GMG 2011
Di Enzo Nasto
Giornate Mondiali Guzzi 2011, non un semplice raduno.
E’ passato quasi un anno dalla mia ultima fatica letteraria, decisamente troppo! Ma si
sa, bisogna attendere che l’ispirazione e la “vena giusta” diano l’inchiostro buono alla penna,
altrimenti si finisce solo per riempire il cestino di cartacce. E così è stato, con quello che mi è
capitato negli ultimi mesi non potevo non mettere nero su bianco!
– Io, Guzzista.
Spesso, parlando con gli amici, sono stato accusato di monotonia, di parlare sempre
della stesa cosa, e cioè di moto (Guzzi, ovviamente). Ma che posso farci se per tanto, troppo
tempo, questa passione è stata l’unica cosa buona della mia vita? Il Guzzismo, questa specie di
malattia incurabile, è esploso in me ormai sei anni fa. Ho usato il termine “esploso” perchè
sono convinto che ogni tipo di passione sia innata in noi, e aspetti solo una scintilla per venire
alla luce. Nel mio caso le scintille sono state alcune foto di mio padre in sella alla sua V7 850
GT California (lieve cenno del capo). Tutto è partito da li. Poi dalle foto, dai sogni, e dai
tormenti sono passato finalmente alla mia prima Guzzi, un’Imola II, che mi ha letteralmente
allevato, facendomi entrare, a piccoli passi, in questo mondo meraviglioso.
Due anni dopo è arrivata la “Splendida” California, ed ora è il turno della Stelvio, che si
sono succedute dando un senso alla mia vita e riempiendo i vuoti che sarebbe stato compito di
altri colmare. Perchè a volte l’unica cosa di cui si ha bisogno è di una spalla per poggiarci la
testa, o di una persona da abbracciare. Io invece il più delle volte ho trovato a disposizione
solo pedane per poggiarci i piedi su e manubri da stringere forte tra le mani per partire alla
ricerca di un briciolo di felicità. Loro, le mie moto, non mi hanno mai detto no, non mi hanno
mai detto “oggi non è giornata”, oppure “stasera non ci sono”. Nemmeno quando perdevano
olio o si avviavano a fatica, oppure quando qualsiasi genere di problema non le faceva essere
al massimo. Ed è proprio per questo che provo verso di loro un senso di venerazione e di
gratitudine che nemmeno provo a spiegare, e che solo chi ha trovato nelle sue moto queste
cose può capire davvero. Mi capita di pensare frequentemente che questa passione è e rimarrà
l’unica certezza della mia vita, l’unico punto fermo.
Certo, può sembrare assurdo, ma è così. A 21 anni, quando la gran parte dei miei
coetanei faceva cose da ventunenni, appunto, io ero nel garage che sistemavo la mia
“Imoletta”. Nemmeno una giapponese, no! Una Guzzi! Certe cose ammetto di averle fatte
sempre in maniera molto poco razionale, ma ora che ci penso di razionalità nella mia vita ce
n’è sempre stata ben poca. E poi solitamente non si sceglie, ma si viene scelti. Come quando
due anni dopo ho comprato una California, si proprio lei, il mito della produzione Guzzi, la
moto che per tanti anni ha tenuto in vita la “baracca”. L’ho sognata, desiderata e poi avuta e
vissuta, ma un bel giorno sento il bisogno di qualcosa di nuovo, di una nuova moto che porti
nuova linfa a questa passione.
La Stelvio mi ha fulminato subito, fin da quando ho visto le prime foto in rete. Alta,
imponente, con quei cilindroni neri pronti a portarti ovunque e quegli “occhi” che sembrano
guardarti e chiederti: “Allora, dove si va?”. Ed ecco che grazie all’aiuto dei genitori (senza di
loro certe cose non avrei mai potute farle), a maggio di quest’anno passo dalla California allo
Stelvio. E nonostante la distanza epocale, il salto non è stato affatto traumatico.
