Intervista di Luca Angerame, in collaborazione con Aldo Locatelli
Grazie a:
Aldo e sua moglie Terry., senza i quali non sarebbe stato possibile organizzare questa intervista;
Fange, Goffredo ed Alberto, per il contributo pre e post;
Paola, per la pazienza ed il supporto;
mio zio Marco per l’ospitalità
Eravamo finalmente arrivati, sotto una pioggia implacabile. Tra i viottoli della vecchia Mandello, in riva al lago, ci ritroviamo in un cortiletto senza tempo.
In cima ad una scaletta c’è una porta di legno, con una semplice targhetta di ottone. La leggo, e mi perdo una sistole: “Ing. Carcano”.
Tutto era partito mesi prima, con l’idea di far autografare il mio manuale d’officina dal progettista della mia moto, che pian piano si era trasformata nell’idea di intervistare l’Ingegner Carcano per AnimaGuzzista.
L’Ingegner Giulio Cesare Carcano, l’uomo che ha progettato sia la moto più straordinaria di tutti i tempi, la 500 V8, sia uno dei motori motociclistici più famosi di sempre, il V90 che tiene a galla la Moto Guzzi da più di 35 anni.
Avuto il suo assenso grazie ai buoni uffici di Aldo Locatelli, sono seguite ore ed ore a leggere interviste passate, a pensare domande inedite, con l’aiuto di Fange, Goffredo, Alberto e dello stesso Aldo, poi a rileggerle mille volte per purificarle dalla banalità, a stendere il piano d’intervista, ad organizzare la logistica.
Finalmente il viaggio in treno da Roma, un robusto pranzo a casa di Aldo ed un ultimo controllo all’attrezzatura, sempre con tanti dubbi: sapremo porre domande interessanti? O sarà tutto troppo banale per uno che avrà già rilasciato centinaia di interviste? Ci congederà frettolosamente? L’attrezzatura funzionerà come si deve?
Ma ora eravamo lì, e tutte quelle domande stavano per perdere senso.
Ho bussato, e ci ha aperto un signore alto, appena curvo sotto il peso dei suoi novantatré anni, con tanti capelli bianchissimi. E’ lui, lo riconosco dalle foto del Colombo, scattate mezzo secolo fa. Un’altra sistole mi dà buca.
Ci fa entrare nella sua sala da pranzo, di quelle con il marmo a rombi per terra ed i mobili di altre epoche, dove sembra che il tempo passi senza intaccare nulla. Ci sediamo, e riscaldati dal caffè della signora Carcano iniziamo con le domande.
Luca Angerame: volevo innanzitutto ringraziarla per la sua disponibilità e per la sua gentilezza. Io sono qui a nome di un motoclub di guzzisti e volevamo innanzitutto ringraziarla per quello che ha fatto: noi tutti i giorni usiamo il suo motore, e tutti i km che facciamo dipendono da lei.
Aldo Locatelli: ogni avviamento è ing. Carcano… ing. Carcano… ing. Carcano…
LA: volevamo farle qualche domanda per un’intervista.
Giulio Cesare Carcano: (ride) faccia pure, fin dove sono in grado di risponderle lo faccio volentieri.
LA: intanto ecco per lei la maglietta del nostro sito Anima Guzzista: tutti appassionati al limite della mania.
GCC: (sorride) ah sì, le Guzzi con l’anima, bene, bene…
Il motore a V e la prima moto V7
LA: volevo partire con il suo motore V90. E’ un progetto del 1965 che è rimasto attuale ancora oggi: qual’era l’evoluzione che lei aveva previsto quando l’aveva progettato? Dove poteva arrivare questo motore?
GCC: è una storia vecchia. Come sapete, perchè ormai è di dominio pubblico, i Corazzieri avevano bisogno di una moto di rappresentanza perchè il Falcone, che era la moto che loro avevano in dotazione, gli sembrava un pò misera. Un colonnello comandante dei Corazzieri, mi disse: “Sa, noi ordiniamo i nostri cavalli in Normandia, perchè vedere un uomo di due metri su un cavalluzzo è male per il cavallo ed è male per l’uomo. Avremmo bisogno di un motociclo che fosse come il cavallo normanno per il nostro cavaliere”. E questa è stata l’impostazione principale all’origine di quella moto. Fu così realizzato il primo progetto del V (lo pronuncia “vì” e si riferisce al motore, non al modello di moto, NdA), che era 704 cm cubici. Da lì poi sono nate tutte le complicazioni e le derivazioni delle moto successive.
In quell’epoca avevo anche fatto un V, prima 500 poi 600, che avevo montato su una Fiat 500. Ricordo che mi dava delle grandi soddisfazioni. Era un motorino, il 600, che dava 36 o 38 cv: era esattamente il doppio del motore originale Fiat, che dava 18-20 cv.
La macchina era brillantissima, piacevole, divertente: aveva delle accelerazioni notevoli ed una velocità fin troppo elevata. Faceva 140 km/h, per una macchinetta così…
Poi feci anche un altro V, molto più modesto, che era montato sul mulo meccanico, il 3×3. Anche con quello avevamo fatto delle prove per quello scopo.
Quello della motocicletta è stato un modello fortunato perchè è piaciuto alle Polizie ed alle Forze Armate, non solo italiane ma un pò in tutto il mondo.
Poi l’hanno portato a 750 cc, sportivizzandola fino a farla diventare una macchina non dico da corsa ma quasi. Tuttavia quello schema, a mio modo di vedere, nonostante abbia tanti vantaggi per il turismo e per i servizi di polizia, vigilanza urbana etc., non è lo schema più adatto per una macchina da corsa (usa il termine “macchina” per indicare la motocicletta, NdA), per tante ragioni che non vi illustro qui per non annoiarvi.
AL: anche per i cilindri che sporgono…
GCC: non solo per la difficoltà ad essere carenata. La difficoltà principale è che la trasmissione ad albero comporta una coppia di ribaltamento che è dannosa per una macchina da corsa, mentre è tollerabilissima per una macchina con cui andare a spasso. La prova migliore di questo è la BMW, che ha avuto successi continui con il sidecar, che resta appoggiato, mentre senza carrozzino aveva prestazioni non molto soddisfacenti, proprio a causa del coricamento laterale in curva.
Dopo, dal motore 700 sono state derivate le moto che ci sono ancora adesso, sempre su quello schema che, le ripeto, a mio modo di vedere è molto pratico ed attuale ancora oggi per una moto granturismo, mentre non lo è per una moto da corsa.
LA: in effetti il V è stato spinto parecchio…
GCC: sì, hanno fatto il quattro valvole… (ride). Ma pensi a certe moto che ci sono in giro adesso… delle supermacchine che poca gente può usare al livello di quello che possono dare. Le giapponesi da 100 cv, con velocità parecchio oltre i 200 km/h: sono macchine bellissime, ma non possono portarle tutti.
AL: tutti però le vogliono guidare…
GCC: sì, ed è davvero una cosa un pò strana vista dal di fuori. Il mercato della motocicletta è in crisi con i cinquantini ed i motoscooter leggeri, ma non lo è per le supermoto, che sono dedicate ai pochi che sanno veramente portarle.
LA: dunque lei quando ha progettato il V90 non pensava che arrivasse fino agli attuali 1100 cc.
GCC: (ride) no, le assicuro. Io pensavo che quella moto avesse successo nelle polizie di tutto il mondo. A parte la nostra, l’abbiamo venduta in America, in Egitto, in Argentina… era proprio una moto richiesta dalle polizie, infatti era nata per quello.
LA: molto affidabile…
GCC: affidabile, pulita, con buone prestazioni e soprattutto robusta.
LA: per cui la 850 LeMans del 1975, che all’epoca fece scalpore, lei non l’avrebbe vista inizialmente?
GCC: no, è stata una cosa venuta in seguito e che ha avuto un successo commerciale. Ma come le dico, la nascita di quella moto è stata la richiesta del Cavallone (era il soprannome del colonnello dei Corazzieri, NdA), ossia una moto imponente fatta per essere cavalcata da un uomo prestante, da un Corazziere.
LA: vedendo dove è arrivato quel motore oggi, 1100 cc, 4 valvole…, secondo lei quali altre evoluzioni potrebbe avere in futuro? Tipo raffreddamento a liquido…
GCC: mah, oggi c’è una parte del mercato sportiva ed una parte semisportiva. Ora accanto al Campionato del Mondo per la cilindrata classica, ci sono anche Campionati dedicati alle moto di produzione, che hanno incontrato poi il favore del mercato
LA: per cui secondo lei continueranno ad evolvere il V90, perchè comunque vende.
GCC: sì, sicuramente, anche se non so come stia andando la Moto Guzzi dopo essere stata acquistata dall’Aprilia.
In Guzzi ho ancora qualche vecchio disegnatore mio amico. Non sono addentro ai loro programmi, ma qualcosa di nuovo, di diverso lo dovranno fare.
LA: si parla di raffreddarlo a liquido e di ruotarlo di 90°, con i condotti di aspirazione all’interno della V ed i condotti di scarico sull’esterno laterale.
GCC: sempre sullo schema del V?
LA: sì.
AL: l’evoluzione più attuale sono le punterie idrauliche, già sono uscite.
GCC: mah, non lo so, ormai sono passati 35 anni da quando sono venuto via. Ho ancora qualche amico… Todero per esempio che era il mio braccio destro: ogni tanto mi racconta qualche cosa ma non sono molto al corrente di cosa stanno facendo. Qualcosa di nuovo dovranno fare.
LA: anche perchè di fatto il suo motore è quello che ha tenuto a galla la Moto Guzzi dal 1965 fino ad oggi, ed ancora oggi lo vendono.
GCC: sì, il problema c’è, ma non so bene cosa abbiano in mente.
Per quanto riguarda le competizioni so che adesso è uscito un nuovo motore che ha già corso nella categoria Gran Premio a 4 tempi. Come sapete, dall’anno prossimo la massima categoria sarà solo 4 tempi, mentre quest’anno corrono sia i 2 tempi che i 4 tempi.
