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L’ultima California

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di Giancarlo Rosini “greybike”

Tutto cominciò un afoso giorno di Settembre del 2016. Andrea Corradi era intento al solito cazzeggio su un forum di un sito internet.
Ormai erano tanti anni che frequentava quel sito di pazzoidi innamorati delle moto costruite a Mandello del Lario. Dopo gli anni bui della gestione Piaggio le cose stavano andando bene per la Guzzi, al secondo anno in Superbike aveva già centrato tre vittorie e le vendite andavano ancora meglio. Sbirciando fra i vari argomenti del forum si imbattè su di una discussione su quale fosse il modello più rappresentativo della casa Lariana, a quanto pareva era la California a strappare i maggiori consensi, specialmente quelle più vecchie, non gli ultimi 1400 ottovalvole considerati forse un po’ troppo snob.
Andrea fu soddisfatto, anche lui ne aveva una, 1100 Classic bianca del 2008 che lo aspettava giù nel parcheggio. Prima di spegnere il computer dette un’occhiata all’ultimo messaggio, un certo Gandalf scriveva “La California è la miglior moto prodotta da Guzzi …. anzi dirò una cosa: Il giorno che al mondo non ci sarà più nessuna California allora il mondo non avrà più ragione di esistere” col solito contorno di faccine sghignazzanti.
Un brivido percorse la schiena di Andrea, “minkia che bella profezia” disse. Ma ora si erano già fatte le 17,30 era ora di andare, spense il computer salutò i colleghi e giù verso il parcheggio dove lo aspettava la sua “Dama Bianca”. Sulla strada verso casa pensò ancora un attimo alle parole di Gandalf, un altro brivido lungo la schiena, poi una serie di curve prese il soppravvento nei suoi pensieri.
Un colpo di gas cancellò quel ricordo.

Milano 12 aprile 2318

Arnamolder si era alzato presto quella mattina, era domenica e non doveva andare al lavoro. Indugiò un po’ sulla colazione poi accese l’olovideo per vedere il notiziario, subito le immagini presero forma al centro della stanza, lo speaker assonnato recitava le solite notizie: “Papa Silvio IV in visita in Nuova Britannia”, “arrestato politico corrotto”, “incidente fra due autoplani” e via discorrendo.

Eh già Arnamolder odiava quei “cosi” volanti che, da pìù di un secolo, avevano in pratica sostituito la vecchie automobili. Certo ne possedeva uno per motivi di mobilità, ma lui amava sempre gli antichi motori a scoppio, l’odore della benzina e il rumore degli scarichi, non il freddo ronzare dei motori a energia solare. E soprattutto amava le “motociclette”, quel nome dal sapore antico, erano quasi due secoli che non se ne producevano più, erano state vietate da tutti i governi mondiali e quindi nel giro di un decennio i produttori rimasti avevano chiuso i battenti, chi una moto ce l’aveva poteva ancora usarla, poi basta.

Ad Arnamolder sarebbe piaciuto vivere agli inizi del terzo millennio quando frotte di “motociclette” scorrazzavano libere per le strade, quando meccanici unti e sudati lavoravano attorno ai vecchi motori per migliorarne le prestazioni, quando si poteva ancora “dajergass”. Gli piaceva quella parola “dajergass” l’aveva sentita da piccolo da suo nonno.

Quante cose gli aveva insegnato suo nonno, si chiamava Tatuato, solo Tatuato, come lui si chiamava solo Arnamolder, da tanto tempo per comodità non si usavano più i vecchi “nome e cognome”.

Lui era orgoglioso del suo, sapeva che veniva dai tempi antichi, quando Globalnet si chiamava ancora internet, insomma i tempi delle “motociclette”.

Il nonno di suo nonno aveva trovato dei vecchi aggeggi che chiamavano computer, era riuscito a leggere il contenuto delle memorie e aveva trovato tracce di un sito in cui si parlava di “motociclette” che pare avessero addirittura un’anima.

Gli utenti dell’epoca si presentavano con un nome di fantasia, l’antico nickname,ecco forse perché col tempo si era pensato di abolire “nome e cognome” e sostituirlo con un solo nome da usare sempre, sia su Globalnet sia nella vita reale.