Però lei, la California, mi è rimasta dentro, con tutto quello che è e che non è. A volte
mi manca ogni cosa di lei, dalle pedane larghe al cambio a bilanciere.
– Io ci sarò. Con il mantello.
L’enduro di casa Guzzi, erede della Quota, è una di quella moto che ti invogliano a
partire. Non per andare a prendere il caffè al bar, ma per uno di quei viaggi che vorresti non
finissero mai, di quelli che il contachilometri parziale arriva almeno una volta a 999 e poi
riparte. Certo, Mandello del Lario non è distante quanto Capo Nord, ma l’occasione delle
Giornate Mondiali Guzzi 2011 non posso perderla, anche perchè quest’anno sono ancora più
speciali, si festeggiano i 90 dell’Aquila di Mandello. Così quando arriva la data ufficiale
dell’evento, il mio pensiero è uno solo, senza rifletterci troppo, come mio solito: “Io ci sarò”.
Anzi, noi ci saremo, io e la mai moto, perchè come dico sempre, in moto non si è mai da soli,
anche quando il sellino del passeggero è vuoto. Ma ci sarà anche il mio compagno d’avventure
a due ruote preferito! L’estate passa veloce e noiosa, niente ferie nemmeno ad agosto causa “cantiere
infinito”. Se non fosse stato per una bella novità, questo mese potrei pure cancellarlo. Prendo
qualche giorno proprio a cavallo delle GMG, e il conto alla rovescia sembra essere più veloce
del naturare andare delle lancette, portandomi al momento della partenza troppo in fretta.
Preparo le valigie solo qualche ora prima di premere il pulsante “start”, e si vede, sono più
disordinate della mia stanza.
Mi vesto in maniera rapida e veloce, quasi distratta, ma una cosa non può mancare. Il
gilet di pelle con le toppe, divenuto una vera e propria memoria storica della mia vita
motociclistica. Qualcuno mi ha detto che è da “Californiano” e non da “Stelvista”, ma io non
posso rinunciarci. Quando non lo indosso, sento la mancanza di qualcosa, non riesco a guidare
tranquillo. Quando invece c’è, mi fa sentire meglio. E poi è come se fosse impregnato delle
particelle di gas di scarico di tutte le moto che ho incontrato, dell’aria dei tanti luoghi visti, e
del profumo delle persone che ho avuto la fortuna di poter conoscere e abbracciare.
Quel gilet un pò vecchio e con qualche toppa che si sta scucendo, sta a me come il
mantello rosso sta a Superman. Senza il mantello Superman non sarebbe stato lo stesso
supereroe, io senza il gilet non mi sento me stesso. Se non sono in autostrada e l’andatura non
è molto spinta, lo lascio sbottonato, libero di “svolazzare”, così mi sembra davvero di avere il
mantello.
– Nel segno della “V”.
Giovedì 15 Settembre 2011, si parte! Alla fine rimaniamo solo io e Antonio, con la sua
piccola ma eroica Nevada 750. Ormai siamo diventati i macinatori di chilometri ufficiali dei
“Guzzisti Partenopei”. Anche Willy e Peppe, purtroppo, devono rinunciare, mentre Gennaro e
Pasquale ci raggiungeranno in aereo.
Le nostre moto partono col buio, io per rendere ancora più piacevole il viaggio accendo
il lettore mp3, che mi tiene sempre compagnia con una bella selezione di canzoni. E volete
sapere qual è la prima canzone che parte? “Ti sento” di Ligabue. Com’è normale che sia,
qualcuno dirà: “E quindi? Che c’è di particolare?” Beh, per me c’è molto di particolare in questa
canzone, infatti il “cantiere infinito” che mi ha rovinato l’estate mi ha anche dato la possibilità
d’incontrare una persona speciale di quelle che forse non ci sono mai state nella mia vita. E’
stata capace di rendere piacevoli le giornate più pesanti, anche solo con uno sguardo, o un
saluto, senza nemmeno rendersene conto. Il bello è che il suo nome inizia, come il mio, con la
lettera “V”, che è anche la più cara a tutti noi Guzzisti, essendo la “forma” dei nostri motori.
