono piuttosto calde. Per questo i clienti, quasi tutti finlandesi, tengono la porta aperta. L’aspetto generale era una specie di caserma, ma dal clima vacanziero….
Inari è una specie di non-luogo, dove non ci sono praticamente abitazioni, ma solo qualche supermercato, due o tre alberghi, e una strada che lo attraversa. E’ un posto di solo passaggio, che in fin dei conti ha il suo fascino.
Ceniamo a base di spezzatino di renna e birra nazionale Lapin Kulta. Ci accorgiamo subito che i prezzi sono molto più contenuti.

 
3 Agosto: Inari- Rovaniemi (327 Km)
Scendiamo sotto il circolo polare, facendo una breve sosta al villaggio di Santa Klaus. Speravo sinceramente di trovare qualcosa di più prettamente storico-antropologico-folkloristico… invece è un’americanata pazzesca, cioè un villaggio artificiale di legno costellato di immagini di Babbo Natale coi colori della Coca Cola. Va beh, rimane lo stesso un posto interessante.
Arriviamo a Rovaniemi, dove ceniamo nel ristorante dell’albergo, con un ottimo buffet. La città non è niente di particolare.

 
4 Agosto: Rovaniemi-Oulu (225 Km)
Ci svegliamo con la pioggia. Aspettiamo che migliori per compiere il breve tragitto fino a Oulu, patria dei gruppi preferiti da Simona: i Sentenced ed i Poisonblack (per la cronaca: non ne abbiamo trovato traccia, col disappunto di Simona…)
L’Hotel ci offre una stanza a prezzo mooooolto conveniente, anche perché è dotata di sauna! Al momento di sperimentare il congegno, consistente in un box di legno situato nel bagno e provvisto di contenitore per l’acqua e scaldatore elettrico dentro una scatola metallica piena di pietre, rimango timoroso di fronte all’eventualità di versare l’acqua sulle pietre stesse (e sulla resistenza che le scalda) e mandare in corto l’intero stabile, rimanendo entrambi folgorati, nudi biotti, dentro un box di legno. Decido di scaldare le pietre fino a farle diventare roventi e poi spegnere l’impianto per versarci l’acqua. Funziona: ci facciamo una sudata pazzesca e poi una bella doccia fredda. Vi assicuro, è un’autentica goduria.
Dopo la sauna facciamo un giro per la città che è davvero carina, a misura d’uomo. Ci fermiamo al Kauppatori, il mercato all’aperto, a bere una birra, e poi esploriamo il Kauppahalli, cioè il mercato coperto, dove assaggiamo degli ottimi bocconi di salmone impanati. Trovandosi a dover fare un po’ di economia, il nostro consiglio è proprio quello di cenare a base di questi assaggi del mercato coperto, gustosi, abbondanti ed economici (un po’ di braccino corto non fa mai male….)
All’ora di cena ci dirigiamo verso un ristorante turco. Il centro della città è davvero carino, ma è sconvolgente come già nel tardo pomeriggio si trovino per strada persone completamente ubriache di birra o acquavite. Fa davvero tristezza vedere questa gente che, forse depressa dai lunghi e rigidi inverni poveri di luce, si annulli completamente, come se volesse “affittare” dall’alcol una giornata di non-esistenza o, se vogliamo, di rateo suicidio.
Al ristorante, locale arredato con gusto e dal personale cordialmente professionale, mangiamo a testa un antipasto, un secondo abbondantissimo a base di kebab molto sofisticato, accompagnati da un buonissimo vino turco rosso. Il tutto a 60€. Poco, considerato lo stile del ristorante e le porzioni abbondanti.

5 Agosto: Oulu- Kuopio (289 Km)
La destinazione è Kuopio, la città delle fragole. Troviamo un albergo un po’ demodé ma piacevole sulla piazza del kauppatori. Posiamo le nostre zavorre nella stanza e usciamo nuovamente per fare una passeggiata fino al lago, trovando un porto di traghetti pieno di locali e chioschi. Allontanandoci dal porto, andiamo a mangiare nel più antico ristorante di kuopio, che ha aperto i battenti 70 anni fa. L’ambiente è davvero bello, di quel fuori moda piacevolmente nostalgico. Si respira l’aria di un locale storico. Il padrone è di una gentilezza e discrezione disarmante, e ci ha messi a nostro agio immediatamente. Il menu è tutto a base di Muikku (Coregone: pesce di lago), davvero squisito.