Loro (l’Aprilia, NdA) hanno fatto un 3 cilindri che per adesso ha fatto qualche corsa, ma è ancora molto, molto indietro. Non so se sarà in grado di competere con il 5 cilindri Honda o con la pletora dei 4 cilindri Yamaha, Suzuki e compagnia bella.
Per la produzione non so cosa vogliono fare. Ho sentito che volevano fare il V con il raffreddamento a liquido (è il VA10, NdA), però non so se lo porteranno avanti.
AL: ormai il suo motore l’hanno strizzato in tutti i modi.
GCC: sì, ma io credo che il pubblico venga sempre attratto da qualcosa di nuovo, e ormai credo che il mio V di nuovo non possa dare molto. Sì, forse il raffreddamento a liquido… l’avevo sentito, ma chissà…
LA: ma non tutto il pubblico, comunque, ad esempio avevo letto un sondaggio in cui la maggioranza ha dichiarato che non comprerebbe una Guzzi con il motore diverso dal suo.
GCC: (ride)
AL:sarebbe lo stesso problema di quando uscì il V90, che nessuno avrebbe abbandonato il Falcone monocilindrico.
GCC: la questione è che, astraendosi dal concetto Guzzi per un momento, la concorrenza che c’è oggi sul mercato delle moto grandi e sportive è una concorrenza fondatissima. Io mi ricordo che tutti dicevano “sti giapponesi… chissà…” ma i giapponesi oggi riescono impeccabilmente, sia nelle motociclette che nelle vetture.
Non c’è più la remora del prodotto giapponese che affascina sul momento ma che poi scavando, sotto sotto…: fanno delle ottime macchine. Quindi oggi se si vuole abbandonare quello schema per fare qualcosa di appetibile bisogna andare su cilindrate frazionate e su potenze grosse. Ormai 100 cv non bastano più.
Le moto da Gran Premio di oggi
LA: si vendono moto da 160 cv, difficile pensare di andare oltre, su strada…
GCC: sì, io non li capisco. Adesso c’è questa nuova formula del 990 4 tempi da Gran Premio che nel primo anno doveva correre insieme alla 500 2 tempi: guardate che il 1000 4 tempi si avvia verso potenze di 300 cv. Sa cosa vuol dire 300 cv?
È una pazzia: già il 2 tempi ha più di 200 cv, e per questi 4 tempi che stanno iniziando a correre adesso parlano di 240-250 cv.
Il ragionamento è semplice: assumiamo come attendibili le potenze della Formula 1, che con 3 litri di cilindrata e 10 cilindri: parlano di 800 cv con disinvoltura. Con un motore piccolo i giri salgono e le potenze specifiche salgono, o almeno non diminuiscono. E’ facile pensare che l’Honda che corre quest’anno sarà vicino ai 300 cv quando sarà a sviluppo completo, l’anno prossimo.
Ora lei pensi a cosa vuol dire 300 cv su una gomma larga 4 pollici…. è un assurdo.
Come vede, uno degli scopi delle corse è quello di attrarre il pubblico, di affascinarlo con il sempre più difficile, ma poi alla fine diventa un assurdo.
LA: dovranno sicuramente introdurre qualche forma di elettronica, come sulle Formula 1.
GCC: ma su quelle macchine è già tutto elettronico…
LA: intendevo controllo della trazione, sospensioni, controllo della frenata…
GCC: Tra l’altro quei circuiti che c’erano una volta dove effettivamente contava la maggior potenza non ci sono più. Io ricordo, non so voi, il circuito dell’Avus in Germania, che erano due rettilinei di 10 km, una curva da fermo ed un curvone sopraelevato che all’epoca le Auto Union e Mercedes facevano a 400 km/h.
Oggi questi circuiti non ci sono più, ma ci sono dei circuiti dove è difficile stare in piedi con una moto con tutti quei cavalli.
Pensi solo sul bagnato: è un’esagerazione, ma la gente è attratta da quello spettacolo.
Se lo scopo è incassare i soldi del pubblico, allora lo scopo è raggiunto, ma se lo scopo è di riportare sul terreno pratico qualcosa di recepito da quelle potenze spaventose, allora… non so (è perplesso).
LA: quindi secondo lei è poco probabile che la Guzzi torni alle competizioni?
GCC: non so. Io ho sentito dire che la Guzzi tornerebbe alle competizioni, ma non so quando e non so come, era solo una voce. Anche perchè tornare alle competizioni adesso vuol dire partecipare a questa formula Grand Prix, dove c’è già questo tentativo Aprilia.
Non so che potenze abbiano; hanno fatto una moto affidata a Laconi, nelle prime corse sta intorno all’ottavo-decimo posto… (è perplesso).
Non so quanti cavalli abbiano a disposizione, ma per battersi lì… tra l’altro c’è una scala di pesi, con un peso minimo per cilindrata e frazionamento, con l’esclusione del frazionamento superiore ai 6 cilindri.
Naturalmente il 6 cilindri ha un certo peso, il 4 ha un peso inferiore, il 3 ancora un peso inferiore… sono differenze dell’ordine dei 20 kg, che contano sì, ma non abbastanza per tagliare le potenze di quei motori.
AL: certo che tutte queste nozioni che conosce dimostrano che ancora adesso è rimasto vicino al mondo delle corse motociclistiche…
GCC: (ride) no, no, ora sono solo un orecchiante… guardo volentieri i gran premi auto e moto.
AL: ha ancora passione, dunque non ha dimenticato il suo primo amore.
LA: che motore da competizione progetterebbe oggi?
GCC: sempre per la formula da 1000?
LA: sì.
GCC: bisognerebbe studiare bene quella scala di pesi che è determinante. E’ chiaro che, a parità di cilindrata, un 6 cilindri ben fatto dà qualcosa in più del 5 e del 4 cilindri ed anche del 3 e del 2 cilindri, non c’è dubbio.
AL: da qui nasce la sua scelta dell’otto cilindri?
GCC: sì, ma ora non si può più fare quindi non ne parliamo. Il 3 cilindri può essere una soluzione buona, ma bisogna mettersi in mente i limiti della possibilità di girare del motore.
Non so la potenza massima ed il numero di giri del 5 cilindri Honda. Se il 3 cilindri italiano riesce a girare quasi agli stessi giri può essere competitivo, ma se quello gira a 20000 e questo a 14000 non si può fare. Mi hanno detto che in quel 3 cilindri c’è la zampa di un ingegnere che era alla Ferrari e che ha il richiamo delle valvole pneumatico: in questo caso può darsi che riesca a girare abbastanza.
Il problema è che per essere competitivi bisogna ragionare sull’ordine delle potenze che dicevamo prima: almeno 200 cv e credo che per adesso siano lontani.
La nascita del motore 500 8 cilindri
LA: per cui a suo tempo la scelta dell’otto cilindri era dettata dal fatto che andava meglio di un 6 e di un 4?
GCC: era un ragionamento diverso: abbandonando il monocilindrico ed il bicilindrico dove eravamo arrivati noi, la soluzione più vicina era il 4 cilindri. Ma se avessimo fatto un 4 cilindri, saremmo partiti con anni di ritardo sull’esperienza della Gilera e della MV ed avremmo dovuto tribolare almeno un paio d’anni per portarlo al loro livello.
Allora pensammo che puntando su un 8 cilindri il problema potenza non era in gioco, piuttosto erano importanti il problema peso ed il problema ingombri. Il nostro 8 cilindri era brillante perchè era largo come un 250, così (fa il gesto con le mani).
Quando è stato provato al freno per la prima volta dava già 63 cv, mentre il Gilera ne dava 60, ed eravamo ai primissimi test. Poi è andato su fino a 70-72 e sarebbe cresciuto ancora se non gli avessero tagliato le gambe con quel famoso accordo del ’57.
LA: dove sarebbe potuto arrivare secondo lei?
GCC: avevamo tante cose da provare, un nuovo albero a gomiti e tanto altro. Dai 75 cv sarebbe arrivato ai 100 cv con relativa facilità, uno o due anni dopo. Ne sono sicuro, perchè noi provavamo il motore al banco a 12500 giri, ma Lomas mi diceva che lui all’Avus andava a 14000 giri. Mi ricordo che gli dissi che avremmo messo un limitatore dei giri (ride).
Sicuramente i 14000 giri erano possibili con quelle dimensioni. Era questione di arrivarci anche con la distribuzione. Pensi che margine di miglioramento aveva quel motore, rispetto a quello che oggi è una cosa normale, con la possibilità di avere un’accensione elettronica, o una distribuzione con richiamo delle valvole pneumatico.
C’era una possibilità di miglioramento enorme.
LA: ed anche un’iniezione elettronica in mezzo alla V dei cilindri, che avrebbe risolto il problema dei carburatori.
GCC: sì, certamente, con l’iniezione indiretta o diretta, a seconda dei casi. Noi siamo riusciti a fare il V con 8 carburatori e tutte quelle balle lì, ma sa come si semplifica con l’iniezione? Si guadagna sui consumi, sulle potenze, su tutto. C’era un’enorme prospettiva davanti.
LA: se non fosse proibito dal regolamento, oggi sarebbe ancora attuale il suo 8 cilindri?
GCC: quello lì no, ma un figlio di quel motore probabilmente sì. Adesso c’è un gran numero di innovazioni tecnologiche che sono venute dopo quel motore. E se fosse libero, stia tranquillo che i giapponesi l’avrebbero fatto subito.
Io vi ricordo che nel 1956 la Honda fece un 125 cc a 5 cilindri. Sa cosa vuol dire? Faceva i 19000 giri, io l’ho visto girare al Tourist Trophy. Era tra il 1955 ed il 1957.
(riflette)
Poi l’otto cilindri ha affascinato molti cultori nel mondo. (indica un quadro appeso sul camino con il disegno della Ottocilindri) Il Motoclub Mandello mi ha regalato quello.
L’anno scorso è venuto a trovarmi un australiano, uno strano tipo, che in Australia aveva fatto due motociclette 8 cilindri, una 750 ed una 1000 e mi ha raccontato un pò la storia. Le aveva costruite tutte lui.