Così, per la prima volta, oltre ad avere una “V” che fa correre la mia moto, c’è n’è anche
un’altra che mi sta vicina e che mi accompagna in questo viaggio, pur non essendo fisicamente
con me. Certo, la mancanza si sente, ma dopotutto la distanza, come ogni elemento fisico, è
sempre relativa. Anche il sole infatti è lontano, anzi lontanissimo, eppure il suo calore non ci
manca mai.
Si, il sole. Che mi da sempre l’occasione di vedere una scena che adoro, e cioè l’ombra
mia e della mia moto proiettata sull’asfalto. Sarà pure una banalità, ma quando riesco a
vederla ho come l’impressione di viaggiare insieme ad un altro equipaggio, è una figura
raffigurante.
– La mia Mecca.
Ogni canzone mi parla di lei, e così, quasi senza accorgermene, io ed Antonio ci
avviciniamo sempre di più a Mandello, la Mecca per tutti i Guzzisti. Durante il viaggio e nelle
soste in autogrill incontriamo tante Aquile che tornano verso il loro nido, e ogni volta è un
susseguirsi di saluti, di lampeggi e di sorrisi.
Ho come la sensazione, man mano che ci avviciniamo, che la fabbrica ci attiri verso di
lei, e anche le nostre moto, ne sono sicuro, cominciano a sentire l’aria di casa. Ora sono io che
guido il tandem, e il mio compagno di viaggio ogni tanto suona e lampeggia per farmi
capire che sto correndo troppo, che devo rallentare. Si, sono diventato impaziente e non vedo
l’ora di arrivare li, davanti alla “mia” fabbrica. L’ultimo tratto della Statale 36 e quello urbano
che ci porta a Mandello sono sicuramente i più emozionanti, e fanno sparire in un colpo la
fatica e la stanchezza di un viaggio fatto praticamente senza fermarsi e sotto un sole degno del
miglior luglio. Una trasferta lunga 849 chilometri, tanti separano il cancello nero di casa mia da quello rosso della fabbrica di Mandello, che ha dato vita a tutte le Moto Guzzi che viaggiano per
il mondo, portando in giro, con orgoglio, le loro origini tricolori.
“Antò, ce l’abbiamo fatta.” Non so a lui, ma a me l’emozione mi ha preso di brutto.
Mista anche ad un briciolo di orgoglio, per essere riuscito a realizzare presto il sogno di andare
almeno una volta nella vita alla Mecca, in moto ovviamente.
Il tempo di qualche foto di rito e di qualche telefonata con la voce rotta dall’emozione
(chissà se sono riuscito a mascherarla bene), e ripartiamo per raggiungere la casa dei miei zii,
che ci ospiterà in questi giorni, distante solo una ventina di chilometri.
– Che fantastica storia è la vita.
L’indomani cominciano ufficialmente le GMG, noi c’iscriviamo riuscendo fortunatamente
ad evitare, per un soffio, una fila infinita. L’affluenza è altissima, si percepisce che sarà
abbattuto il record di presenze delle scorse edizioni. La fabbrica però apre al pubblico nel
pomeriggio, quindi trascorriamo la mattinata in giro per Mandello, incontrando tanti vecchi
amici, come Fabio, che con la sua “Califoggia” proprio non vuole smetterla di macinare
chilometri!
Dopo un bel pranzo, ci aspetta un momento davvero appassionante, l’inaugurazione del
monumento a Carlo Guzzi, il creatore di questo mito a due ruote. La piazza del
Comune, artefice dell’iniziativa insieme ad Anima Guzzista, è piena zeppa. Si susseguono tanti
interventi, arriva anche la targa del Presidente della Repubblica con gli auguri alla Moto Guzzi
per i suoi 90 anni.
Una scritta ai piedi del monumento recita così: “A Carlo Guzzi, i motociclisti del mondo.”
