Prova su strada della California Touring
di Alberto Sala - foto di Alberto Sala e Moto Guzzi
Quante volte abbiamo speso il paragone moto – donne? Tante… forse sarà banale, ma alla fine non c’è associazione più adeguata. La prima volta che vedi una moto nuova (così come una donna) può fulminarti, può attrarti in maniera pazzesca da non farti staccare gli occhi e sbattere contro il palo, da pensarci tutta la notte con gli occhi persi nel vuoto. Poi, magari a distanza di un po’ di tempo, la rivedi. E’ in questo secondo momento che escono le certezze. O il contrario: stupore, stordimento e attrazione si volatilizzano come giapponesi al largo di Tannhäuser, perduti nel tempo come lacrime nella pioggia… forse non sarebbe ancora tempo di morire, ma di fuggire magari sì.
Venerdì sera, quando le luci hanno lasciato balenare nel buio la presentazione della Moto Guzzi California 1400 ed è riapparsa, distesa nel nero e avvolta dalla voce lirica e struggente di Adele, è stato come rivedere la tua preferita per la seconda volta e la folgorazione iniziale ha lasciato posto alle sensazioni più profonde, al sentirne il gusto, a percepire che ha una storia da raccontarti, che quella bellezza iniziale non è una pellicola sottile ma uno spazio profondo da esplorare. Rinfrancato dalla conferma, ecco esondare la voglia di provarla, di dissetare l’arsura del dubbio: saprà mantenere veramente quello che allude? Saprà confermare nella vita reale le sue per nulla velate promesse?
CLOK! Il sonoro inserimento della prima mi conferma che è una Guzzi. Cannes, sabato mattina, aria calma e densa di mare. Rilascio la frizione e la Touring affluisce al nastro d’asfalto della Croisette, puntando verso la Route 1098 che attraverso i rossi frangenti del Cap d’Estérel giunge a Saint Tropez, meta del pranzo.
Una delle strade più belle del mondo, degno palcoscenico per una delle motociclette più belle del mondo.
Mi sento rapidamente a mio agio. La seduta è molto comoda: la sella meravigliosamente confortevole, il manubrio moderatamente largo, le pedane avanzate mi ispirano una guida rilassata così istintivamente tendo a sdraiarmi all’indietro, ma il manubrio non me lo consente. In realtà la posizione corretta è con la schiena eretta, verticale e non ingobbito. Sarà contenta la mia scoliosi. Trottiamo a bassa andatura tra semafori e traffico: nessun problema, il peso non si sente, si avverte un po’ la lunghezza ma solo andando pianissimo e nelle inversioni. Appena si prende un minimo di velocità diventa sorprendentemente facile. Guardo appena davanti a me tra serbatoio cruscotto parabrezza e guardo gli altri, ognuno perfettamente inserito nella linea sinuosa. L’insieme uomo – motocicletta è certamente più armonico ed equilibrato della precedente California.
Appena liberi dalla scorta di caseggiati comincia il bello. Il motore suona piuttosto ovattato di meccanica, senti i tintinnii come fossero lontani ricordi: ci sono ma perloppiù si nota il rumore della trasmissione, oltre al pieno suono del 4 valvole che ormai ha una sua precisa specificità nel vasto catalogo dei motori Guzzi. Sarà assai probabile il ricorso a scarichi più aperti dei Lafranconi di serie ma in ogni caso suona già bene. Piccola parentesi: gli scarichi sono Lafranconi. I cilindri Gilardoni. Il serbatoio è prodotto dallo stesso fornitore degli anni ’70. Una scelta che ha il suo valore. Chiuso l’aspetto uditivo, per il resto il motore è semplicemente spettacolare. Di più: SPETTACOLARE! Spectacular! Espectacular! Spectaculaire! Spektakulär! Fallegt! Inserita la modalità “veloce”, basta ruotare la manopolina di destra per essere cortesemente ma anche con sentita risolutezza catapultati in avanti; si può partire da numeri ridicoli, tipo 1500 giri senza alcuna incertezza nè contraccolpi, e il limite è più che altro lo spazio che hai davanti, perchè
questo bolide spinge di brutto senza tante balle e se non ci rifletti ti ritrovi alla peggio a fianco del poster sul muro,
e alla meglio a credere di essere su una sportiva, anzi sulla moto da guerra perfetta perchè con quella devi farlo salire di giri prima di godere come un riccio, invece qui godi precox. All’inizio, quando ero ancora una spina malefica, ogni tanto scalavo in seconda per affrontare le curve più strette. Poi ho smesso, ho lasciato la terza e mi sono dimenticato del cambio: basta non far passare più di un paio di secondi tra gli scoppi dei due cilindroni e lui riprende come niente fosse. E’ proprio vero che non è la potenza quella che conta, ma la coppia. E questa strafiga ne ha a tonnellate. C’è una lieve incertezza attorno ai 4500 giri ma sono quisquilie, mentre non saprei dirvi il limite in alto. Sarà la strada tortuosa, sarà quello che volete ma francamente non mi è venuta occasione di sentirlo urlare in alto. Basta e avanza più sotto, sempre bello liscio e gestibile, con solo una lievissima irruenza alla riapertura del gas. Come dargli torto?
