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Roberto Patrignani

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Roberto Patrignani, motociclista, giornalista ma soprattutto Guzzista D.O.C.

a cura di Goffredo Puccetti e Aldo Locatelli
Ottobre 2002
AnimaGuzzista Protagonisti Roberto Patrignani _
E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…
Partendo da Roma di sabato mattina per un matrimonio in Maremma, e avendo fissato un appuntamento di lavoro a Milano per il lunedì successivo, voi come vi organizzereste per il lunedì mattina?

Se avete risposto: faccio una puntatina a Mandello, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Da quando avevo incontrato Roberto Patrignani alle GMG a fine settembre cercavo un pretesto per poter tornare a fare un salto a Mandello ad incontrarlo, e adesso ce l’avevo. Domenica sera arrivo da Aldo e Terry, ormai una sorta di istituzione per tutte le Anime Guzziste peregrine a Mandello, e l’indomani mattina appuntamento fissato con Roberto Patrignani, davanti ai cancelli di via Parodi, ovviamente.

Io e Aldo arriviamo puntuali e troviamo Patrignani che ci attende; strette di mano e si sale in macchina: la chiacchierata si svolgerà a casa sua.

– Ah, però vi devo chiedere una cortesia. Mi ha chiamato l’amico Perrone… per un articolo su Motociclismo d’Epoca e gli servono le date di nascita e morte del pilota Guido Mentasti, ve lo ricordate? Quello del Gran premio delle Nazioni del 1924 a Monza, con la 500 quattro valvole…

– ehm, veramente…

– Beh, le date gliele ho dette a memoria ma giusto per essere sicuri visto che è sepolto qui a Mandello… Vi spiace se ci fermiamo un attimo al cimitero che controllo?
La sosta fuori programma già ci fa capire che tipo sia Patrignani: motociclista, globe trotter, giornalista e scrittore, una vera enciclopedia della moto vivente!
Arriviamo a casa sua e subito ci sferra un colpo da knock-out:

Passiamo dal garage così vi faccio vedere delle belle moto…

Il Parco moto è notevole: una bellissima Ducati e una Morini da competizione, un Airone Sport perfettamente restaurato e la leggendaria Vespa del raid Milano-Tokio del ’64.

– La mia preferita. Non la venderò mai – ci dice accarezzandola con lo sguardo. Ci accomodiamo nella bella mansarda… Ai piedi del letto, su una mensola della libreria una splendida monocilindrica bialbero completa di carena. No, non un modellino: proprio una vera Moto Guzzi 350 da Gran Premio!

Allora, intanto chiamo Perrone e gli dico le date di Mentasti sennò poi mi dimentico… Dunque noi ci siamo visti al Museo e lei voleva fare quattro chiacchiere ma non ricordo più se siete una rivista, un moto club o…

Anima Guzzista è un sito internet…

Ahi, su internet vado male, eh… Mio figlio mi ha anche detto che mi ha installato la posta elettronica… l’email… Mah, io col computer francamente…

Beh, faccia conto che siamo una piccola rivista dedicata alle Moto Guzzi. Lei ne ha parecchie di storie da raccontare sulle Guzzi. Cominciamo dal Bol d’Or del 1971. Siamo a Le Mans… e sotto la tuta di Mandracci… c’è Mandracci o Patrignani??

Mandracci, Guido Mandracci! Guardi, lo scrissi anche pubblicamente, anni fa, credo su Motosprint. Mandracci finì a terra, di notte e riuscì a riportare la moto ai box. Mentre Brambilla girava…insomma, non è che ci piacesse l’idea di fermare una gara… Oh eravamo stati in testa dieci ore… E insomma ad un certo punto, e non mi ricordo neppure chi ebbe l’idea per primo, mi dicono: <<Patrignani, se Guido non si riprende, ti metti la tuta e vai te, eh… >> Io ero il responsabile della Squadra Guzzi, venivo dai Record di Monza, ero arrivato a Le Mans in moto, per dire, ed ecco che mi ritrovo gli sguardi di tutto il box adosso…

E invece?