LA: per cui se fosse possibile oggi progetterebbe lo stesso un 8 cilindri per le gare?
GCC: se fosse possibile, sì. Un 8 cilindri, che di quello avrebbe lo stesso schema a V, ma poi poco altro. Oggi chi non fa 4 valvole o 5 ha perso in partenza e quello ne aveva 2; poi con teste ed accensioni diverse.
Il problema dell’accensione per quel motore, a quell’epoca, era praticamente irrisolvibile.
Eravamo partiti provando con del Vertex, un magnete svizzero;era fatto anche bene, ma non durava. Girando a metà giri, a 6000-6500 giri era già in crisi. Allora avevamo fatto quel sistema di una bobina a cilindro con le puntine etc. Andava bene, ma quel sistema sarebbe ridicolizzato dai sistemi di accensione attuali.
AL: il suo motore con i servizi moderni di accensione, iniezione e distribuzione…
GCC: sì certo. Mi pare che quel motore fosse quadro, con il diametro uguale alla corsa. Oggi invece fanno i motori sottoquadri che permettono di girare di più. Penso che un 8 cilindri così concepito potrebbe girare a 20000 giri/minuto, e sarebbe possibile avere potenze di 150 cavalli con mezzo litro.
LA: è vero che all’epoca si pensò anche di ricavare un 4 cilindri da metà dell’otto?
GCC: no, veramente no. E’ stata fatta una prova riducendo la cilindrata a 350. Era stato anche detto di togliere un blocco di cilindri. Si pensava di fare una prova, che non è mai stata fatta, con un otto cilindri con la sola fila di cilindri davanti, che diventava così un 250.
Di questo 250 quattro cilindri se ne era parlato, però era ingombrante perchè aveva carter, cambio, frizione ed anche il radiatore dell’otto cilindri 500. Era una cosa macchinosa, e la prova non fu poi portata avanti.
Il 350 [8 cilindri], invece, è stato fatto e provato a Monza; mi ricordo che quel motore dava più di 50 cv, 52 o 53 cv. Era un gioco, e fu fatto solo il 350, otto cilindri.
LA: ma poteva avere sviluppi commerciali interessanti, per un uso stradale?
GCC: sì, forse sì, ma sarebbe stato impopolare da vendere perchè avrebbe avuto un prezzo molto elevato. Chi è disposto a spendere quei soldi si compra un 500, un 750 o un 1000. Le supermoto sono tutte di alta cilindrata.
LA: magari poteva poi crescere fino a 500 o 600 cc, e diventare come i 4 cilindri che i giapponesi hanno venduto poi all’inizio degli anni ’70 [solo che arrivava 15 anni prima, NdA].
GCC: sì, ma a quell’epoca, che io ricordi, non si era mai pensato di arrivare a qualcosa da vendere partendo da quelle esperienze delle competizioni. Anche perchè a quell’epoca il gusto della supermoto non era ancora entrato nel pubblico.
L’Ing. Carcano e la Moto Guzzi
AL: che rapporti c’erano tra il reparto corse e la produzione? Pochi, nessuno?
GCC: l’organizzazione della Guzzi di allora farebbe rabbrividire chi pensa alle organizzazioni di adesso. Penso alla Guzzi come era organizzata allora: per esempio, la parte corse non aveva un’officina propria. Aveva un personale proprio che era quello che gestiva le corse, ma per tutto il resto dipendeva dalla produzione di serie.
Noi avevamo un reparto attrezzisti che faceva le attrezzature per produrre le moto normali, e noi del reparto corse eravamo lì a soffiargli sul collo, con una parte dell’officina che nicchiava. Era una lotta continua.
Non c’era un’organizzazione, per esempio, come la Ferrari adesso, indirizzata per le corse e dedicata a quello; noi dipendevamo da questo reparto attrezzisti, i quali, andando a sollecitarli, ci facevano quello di cui avevamo bisogno, a mò di cortesia.
LA: lei come ha vissuto la fine delle corse, il famoso “patto di astensione” del 1957?
GCC: l’ho vissuto male, dico la verità, perchè è stata presa una decisione in maniera del tutto inaspettata, non so poi se giusta o sbagliata. Se mi avessero chiamato…
Io mi ricordo che eravamo a Modena per delle prove per la corsa cittadina sul circuito locale di Modena, in un prato tutto cintato. Al ritorno qualcuno mi ha detto “ma lo sai che la Guzzi si ritira dalle corse?”, l’ho saputo da terzi. La decisione poteva essere giusta o sbagliata, ma ci voleva un altro approccio.
Certo che se la Guzzi avesse continuato a correre avrebbe dovuto modernizzarsi, organizzarsi diversamente da come era organizzata allora.
AL: è stata una bastonata insomma
GCC: (annuisce)
LA: c’è stato anche un grande spreco di esperienze e di conoscenze, interrompendo le corse così bruscamente, no?
GCC: eh sì, effettivamente… io mi ricordo che nel ’36, il primo anno che sono arrivato alla Guzzi, non c’era una divisione dei compiti e dei lavori, tutti facevano tutto.
Essendo io allora l’unico ingegnere alla Guzzi, ogni volta che c’era una rogna o un problema venivano da me e io dovevo arrangiarmi a risolverlo.
Allora c’erano delle forniture militari che volevano nei contratti allegati una fila di disegni: per esempio le potenze, consumi, coppie etc. rilevati in sala prove. Lì dovevo farli io, non c’era niente da fare. Volevano le accelerazioni delle moto militari in prima, seconda, terza e quarta e bisognava fare tutti quei diagrammi. Ecco, facevo le cose più varie, (ride) ogni volta che c’era una grana venivano da me e mi dicevano “Come dobbiamo fare qua?”
LA: qual’è stato il suo momento più bello alla Guzzi?
GCC: il momento più brutto è facile da ricordare, poi ci sono stati molti momenti belli. Le assicuro, senza tema di essere smentito, che ero tanto appassionato che avrei pagato io qualche cosa per lavorare alla Guzzi. Non ho mai avuto orari controllati, o cartellini, nè all’inizio nè dopo.
Certe volte andavo a lavorare alle 10 e veniva il portinaio a dirmi: “Ecco è arrivato, il dott. Parodi l’ha cercata”, tutto spaventato, e io dicevo “Guardi che io ieri sera a mezzanotte ero su ancora a far disegni”.
Non mi ha mai costretto a timbrare il cartellino, eppure io facevo quel lavoro proprio con passione, non ne sentivo il peso.
Dopo il ’57 non timbravo lo stesso il cartellino, ma era tutta un’altra cosa; non c’era più quell’entusiasmo e quello spirito di corpo, che ci faceva provare e riprovare…
Quando è stato fatto l’otto cilindri, io e i miei collaboratori abbiamo fatto certe tirate per disegnare… poi bisognava andare dal modellista a Milano, poi dall’Isotta Fraschini che ci aveva fuso i primi carter.
Era un movimento continuo, che effettivamente dopo il ’57 non c’è stato più.
AL: dopo il ’57 si è dedicato alla produzione di serie.
GCC: dopo il ’57 si è tirato avanti mica male fino al ’65-’66, dopo è venuta ‘sta SEIMM che poi…
Io avevo un principale, il dottor Enrico Parodi, che era una persona d’oro, troppo buona per fare l’industriale. Per fare gli industriali bisogna avere… (fa il gesto del pelo sullo stomaco). Lui, se un suo dipendente stava male, gli mandava lo specialista a casa; era davvero una persona troppo buona.
Naturalmente, sapendo questo, qualcuno se n’è un pò approfittato ed è venuto fuori quel periodo degli anni ’60, quando c’era un pò di crisi generale. La Moto Guzzi non correva più e non c’era quindi quella verve che c’era sempre stata.
Lui fu trattato male dai suoi capoccia vicini. Gli han fatto delle porcherie e questo mi rincresce perchè era proprio un uomo troppo buono, troppo di cuore generoso per fare l’industriale.
Le barche a vela e la Coppa America
AL: poi lei si è rifugiato nelle barche…
GCC: sì, mi sono rifugiato nelle barche, con cui mi sono divertito molto. Ancora adesso devo dire che mi piacciono più le barche… (ride).
L’anno venturo c’è la coppa America, e mi tocca vederla in televisione.
LA: sono meglio le moto o le barche a vela?
GCC: anche quando mi occupavo di moto, ho sempre avuto una passione per le barche a vela, ed è per questo che ho continuato con le barche. Anche le barche a vela mi hanno dato tante soddisfazioni.
AL: lei è un artista delle forme filanti, in acqua ed in aria.
GCC: (ride) è un problema piacevole da risolvere perchè è figlio di molte variabili.
Per esempio, la Coppa America è una cosa che ora vedo dal di fuori, ma c’è stato un momento che ho rischiato di vedere dal di dentro. E’ stato nel ’62, quando Gianni Agnelli voleva sfidare per la Coppa America; è andato da Croce e questi è venuto da me a dirmi se mi sarei sentito di fare un disegno. Gli dissi: “Non so, vediamo cosa si può fare”; con Agnelli e Croce siamo andati in America, siamo stati ricevuti da Kennedy, e dal New York Yachting Club. Allora c’era il regolamento, che c’è ancora adesso ma viene scappottolato, che la barca sfidante per la Coppa America doveva essere figlia di un progettista italiano e tutta la parte albero, vele, verricelli, chiglia, timone etc. doveva essere di produzione della nazione che sfidava.
Non si poteva fare una barca e prendere l’albero in America e le vele in Australia, come fanno oggi correntemente. Oggi se i nostri due sfidanti della Coppa America fossero costretti a correre con la strumentazione italiana e con l’albero italiano non sarebbero nemmeno presi in seria considerazione.
(rimane sovrappensiero)
Mi ricordo nel ’62 siamo andati a vedere quella Coppa America, e siccome c’era appunto quella regola severa e controllata, che sia la barca che le attrezzature dovevano essere di produzione nazionale, abbiamo lasciato perdere. Abbiamo fatto bene perchè non si sarebbe potuto essere competitivi.
