di Alberto Sala
Note biografiche di Elena Marcellino
INTRODUZIONE
Questa è la storia di un uomo meraviglioso.
Un uomo che si è tentati di definire ‘d’altri tempi’, detto col timore che un giorno persone così non ne esisteranno più.
Un uomo che ha dedicato e dedica tutt’ora la sua vita alle motociclette: dapprima come pilota, poi come meccanico, infine come costruttore.
Ma non stiamo parlando di un ‘capitano d’industria’. Lui crea motociclette, è vero, ma le motociclette che costruisce non sono motociclette qualsiasi. Sono un po’ particolari. Lui dedica loro tutta la sua passione, e fin qui certamente si può dire che non è il solo, ma quando si pensa che quest’uomo ha sognato di costruire con le sue mani una motocicletta come la Moto Guzzi 8 cilindri da corsa e ha avuto l’ardire di farlo, allora si capisce che quest’uomo è davvero unico.
Ma non è solo la storia di un uomo meraviglioso. E’ anche la storia di una famiglia meravigliosa, perchè quando conosci la passione e la dedizione di sua figlia Elena e quando apprendi che le splendide verniciature delle sue repliche sono fatte da sua moglie Maura, ecco che il quadro si fa unico.
Replica.
Qualcuno potrebbe storcere il naso pensando se abbia senso costruire una copia di qualcosa che già esiste, pur d’eccezione che sia. Ma ciò oscurerebbe il vero senso della cosa: vorrebbe dire non pensare minimamente a quale enorme atto di passione e di talento sia ciò che crea Sebastiano Marcellino. Decidere di ricostruire una moto leggendaria di cinquant’anni fa, costruita in pochissimi esemplari e di cui non si sa esattamente tutto, e quindi pensare a cosa significa rifare una otto cilindri di 500 centimetri cubi, con due batterie di quattro carburatori ciascuna di dimensioni e complessità uniche, con una cascata di ingranaggi della distribuzione che sembrano un ingrandimento di un delicatissimo meccanismo d’orologio svizzero, e ridargli vita non solo per tenerla in soggiorno ma per farla cantare libera nei teatri d’asfalto d’Europa, non è uno scherzo di lusso, o il semplice desiderio di soddisfare un cliente facoltoso. E’ la raccolta di tutta una vita dedicata alle moto focalizzata, espressa per ricrearla a testimonianza eterna. E’ punto di incontro di talento e amore straordinari, cioè come dice la parola stessa, al di fuori dell’ordinario.
Scoperchiare questo ‘pentolone’ piemontese ribollente aldilà della riservatezza apparente significa scoprire un mondo di fronte al quale io mi sento tanto piccolo e alla cui fonte non posso resistere dall’abbeverarmi religiosamente. Toccare con mano una delle otto bielle o ammirare i microscopici accuratissimi fori nei carburatori è, oltre che grande privilegio, occasione di apprendimento paragonabile al corso universitario più esclusivo immaginabile e occasione di crescita culturale e umana non indifferente, per noi malati cronici terminali di motociclette da leggenda come sono le Moto Guzzi.
Unitevi quindi in religioso ascolto a questo viaggio in una giornata ombrosa nelle colline piemontesi, e tenete all’erta tutti i vostri sensi. Ne vale la pena, e non capita spesso.
IL SOGNO E L’ESSENZA
Un uomo e il suo sogno: nel delineare i tratti di Sebastiano Marcellino non si può prescindere dalla sua opera più spettacolare, così come ogni artista è inscindibile dalle sue opere più intense e rappresentative: seguiamo le splendide parole della figlia Elena nel narrarlo.