E invece Mandracci risalì in moto e si fece tutto il suo turno. Finimmo terzi! Che gara! Che emozione…

Finimmo?

Finirono, finirono! Ho scritto che quel ricordo lo sento ancora ‘inquinato’ dal fatto che io ero lì pronto col casco in mano a fare quello che la squadra mi chiedeva, ma la tuta di Mandracci non la indossai. Lo avrei fatto, ah si’! Avrei barato sul regolamento pur di non fermare quella gara! Ma non fu necessario.

Ha accennato alla sessione dei Record di Monza del ’69…

Gran bella impresa, quella! Le confido una cosa: ci fu un momento, durante quella sessione che pensai: ci siamo, Roberto, ti han fatto lo scherzo della vita e ci sei cascato…

Cioè?

Quando arriva il mio turno, chiedo a Brambilla suggerimenti sulle traiettorie, specie l’ingresso in parabolica. Insomma eravamo lì per fare dei record, eh mica per altro… E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…

E lei?

E io l’ho fatto! Solo che quando mi resi conto della velocità con la quale stavo entrando in curva, dissi fra me e me: è la fine, adesso volo di fuori. E invece per effetto dello schiacciamento, della parabolica insomma, il motore perde un po’ di giri; quanto basta per tenerti dentro quella curva, ma proprio appena appena, eh! Pensi che ci fu Venturi, credo, che provò anche lui la V7 lì e dopo una sessione se ne stava tutto perplesso a rimuginare: – ma che cacchio di uccelli avete da queste parti? A duecento all’ora mi vedevo volare questi passerotti scuri sopra il casco… Erano pezzi di pneumatico, altro che passerotti!

Quell’impresa fu un bel colpo promozionale per la Guzzi e aprì le porte all’interpretazione in chiave sportiva del V7 di Carcano.

Sicuramente fu importantissima per la Guzzi. Mi ricordo un festone al Circolo della Stampa di Milano, per celebrare l’impresa. E i compensi che ci diede la Guzzi. Da capogiro! Cinquecentomila lire, se non ricordo male. Comunque una somma esorbitante. E comunque senz’altro quell’impresa, insieme ai vari test che seguirono in Usa e in Francia, a Monthlery, convinse la Guzzi a sviluppare il V7 Sport.

Lino Tonti: che tipo era?

Eh, un genio. Un appassionato. C’erano gli scioperi? I picchetti? Le parlo degli anni Settanta, eh, anni molto difficili. Insomma c’erano dei giorni che se entravi in fabbrica rischiavi di prenderle… E lui si assemblava il telaio in cantina, a casa sua! Per testare i prototipi, se trovava i piloti bene, altrimenti prendeva e usciva lui. Si spaccò anche il femore così, durante uno di questi suoi test a casa sua. Se non sbaglio dalle parti di Cattolica.

Lei oltre che tester è stato anche impiegato e dirigente in Guzzi…

Sì sì, all’Ufficio Relazioni Esterne. Ecco, guardi, le dico una cosa. Aspetti che trovo la lettera originale perchè c’è una cosa di cui sono molto orgoglioso… Ha visto come sta tornando bello il Museo Guzzi?

Sì, perché?

Perché quel museo, in parte, ho contribuito a farlo nascere… Ecco la lettera, vede?

Patrignani ci mostra una lettera indirizzata alla Dirigenza Guzzi nella quale segnalava lo stato disastroso dei modelli storici Guzzi che si trovavano sparsi, più o meno abbandonati, in dei grossi capannoni tra Mandello e Abbadia Lariana, e propone degli interventi per il loro recupero e restauro in vista della creazione di un Museo Guzzi.