Avevo paura per le vibrazioni. Una nube copre il sole d’improvviso. Temevo questo momento. Quando hai avuto un trauma nel passato, è dura. Successe nel 2000, quando provai la Speed Triple. Avete presente? Una moto eccitante come poche. Ma quando pigiai sul tasto magico, dovetti cercare la lancetta del contagiri perchè era l’unico segnale di vita percepito. Ti prendi a pizzicotti sperando che sia solo un brutto incubo, invece era vero, dannazione. Ecco, avevo un po’ paura che con tutte queste biellette smorzanti e silent-block silentanti potessi rivivere quel terribile momento. Invece al pigiare sul tasto rosso la moto si scuote, ti fa sentire che c’è, al minimo ti massaggia dolcemente. Poi, appena dai gas, le vibrazioni svaniscono ma resta la ‘rabbia’, resta quel rauco movimento che ti tiene in vita. E torna il sole. Che sollievo!
Nota importante: secondo me è pressochè impossibile toccare i cilindri con le gambe, a meno di sedersi a ridosso del serbatoio o chiamarsi davvero Dino Meneghin o Bob Morse. Già se sei Charlie Yelverton non hai problemi. L’interno delle ginocchia posa dolcemente sulle protezioni dei collettori e da qui esce una discreta dose di calore, molto piacevole con le basse temperature, presumo meno d’estate. In ogni caso non è obbligatorio appoggiarci le gambe, anche se per me era troppo bello stare su una California che ti consente di stringere il serbatoio.
La frizione è dolce e assai modulabile, tutta la trasmissione ha una lieve senzazione ‘gommosa’ in fase di rilascio e scalata, meno rigida del solito. In sostanza il cardano lo senti all’udito e senti tutti i clonk ad ogni cambio marcia; per il resto te lo dimentichi. Il cambio ha un’escursione accettabile, è piuttosto facile entrare in confidenza col bilanciere; assai naturale salire di marcia con un colpo di tacco alla James Brown; un pelo meno a scalare, istintivamente lo preferirei un filino più basso, poi ragionandoci meglio, con un paio di stivali invernali forse diventerebbe difficoltoso. Il pedale del freno posteriore è raggiungibile in maniera piuttosto naturale ed è ben modulabile, possiamo dire finalmente addio al pirolino precedente senza alcun rimpianto.
La ciclistica è impressionante. IMPRESSION… ehm, ok. La moto curva da sola. Se tieni il manubrio lievemente con due dita come è buona creanza tra velisti col timone, senti che chiude le curve in maniera assolutamente naturale. Sembra impossibile tirar dritto: tu pensi di fare la curva e lei la fa, senza sforzo, senza doversi spostare col corpo o fare leva sul manubrio. Eppoi è stabilissima e nello stesso tempo maneggevole ben più del timore suscitato dai 300 e passa chili e dal gommone da 200. Sono caratteristiche pericolose, ancor più se associate a un motorone che spinge di bestia. Fa venir voglia di andar forte. Perdippiù su una strada come questa, dall’asfalto meraviglioso, dalle curve una accoppiata all’altra e pure un po’ paraboliche, ‘ste zoccole, così… SGRAAAT! è un continuo limare di pedane!