Nella sua stirpe erano stati tutti appassionati delle vecchie “motociclette”, quelle con l’anima, l’antico marchio MotoGuzzi; da un po’ aveva capito da dove veniva i suo nome e anche quello dei suoi parenti e antenati.

Il suo albero genealogico era pieno di Macio, Marsa, Fange, Olimpino, Ranabout, Samside, Bombos detto “lucchetto” (questa non l’aveva mai capita), Drogo, Le zie Piratessa, Pandora e Verdenevada e centinaia di altri coloriti nomignoli.

Ah!! il vecchio sito Animaguzzista, era riuscito a salvare molti scampoli di discussioni di allora, tarature di carburatori e corpi farfallati (lui li chiamava “sfarfallati” gli sembrava più bello), sospensioni, gomme, cardani, raduni, bevute, rincoboys (anche questa non l’aveva capita bene), pensò a quella volta che girò mezza italia per cercare il bar di Tulla, boh chissa se c’era mai stato veramente.

Pervaso da atavici ricordi si rese conto che aveva voglia di andare giù, nel garage sotterraneo.

Scese di corsa le scale.

Accese la luce.

Lei era lì, sotto al telo bianco, come sempre.

Con calma accese il riproduttore multimediale, e selezionò alcuni brani. Roba di tre secoli prima, quello che un tempo chiamavano rock, ma sempre roba entusiasmante.

Neil Young attaccò le prime note di ”Cowgirl in the sand”, e Arnamolder si avvicinò con rispetto alla cosa sotto al telo bianco.

Tolse il telo, e gli apparve la vecchia signora.

Moto Guzzi California Classic, colore indefinito che una volta forse era stato bianco, aveva in casa un consunto foglio emesso da una fantomatica “motorizzazione civile” che diceva che quella “motocicletta” era stata immatricolata il 6 giugno dell’anno 2008 ed era appartenuta ad un certo Andrea Corradi.

Lui sapeva solo che la moto era sempre appartenuta alla sua famiglia da svariate generazioni.

Aveva anche un nome, si!! una volta davano anche un nome alle cose, su di una targhetta arrugginita attaccata alla fiancatina destra stava scritto “Dama Bianca” e anche suo nonno e suo padre l’avevano sempre chiamata così.

Per curiosità si collegò col suo palmare a Globalnet, c’era un sito che raccoglieva gli ultimi “motociclanti” rimasti sulla terra, controllò gli iscritti, erano ancora in 1064.

“Mica male” disse ad alta voce, poi diede una rapida occhiata ai modelli e marchi presenti.

Harley, Guzzi, Ducati, Bmw, svariate Triumph, tre giapponesi e qualche special hand-made degli anni seguiti alla chiusura di tutte le fabbriche di “motociclette” .

Controllò meglio i modelli, di California restava solo la sua, in un certo senso si sentì fortunato, però un brivido gli percorse la schiena.

Giusto un paio di giorni prima aveva ritrovato un vecchio messaggio del 2016 di un certo Gandalf che diceva “La California è la miglior moto prodotta da Guzzi…. anzi dirò una cosa: Il giorno che al mondo non ci sarà più nessuna California allora il mondo non avrà più ragione di esistere”

Poi ci rise sopra, “ammazza quanto eri catastrofico caro Gandalf”.

Avvolto dalle note di “Thick as a brick” tirò fuori la chiave e la infilò nell’apposito blocchetto di Dama Bianca.

Aveva una gran voglia di andare a “fare un giro”.

Diciamo subito che andare a “fare un giro” nel 2318 non era così facile come trecento anni prima. La benzina era carissima c’erano solo un paio di raffinerie nel pianeta che la producevano, giusto per accontentare i folli amanti del motore a scoppio.

Oramai tutto funzionava a energia solare; “gratis e pulita” dicevano i politici, cosa volere di più, insomma la benza costava sui 45 eurodollari al litro, roba da limitare al massimo le uscite in “motocicletta” , per non parlare di eventuali parti di ricambio che andavano di volta in volta ricostruite in esemplare unico.