“Il sogno si è realizzato alcuni anni fa, ma l’inizio di tutto si perde, nel vero senso della parola, in una serie di piccoli eventi che solo ora, alla luce del risultato finale, appaiono per quello che sono sempre stati: il percorso segnato verso la ricostruzione di una Guzzi V8 perfettamente funzionante. Sono brevi parole introduttive, ma in esse sono racchiusi molti anni, anzi la vita di una Persona, che non ha mai smesso di credere in se stesso ed ha realizzato quanto promesso. Nel suo stile inconfondibile non vuole parlare di sé, ma del suo sogno (continua a chiamarlo così, anche ora che è diventato realtà).
Ma cominciamo dall’inizio.
Dobbiamo allora immaginare un mondo molto diverso da quello in cui siamo abituati a muoverci: radio, televisione e giornali non sono ancora mezzi di comunicazione di massa, sicché le notizie giungono ovattate ed in tempi non proprio reali. In questa situazione un poco più che adolescente, già appassionato di motori, sente parlare di una sorta di mito motoristico che in piena ascesa scompare, senza lasciare traccia.
Il ragazzo cresce, approfondisce le conoscenze tecniche, scopre la passione per il moto cross e decide di puntare in alto. Passano gli anni e -forse- la chiusura con il mondo delle corse (in parte voluta ed in parte imposta dalla nascita di una figlia) lo spinge a colmare il vuoto rimasto. Resta pur sempre nello stesso campo ma si avvicina al settore delle moto d’epoca. E’ come ricominciare tutto daccapo, ripercorrendo in anni le scoperte di decenni. Conoscere un nuovo linguaggio e diventarne padrone è la nuova sfida.
Cominciano così i restauri di marche più o meno note, le ricostruzioni di motori più o meno complessi. Poi, nei vari scambi tra appassionati o più semplicemente tra gente del mestiere c’è il ritrovamento, in una cassa di ricambi, di una vaschetta di un carburatore “particolare”, di cui non si riesce a rinvenire la provenienza. Per sapere non resta che rintracciare il venditore, il quale con sicurezza attribuisce il pezzo alla Guzzi V8, mostrandone su una rivista specializzata la foto.
E’ una sorta di colpo di fulmine: la funzionalità della V8, la tecnica impiegata, i materiali: tutto tende all’armonia, alla perfezione, all’essenzialità. C’è poi lo stupore per la netta differenza tra quel tipo di lavoro e la meccanica in genere impiegata dalla stessa casa costruttrice nei modelli stradali. La butta lì così: “Sarà il primo pezzo della V8”.
Passano gli anni ed il lavoro non lascia molto spazio per i sogni nel cassetto, ma di tanto in tanto spunta qualche novità: disegni tecnici, pezzi. Poi la pensione e finalmente il tempo di dedicarsi alla ricerca sistematica di tutto ciò che riguarda la V8; si parla di anni di raccolta di materiale, di classificazione, di assemblaggio. Alla fine tutto è pronto: si parte. Viene ora la parte più difficile, perché si tratta di mettere in gioco la propria abilità.
Sono altri anni complicati, in cui i pezzi mancanti vengono ricostruiti da zero, sulla base di disegni ricopiati e collezionati con precisione certosina. In più si aggiunge il principale problema di tutta l’avventura: la necessità di appoggiarsi ad esperti di fusione, di fresatura… E qui la delusione più grande, ovvero lo scoprire che non sempre alle ditte maggiormente conosciute corrispondono effettive capacità produttive e conoscitive. Ritardi, rifacimenti, pezzi buttati, ma anche l’incontro con professionisti preparati e competenti.
Alla fine l’emozione più grande: sentirne per la prima volta in assoluto la voce, anzi le voci: otto carburatori che cantano all’unisono in una sincronia totale. L’emozione è contagiosa, perché chi ascolta questa musica ne viene rapito.