Si tocca prima che con la ‘vecchia’ California.
La musica si ferma, i “californisti” smettono di chiacchierare e si voltano. Lo sapevo.
Vi dico la verità: a un certo punto ho un po’ sofferto di mancanza di luce a terra. Però stavamo tirando avanti e indietro come fabbri in un tratto molto tortuoso, per impressionare i sensori delle reflex. Nel pomeriggio, quando siamo tornati passando non più dalla costa ma dall’interno, con tratti meno stretti, il limite si è ridotto di parecchio. In realtà la fregatura è il motore e la qualità della ciclistica, che ti fanno dimenticare che sei su una cruiser. E sulla California precedente certo avevi più luce a terra. E’ un vero problema? A mio parere no. C’è comunque margine di divertimento, e soprattutto c’è quello che prima non c’era: una vera impostazione custom, con le pedane al giusto posto, senza alcun indolenzimento di ginocchia (a un tratto l’apripista con la Mana ha allungato le gambe per riposare le ginocchia, e in quel momento ho apprezzato il fatto di non sentirne assolutamente il bisogno), con un’altezza da terra perfetta, in grado di spostarsi agevolmente da fermo anche se non giochi a basket. Più tutto il resto. E’ giusto così, eppoi è solo questione di cambiare spesso sliders 😉
Passiamo l’incantevole Saint Raphael senza soffrire la ressa e il traffico dell’estate, pensando solo a gustarcela. Ci si sente da dio in sella. Inserita la mappatura “turismo” (con ogni probabilità sarà la più usata),
ci godiamo la souplesse di questa nera panterona dagli occhi intriganti,
facile da domare e anche da fermare: le due grosse pinze anteriori ci volevano, visto che il peso c’è; la potenza è perfetta, molto buona anche la modulabilità, compreso il freno posteriore, che conserva un buon margine prima di chiamare in servizio l’ABS. Personalmente avrei preferito conservare la frenata integrale. Trovo sia una gran cosa poter entrare in piega frenando e correggendo a piacimento. Però devo dire che si può farlo anche con questa bellezza. Manca quell’effetto di schiacciamento d’insieme, ma mettiamola come preferenza personale.
Passata la sosta pranzo a Saint Tropez, ci snodiamo in un meraviglioso misto veloce interno, coi profumi resinosi dei sempreverdi e una temperatura ancora molto gradevole, lanciandoci a tratti a pieno gas. La California sul veloce si dimostra stabilissima anche sullo sconnesso più vistoso, col parabrezza che protegge benissimo (mai abbassata la visiera) senza creare turbolenze o oscillazioni (almeno fino a 125kmh), mantenendo un gran comfort, anche prendendo i dossi a velocità elevata. Sembra quasi avere un monoammortizzatore… credo che anche la sella dia una buona dose di contributo ammortizzante.
Faccio fatica a trovare difetti. Sicuramente il cavalletto laterale. Se si parcheggia in discesa bisogna necessariamente inserire una marcia, pena il rischio di avanzamento inopportuno del bolide con conseguente rovinata a terra (successo…). La lunga leva precedente (perdippiù ammortizzata) è l’unica cosa che veramente rimpiango. Il parabrezza se avesse la possibilità di regolazione eviterebbe problemi a chi si ritrova il bordo superiore ad altezza occhi. Le flange dei dischi anteriori, che però mi raccontano siano state fatte così per valorizzare il mozzo del cerchio. Si sente a tratti un po’ di ruvidezza di trasmissione. I pirolini delle gomme non sono abbastanza lunghi, ecco. Insomma avete capito. Per la prima volta ho pensato che potrei sostituire la mia California II.(potrei)
No, non è una allumeuse qualunque. Non è una moto di legno. Non è solo bellissima. E’ una moto vera, è la California al suo massimo splendore, che mantiene quello che promette. Che sa dare qualcosa che non aveva mai dato prima.
Grazie alla Moto Guzzi per lo splendido sabato in Costa Azzurra, anche per avermi fatto incontrare Adam.