All’inizio, in maniera forse troppo “estremista”, penso che io avrei scritto “guzzisti” invece
di “motociclisti”. Poi però, riflettendoci, Carlo Guzzi ha dato tanto, con le sue innovazioni
spesso geniali, a tutto il mondo motociclistico, e non solo all’azienda che ha creato. Spero con
tutto il cuore che questo evento sia arrivato a tutti quelli che amano la moto, di qualunque
marca sia.
Finalmente arriva il momento di entrare in fabbrica, è tutta la giornata che lo aspetto
con ansia (vero Antò?). Credo di non essere mai stato un buon narratore, mi sono sempre
definito un “raccontatore di emozioni”. Certo che però a volte raccontare, anzi, raccontarsi, è
proprio difficile. Quindi non so se riuscirò a spiegare bene quello che ho provato varcando il
cancello rosso e camminando tra i reparti produttivi che da quasi un secolo danno vita
a tutte le moto con l’Aquila.
Ho provato ad immaginare come sono stati gli inizi, quando Guzzi aveva un sogno o
poco più, quello di costruire motociclette. Oppure il momento in cui a quel genio dell’Ing.
Carcano è venuta l’idea di progettare un motore con 8 (otto!) cilindri. E come se la mia mente
fosse attraversata da tante immagini che non ho mai vissuto, cosa abbastanza irreale, lo so. In
questo turbinio di flashback il tempo sembra passare troppo velocemente, infatti il giorno
comincia a far posto alla sera e non abbiamo il tempo di visitare il Museo. Poco male, ci resta
ancora una giornata intera da trascorrere a Mandello.
Anche la serata passa in fretta, io ed Antonio lasciamo abbastanza presto Mandello solo
per non tornare a casa troppo tardi, fosse stato per noi avremmo tirato fino al mattino dopo.
Mi sa che le prossime GMG le vivrò allo stato “selvaggio”, in tenda. Ho capito che è tutta
un’altra faccenda.
Ma io questo giorno lo ricorderò anche per un altro episodio, che una volta tanto va al di
la della Guzzi (ma fino ad un certo punto). Ho pensato a lungo se scriverne o meno, temendo
di essere indelicato. Ma poi mi sono convito che se non l’avessi fatto me ne sarei pentito
amaramente.
In due occasioni ho visto un ragazzo su una carrozzina, spinta forse da qualche
familiare, ed entrambe le volte i nostri sguardi si sono incrociati, gli ho anche sorriso, non per
compassione, credetemi, ma perché mi piace pensare che così si è sentito meno solo. Da quel
che ho capito poteva muovere a stento qualche muscolo, ma di una cosa però sono certo, i
suoi occhi erano vivi, e a me davano l’impressione di ammirare estasiati le tante moto che
vedevano. Non so cosa mi faccia essere così sicuro di quello che sto scrivendo, ma sono
fermamente convinto che avrebbe dato tutto per poter saltare su una di quelle motociclette e
farci un giro. Inutile dire che avendo la possibilità di andare in moto “normalmente”, di fare
quello che lui molto probabilmente non ha mai fatto e mai potrà fare, mi sono sentito la
persona più fortunata del mondo. Troppo spesso mi è sfuggito un “che vita di merda la mia”, dimenticando che la vita è e rimane una cosa meravigliosa, una storia unica e fantastica,
sempre, anche quando le cose belle sembrano essersi dimenticate di te. Specialmente per uno
come me che ha la fortuna di avere tutto.
– La storia siamo noi.
Il sabato mattina, dopo un altro giro in fabbrica, da solo visto che Antonio è a spasso
con il fratello, mi metto in fila per entrare nel Museo. Io l’ho già visto, però non voglio
perdermi un’altra visita, anche perchè, con le GMG, ogni cosa in riva al lago ha un sapore
diverso. Non essendo un grande esperto di meccanica, non mi soffermo troppo sui particolari
tecnici più nascosti, nemmeno li capirei.