Ecco, vede? E qui mi risponde: “bene, Patrignani, lei cosa ci consiglia, etc etc…” Le assicuro che l’interesse verso le moto d’epoca è cosa abbastanza recente. Fino agli anni sessanta ma anche un Dondolino o dei Gambalunga si trovavano a marcire nei capannoni… Con la vernice che faceva il fiore, uno spettacolo che non le dico… In Guzzi non ci si rendeva conto del patrimonio che si stava lasciando andare in malora. Poi, dopo, c’è anche chi se ne è approfittato…

Cioè?

Beh, in tutta franchezza… Arrivavano ogni tot mesi questi nuovi dirigenti che di Guzzi non ci capivano niente; però tutti ben disposti a mettere in piedi il Museo, pieni di buone intenzioni ma… Insomma se gli arrivava il tale x o y che gli proponeva, dico per dire, un’Airone bello bello tutto restaurato e luccicante e in cambio si offriva ‘generosamente’ di vuotargli un box da tutti qui rottami ammuffiti, che magari erano dei Gambalunghino… capisce?

Interessante. Mi ricordo una visita al Museo sotto la sapiente guida di Vanni Bettega che di fronte ad alcuni modelli rimuginava: “mah, questo è tutto rifatto…”

Esatto! Guardi, io voglio essere onesto al 100%. Io ho dato tanto e ho lavorato tanto per questa idea del Museo e, francamente, non posso dire di non essere stato ricompensato. Vede alle mie spalle? (alle sue spalle c’è la 350 Bialbero) Non è proprio una cosina da niente… Un’altra così è al Museo, appunto… Però ci sono state di quelle cose… Uff, lasciamo perdere che quando ci penso…

Comunque: ecco, questo, forse per vanità, mi piacerebbe che si sapesse: che ho dato un piccolo contributo alla nascita del Museo Guzzi.

A proposito, nostalgia del suo Gambalunga?

Eh, eh. No, perchè se non lo avessi venduto non avrei mai avuto la possibilità di tornare al TT…

‘Ti porterò a Bray Hill’. Uno dei libri di moto più emozionanti e sinceri che abbia mai letto.

La ringrazio, ma quando si parla di Tourist Trophy viene facile…

E parliamo di Tourist Trophy, allora.

Ah, io starei tutta la giornata a parlarne. Invece ho degli amici che non ne vogliono proprio sapere. L’amico Perrone, per esempio. Uh, che litigate. Lui è molto severo sul TT: tira fuori l’elenco dei morti e chiude le orecchie. Anche quando ci sono ritornato ancora nel 1996, altra litigata (sorride). Rispetto la sua opinione, per carità. Ho vissuto in prima persona momenti di tragedia al TT. Ho cercato di scrivere tutto e di essere onesto su tutto del TT. Ma c’è poco da fare… il TT lo devi vivere. Se penso a persone come Joey Dunlop che ho avuto l’onore, e dico l’onore di poter frequentare. È un mondo eccezionale. Ed è difficile per me esprimere un giudizio netto, drastico sul TT. Prendete Agostini, che pure fu alla testa dei piloti che chiesero il boicottaggio del TT per ragioni di sicurezza. Ecco, chiedetegli qual’è il circuito più bello del mondo e vi sentirete rispondere: Ah, il Mountain… Anche in Guzzi mi fecero uno scherzetto, alla rievocazione del 1996 o 1997, al Lap of Honour, dovetti cedere il numero 1 ad Alfio Micheli. Il TT di qui e il TT di là… poi all’ultimo: Patrignani non le dispiacerebbe cedere il numero 1? Ma certo che mi dispiace! Mah, insomma, per fortuna ero in ottimi rapporti con i manager di allora. Mi regalarono anche un bell’orologio, una serie limitata fatta per la Guzzi, per farmi stare buono (risate). Ma l’ho scritto poi, eh! Il mio fu un gesto di “forzata cavalleria”… Son finito pure nelle balle di paglia col Gambalunga, proprio a Bray Hill pur di non dargliela vinta, eh! Il Lap of Honour è una gara come le altre, altro che parata (risate).

La Guzzi di oggi e di domani. Lei è ottimista o pessimista al riguardo?