Se non ci credete potete cogliere l’occasione di sentire con le vostre orecchie. Non accade spessissimo, ma ad alcuni avvenimenti motoristici la V8 è a disposizione, in tutto il suo splendore! ”
L’INCONTRO
Abbiamo avuto modo di conoscere la famiglia Marcellino in due occasioni, che potremmo definire ‘pellegrinaggi’, perchè anche immersa nel grigiore autunnale la casa sulla collina nella campagna piemontese della famiglia Marcellino contiene un calore unico e avvolgente. Così è bello scoprire che la differenza d’età ha ben poca importanza rispetto alla similitudine passionale, e allora è facile e dolce perdersi nei tanti discorsi, nei tanti ricordi evocati sia nell’officina magica al pian terreno sia attorno al tavolo a pranzo al piano superiore. A tal punto che gli argomenti scorrono liberi di sovrapporsi e quello che segue è una piccola ricostruzione delle piacevoli e fluenti chiacchierate, cominciando col mistero delle V8.
Già, mistero, perchè dopo la fine della proprietà Guzzi-Parodi non è ben chiaro cosa sia successo alle V8 esistenti. Così come non è chiaro quante siano esattamente le V8 originali esistenti ad oggi: secondo quello che si dice Frigerio ha una V8 originale e Todero anche, ma c’è sempre un po’ di mistero: chi ha visto da vicino la V8 dell’inglese Sammy Miller ne ha notato alcuni particolari sicuramente non originali. Si dice che un’altra l’aveva portata via il Direttore Generale dell’epoca. “In origine quel che pare certo è che esistevano parti per 6 moto più o meno complete all’epoca della costruzione”, dice Sebastiano. Sappiamo la storia del magazzino di Abbadia Lariana, ormai assunto a paragone come il posto meno sicuro al mondo. Forse non sapremo mai quante ne restano: chi ha un V8 originale se ne sta zitto, perchè in teoria i V8 originali esistenti sono di proprietà Guzzi. Mica si potevano comprare. Conviene piuttosto dire che è una replica. Ma l’unica replica certa è quella di Sebastiano Marcellino, che l’ha ricostruita completamente, basandosi su fotografie e disegni e compiendo diverse visite al museo di Mandello.
I disegni della V8 sono in scala 1:1. “Io li ho recuperati quando c’era ancora DeTomaso, ma ai disegni bisogna fare attenzione perchè insieme ci sono le quote della 350” ci precisa Sebastiano. Che già che c’è ha magnificamente replicato pure quella. Ma parlare di questa moto è un po’ entrare in un piccolo mistero all’italiana, insomma, è argomento “delicato”. Così attorno a Sebastiano Marcellino si alza uno strana indifferenza. Eccetto Anima Guzzista, nessuno in Italia lo invita mai, neppure la Moto Guzzi. Elena ha provato a richiedere la partecipazione di suo padre e della sua V8 al raduno di Mandello, chiedendo se poteva interessare la loro partecipazione, anche con la 350 bialbero. Mai nessuna risposta.
Altrettanto curioso il silenzio della rivista ‘principe’ in Italia delle moto storiche, che nonostante un contatto avuto con uno dei giornalisti non ha mai dedicato nulla a Sebastiano e alla sua splendida moto. Curioso. All’estero le cose vanno in maniera diversa, Elena racconta di ottimi rapporti con riviste come Moto Legendes e altre; d’altronde chiunque farebbe i salti di gioia a contare sulla presenza della sua V8, non trovate? Come succede a Monthlery, dove nonostante facciano bella mostra centinaia di spettacolari motociclette da corsa originali d’epoca, è sempre la sua V8 a strappare i consensi più entusiastici. Come quelli di Bill Lomas.
Una persona splendida, “ha quasi 80 anni ma aveva una gran voglia di salire sulla mia moto – racconta Sebastiano – ma un problema alla gamba e soprattutto la moglie gle lo impediva”. Comunque si è subito appassionato alla V8 e alla famiglia Marcellino: “ci ha riempito di autografi: mi ha dato delle foto bellissime, mi ha autografato perfino il cappellino…” dice Elena.