 
6 e 7 Agosto: Kuopio- Savonlinna (160 Km)
Lo spostamento è breve. Qui c’è il Festival dell’Opera, e troviamo alberghi al completo e persone incravattate. Riusciamo a trovare una stanza di confort nella media, ma il prezzo, proprio in occasione dell’evento, è assurdamente imposto a 150€! Un furto. Decidiamo comunque di rimanere due giorni.
Visitiamo la Castello medievale di Olavinlinna, ultimato nel 1472 dai finlandesi, ma nel posto sbagliato: il Lago Saimaa a quell’epoca, era in territorio russo, a 5 km dal confine. Per questo il castello è stato spesso causa di conflitti e rivendicazioni fra i due popoli confinanti. Questa fortezza, arricchita e rinforzata nei secoli, risulta la costruzione medievale meglio conservata dell’Europa del Nord.
La città è molto bella e rilassante. Girando per il Kauppatori, Simona si ferma ad una bancarella che vende camicie e bigiotteria Made in Nepal. Compra una camicia ricamata perché cede alle lusinghe del bellissimo mercante finlandese “molto uomo”. Io, stizzito, vado a comprare i francobolli in un bar e pareggio con la ragazza al bancone.

 

8 Agosto: Savonlinna- Helsinki (325 Km)
Diciamo “ciao ciao” ai 300 euro di conto dell’albergo e ripartiamo in direzione Helsinki.
Arrivati a destinazione e trovata una camera piuttosto confortevole, esploriamo la città, ma non da turisti. Forse per la stanchezza, o perché è la città stessa a suggerircelo, la giriamo in lungo ed in largo senza cercare musei né monumenti, ma ci limitiamo a svaccarci nel marco Esplanade in mezzo ai finlandesi, ciondoliamo per il kauppatori a mangiare squisitezze e diamo un’occhiata ai grandi magazzini Stockmann. Si dice che non c’è abitante di Helsinki che non abbia mai comprato qualcosa in questo mega store. Camminando sulla strada incrociamo un tizio in bicicletta vestito di nero, col cappellino nero e il viso familiare. Azz! Era il cantante dei Rasmus!

 

10 Agosto: Helsinki- Riga (323 Km)
Prendendo il Super Sea Cat da Helsinki a Tallinn, passiamo tangenti al centro di quest’ultima. Una fiaba. Torneremo a visitarla, promesso.
La strada per Riga è piuttosto accidentata. Gli ammortizzatori dell’SP, già di per loro scadenti, vanno subito in crisi e le nostre colonne vertebrali collassano. Entriamo in Riga che siamo a pezzi. Girando la città abbiamo percepito la sua bellezza. Ma è priva di segnalazioni adeguate ed il traffico è peggio rispetto a quello di Milano in corso Venezia alle 17.00. Bestemmiamo nel cercare l’albergo che avevamo prenotato da casa: è situato nel centro, in una zona più o meno pedonale (non era chiaro). Con la magnanimità di un vigile locale, passiamo per la via interdetta e troviamo finalmente l’hotel… CHIUSO!
Momento di panico. Cerchiamo di chiedere spiegazioni ma nessuno parla inglese. L’unico che sembra spiccicare qualche parola ha il cervello imbevuto d’alcol, ed è riuscito solo ad alzare i pollici in alto e a biascicare: “Italy?… Super!”
Infine qualcuno ci fa capire che il proprietario era semplicemente andato… a mangiare un boccone.
Dopo un’ora di attesa lo vediamo arrivare: un signore anzianotto, che parla un inglese improvvisato. Simpatico e gentile. Solo al ritorno avremmo scoperto che non ci aspettava perché la pensione non aveva ricevuto la nostra conferma della prenotazione.
Fantastica una sua espressione: lui ci spiega che le luci del corridoio si accendono premendo un interruttore situato all’inizio. Io gli chiedo come devo poi spegnerle. Lui riflette un po’, poi gli si illuminano gli occhi e aprendo le mani alzate al soffitto dice testualmente “Automatic… PIC!”. In quel momento capisco che l’onomatopeico “PIC” è più internazionale di qualsiasi parola nelle lingue diverse.

 