L’anno prossimo ci sarà questa nuova edizione della Coppa America, dove ci sono due sfide italiane, la sfida svizzera, la sfida francese, la sfida inglese, ce ne sono tante. Chi è messo molto bene, secondo me, sono gli svizzeri, che hanno affrontato il problema con la mentalità giusta, perchè hanno portato via dalla Nuova Zelanda il timoniere ed i progettisti. Hanno preso tutto quello di buono che potevano prendere dalla Nuova Zelanda.
Il problema della Coppa America è affascinante, perchè è terribilmente semplice e terribilmente complicato allo stesso tempo. Il problema, semplice nella sua formulazione, è: bisogna mettere in mare una barca che nelle condizioni medie in cui si disputa la Coppa America sia la più veloce delle altre. Semplice, no?
Il difficile è proprio quello: l’ultima Coppa America l’ha vinta New Zealand, che era una barca piuttosto strana, adatta a quei tempi.Adesso tutti pensano di copiarla, ma è il passo più sbagliato che ci sia, perchè in quattro anni i neozelandesi sono sicuramente andati oltre. L’esperienza della Coppa America dimostra che sia gli americani che i non-americani hanno vinto la Coppa con barche diverse, che rappresentavano qualcosa di nuovo rispetto alla soluzione vincente di quattro-cinque anni prima.
Quando hanno fatto delle barche conformi, come le chiamo io, hanno sempre buscato.
L’Ing. Carcano racconta Carlo Guzzi
AL: cosa ha detto Carlo Guzzi quando lei propose di fare la galleria del vento?
GCC: la galleria del vento era un pallino di Carlo Guzzi. Io gli dissi di non fare una galleria del vento artigianale come questa qui: o non la facciamo, o la facciamo come Dio comanda, ma farla per bene sarebbe costata quattro volte tanto.
Questa galleria del vento era nata con un motore a scoppio Fiat aereonautico da 900 cv e con un’elica che tirava dentro l’ira di Dio. Solo in seguito è stato messo un motore elettrico.
Comunque la galleria del vento è stata voluta proprio da Carlo Guzzi.
AL: come erano i suoi rapporti con Carlo Guzzi?
GCC: io ero un ammiratore di Carlo Guzzi.
AL: e lui le lasciava fare quello che voleva?
GCC: sì, specialmente negli ultimi tempi, in principio no. Carlo Guzzi era una persona intelligente, che aveva il senso dell’umorismo come non ho mai trovato in nessun altro. Era un individuo piacevole perchè era spiritosissimo ed indiscutibilmente intelligente.
Come ogni persona, aveva i suoi lati buoni ed i suoi lati meno buoni. Uno di questi era che lui non dava per provata una cosa se non era stata effettivamente provata. Per cui a volte si perdeva in prove di cui si sapeva già l’esito, ma lui voleva provare lo stesso.
AL: com’era lavorare con Carlo Guzzi?
GCC: Carlo Guzzi era una persona intelligente e di buon gusto, che aveva un piacevole senso dell’umorismo.
Tante volte ci siamo fatti tante risate.
AL: prima del suo inserimento nel reparto corse, era solo Carlo Guzzi che se ne occupava?
GCC: Carlo Guzzi si occupava di tutto il resto, ed incidentalmente delle corse. Prima del ’36, quando sono entrato io, Guzzi aveva fatto il 4 valvole Campione d’Europa del ’24, poi più avanti aveva fatto un 4 cilindri raffreddato ad aria ad aste e bilancieri, che non ha mai avuto successo ma l’aveva fatto già nel ’29 o ’30. Poi nel ’32 aveva fatto il primo bicilindrico, poi i due Albatros 250 già nel ’26 o ’27.
Quindi quando ero arrivato io, le macchine da corsa Guzzi erano il 250 Albatros ed il 500 bicilindrico a 120°. Faceva poi il Condor, su cui io ho lavorato parecchio trasformandolo.
AL: da cosa è nata la sua forcella con i biscottini?
GCC: la forcella con i biscottini è nata per il Gambalunga. La prima l’avevamo provata a Bergamo al circuito delle mura con Balzarotti, che era allora con noi.
Mi ricordo che l’ammortizzatore era nei due foderi ed era troppo difficile farlo lavorare bene. Quando sono stati messi i due ammortizzatori esterni, lavoravano benissimo: infatti quella forcella era montata anche sul 350 Campione del Mondo ed anche sull’otto cilindri.
AL: che infatti aveva gli ammortizzatori esterni.
GCC: sì, esatto, erano esterni. Era una soluzione pratica, perchè si cambiava la coppia di ammortizzatori in 5 minuti. Adesso le forcelle sono molto più evolute.
Noi portando gli ammortizzatori al di fuori non avemmo più problemi con quella forcella.
LA: lei aveva carta bianca per le competizioni. Invece per la produzione di serie, Carlo Guzzi le ha mai rifiutato qualche idea?
GCC: anche per la produzione di serie l’organizzazione non era… (fa un gesto vago)
Allora eravamo un piano sopra la villetta (una parte dello stabilimento Guzzi adibita ad uffici, NdA) che si vede, che era adibita ai disegnatori. Sulla sinistra c’era Pasolini con cinque o sei disegnatori che era il regno di Carlo Guzzi; di fianco a quella sala Guzzi aveva uno studiolo; sulla parte verso la strada c’eravamo io e i miei due collaboratori Cantoni e Todero.
AL: Cantoni e Todero sono arrivati dopo?
GCC: il primo, Cantoni, è arrivato subito prima della guerra, quando disegnammo un motorino per bicicletta, con il rullo che lavorava sul pneumatico. Sarà stato il ’40 o il ’41. Io allora non avevo un ufficio, anche perchè non l’ho mai chiesto: ero girovago per lo stabilimento. Quando mi hanno assegnato Cantoni dovetti trovare un posto, con una scrivania ed un tavolo da disegno. Allora andai da Carlo Guzzi, che mi mise in una specie di corridoio, vicino al montaggio motori.Sarà stato lungo meno della metà e lungo il doppio di questa stanza (circa 2m x 10m, NdA).
Era un magazzino dove mettevano le gomme. Lui fece tirare fuori le coperture e disse “ecco fatto” (ride). Me lo hanno detto dopo, lui si meravigliò che non rifiutai di stare in un budello di quel genere. Ci stava solo un tavolo da disegno piccolo, perchè uno grande toccava nelle pareti. Quello fu il debutto con Cantoni.
AL: e tornando alla domanda [di Luca] degli interventi in produzione?
GCC: per gli interventi in produzione allora io intervenivo se c’erano delle grane. Ad esempio, qualche volta c’erano stati dei problemi di trattamento termico. Avevamo un reparto Trattamento Termico dove c’era un termico abbastanza specializzato e bravo. Ogni tanto capitava qualche cosa, allora andavo là per vedere cosa succedeva.
Invece dopo il ’57 mi dedicai alla produzione di serie.
LA: c’è una moto realizzata da qualcun altro che lei avrebbe visto bene prodotta dalla Moto Guzzi?
GCC: mah, non saprei. Io ero amico ed estimatore dell’ing. Salmaggi, che era alla Gilera in quell’epoca. Il rivale del nostro Condor era il Gilera Saturno, che era una bella macchina. Per me era la migliore Gilera che sia stata fatta dalle origini della Casa, a parte il 4 cilindri che era quello romano. La storia della 4 cilindri Gilera è nota, era la Rondine che era stata offerta alla Guzzi prima che alla Gilera e la Guzzi rifiutò.
Mandello del Lario
LA: se lei fosse rimasto in Guzzi, che moto avrebbe proposto per la produzione?
GCC: è una domanda da 100.000 dollari (ride). Francamente non saprei, anche perchè quando sono venuto via dalla Guzzi, per un periodo di due o tre anni ho avuto la nausea delle motociclette.
Il conte Agusta mi aveva cercato per darmi carta bianca. Io mi ricordo così bene quel giorno di novembre in cui ero andato con la mia prima moglie Claudina con la macchina a Gallarate, dove mi aveva invitato. Era un giorno che pioveva e c’era una nebbiolina. Mi si è stretto il cuore e gli ho risposto, concorde con mia moglie, che non mi sentivo di abbandonare Mandello.
Avevo già allora due o tre gatti che bazzicavano per la casa. Ho ringraziato vivamente il conte Domenico ma non me la sentivo. Lui mi aveva fatto ponti d’oro per occuparmi delle moto, di elicotteri, aereplani, quello che volevo: ma io ero in un momento nostalgico, come capita e non me la sono sentita di lasciare Mandello.
AL: Mandello dunque l’ha aiutata anche nel suo lavoro alla Guzzi perchè era un borgo tranquillo e piacevole
GCC: questa casa l’ha comprata mio padre due o tre anni prima che io nascessi, e noi venivamo qui a Pasqua e durante i tre mesi estivi a fare le vacanze.
Mio padre era un ingegnere elettrotecnico, era del 1876, si sarà laureato nel 1900 o 1901.
Quando c’è stata la guerra, nei primi anni che lavoravo alla Guzzi non potevo venire in questa casa perchè non aveva riscaldamento, quindi vivevo al Grigna o al Giardinetto (due alberghi di Mandello, NdA). Dopo, nel ’40, i miei sono stati sfollati ed abbiamo messo qualche comodità. Dopo di allora sono vissuto in questa casa.
LA: lei è molto attaccato a Mandello?
GCC: certo, lo frequento da sempre, da quando ero bambino e avevo tre o quattro anni.
Mi ricordo che io e mio fratello, che era maggiore di me di tre anni, facevamo parte di una specie di congrega di villeggianti e c’era anche la congrega dei locali, con cui ci odiavamo. In quegli anni lì bisognava stare attenti che ogni tanto volavano certe sassate… che non si sapeva da che parte arrivavano (ride).
LA: secondo lei la gente di Mandello ha influito sul successo della Guzzi? Intesa come carattere e come elemento umano.
GCC: sì, sicuramente. Sa, secondo me Carlo Guzzi è stato fortunato perchè i primi collaboratori che ha avuto, e che io ho conosciuto, erano delle persone semplici, dei meccanici bravissimi. Guardi, io ricordo l’Agostini, detto il Moretto, che era chiamato “l’uomo del ditòn”, che sarebbe il pollice, per come faceva le cammes delle macchine da corsa.