Altro personaggio appassionato alla famiglia Marcellino è Ken Kavanagh. “Mi raccontava Kavanagh che a Monza, alla curva Ascari (la curva, non la chicane di adesso), si usciva dal sottopassaggio a 270 kmh e la curva si faceva in pieno ma con le moto di allora non si usciva mai (nè si entrava) allo stesso modo: ci voleva gran pelo sullo stomaco” “Più volte ho cercato di portare Cavanagh a Monthlery, ma niente, non si schioda dalla sua casa di Bergamo.” dice Sebastiano. “E’ una persona splendida” aggiunge Elena “non l’ho mai conosciuto di persona, ma ci siamo scritti e sentiti diverse volte, è una bella persona, molto loquace e disponibile a raccontarmi tanti episodi di quell’epoca e cos’era il motociclismo allora, ben diverso da quello di oggi”.
E’ bello sentirli raccontare di episodi, di emozioni, sentendoli appassionare accavallandosi tra loro coi racconti a tal punto da far sparire ogni apparente riservatezza tipicamente piemontese.
“Avevo comprato una volta un Ducati bialbero da Farnè, del ’62-63, eravamo andati giù una domenica mattina, c’era Giovannini del reparto corse, ci aveva portato nel suo garage, aveva ancora tre teste del Marianna, mi aveva detto “dammi centomila e portatele via”, accidenti adesso valgono un capitale, ma io avevo già preso il bialbero 125, l’ultimo usato; poi ci ha portato in fabbrica, stava facendo l’Apollo a quei tempi, avevano lì smontato un Norton Commando per prendere delle idee e per fare delle prove di comparazione. Poi questa bialbero l’ho venduta e ricomprata diverse volte, salendo in continuazione di prezzo, finchè è finita a uno svizzero.”
Sebastiano aveva un Dondolino: “il mio Dondolino prima era di un tizio a cui gle l’aveva comprato lo zio nuovo, mai usato. Lo ha portato da me chiedendomi di metterla a posto bene, perchè voleva andarci forte, dato che lo zio gli aveva detto che quella moto andava forte. La moto non era stata praticamente usata, aveva 500 km circa, questo succedeva nel ’68 circa. Poi questo ragazzo è andato a provarla, è tornato indietro e mi ha chiesto: “quanto vuoi?” Perchè, non va? “Sì che va, va troppo!” “va bene, dimmi quanto vuoi” “80 mila Lire”. Io non aspettavo altro, ho tirato fuori le ottantamila e me la sono presa! Era perfetta!”
“A me piaceva da matti” dice la moglie, “perchè fregavo sempre il ginocchio per terra. Ogni volta che andavo in moto buttavo via un paio di pantaloni”. …! “poi una volta mi ha fatto prendere uno spavento: ci invitano degli amici in moto anche loro ad andare in un certo posto; gli altri tutti tranquilli, lui invece parte sparato e invece di fare la strada si infila in un filare di viti!” “Certo, volevo far strizzare un po’ gli amici” precisa Sebastiano, “sapevo che dopo il filare c’era la strada, solo che al momento di frenare il freno dietro non ha funzionato: l’ho fatta derapare e siamo finiti nel fosso. Io ho strappato un po’ i pantaloni ma lei non si era fatta proprio niente!” “Dopo – prosegue la moglie – penso: forse è meglio se andiamo a casa e invece saliamo di nuovo; a un certo punto sento odore di bruciato, e gli dico di fermarsi. All’epoca si usavano dei pantaloni stretti, in un tessuto tipo il nylon: gli si erano praticamente ritirati a contatto con la marmitta.” I racconti delle follie di gioventù prendono il sopravvento: “una volta avevo anche un’Abarth, una 600 portata a 1000, non andava proprio piano” dice ironicamente Sebastiano, mentre la moglie si chiedeva come mai si fosse trovata un compagno simile visto che non era una ‘votata’ alla velocità; “una domenica la prende e mi dice “andiamo al lago”; ci avviamo, e dietro di noi arriva una Fulvia Coupè, lui l’ha vista, ha dato