Ottimista, ottimista! Si vede che c’è un nuovo interesse, no. Qui a Mandello è proprio tangibile. Già in passato c’erano stati manager in gamba, eh. Mi ricordo i vari Sacchi, Lanaro, ma nessuno rimaneva a lungo quì! Adesso mi sembra che la nuova proprietà sia bella solida. Speriamo in una politica oculata di investimenti.

Come se lo immagina un nuovo motore Guzzi?

Mah, non saprei… O mi fanno un qualcosa di pazzesco, che so io, un 8 cilindri! Quello sì che mi emozionerebbe! Un bicilindrico longitudinale… non so, ormai ce lo hanno tutti… Insomma facciano loro ma ci mettano un po’, come dire, di ‘sapore’ Guzzi, ecco.

È ormai tempo di congedarsi. Aldo scatta qualche foto. Il fatto è che ogni angolo dello studio di Patrignani offre spunto per nuove chiacchierate e così tiriamo per le lunghe…

Ah, ecco il famoso Dingo Cross del Raid: Città del Capo-Alessandria…

Uh, ecco, le dico un’altra cosa, così mi libero la coscienza: i diecimila chilometri sono una esagerazione… Arrivato a 7000 ebbi un esaurimento nervoso, lasciai il ciclomotore in un box e… scappai! Giuro! Mi vennero a prendere in aeroporto, al Cairo… Uh, mi spavento ancora a raccontarlo (risate). Vedete, io pensai di partire da lontano e di fare il viaggio avvicinandomi verso casa. In genere invece tutti i grandi raid erano da casa verso qualche meta lontana. Ma io dopo aver fatto Milano-Tokio non me la sentivo di ritrovarmi in quelle situazioni nelle quali non solo sei a migliaia di chilometri da casa… ma continui pure ad allontanartici! Solo che non avevo fatto i conti con il bollino del Sudafrica sul passaporto… Sa, eravamo nel 1966. Ad ogni frontiera, ore, giorni di problemi, perquisizioni a non finire, interrogatori… Ecco, arrivato ad Asmara, stremato dai problemi per ottenere il visto in Sudan, crollai e tentai la fuga! 7000 e rotti, non diecimila chilometri quindi…

Beh, in ogni caso 7000 km su un Dingo!…

Ricordo che prima di partire l’Ingegner Carcano mi chiamò: -“Patrignani, ma per questa sua cosa in Africa, ma perchè non si fa adattare uno stornello tipo scrambler?” E non aveva tutti i torti.. Sapeste quante salite ho fatto a piedi, col Dingo che a mala pena arrancava stracarico com’era…

E sulle memorie africane ci congediamo, questa volta davvero. Potremmo continuare all’infinito: quì spunta una targa commemorativa del Coast to Coast – fatto con un ciclomotore Garelli – lì c’è una foto con Joey Dunlop, e così via. Ringraziamo sentitamente Roberto Patrignani per la simpatica chiacchierata e ci dirigiamo verso casa di Aldo, dove Terry ci ha preparato per pranzo un delizioso polletto farcito per concludere questa breve ma bellissima visita a Mandello. Ma non è finita; dopo il caffé, Aldo lascia cadere una proposta: -“Senti, se non devi essere a Milano troppo presto, facciamo in tempo a farci un giretto: ti faccio provare il mio Centauro…”

E così, prima di infilarmi in auto verso il grigiore di Milano, ci godiamo una piccola escursione bicilindrica sul Lungolago: all’andata il Centauro, al ritorno il Le Mans… (Grazie Aldo) È la botta finale, l’overdose di emozioni: una volta giunto a Milano, all’importante riunione di lavoro, non avrei poi capito molto e avrei parlato pochissimo: Varenna era diventata Bray Hill, la Ford Fiesta in tangenziale aveva lasciato il posto ad un V7 sulla parabolica… Sembra addirittura che dopo mi abbiano visto passare al casello con “pazzo abbandono”…

G.