11 Agosto: Riga- Varsavia (663 Km)
La strada è qualcosa di paradossale. Maledico quegli ammortizzatori, che andando a pacco tiravano botte violente al telaio e alle nostre schiene. Già immaginavo di rimanere in panne per una foratura o, peggio, la rottura del cerchio posteriore. Ma la Guzzi resiste.
La Polonia ci trasmette una strana sensazione. Dal punto di vista paesaggistico è davvero piacevole. Ma la gente ha qualcosa di amaro nello sguardo, anche quando sorride. Le strade e le città sono un continuo cantiere. Forse, dopo anni di regime comunista, ora i polacchi si sentono come appena svegliati da un lungo letargo, e si sono accorti che il mondo è andato avanti. Questo è il motivo per cui, a nostro parere, i numerosi lavori in corso sulle strade, le città in ristrutturazione, gli sforzi per recuperare terreno, sono affrontati in maniera quasi caotica e affannosa. Evidentemente non hanno un solido background di piani regolatori e viabilità. Tuttavia è ammirevole la loro determinazione, e le persone che abbiamo incontrato sono di genuina curiosità e gentilezza. Tifiamo con tutto il cuore per la Polonia.
Arrivati a Varsavia, un po’ più ricca di segnali e nomi delle vie, troviamo a due isolati prima di raggiungere l’hotel, un semaforo rosso. Nell’attesa, accorrono quattro bambini a guardare la moto e cercare di capire da dove venissimo. Mentre tenevo d’occhio uno di loro che giocava con l’acceleratore, sento un improvviso aumento di peso verso destra. Mi volto e vedo uno di loro accovacciato sulla borse laterale. Infine il semaforo ha dato il verde, e loro sono scesi per farci proseguire. E’ nostro dispiacere non aver avuto il tempo di scattare una foto tutti insieme.
Ceniamo nel ristorante dell’albergo, dove gustiamo un ottimo gulasch a bagno di un sugo di carne e contenuto in una forma di pane che fungeva da zuppiera.

 

12 e 13 Agosto: Varsavia- Praga (615 Km)
Usciamo dalla Polonia soffrendo ancora per le strade disastrate. Passato il confine con la Repubblica Ceca, la musica cambia: riapro la manetta e faccio galoppare un po’ la Guzzi. Malgrado questo, ci sciroppiamo otto ore di viaggio.
Arrivati alle otto di sera sfiniti, facciamo gli ultimi 30 metri spingendo la moto a motore spento, visto che l’albergo si trova in una via del centro che, da dove veniamo, risulta contro mano.
Malgrado la stanchezza, veniamo colti dalla ricchezza di palazzi e monumenti splendidi. La mattina dopo, infatti, dedichiamo la giornata intera a visitare la città.
Non basterebbero mille pagine per descrivere le sensazioni che trasmette ogni singola prospettiva di Praga. Tuttavia, basti sapere che malgrado il carnaio di gente, le visite guidate e i locali pieni, la città riesce lo stesso ad avere la meglio,lasciandoci senza fiato, ed essere commovente da ovunque la si guardi.
La sera prima di ripartire troviamo un ristorante dall’ambiente molto piacevole, dove, dopo un ottimo gulasch, assaggiamo… (On. Fini tappati le orecchie o ti viene una crisi epilettica per lo scempio da noi commesso)… l’Assenzio!!
Questa terribile droga dall’effetto micidiale, che avrebbe dovuto portarci in una dimensione paradossale e ci avrebbe dovuto far compiere atti inconsulti, altro non è che un liquorino alle erbe, a base di assenzio appunto, piuttosto forte (70 gradi), dalle qualità digestive meravigliose. Nulla a che vedere quindi con la storica bevanda, effettivamente tossica e dannosa, che bevevano artisti maledetti, come Loutrec, Baudelaire, Verlaine, Van Gogh e Rimbaud. Sarebbe bello che anche in Italia questo liquore venisse ammesso nella legalità. Ma l’intelligenza nel mondo è distribuita a macchie.

 

 

14 Agosto: Il ritorno a Casa (790 Km)
Qui non c’è molto da raccontare, se non il fatto che, come siamo partiti con la pioggia, torniamo allo stesso modo. Soprattutto in Germania sembra di essere fra le spazzole di un autolavaggio, ed il clima è maledettamente freddo. Solo dopo il traforo le Alpi bloccano le nuvole, ed il cielo ci offre nuovamente il suo azzurro. Stringendo i denti, maciniamo i chilometri, chiedendo alla miracolosa SP un’ultima corsa a ritmo sostenuto e lei, per convincerci una volta per tutte che non le importa un fico secco della velocità, manda in congedo anche il cavo del tachimetro. Giri al minuto “0”, chilometri all’ora “0”. E così, ascoltando il suo rumore quasi esoterico, abbiamo la sensazione che ci avesse voluto dire: non importa a quanto, ma dove stai andando.

Considerazioni:
– Non esistono “zainetti”, ma solo persone poco coinvolte nel viaggio.
– La Moto Guzzi, continuo a ripetere, pesa 21 grammi in più rispetto alla somma delle sue parti.
– L’Italia si vanta della sua cultura e civiltà. Sotto certi aspetti, rispetto a molti paesi da noi snobbati, siamo nel Medioevo.
– La gente del nord è molto più calda e passionale di quanto si pensi.
– Viaggiando in un certo modo, si incontrano dei veri amici, anche se per pochi istanti.