fuori di brutto tirando come un dannato e la Fulvia mica è riuscita a superarlo, no! Però quando è arrivato al lago poi l’Abarth non è più partita! Meno male abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato un passaggio a casa”. La conversazione assume toni scherzosi ora: “Allora eravamo fidanzati; sai, in genere i fidanzati regalano anelli, diamanti, fiori… ” “qualche segmento, sì” interviene Sebastiano; “lui mi regalava emozioni! E continua!! Sono andati lui e Elena a Monthlery, io sono stata a casa – continua la moglie – la prossima volta stacco il telefono! Non è possibile, ogni dieci minuti mi chiamava!” Elena conferma: “mi diceva, in dialetto, se avevo chiamato mia madre. Gli dicevo: vuoi parlargli? E lui: “Salutamela.” Io e Mauro ci guardiamo e non possiamo far altro che pensare quanto sia una fortuna nascere in una famiglia così, soprattutto pensando alla fatica per poter avere la nostra prima moto. Ma Elena obietta: “tutte balle, io la moto non ce l’ho mica” riferendosi alla Parilla che sta da tempo nel box in attesa di essere riassemblata: “Tu la moto ce l’hai *virtuale*” gli replica il padre simpaticamente; “ah sì, certo, *virtualmente* ne ho un magazzino pieno! Io ho cominciato a 4-5 anni ad avere la moto, poi mi hanno troncato la carriera!”
La conversazione prosegue di questo passo estremamente piacevole e infine volge al termine, vertendo inevitabilmente sui problemi che si riscontrano in Italia, sulla differenza rispetto ad esempio alla Francia in termini di manifestazioni riguardanti le moto d’epoca, e Marcellino si emoziona solo al ricordo di quante moto c’erano a Monthlery, allo spettacolo infinito della parata di tutti i 1500 iscritti (!) dello scorso anno… ma la cosa più sconcertante è la differenza di credito che riscontra Marcellino: in Francia lo adorano, viene regolarmente invitato, lui e la sua splendida moto; la stessa cosa avviene in Germania mentre in Italia… beh, in Italia Marcellino trova solo muri di gomma. Chiunque sia in grado di comprendere la passione che le motociclette sono in grado di suscitare non può fare a meno di chiedersi perchè ogni tanto le cose non vanno come dovrebbero a rigor di logica. Poi si ricorda dove siamo, e allora non è così difficile (anche se terribilmente amaro) capire che da noi spesso, anche a livello di giornalismo, comandano le ragioni del ‘cortile’, del ‘ma la mia moto è più originale della tua’, e altre bambinate via di questo passo. Casa madre inclusa. Perchè l’invidia, la paura del confronto (ammesso che debba sempre esserci), il campanilismo, devono essere sempre i sentimenti alla fin fine dominanti in questo paese? E’ mai possibile che una mentalità ottusa che si tramanda di padre in figlio possa rendere ciechi così tanti personaggi dell’ambiente motociclistico italiano? Credo che chiunque abbia avuto modo di avvicinare Sebastiano anche solo per cinque minuti e abbia avuto modo di vedere al nostro Incontro di Primavera dello scorso anno a Roma la otto cilindri si sia reso conto di aver assaporato un piccolo pezzo di storia, di vita vissuta con l’amore per le moto nel cuore. Come è possibile che stranieri srotolino tappeti di fronte a tanta passione e noi no? Persone, anzi, famiglie come la Marcellino sono concentrati di storia in grado di farti rivivere episodi, periodi, momenti di alta emozione come se fossero macchine virtuali con tanto di occhiali 3D. E siamo orgogliosi di aver viaggiato con loro (e spero almeno un po’ voi con noi) in quel mondo che tanto adoriamo, che ci fa stare tutti attenti come bimbi all’ascolto delle favole, rendendo un po’ giustizia a un profeta amato mai abbastanza in patria.