Ad un amico con il quale ho scambiato due chiacchiere mentre eravamo in coda, anche
lui senza parole davanti a tante meraviglie con diversi decenni sulle spalle, dico solo: “Da
questa fabbrica sono uscite cose incredibili!” E lui: “Qui c’è la storia del motociclismo.”
Ma la storia è fatta anche da chi quelle moto, da 90 anni, le porta in giro per il mondo,
per viaggiare, per andare al lavoro, in vacanza o semplicemente ad un raduno lontano pochi
chilometri da casa. Solo con il mito e con le vittorie del passato non si va da nessuna
parte. Della storia facciamo parte anche noi, Guzzisti di ogni epoca ed età, che non solo
portiamo le nostre moto in ogni angolo del pianeta, ma alimentiamo la passione che senza il
fuoco di chi la vive quotidianamente si sarebbe già spenta da parecchio, anche perchè negli
ultimi anni di occasioni per far spegnere questo fuoco ce ne sono state tante.
Ecco, io quando sono in moto penso sempre che sto guidando un piccolo,
piccolissimo pezzo di quel grande puzzle che è la Moto Guzzi, con tutto quello che è
stato, quello che è oggi, e con il suo futuro che mi auguro fantastico e con le linee di
montaggio che lavorano a pieno regime. Magari anche con un nuovo Reparto Corse, che dia
nuovamente vita a qualcosa di magico, come è stato oltre mezzo secolo fa con la Otto Cilindri,
che fa bella mostra di se alla fine dell’esposizione. Si lo so, sono un sognatore, ma dopotutto
qui a Mandello tutto è iniziato con un sogno.
– Amico è.
Nel pomeriggio, dopo aver ancora pranzato in stile “campo”, mi concedo, insieme a
Gennaro, un altro giro nel Museo (si lo so Antò, ti starai facendo una bella risata). Però,
complice la pioggia che comincia a cadere, mi prende un pizzico di malinconia, forse
perchè sento che le mie GMG stanno per finire. Penso che mi ci vorrebbe non un weekend, ma
almeno una settimana intera!
Ma prima che cali il sipario c’è ancora il sabato sera, con il concerto. Bel momento di
festa sicuramente, ma io sono la soprattutto per un’altra cosa. Aspetto due persone che non
vedo da tempo, due amici, di quelli che senti veri e vicini pur vedendoli una volta l’anno. A
volte mi chiedo se sia possibile definirsi amici vedendosi così poco, abitando a centinaia di
chilometri di distanza. Però quando poi c’incontriamo e si sta così bene, si parla, ci si dice
praticamente tutto in maniera naturale, si parla di gioie e dolori, sogni e speranze, allora vuol
dire che l’amicizia c’è, ed è più forte del tempo e della distanza. Forse qualcuno avrà già capito
di chi sto parlando, sono Antonio e Andrea, meglio noti come “Ice966” e “Frizz”. La felicità
d’incontrarsi, le risate e qualche birra sembrano accelerare l’orologio. Purtroppo il tempo che
riusciamo a trascorrere insieme non è mai abbastanza, ci vorrebbe un raduno tutto per noi.
Magari un nuovo “Aquile Bariste” (che ne dite, organizziamo?).
Verso l’una di notte, a malincuore, lascio loro e la festa. Dopo qualche ora devo
ripartire, ho deciso di anticipare alla domenica mattina il rientro a casa. Non volvevo proprio
lasciare quel gruppo di persone splendide, c’erano anche Chiara e Maia (com’è cresciuta!), cioè
“le donne” di Andrea, poi Diego e la sorella, insieme ad un loro amico, e candidamente
confesso che nel raggiungere la moto quasi ho pianto, mi scocciava troppo lasciare quel
focolare di benessere.
– Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come
essere alcolizzati. Gore Vidal.
La domenica mattina lascio presto la casa dei miei zii, dopo quattro ore scarse di sonno.