Lui faceva il rocchetto, poi lo passava agli attrezzisti per fresare secondo l’angolo che era stato stabilito. Quindi il profilo lo faceva lui con la pietra d’India e con la lima. Quando era cementato e temperato, quindi duro, lo finiva ritoccandolo con la pietra abrasiva, la pietra d’India. Per sentire se andava bene e se era liscio sufficientemente, col famoso “ditòn” ci passava sopra così (fa il gesto con il pollice). E mi ricordo di ‘sto “ditòn”, che era una barzelletta.
I primi collaboratori di Guzzi erano gente semplice ma molto in gamba.
Omobono Tenni
AL: come vivevate le trasferte per le gare? Quei momenti della partenza, carichiamo le moto, andiamo…
GCC: negli ultimi anni noi avevamo due autocarri OM, mi pare, carrozzati apposta per il trasporto delle macchine da corsa. Se andavamo molto lontano, come per esempio al Tourist Trophy quelli che andavano con il camion arrivavano a Calais, poi da Calais andavano a Dover, poi da Dover a Liverpool, a Liverpool li imbarcavano sui traghetti ed i traghetti da Liverpool andavano all’isola di Man. Ecco, quella era la trasferta più lunga.
AL: una settimana di viaggio
GCC: sì sì
LA: qual’era il suo pilota preferito?
GCC: eh, è difficile… sa, io ho avuto degli amici anche tra i piloti. Lorenzetti, per esempio, era una persona intelligente. Non ricordo un altro corridore che fosse simile a lui.
Lorenzetti aveva un dono di natura: non so se è il caso di dirlo, ma era un cattivo motociclista, per il senso dell’equilibrio, eppure era un buon corridore.
Io mi ricordo una volta che eravamo andati a Ginevra; lui aveva un Condor 500 che aveva qualcosa nel passaggio, nella regolazione [della carburazione?]. Siamo andati su una strada aperta al traffico a Ginevra. Lui andava con ‘sta moto e noi cercavamo di regolare la spina, il diaframma, la vitina del minimo etc., in modo che ci fosse un passaggio agevole. Quella volta lui era lì dove eravamo noi, veniva avanti piano e dietro c’era un sidecar BMW di un turista. Lui ha voltato senza guardare e quello l’ha buttato per terra (ride). Sono cose che un motociclista non fa.
Eppure lui era bravo, era tutto il contrario di quello che uno si immagina sia un corridore, per niente spaccone o esuberante, ma molto raziocinante e molto preparato.
Chi ammiravo, pur non condividendone il modo di correre, era Tenni.
Tenni era un individuo stranissimo, se lo aveste conosciuto. Se fosse qui seduto con noi sarebbe calmo, come noi, proprio una persona normalissima. Come metteva il sedere sulla moto cambiava da così a così (fa il gesto con la mano).
Ricordo bene che, quando era sulla motocicletta, il suo scopo era andare forte. Non vincere la gara, ma andare forte. Un giorno mi ha detto: “Ma tu credi che il pubblico vada a vedere le corse per vedere se arriva Gilera o se arriva Guzzi? No, va a vedere le corse perchè vuole vedere andare forte.”
Ad esempio Lorenzetti era un calcolatore: se era in testa staccava 20 metri prima. Lui no, se era primo staccava 5 metri dopo. Diceva: “Mi sento di derubare il pubblico”; era un concetto diametralmente opposto.
Un altro che mi era caro, un amico, era Alano Montanari, non so se ve lo ricordate. Non so quanto valesse come corridore ma era una persona indimenticabile.
Montanari, le dico com’era. Intanto era uno che quando l’ho conosciuto io aveva già sui 45 anni, o forse no ma di sicuro più di 40 anni. Eravamo a Ospedaletti e lui aveva una 250 Albatros. Mi ricordo che me l’ha presentato un romagnolo che io conoscevo.Veniva a spasso qui alla Guzzi e un giorno mi disse “Le presento Montanari”. Era appena caduto e si era staccata l’unghia del pollice, e si stava ancora lamentando.
Era un fanatico guzzista, sa cosa vuol dire un fanatico? Era uno che non avrebbe mai concepito di poter fare una corsa con un Gilera o con un Norton. Moto Guzzi e non se ne parlava.
Questo aneddoto sulla Moto Guzzi mi è stato raccontato: non posso giurare che sia vera ma illustra l’uomo. Lui aveva una 250 PES normale (PE Sport, NdA), per andare in giro. Lui era romagnolo di Cesena ed una volta, in Romagna, aveva un passeggero dietro e andava per la sua strada. Arriva una Gilera e lo passa. Non l’avesse mai fatto!
Era un’offesa personale (ride). Allora con la bocca storta ha detto a quello di dietro “Buttati giù!” (lo dice in romagnolo, suona “bute zò”, NdA), e quello non aveva capito, e lui ancora “Buttati giù!” e quello (ride) l’ha lasciato andare solo alla caccia dell’odiato Gilera.
AL: li sceglieva lei i corridori?
GCC: no, qualche volta mi chiamavano ma tutta la parte finanziaria non la facevamo noi.
LA: secondo lei fu Tenni il pilota più coraggioso?
GCC: Tenni era uno spericolato. Se uno non l’ha conosciuto, è difficile pensare che un uomo possa guidare in quel modo.
Guardi, c’è stata una gara del Campionato Italiano a Bologna, quando ancora usavano i dentro-fuori, i circuiti cittadini insomma. In quella gara c’erano 4 Guzzi 250 col compressore: erano Alberti, Pagani, Sandri e Tenni.
C’erano 3 Benelli col compressore: erano Soprani, Rossetti e forse Ciani, non mi ricordo bene. E poi c’era il resto di contorno, ma la lotta era fra queste Guzzi e Benelli.
Guglielmo Sandri era di Bologna, un corridore forte, e Bologna era la sua casa.
Morale: pronti, via! Partono e si sono staccati Tenni e Sandri. Tenni è riuscito a far cadere Sandri, cosa che era la sua massima soddisfazione, e s’è trovato davanti.
La Benelli di Rossetti era indietro tanto, ed ad un certo momento, al penultimo giro, c’era Tenni primo, che stava raggiungendo Soprani che era secondo, quasi indietro di un giro. All’ingresso dei Giardini Margherita, la strada si restringeva un pò ed era un passaggio abbastanza largo ma relativamente stretto. Tenni ha raggiunto Soprani e l’ha passato all’interno, sono passati in due alla Porta che se si toccano vanno per aria tutti e due, è una di quelle cose che oggi non si pensano più.
Tenni vinse la corsa con un giro di vantaggio su Soprani. Io gli dissi:”Senti, ma ti rendi conto…?” ma se l’avesse passato dopo, per lui non sarebbe stato divertente come era stato passarlo all’interno alla Porta.
AL: lo sa che la invidiamo per tutti questi ricordi che ha?
GCC: (ride) ma io vorrei avere qualche ricordo di meno e qualche anno di meno, ma non è possibile.
LA: ricorda la vittoria di Tenni al Tourist Trophy del ’37?
GCC: sì, ma non ero andato all’isola di Man. Ricordo bene il telegramma che venne dall’isola di Man, che Tenni aveva vinto la 250, e poi aveva corso nella 500 con Stanley Woods. Mentre nel ’35 Stanley Woods aveva vinto, nel ’37 non mi ricordo più cos’era successo e non vinse.
Mi ricordo che alla seconda telefonata c’è stato uno che è venuto da me e mi ha detto: “Chi è arrivato, chi è arrivato?” e quando gli hanno detto chi era arrivato lui ha chiesto. “Su Guzzi?” perchè c’era in ballo un premio in soldi che avevano promesso se avessero vinto anche la 500 (ride).
LA: e com’era Omobono Tenni dal punto di vista umano?
GCC: aveva un morale ed un coraggio enormi. Mi ricordo con dispiacere di quando è caduto ed è morto a Berna. Io per combinazione ero a Roma, ed ho un rimorso di coscienza. Sa, sono quelle cose che si dicono e magari poi non sono vere, ma forse se ci fossi stato io non sarebbe successo.
Allora avevamo realizzato una bicilindrica sperimentale, e l’avevamo mandata al Centro Studi dell’Esercito, a Roma. C’erano state delle discussioni perchè non ricordo più cosa volevano, ed allora Carlo Guzzi mi aveva detto di andare a Roma per seguire la situazione.
Là a Berna Tenni aveva provato a lungo questa 250 bicilindrica ed era convinto sì e no, se adoperarla in corsa e prima che chiudessero gli allenamenti aveva detto al Moretto “Io voglio provare la mia 250 monocilidrica”. Le due moto erano diverse, nel senso che la 250 bicilindrica era molto più alta, di pedane e di tutto, mentre l’altra era più bassa. Insomma prese questa Albatros normale e ci ha fatto un giro, è arrivato dove comincia la salita, una curva a destra, ha inclinato molto, ha toccato giù ed è andato via. Ha picchiato col collo proprio contro un alberello grosso così (fa il gesto) ed è morto sul colpo. Non so… gli allenamenti stavano finendo e se lui decideva di correre con la bicilindrica o con l’Albatros non aveva bisogno di provarla, perchè l’aveva straprovata chissà quante volte. Son cose che vanno così. Era un uomo buono.
LA: lei ha avuto la fortuna di vedere dal vero sia i piloti degli anni ’30 sia i piloti moderni. Qual’è stato il pilota migliore in assoluto ed il più coraggioso che lei abbia mai visto?
GCC: è difficile dire il migliore in assoluto (ci pensa su), sa ce ne sono parecchi, ed è difficile dire questo è meglio dell’altro anche perchè bisognerebbe vederli sulle stesse macchine e nelle stesse condizioni. Degli italiani, a parte Lorenzetti, che era un tecnico più che un pilota, e sapeva tirarci fuori cose che altri non sapevano, degli italiani c’era Tenni e Vandirolo. Vandirolo, che correva con la Gilera, è stato un coraggioso, era un ottimo pilota.