I pneumatici poi, li produceva solo un fabbricante e li vendeva a peso d’oro “peggio dei dentisti” pensava Arnamolder (chissà perché, ma ce l’aveva a morte coi dentisti).

Girò la chiave e premette il pulsante di “START”

Un sommesso borbottio copri il flauto di Ian Anderson.

Anche stavolta l’ammasso rugginoso, che un tempo vide altri splendori, aveva preso vita.

Casco, giubbotto, guanti

Il motore ogni tanto dava qualche sussulto per poi riprendere il suo caratteristico minimo zoppicante.

In sella, dentro la prima con un clock fragoroso e via. Si era svenato ma almeno il serbatoio era pieno, aveva deciso di uscire dalla afosa città per andare verso il lago, magari in quel quartiere periferico di Lecco dove un tempo sorgeva il paese di Mandello del Lario. Pare che nel 2210 Ube, il sindaco di Mandello, lottò strenuamente per non permettere l’annessione del suo paese alla città di Lecco, ma tutto fu vano.

Si era lasciato dietro le spalle la città già da un pezzo e stava viaggiando a bassa andatura godendosi quel poco di verde che ancora rimaneva fuori dalle grandi metropoli.

La bassa andatura era dovuta a due motivi piuttosto seri.

Dama Bianca aveva più di trecento anni, non sapeva quanti e quali pezzi del suo motore fossero stati sostituiti e rifatti, quindi non era il caso di sollecitare oltre il lecito la sua vetusta meccanica.
L’asfalto non era proprio quel che si dice “un biliardo”. Da quando i mezzi di trasporto più diffusi erano gli “aggeggi volanti” le amministrazioni non avevano tanto interesse a mantenere curate le strade.
In altri tempi l’avrebbero definito “fermone”, rise fra sé nel casco al pensiero di questa strana parola.

E poi fermone o no, aveva le gomme quasi pietrificate, non era il caso di rischiare anche qualche osso.

Poi, quella curva.

Quella maledetta ghiaia.

Fu un attimo, Arnamolder si senti sbalzare dalla sella verso il prato che costeggiava la strada mentre Dama Bianca prendeva tuttaltra direzione.

All’impatto con la strada il vecchio serbatoio non resistette, squarciandosi.

Poi furono scintille, provocate dal metallo che strisciava sul ruvido asfalto.

Poi le fiamme avvolsero la povera California, che con cigolii sinistri cominciò a fondersi in un unico ammasso di ferro fuso.

Si rialzò. Niente di rotto per fortuna.

Quanto tempo era rimasto svenuto ?

Pensò subito a Dama Bianca, quello che rimaneva di lei stava là a dieci metri, un’ammasso fumante.

Quando non ebbe più voce per imprecare la malasorte prese il palmare per chiamare l’aerotaxi. Voleva tornare subito a casa, non poteva più stare lì, la vista di Dama Bianca morente lo faceva stare male.

Nel tragitto di ritorno verso casa pensò alla sua California, “l’ultima California”.

Ancora sentì quel brivido lungo la schiena. “La profezia di Gandalf” .

Idiozie, pensò. Figuriamoci se devo dare retta a uno stupido messaggio di trecento anni fa.

Giunto a casa si preparò qualcosa da bere e accese l’olovideo per distrarsi un po’.

Apparve subito l’immagine di un giornalista, sembrava spaventato, accanto a lui un’astronomo che aveva già visto in altre trasmissioni, sembrava letteralmente terrorizzato.

Parlavano dell’orbita terrestre, qualcosa era successo, qualcosa si era spostato, sembrava che la terra si stesse avvicinando pericolosamente verso il sole.

Poi ci fu un disturbo alla trasmissione, le immagini olografiche sparirono, incominciò a fare caldo, sempre più caldo.

Arnamolder finì il suo drink, oramai aveva capito tutto, la profezia di Gandalf era terribilmente vera.

E mentre l’aria si faceva irrespirabile guardò fuori dalla finestra e vide che le cime di alcuni alberi sotto casa sua stavano prendendo fuoco.

Puntò il dito su di un albero a caso.
Le sue ultime parole furono “mi sei simpatico, è per questo che ti brucerò per ultimo”