In più, piove e sono da solo, visto che Antonio ha deciso di trattenersi in zona per un’altra
giornata. Appena chiudo la visiera mi viene da dire: “Ma che bella partenza.”
Superata Milano, mi lascio alle spalle anche la pioggia, e fortunatamente un tiepido sole
comincia a scaldarmi, e non mi abbandonerà più. Essendo da solo, posso mantenere
un’andatura più allegra (senza esagerare), anche per lunghi tratti, e questo mi fa saggiare le
doti della Stelvio. Che moto eccezionale! Come all’andata, la musica non può mancare, ma
stavolta il sonno è un pessimo compagno di viaggio, che riesco a sconfiggere solo grazie a
qualche dose in più di caffeina.
Le ultime decine di chilometri, al ritorno da un viaggio mi hanno sempre fatto uno
strano effetto, e così pur essendo stanco ed assonnato, avrei voluto allungare il giro,
percorrere più strada prima di arrivare a casa. Però ad un certo punto mi sarei comunque
dovuto fermare, lasciare la “V” di metallo per raggiungere quella vera e viva, che mi aspetta a
casa.
Ritornare alla vita di tutti i giorni dopo un’avventura del genere non è mai facile, per
fortuna ho ancora due giorni di ferie che si riveleranno preziosi per tarare la carburazione sulla
modalità “vita quotidiana”, anche se io l’avrei lasciata volentieri su quella “viaggio pesante”.
Infatti il lunedì mi sveglio con la voglia di saltare di nuovo in sella per ripartire. Per fortuna,
però, ho sempre saputo darmi dei limiti, che poi servono anche per apprezzare meglio il valore
delle cose, quando poi hai l’opportunità e la fortuna di poterle vivere.
– Ciao Giovanni.
Ormai ne sono sicuro. Come diceva Enzo Ferrari, la vita è sempre un mix di “gioie
terribili”, cioè di emozioni belle e brutte, di sentimenti dal sapore opposto che viaggiano su
binari paralleli. E così, questo racconto l’ho scritto con la gioia di aver vissuto un’esperienza
indimenticabile, condita anche da una presenza vera ed importante nel cuore, ma anche con la
tristezza data dall’aver saputo che un amico, un fratello guzzista, ci ha lasciati.
E’ accaduto nella notte di sabato, Giovanni stava tornando a casa dopo aver festeggiato
a Mandello insieme a migliaia di persone, proprio come ho fatto anche io. Non lo conoscevo di
persona, anche se avevo letto di lui come “Seagull78”. Ma in questi anni di “Guzzismo” ho
capito che non è indispensabile aver conosciuto di persona qualcuno. Siamo tutti guzzisti che
viviamo sotto l’ala protettrice dell’Aquila di Mandello, un pò come figli suoi, quindi siamo tutti
fratelli, pur non essendoci mai visti. So che la mamma di Giovanni ne ha conosciuti tanti di
questi fratelli, nei giorni dopo la tragedia e in quello, straziante, del funerale, e vorrei tanto che
queste mie parole arrivassero anche a lei, magari tra queste righe riesce a capire meglio il
senso della passione di suo figlio e a trovare, perchè no, un briciolo di serenità per andare
avanti.
Eventi come questi sono sempre difficili da commentare, e ancor più da accettare.
Cominci a pensare che bastava partire un attimo prima o un attimo dopo, andare leggermente
più veloce o più piano per mancare l’appuntamento con quella macchina che gli ha tagliato la
strada e con la “signora vestita di nero” che quella sera aveva deciso di appostarsi la, in
quell’incrocio anonimo divenuto poi maledetto. Anche grazie a Giovanni sono sempre più
convinto che ogni giorno che abbiamo la fortuna di vivere sia un dono unico e prezioso,
preziosissimo. Perchè non sai mai quello che ti può capitare, quello che puoi trovare svoltando
l’angolo oppure attraversando un incrocio, appunto. E questo vale se si è in moto, in macchina,
in aereo o semplicemente passeggiando a piedi.
