Foto e testo di Alberto Sala
“Siamo partiti dal motore. Questa è stata la chiave. Tutto è fatto per valorizzarlo” questa la sostanza delle parole di Miguel Galluzzi,
quando gli ho chiesto da dove era partito nel pensare la nuova California.
“La fortuna è questo motore che lo vedi sempre bello da qualsiasi angolo in cui guardi la moto. Guarda che spettacolo da qui sopra!”
Siamo dietro le quinte del palco dello stand Piaggio, in una calma quasi irreale, soprattutto se paragonata alla calca di tre ore dopo. Il clima giusto per assimilare, riflettere, prendere confidenza con questa nuova motocicletta così importante e simbolica.
Com’è questa nuova California? La guardi e da una parte percepisci qualcosa di famigliare e rassicurante;, la senti parte del tuo mondo, soprattutto la touring con la sella bicolore che commuove nella bella citazione di una delle sue progenitrici più riuscite, la California II; con le morbide borse dall’andamento come quelle di una delle meglio disegnate, la Special. Dall’altra senti che qualcosa è cambiato per sempre, come ti accade nella vita nei momenti di svolta. California III, 1100, EV, Special, Jackal, Stone, VIntage… tante versioni che abbiamo amato e amiamo tutt’ora,, ma che a ben vedere sono in sostanza tante visioni della stessa moto. Cosa avrebbe potuto dire ancora di più mantenendo lo stesso telaio, lo stesso motore, la stessa ciclistica, le stesse quote, la stessa… gabbia?
Così questa California finalmente libera da sè stessa può esprimere quello che in questi anni non ha mai potuto fare. Una posizione di guida finalmente davvero naturale, senza dover fare i conti con le tette sporgenti. Prima dicevo “libera da sè stessa”… ripensandoci correggerei in “libera da un telaio non suo”. A partire dalla metà degli anni ’70 ha ospitato il telaio (e conseguenti quote) di una sportiva. Vero è che questo ci ha consentito di divertirci di brutto, ma è l’angolo di piega quello determinante per l’appassionato di questo genere di motocicletta? O forse qualcos’altro,
forse il percepire la moto fatta per sè, sentirsi come sul trono, magari anche sfrontatamente, con sotto ferro e cromo scintillante e coppia strappacuore,
col petto e le suole e la faccia all’aria a raccogliere tutto il paesaggio, invece di fenderlo? Ora è libera di esserlo più di prima, e mi piace un sacco vedere che non si è svenduta al marciapiede delle altre. Il sapore prettamente custom non è dato dal faro uguale alle americane, da frontali sempre più uguali dell’uguale, da pinstripe o metalflake o panhead o trucchi per farla vibrare “come quella che più vende”. Quel faro davanti a led DRL veste pelle nera e stivali a punta e nel contempo è estremamente innovativo! Il serbatoio con i fianchi asportabili (e quindi personalizzabili… yum!) e gli incavi per le torri gemelle che non cadranno mai è da tatuaggi e anelli ai pollici ed è nuovo e geniale!
Come si fa a fare una custom e cruiser americana senza copiare? Si può se ti chiami Moto Guzzi California.
Dopo averla assimilata ben bene dietro le quinte sono andato a farmi un giro per gli altri stand, a caccia di animali simili. Massì, vedi qualche bel dettaglio interpretativo della singola marca, ma in sostanza spesso sembra che si rivolgano tutte dallo stesso fornitore di fari, serbatoi, fregi, parafanghi. La California è diversa. E’ rock senza clonare i Led Zeppelin, suona calda senza usare per forza un Marshall, la impugni come una Stratocaster ma è più bella di una Les Paul. Per forza, è una California. E corre libera. O preferite un faro tondo a palpebra?
Eppoi c’è il motore. E qui la tachicardia sale a livelli insostenibili, tipo novemilaquattrocento giri. Non avevo mai visto il bicilindrico di Carcano così bello, così prezioso, così imponente. Una vera scultura, bella come il nostro monumento. Non ho nessuna necessità (come mi era successo talvolta in precedenza) di andare a ripulire la vista da teglie rovesciate, o inserti in plastica, o improbabili anodizzazioni cremose (per non citare goffrati incubi!) riccorrendo a fresche oasi visive, tipo il motore del primo Le Mans. Qui non devo più guardarmi indietro, mai. Sono di fronte alla più bella testa mai disegnata. Oh non rompete se mi soffermo su dettagli. Spesso è nelle piccole cose che si vedono le verità. Che completano. Quanto impreziosiscono le alette dai bordi lucidi? Sono decenni che le aspettiamo, che ogni volta che guardavamo la raffinatezza estetica del motore Harley e pure dei suoi cloni del sol levante, paragonando le nostre fusioni grezze veniva la tristezza.
Ora finalmente godo di un motore che qui, in questo territorio, non è secondo a nessuno. Anzi. Questo motore così bello, personale, unico non ce l’ha nessuno.
Un motore a V stretta longitudinale ce l’hanno tutti, perfino la Hyosung. Mi spiace, signor Harley e signor Davidson, noi ce l’abbiamo più bello!