Degli stranieri, Duke mi ha impressionato. Non mi ricordo esattamente che anno era, l’anno in cui ha vinto il primo Tourist Trophy con il Norton 500; noi eravamo all’isola di Man con la bicilindrica a 120° che aveva Bob Foster, mi pare. Io sono andato a Craig Ni Bah, che era una curva in discesa. Quel circuito, adesso l’hanno sistemato, ma allora era una roba da ucciderli, a far correre della gente in una strada con un asfalto con una grana grossa così, tutta buche ed ondulazioni con a sinistra ed a destra dei muretti di pietra viva, che se uno ci andava contro si faceva male.
Mi ricordo di aver visto questo Duke, che aveva 18 anni ed era il primo anno che appariva;girava dietro ad Harty Bell, che era il numero 1 della Norton. L’ho visto a Craig Ni Bah e mi sono messo le mani nei capelli, questo ragazzo dietro ad Harty Bell, dava l’impressione di dire “tirati via che io vado”, era una cosa impressionante. Duke è stato veramente un grosso pilota.
Un altro grosso pilota è stato Surtees, sicuramente, un grossissimo pilota.
Poi c’è stato Ray Amm Anche quello è durato poco. C’era un gruppo di tre o quattro veramente fuoriclasse.
Noi abbiamo anche avuto per molti anni Bill Lomas, che era un ottimo pilota, Campione del Mondo nella 3 e mezzo, ed era il pilota della Otto Cilindri. Poi, oltre a Duke, la Gilera aveva McIntyre, che era forte, un grosso pilota anche lui.
AL: certo che adesso vedendo le corse, come cadono e si rialzano in un attimo…
GCC: intanto ora hanno delle vie di fuga che allora non c’erano, uno cadeva e si faceva male, e poi ora hanno quel salvaschiena che hanno messo dopo l’incidente di Rainey. Lo sapete che è rimasto paralizzato, povero Cristo.
Anche adesso è sempre meglio non cadere, però vedo che otto volte su dieci cadono e si fanno solo un pò male alle mani.
LA: e di Valentino Rossi che ne pensa?
GCC: Valentino Rossi per me è bravissimo.Per la verità lo vedo molto volentieri perchè è molto bravo. Adesso, come dicevo, con quelle moto da Gran Premio, è difficilissimo, poter andare al limite o quasi.
Rispetto a tutta la concorrenza che c’è in giro è veramente bravo, niente da dire.
AL: mamma mia.
LA: abbiamo fatto una carrellata di ricordi… uno starebbe qui ore ed ore ad ascoltare.
GCC: eh sì.
AL: lei che è il progettista del V90, dicono che il cilindro di destra del suo motore sia più fragile e più soggetto a rotture.
GCC: del V7?
AL: sì.
GCC: mah, non lo so, questa è la prima volta che lo sento, non saprei.
LA: si dice perchè è meno lubrificato del cilindro di sinistra.
GCC: quella è una vecchia storia dei libretti Moto Guzzi, ora ve la racconto.
Quando sono entrato io alla Guzzi, vendevano le motociclette con insieme un libretto di istruzioni.
Insieme al libretto di istruzioni c’era una specie di vademecum per il guzzista, in cui era spiegato perchè c’era il cilindro orizzontale, perchè il motore girava indietro e poichè il motore girava indietro si diceva che mandasse l’olio sopra e lubrificava… Son tutte balle, eh, perchè lei capisce che all’interno di un carter di un motore che gira c’è una nebbia d’olio che va su, giù, dentro, fuori, da tutte le parti.
Ma quel fatto del motore che girava all’indietro perchè mandava gli spruzzi d’olio sopra e poi da sopra scendevano giù, si leggeva solo sui libretti d’istruzioni dell’epoca.
AL: quindi non c’è una ragione di progettazione per la presunta fragilità del cilindro destro?
GCC: io veramente è la prima che sento che il cilindro di destra fosse più fragile. Non l’ho mai sentito.
LA: secondo lei oggi sarebbe attuale un monocilidrico orizzontale su una stradale?
Sto pensando al suo monocilindrico 500 a corsa lunga. Un figlio di quel motore, magari adattato su una stradale sportiva o turistica oggi.
AL: diciamo un Gambalunga rivisto e corretto, adattato all’uso stradale.
GCC: sarebbe forse adatto, ma la difficoltà sarebbe trovare il cliente. Chi compra una moto del genere? Oggi vogliono i 4 cilindri ed i 100 cavalli, con alte prestazioni.
Io credo che una moto così sarebbe difficile da vendere. Naturalmente lei la vende ad un prezzo inferiore alle 4 cilindri, ma sarebbe difficile trovare un mercato.
Il ragionamento fondamentale è questo: la motocicletta non è un mezzo di trasporto, ma è un mezzo di divertimento: se uno cerca un mezzo di trasporto trova l’auto.
Se lei mette in commercio un 500 monocilindrico oggi, anche a prezzo relativamente modesto, penso che trovi difficoltà a venderlo.
AL: rimane il gruppo di estimatori della Guzzi,…
GCC: non so, io penserei di no ma può darsi invece che sia sì.
La Guzzi del futuro? Diesel!
LA: secondo lei in questo momento quale sarebbe la mossa migliore per la Guzzi?
AL: se lei fosse in Guzzi adesso.
GCC: mah, io le direi una cosa, ma forse è meglio che non la dico, o la dico in separata sede.
LA: la dica, casomai poi la togliamo.
GCC: se fossi la Guzzi, dovrei fare qualcosa di nuovo. La cosa nuova che ho sentito parlano di voler fare è raffreddare a liquido il V90, però è sempre quello… Io farei – non spaventatevi – un tre cilindri. Diesel.
AL: ah…
LA: diesel?
GCC: diesel, sì, perchè con un common rail fatto bene, oggi lei con un tre cilindri diesel avrebbe tutte le polizie del mondo, tutti gli eserciti. In una motocicletta militare il vantaggio di non avere benzina ma gasolio è enorme. Oggi lei fa un tre cilindri di 900 cc, con una sessantina di cavalli ed è una moto che può fare i 180 km/h, che ha un serbatoio che riempie una volta al mese. Una moto che dura un’ira di Dio. Ma io l’ho detto così scherzando ai miei amici, poi non so se lo fanno.
Effettivamente il diesel ha fatto dei progressi enormi rispetto al motore normale a benzina. Certo che se chi compra la moto è lo sportivo che vuole la brillantezza per prima, allora non è la soluzione. Ma se invece chi compra la moto è l’Esercito o le Polizie stradali come base e poi qualche appassionato come plus, allora magari non è un’idea sbagliata.
Se io oggi fossi in Guzzi riterrei importante il fatto di avere le mani in pasta sul common rail.
AL: Vedi, Luca, da dove nascono le idee!
GCC: poi possono farlo o non farlo ma oggi il fatto di dire…
AL: sarebbe un’idea rivoluzionaria!
GCC: più che rivoluzionaria sarebbe un’idea proiettata nel futuro. Guardi che mentre la la tendenza dei motori a benzina è orizzontale, la tendenza dei diesel è in impennata. Il fatto di dire “non so neanche dove mettere le mani su un diesel” non è un vantaggio per una Casa che fa motori.
LA: penso solo con il traffico di oggi, la Polizia che vantaggio avrebbe da una moto del genere.
GCC: sì, il fatto di poter dire “io ho una base di clienti quasi sicura, che sono le Polizie, Vigili Urbani etc.”, poi su quello costruire, con la stessa evoluzione del V7.
AL: cosa ha perso la Guzzi con l’ing Carcano! Possiamo dirlo.
GCC: mah, io glie l’ho anche detto, sono stato chiamato circa un anno fa… devo dire che il proprietario, Beggio, è gentilissimo con me, non posso che parlarne molto bene.
Appena c’è una festa o una riunione mi invita, manda a prendermi. E mi ricordo che mi hanno presentato i cinque capoccia, di cui adesso mi sfugge il nome, ed abbiamo parlato un pò del più e del meno, e di quello che potevano essere programmi futuri.
Quando loro mi hanno chiesto “Ma se lei fosse ancora in Guzzi, cosa farebbe?” e io glie l’ho detto. Adesso poi non so se quel seme è andato a finire sulla pietra o sul terreno fertile. Credo sia andato a finire su… (lascia in sospeso), tanto più che ho sentito parlare di questa voglia di fare il bicilindrico raffreddato a liquido. Non so poi cosa faranno.
AL: Questo sarebbe un proseguo del progetto iniziale…
GCC: sì sì
AL: …la sua massima evoluzione, invece questa idea è una cosa nuova, rivoluzionaria.
GCC: sì, vuol dire arrivare primi nel mondo, con un tipo di motore che ha un avvenire davanti, è innegabile.
Io ricordo cosa erano i diesel solo di qualche anno fa, erano fastidiosi, rumorosi, puzzolenti. Qualche tempo fa una signora con cui dovevo pranzare è venuta a prendermi con una delle ultime Lancia, mi pare una Lybra con il common rail. Se uno non lo sa è difficile dire che è un diesel.
Bello, elastico, hanno fatto un progresso enorme.
LA: possiamo pensare per tutti gli scooteroni da città cosa sarebbe un motore diesel motociclistico, molto meglio di un benzina
AL: io già vedo l’ing. Carcano che se avesse la possibilità di mettere le mani, smanettare su un diesel…
GCC: sono troppo vecchio, cari signori
LA: prima [Aldo], mi hai preceduto, perchè volevo domandare se quando lei è uscito dalla Guzzi, si è impoverito più lei o la Guzzi. Secondo me la Guzzi, glie lo dico a cuore aperto.
GCC: (ride) io se ha perso la Guzzi non lo so. Io ho sofferto per il modo con cui sono venuto via, dalla sera alla mattina. Non mi è piaciuto. Come direbbe il Poeta: “Il modo ancor m’offende”.