Io, crescendo e diventando motociclista, sono diventato abbastanza fatalista, e forse
questo si capisce facilmente leggendomi. Certo, la moto ha in se una carica di pericolosità e di
rischio maggiore rispetto ad altri mezzi di trasporto, se non altro perchè sei in una condizione
continua di equilibrio instabile, con quei pochi centimetri quadrati di gomma che ti fanno stare
in piedi. Ma ne ha anche una enorme di felicità, di passione ed ha un effetto terapeutico
fortissimo, capace di farti tornare il sorriso anche nelle giornate peggiori, come ho potuto
provare tante volte sulla mia pelle. E questo Giovanni lo sapeva bene, ne sono più che
convinto. Così come sono sicuro che aveva stampato bene in mente il verso della poesia del
motociclista, che recita così: “In moto si muore, è vero, ma non esiste modo migliore per vivere il tempo che ci è concesso.” Lui sapeva di rischiare, ma sapeva anche non c’era nessun
altro modo per vivere meglio la sua vita. E lo so anche io.
Ora forse qualcuno dirà che sono pessimista, che penso al peggio, ma io mi definisco
semplicemente realista. Se un malaugurato giorno l’irreparabile devesse capitare a me, perchè
ci può stare, e ne sono perfettamente consapevole ogni volta che avvio la moto, sappiate miei
cari che io me ne andrò felice, perchè ho avuto la fortuna di poter vivere la vita come mi è
sempre piaciuto, con questo enorme valore aggiunto che è stata la passione smisurata per la
Moto Guzzi. Grazie a lei, è come se la vita l’avessi vissuta al quadrato, con una intensità
sconosciuta a chi ha la sfortuna di non avere una passione così intensa da riempirgli la vita, e
che quindi esiste solamente, senza vivere davvero, parafrasando Oscar Wilde.
Si certo, mi dispiacerà un sacco lasciare tutte le persone a me care, e anche le mie
Guzzi. Mi mancheranno, come io spero di mancare a loro. Però mi piace pensare che lassù, tra
le nuvole, potrò continuare a volare libero su un’Aquila, senza nemmeno la paura di cadere e
di farmi male. Proprio come sta facendo adesso Giovanni.
– 29 Settembre 2011.
Dopo un’altra notte poco tranquilla, mi sveglio a fatica e l’alba non sembra promettere
una giornata ideale per prendere la moto, ci sono nuvole minacciose che i raggi del sole ancora
non sono riusciti a scalfire. Ma chi se ne importa del tempo, io oggi esco con la mia Stelvio, ho
bisogno della medicina che solo lei può darmi.
“Illumino spesso gli altri, ma io rimango sempre al buio”, scrisse Alda Merini.
Ultimamente mi sento anche io così, al buio, quella luce arrivata ad agosto sembra già
affievolirsi, e le certezze costruite in maniera così meravigliosa, ma forse troppo in fretta,
cominciano a scricchiolare. Nonostante questo mi viene da dire di nuovo che fantastica storia è
la vita, il mio cuore non rallenta nemmeno per un attimo, mi sento fortunato per aver vissuto
di nuovo certe emozioni ormai dimenticate, anche se forse non si trasformeranno in quello che
ho sognato, diventando anche loro delle “gioie terribili”. Ma così girano le cose, non sempre si
può avere quello che si vuole e si desidera, bisogna accettarlo. A volte qualche sogno deve per
forza rimanere tale.
Alle 8.00 avvio il motore, metto il casco e parto, lasciando ansie e paure nel punto in cui
il cavalletto si stacca da terra, e trovando, ancora una volta, forza e serenità nella mia moto,
un po’ come Superman, che le andava a cercare, nella solitudine più totale, nel sole (che
ritorna ancora una volta). A proposito, devo ricordarmi di cucire alcune toppe sul mio
mantello.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e condiviso con me.
GMG, non solo Giornate Mondiali Guzzi, ma anche Grazie Mamma Guzzi. Oggi e per sempre.
enas84