Indossando gli occhiali a raggi X dell’Intrepido, vediamo che la sostanza è quella del 4 valvole Griso/Stelvio, con in aggiunta una seconda candela per ogni loft di combustione (camera mi pare un filino riduttivo) e mi pare una buona idea, visto che siamo arrivati (finalmente!) ad un alesaggio di 104 mm! Prendiamo tre-quattro misure col metro a bindella e saltano fuori 1380cc, ma la misura che più ci farà sbrodolare è 120 Nm a 2750 giri che non vedo l’ora in strada di contarli tutti, quei niutonmetri che non sono altro! Non entro troppo nel merito tecnico, se non per elencare l’elettronica: ride by wire, tre mappature di gestione del motore, controllo di trazione. Istintivamente questi abusi di silicio non mi prendono bene, però se ci penso su un attimino, sul mio Centauro mi sono installato una eprom a 4 posizioni. Forse non è esattamente la stessa cosa delle tre mappe ma anche quasi, quantunquemente.
Per la cronaca, la distribuzione adotta la soluzione coi rullini.
Speriamo che, all’alba del 2013, i guzzisti non debbano più fare gratuitamente da tester.
Ora non è più concesso sbagliare: l’ho detto, e visto che Leo Mercanti ha citato questa mia frase nella presentazione stampa, dò per assoldato che il concetto è compreso. Altra nota tecnica degna di rilievo: la frizione monodisco ha un parastrappi integrato, che salutiamo con gran piacere, in attesa di verificarne i benefici su asfalto.
Per la prima volta (altra grande novità), il nostro amato motorone è montato non più rigidamente al telaio ma elasticamente, attraverso sei fissaggi con biellette. Qui garantiscono che si continuerà a godere della giusta quantità di vibrazioni. Sembra che al minimo la moto resti molto viva, con gli scuotimenti che spariscono al primo colpo di gas. Speriamo, perchè non c’è nulla di più triste di non accorgersi di aver acceso la moto.
Visto che mi sono addentrato in aspetti più tecnici, snocciolo anche le misure della supermaggiorata: interasse 1685 mm, angolo di sterzo 32°, avancorsa 155mm, peso superiore a 300 kg. Sono misure quasi abili all’atterraggio di un caccia militare, ma sono comunque molto fiducioso, non solo per le opinioni raccolte di chi l’ha già provata, ma ancor più conoscendo chi cura la ciclistica delle moto del gruppo. Hanno sempre fatto un lavoro spettacolare. Basta pensare alla Griso. Oppure basta guardare le saponette sotto alle pedane. Cioè, parliamone. Certo, sicuramente queste pedane toccheranno prima terra delle precedenti California, però piazzarci degli slider appositi suggerisce molto e mi strappa un sorriso malizioso. Sono curioso di provarla come un ragazzino per la prima volta davanti alla Polistil.
I freni prevedono l’abbandono, dopo 30 anni, della frenata integrale, sostituita dall’ABS. Non so se sarà la stessa cosa, vedremo. Visto che parliamo di freni, nulla da dire sul bell’impatto delle pinze radiali all’anteriore, anzi. Soprattutto se abbinate a una bella pista frenante, fa sicurezza. Fa meno bello la flangia dei dischi, dall’aspetto grezzo, poco sintonico col resto. Uno dei pochi punti dolenti (per il sottoscritto). Gli altri? Il parafango anteriore mi sembra un po’ troppo semplice, forse un accenno alle mantelline del precedente non sarebbe stato male; in più è in plastica, come il posteriore. Questioni di economie di scala, mi dicono. In pratica, dicono che la Piaggio non è la BMW nè l’Harley. Il drag bar della custom grigia è un filino lontano dalla posizione naturale, questo vale per uno della mia taglia. C’è da dire che sono previsti almeno tre manubri diversi. A proposito, era già presente un anticipo delle parti speciali che saranno prodotte per questo bolide, Scommetto che la prima cosa che sarà sostituita sono gli scarichi, molto lunghi, ma pare non si possa fare altrimenti, coi parametri da rispettare in tema di inquinamento. Difatti Miguel Galluzzi mi fa notare la loro complessità ben celata dietro le cromature.
Concludo citando chi è stato, anzi chi sono stati gli scellerati “profanatori”: a capo del progetto è Romano Albesiano, ingegnere proveniente da Cagiva: era sua la moto di Lawson, ora responsabile progettazione moto Piaggio.
Il motore è opera dell’ingegnere Federico Martini; il capo della sperimentazione su strada è l’ing. Calò, il design lo sappiamo, è opera di Miguel Galluzzi, mentre la traduzione in forma industralizzabile è opera di Marco Lambri, responsabile del centro stile e papà della nuova Vespa (davvero notevole), mentre il collaudo su strada è opera dei grandissimi Pellizzon e di Daniele Veghini, vecchia conoscenza del campionato Supertwins e gran macinatore d’asfalto su questo bolide.
“Ora ci sono gli uomini giusti”. Una delle frasi chiave della lunga chiacchierata con Miguel Galluzzi. Che, tra una riga e l’altra, mi ha fatto capire che gli errori del passato e la mentalità del tipo rastrelliamo subito e al dopo ci pensiamo dopo sono stati definitivamente accantonati. Che c’è una visione di quello che – compatibilmente con gli sviluppi del mercato – diventerà la Moto Guzzi. Gli fanno coro anche altri; “vogliamo vedere da qui a 10 anni” è la sintesi. Non più da qui a 10 mesi come finora. Il primo passo è questa nuova California a garanzia.
Un ringraziamento speciale a Daniele Torresan, preziosissimo!
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