Sarebbe stato meglio se mi avessero chiamato e mi avessero detto “Guardi, lei costa troppo”, anche se non era vero. Io tra le tante cose sbagliate che ho fatto in vita mia, alla Guzzi ho sempre preso quattro soldi, perchè era più il sottobanco che prendevo che il banco.
Poi però si è ripercosso sulla mia indennità di licenziamento e sulla mia pensione, perchè io dovrei vivere, se non avessi qualche soldo da parte, con (omissis) al mese. Ossia dovrei non vivere, perchè loro hanno calcolato la pensione sul palese e non sull’ignoto e quindi… c’è stata quella fregatura lì.
LA: è un fatto comunque che quando lei è andato via, la Guzzi è rimasta lì, l’ultimo motore è stato il suo. Dopo non c’è stato nulla di veramente nuovo. De Tomaso ha fatto il quattro cilindri negli anni ’70…
GCC: (annuisce) era una copia dei giapponesi, ma mal fatto
LA: …per cui la Guzzi è rimasta ferma lì.
GCC: (annuisce perplesso, ma non commenta)
Ancora sul V8
LA: è opinione comune che lei abbia progettato la più straordinaria moto di tutti i tempi, la V8. Però poi passa alla storia per il V90, che ha fatto un pezzo della storia d’Italia, ha motorizzato le moto dei Carabinieri etc. Che effetto le fa aver progettato una macchina favolosa come la V8 e passare alla storia per il V90, non le sembra strano?
GCC: (ride) mah, non so, sono due cose completamente diverse. Quella lì [la V8] è nata come possibilità per la Guzzi di difendere il suo nome nella classe 500, perchè la Guzzi nella classe 500 ha tirato avanti, modificando quel 120° bicilindrico del 1930-32 fino al 1950 o giù di lì. E da quello è stato tirato fuori tutto il possibile.
Naturalmente ci siamo trovati davanti al problema di avere una macchina nuova. Il concetto di quella macchina è stato, a mio modo di vedere, abbastanza semplice, nel senso che c’era poco da fare: se facevamo un quattro cilindri, per un paio d’anni almeno dovevamo fare scuola perchè c’erano già il Gilera e l’MV che erano già evoluti e sviluppati. Allora dovendo fare qualcosa di nuovo, che potevamo fare? Il sei cilindri no, era troppo largo. Mettendo un sei cilindri in linea c’era il famoso effetto che volevamo evitare (la coppia di rovesciamento, NdA).Ci sembrava che la soluzione fosse di avere un motore largo come un 250, sia pure con tutte le complicazioni dovute ad un 8 cilindri. Specialmente per quell’epoca, perchè se fosse di oggi, quella soluzione sarebbe venuta molto più semplice.
Noi ci siamo trovati ad inventare un sistema d’accensione perchè con il magnete non si riusciva ad avere risultati soddisfacenti.
Quella soluzione ci sembrava abbastanza logica, partiamo con un 8 e vediamo di evolverlo.
LA: certo, è normale…
GCC: (ride)
AL: ma in progetti di quel tipo le persone ci devono credere, ed avere la voglia e lo stimolo di qualcuno che gli dica “fai”, e uno ci mette l’anima.
LA: e alla fine lei è diventato famoso con il V90, che è un motore utilitario.
GCC: ma alla fine io non ho inventato niente con il V90. E’ uno schema abbastanza logico e razionale, ed è abbastanza pratico per una macchina da turismo. Non è che io abbia inventato il V di 90°. Era solo una buona soluzione per una macchina con quelle caratteristiche.
AL: sì, ma l’ha fatto solo lei.
LA: ed ha progettato un motore che trent’anni dopo tiene ancora a galla la Guzzi.
GCC: sì, ma… (fa un gesto come per indicare una cosa trascurabile).
LA: quale motore le ha dato più soddisfazioni?
GCC: difficile… (ride) mah… è difficile. Il V8 tra l’altro mi ha lasciato tanto rimpianto perchè lei pensi che nel ’57, quando decisero di smettere le corse, noi avevamo già disegnato ed avevamo in produzione un nuovo albero a gomito ed avevamo UNA FILA di cose. Il V8 del 1958, se ci fosse stato, sarebbe stato non una modifica di quello del ’57, ma probabilmente un deciso passo avanti.
LA: lei poi ha seguito la vicenda di Tonti quando ha sviluppato il bicilindrico a V per la Guzzi serie piccola?
GCC: Tonti l’ho conosciuto, ma quando c’era lui non c’ero più io e non ho più seguito. Come le dicevo i miei rapporti con la Guzzi erano cattivi fino all’arrivo di Beggio, che invece è una persona gentilissima.
Io andavo a trovare il mio amico Todero e l’amico Cantoni, facevamo quattro chiacchiere ma alla fine ne sapevo come l’uomo della strada, non di più.
LA: per cui non ha seguito neanche la vicenda di De Tomaso…
GCC: so che aveva fatto ‘sto quattro cilindri copiato dai giapponesi, che era un disastro, ma solo perchè ogni tanto trovavo qualcuno che me lo diceva, non perchè sapessi le notizie in prima battuta.
LA: De Tomaso aveva ritardato la Le Mans 850, la sportiva, che era pronta nel ’72, ma lui la scartò e la fece uscire nel ’76 dopo che al Salone di Milano del ’75 vide che c’era stata una buona accoglienza.
GCC: (annuisce ma non commenta)
LA: si è mai occupato di automobilismo?
GCC: me ne sono occupato sì, perchè sono stato per alcuni anni, ora non ricordo esattamente il periodo, membro della Commissione Sportiva Automobilistica Italiana, la CSAI, quando era presidente un certo ing. Rogano. Mi ero occupato di Formula 1 e di regolamenti. Mi ricordo che avevo un bracciale di cuoio che mi permetteva di entrare dovunque e di girare dappertutto (sorride). E’ durato tre o quattro anni.
Le corse di Formula 1 mi sono sempre piaciute, le guardo volentieri in televisione, ma non è che sia addentro le segrete cose.
LA: che effetto le fa vedere che ci sono tanti appassionati del suo motore V90, anche più giovani di quando lei l’ha progettato? (volevo dire che non erano ancora nati quando il motore è stato progettato, NdA)
GCC: (ride) le dirò che non mi fa nessun effetto…
LA: c’è gente che ha il culto del suo motore.
AL: beh, quando lei si trova al raduno 10.000 guzzisti che hanno la moto, un pò di orgoglio ci sarà pure, che diamine.
GCC: sì, sì, ma vede, per quanto possa sembrarvi strano io penso molto di più alla barca a vela che non alla moto.
AL: (ride) quello è stato il suo rifugio…
GCC: sì, un rifugio, ma ancora oggi mi soffermo più volentieri, e sono più al corrente di quello che stanno facendo sulle barche a vela che sulle moto. Poi c’è una ragione abbastanza semplice… io quando sono venuto via dalla Guzzi, per alcuni anni la motocicletta proprio mi ripugnava.
LA: incredibile… eppure c’è tanta gente che va in giro con la maglietta con su disegnato il suo motore…
GCC: (ride)
AL: e non ci starebbe male scritto sotto “ing. Carcano”.
LA: sì, io lo metterei.
AL: il monocilindrico di Carlo Guzzi è arrivato fino al ’56, è durato 35 anni, poi dopo c’è stata l’evoluzione del Nuovo Falcone, che però era una motorizzazione differente, ma il suo motore sono 40 anni che va, è ancora lì (ride).
LA: ci sono molti ragazzi di 20 anni…
AL: …che non sono alla ricerca della prestazione da 150 cavalli. Sono più oculate quelle scelte, perchè come diceva lei giustamente all’inizio quanti sono in grado di condurre una motocicletta da 120, 130 o 150 cavalli?
GCC: (annuisce) sì, sono pochi. Le dirò anche che io quando ero alla Guzzi ogni tanto provavo anche le motociclette da corsa, ma so di essere un pessimo motociclista, e forse è la mia fortuna, è per questo che sono ancora vivo.
Mi ricordo che tante volte provavo e mi dicevano di provare a frenare ad un paracarro, ed io niente, passavo sempre oltre. Io ho un’ammirazione enorme per i motociclisti che hanno quella dote innata, che non è trasmissibile, non è acquistabile.
Mi ricordo un circuito a Ospedaletti, pioveva che Dio la mandava. Classe 250, c’era il solito duello Ambrosini su Benelli e Ruffo su Guzzi. Primo giro, io ero con il suocero di Lorenzetti, con i cartelli dei tempi. Partono e… vi ricordate il circuito di Ospedaletti?
AL: qualcosa, sì…
GCC: partono, fanno 100 metri, tornante, vanno su, poi vanno in fondo, girano e tornano indietro. Alla fine del primo giro sento il rumore delle macchine che arrivano, c’era davanti Ambrosini con la Benelli. Davanti all’Hotel Regina, che è a 100 metri dal tornante, in piena velocità sul bagnato ha grippato, si è sentito un rumore forte, ‘sta macchina si è messa per traverso. Noi abbiamo mollato il cartellone e siamo scappati. Lo sa che ha fatto 20 metri con le due ruote così (di traverso, NdA) senza cadere? Di fianco, poi è riuscito a mettersi un pò dritto ed è andato a posare la moto accanto alle balle di paglia.
Quello lì aveva otto palle, io non lo so. Per dire cos’è la vita, io non ho mai visto una roba del genere.Me la ricordo finchè campo questa grippata a duecento all’ora sul bagnato e non è successo niente.
LA: è un senso dell’equilibrio che…
GCC: sì, sì, sono bravissimi, e lo sono ancora adesso, quando cascano. Se casca uno di noi sono guai, ma se cascano loro si raggomitolano e battono con le mani per terra (fa il gesto di battere le mani sul tavolo) e a fare così per stare nella strada. Sono bravi.
La Mille Miglia
LA: ed invece il pilota automobilistico che preferisce?
GCC: io all’epoca, , quando c’erano Varzi e Nuvolari, mi ricordo che ero un ammiratore di Varzi e pensavo che Nuvolari fosse uno sfrondato, uno spaccamacchine. Poi invece sono diventato ammiratore di Nuvolari quando ha corso con le vetture tedesche.
LA: con le Avus (volevo dire le Auto Union, NdA)
GCC: erano le Auto Union
LA: ah, sì
GCC: guardi che Nuvolari nel ’38 fece un Gran Premio a Monza che fu commovente.
Allora la lotta era Mercedes e Auto Union, e i primi dieci giri Nuvolari su Auto Union era in lotta con Lang su Mercedes. Poi Lang ha rotto ed è rimasto lui. Quando faceva il rifornimento arrivava lì e gli mettevano sopra la testa un grembiale grande come questo tavolo, andavano dentro 200 litri di alcol ed avevano paura [che durante il riempimento del serbatoio, fatto con alcool, l’eventuale tracimazione o dispersione di carburante bagnasse appunto il pilota e lo rendesse cosi’ una torcia umana in caso di un eventuale incidente o di un guasto che avessero come conseguenza una scintilla o un incendio]. (L’integrazione è di AL, NdA).
Mi ricordo che quando ha finito, ha vinto, e l’hanno tirato fuori che sembrava un asciugamano, poverino. Era un bestione di macchina quell’Auto Union, 16 cilindri, con la guida seduta, era una cosa paurosa. Che corsa che ha fatto.
LA: tra Nuvolari e Varzi ci fu l’episodio della Mille Miglia, dei fari spenti.
GCC: sì, i fari spenti… Guidotti, che ora è morto, abitava a Bellagio. Guidotti era un caro amico, una cara persona, e ci trovavamo due o tre volte all’anno io e degli amici a Bellagio. Adesso saranno già due o tre anni che è morto. Lui mi raccontava queste storie della Mille Miglia: nella storia dei fari spenti le coppie erano Varzi-Bignami e Nuvolari-Guidotti.
AL: sto pensando a come l’ing. Carcano si ricorda di tutti questi particolari.
GCC: non si rallegri troppo. Le dirò che purtroppo io ricordo le cose antiche, ma se lei mi chiede cosa ho mangiato oggi a mezzogiorno… forse ci arrivo, ma faccio fatica (ride).
AL: non si preoccupi, capita anche a noi di non ricordare le cose immediate.
LA: e nel ’57 finì anche la Mille Miglia…
GCC: sì, l’incidente di Guidizzolo.
LA: De Portago e Nelson.
GCC: e vinse Taruffi.
LA: Pietro Taruffi era poi il padre di Prisca Taruffi, la pilota che si vede ogni tanto in televisione.
GCC: sì.
LA: per cui il ’57 fu un anno strano per lo sport motoristico italiano, hanno chiuso la Mille Miglia ed anche le corse motociclistiche.
GCC: (annuisce)
LA: e comunque la Mille Miglia non era più fattibile su strada, macchine da trecento all’ora nei viottoli.
GCC: no, assolutamente era già poco fattibile nel ’57.
LA: e nella Mille Miglia correvano anche le macchine di serie, trovavi la 500 e la Ferrari.
GCC: sì.
LA: e doveva svolgersi rispettando la segnaletica stradale.
GCC: sì, uno doveva stare a destra e curvare a sinistra stando a destra, perchè se tagliava la curva era colpa sua in caso di incidente.
LA: semafori compresi. Perchè all’epoca non c’erano limiti di velocità.
GCC: (annuisce)
LA: si vedono le foto dell’epoca con le macchine che sorpassano carretti e biciclette…
GCC: sì sì, mi ricordo una delle esperienze automobilistiche di Omobono Tenni. Sapete che Tenni ha corso in automobile, e ha fatto una Mille Miglia con Bertocchi, che era il Moretto della Maserati. Questo Bertocchi dopo le prime uscite che ha fatto con Tenni, per prima cosa ha messo un bottone grosso così che metteva a massa l’accensione, (ride) perchè se succedeva qualcosa pigiava e via. Bertocchi diceva che Tenni era terribile, era Tenni anche in automobile.
A Milano avevano fatto un circuito intorno all’Arena, tra il parco e l’Arena. L’anno di preciso non me lo ricordo, era dopo la guerra. La Maserati aveva portato il 1500 ed il 3000. Tenni fece una decina di giri in prova con il 3000 ed aveva già portato via tutte le balle di paglia che c’erano. Allora l’hanno fatto correre con il 1500 (ride).
Mi ricordo che lui aveva il 1500 quattro cilindri, e c’era Trossi che aveva la nuova 1500 sei cilindri. Ha vinto Trossi, ma Tenni era lì, stava dietro non so se per ordine di scuderia o se perchè non riusciva ad andare più forte.
Corre Omobono… anche con l’auto era un irriducibile.
(c’è un attimo di silenzio, si alza per offrirci delle caramelle)
LA: pensavo di non riuscire a fare tutte le domande, invece…
AL: l’ingegnere è disponibilissimo, poi va a ruota libera con i ricordi.
LA: ha un aneddoto inedito da raccontarci? un episodio…
GCC: (ci pensa) saranno anche tanti ma non mi viene in mente nulla.
AL: la ricerca della leggerezza nelle moto da corsa?
GCC: noi con il 350 Campione del Mondo nel ’57 eravamo arrivati a farlo pesare 98-100 kg, chilo più chilo meno. Quella era una macchina che io ho amato molto perchè, nel suo piccolo, era completa. Pensi che il motore aveva 38 cavalli, e correva contro Gilera quattro cilindri 500.
Questo è un pettegolezzo che non si dice, ma lei sa che c’è stata quella famosa indiscrezione di una corsa a Monza, nelle cui prove il 350 quattro cilindri Gilera aveva rotto.
Allora non volevano non farlo correre nel giorno dopo e hanno fatto correre una 500 nella classe 350, il che è antipatico. Solo che quando è finita la corsa, la moto si è fermata a Lesmo, prima del traguardo, ha preso la strada per Arcore e nessuno l’ha vista più.
E nessuno avrebbe dubitato di quella cosa, se non che io ho ricevuto una lettera firmata da uno di Arcore in cui diceva che quella moto… così e cosà… era una lettera firmata. Ma sarebbe stato impossibile andare a tirare su una grana di quel genere.
Ma quel fatto, che non è arrivata più sul traguardo ed è sparita con il motocarro con la moto sopra, dava molti sospetti.
AL: la galleria del vento, leggerezza, aereodinamica…
GCC: sì, era una delle manie di Guzzi, l’ha voluta lui, e noi l’abbiamo adoperata.
Certo che i vantaggi che lei ottiene con la galleria del vento sono vantaggi per tutti. Mi ricordo che noi facevamo un tipo di carenatura e quindici gorni dopo l’avevano anche gli altri.
E’ lo stesso nelle vetture di Formula 1, che stanno lì a coprire l’alettone davanti, ma lo coprono per la fotografia sulla Gazzetta dello Sport. Poi nel momento in cui lo levano lo vedono tutti, e se pensano che costituisca un vantaggio lo fanno tutti.
LA: lei ha anche progettato delle vetture da record per la Guzzi, la Nibbio…
GCC: no, no. La Nibbio era una fissazione del conte Giovannino Lurani, che era amico di Parodi ma la vettura non l’abbiamo progettata noi. Gli abbiamo fornito il motore e basta.
LA: abbiamo esplorato quasi tutto lo scibile.
(A questo punto chiudiamo l’intervista. Ringrazio e gli chiedo un autografo, sul mio manuale d’officina che gli porgo. GCC sembra meravigliato)
GCC: manuale d’officina… questo qui non l’ho mai visto, sarà più recente (sfoglia). Bello però, è fatto bene (firma il frontespizio).
AL: a questo punto noi ci congediamo, le siamo riconoscenti.
GCC: ma s’immagini, abbiamo fatto una lunga chiacchierata.
LA: è stata molto bella, grazie.
GCC: ma si figuri.
(Lo informo che l’intervista sarà pubblicata sul sito, e che glie la manderò prima per approvazione).
GCC: vuvuvu guzzisti it…, va bene, me la mandi.
(facciamo la foto con la maglietta di AnimaGuzzista. Si presta ridendo, sorpreso. Gli diamo la maglietta in regalo, ringrazia)
GCC: bene signori, vi ringrazio.
LA: grazie a lei.
GCC: mah, per quello che avevo da fare oggi…
LA: oggi siamo andati oltre le nostre speranze.
Ci congediamo ed usciamo dalla vecchia casa, mentre l’Ingegnere ci saluta sulla porta. Non ha smesso un attimo di piovere. Nel tragitto tra i viottoli in riva al lago, fino alla macchina, parliamo poco, forse ancora dobbiamo assimilare l’evento. Siamo ancora stupiti dalla sua disponibilità, e dal tono amichevole che ha subito preso il nostro colloquio.
Abbiamo esaurito tutte le domande, trascorrendo più di due ore con un uomo che ci ha fatto fare un tuffo nel passato, fino a toccare le radici della Moto Guzzi.
Uno che scherzava con Carlo Guzzi, esprimeva la sua disapprovazione a Omobono Tenni per la sua condotta in gara ed andava a pranzo con Guidotti, che gli raccontava le sue MilleMiglia con Nuvolari. Te lo racconta con naturalezza, come se fosse successo il giorno prima.
Ho la sensazione di aver dialogato con un pezzo di storia, di aver assaporato uno spirito che non esiste quasi più.
Ripenso all’Ingegnere che va a Gallarate: il conte Agusta gli offre carta bianca e lui rifiuta per il clima piovoso e per i gatti che aveva a Mandello. La pioggia bagna imperterrita il mio giaccone. Non riesco a trattenere un sorriso… questa si chiama passione e lealtà d’altri tempi, il clima c’entra poco!
Passiamo davanti all’imbarcadero di Mandello, in stile liberty.
Mi sembra di sentire ancora l’Ingegnere raccontarci che l’aver progettato motori come il V8 o il V90 era una mossa obbligata, addirittura ovvia. E presentarci con disinvoltura un’idea rivoluzionaria come il tre cilindri diesel motociclistico.
Penso a cosa potrebbe essere oggi la Moto Guzzi, se non l’avessero mandato via.
Grazie di tutto, Ingegner Carcano.
Luca Angerame