di Gianmarco Mirabile Foto di Simone Rambaldi e Paolo Sala
Mi piacciono le sfide che sfiorano il limite dell’impossibile. Mi sono sempre piaciute, ma questa volta ho superato me stesso. Dal 2006 conservo in garage una delle poco vendute, ma tanto divertenti Moto Guzzi TT35 dell’86 che ho subito battezzato col soprannome “Piggy” (la moto maiala). Non è in perfetto stato di conservazione ma per l’utilizzo da “battaglia” in città è ottima. E’ stretta, maneggevole e il manubrio largo (è come un Renthal) facilita molto il controllo del mezzo. L’ampio angolo di sterzo aiuta a disimpegnarsi nello slalom tra le auto. Il cambio, coi rapporti corti, trae d’impaccio in molte situazioni imbarazzanti tipiche del traffico cittadino e con esso il motore diventa tanto pronto che pare di avere il doppio dei cavalli reali. Piggy è approdata nel mio box quando il precedente proprietario l’aveva già Supermotardizzata: il parafango crossistico alto davanti ha lasciato posto all’Acerbis filo ruota; i soffietti, per riparare dai sassi gli steli forcella, sono stati asportati, come pure la pesante intelaiatura portapacchi sul codino; gommatura da stradale pura, per nulla adatta al fuoristrada. Se aggiungiamo anche le sospensioni snervate da vent’anni d’uso e una frenata che, quanto a potenza, lascia parecchio a desiderare, il quadretto è completo. Alcuni amici guzzisti che l’hanno vista (per parcheggiarla non uso cavalletti, l’appoggio col manubrio contro il muro “alla randagia”), hanno commentato con frasi tipo: “La tua è una moto da rapina!”. Mi è pure capitato d’essere fermato, in città, da normali appassionati in sella a supersilenziose moto orientali che mi hanno detto: “E’ proprio bella, non ho mai visto una Guzzi così. È unica, hai fatto proprio una bella special!”. Già, la mia nonnina non dimostra affatto i suoi ventidue anni, complice anche una bella vernice blu elettrica metallizzata che la svecchia dandole quel pizzico d’aria giovanile da moto sbarazzina.
Settembre 2006. Ricevo una telefonata dal mio amico Simone, un “malato” d’Enduro che possiede una sacrilega (per noi di Guzziland) Honda Transalp che m’invita a partecipare ad una gara amatoriale d’Enduro riservata solo a “pachidermici” bicilindrici off-road ed ai monocilindrici di ALMENO centocinquanta chili di peso. <<Piggy di cilindri ne ha due e siamo ben oltre i 150 kg, vuoi venire?>> Lì per lì gli rispondo con un sì deciso, senza pensarci troppo. Passati due minuti, realizzo quello che mi ha appena detto e mi pento della risposta…ma la telefonata si è già conclusa e ormai il danno è fatto. Ci sono da considerare alcune cose. La prima è che il sottoscritto non ha mai e sottolineo mai messo una ruota in fuoristrada (se escludiamo la via di fuga in pista dopo un “lungo”). Ho da sempre posseduto moto sportive o comunque stradali, mai una tassellata prima di Piggy. Si capisce che affrontare per la prima volta nella vita un percorso fuoristrada, per giunta in una gara, è un’impresa che chiunque, sano di mente, considererebbe folle. In secondo luogo, Piggy l’ho appena acquistata e non ho ancora grande dimestichezza con essa.
Da Milano a Trescore Cremasco (CR), luogo in cui si svolge la gara, arriviamo in sella alle nostre enduro di media cilindrata con la statale. La trasferta è avvolta da foschia e umidità tipiche degli autunni padani. La manifestazione si svolge in un campo messo a disposizione da alcuni agricoltori appassionati di moto, per cui è richiesto l’uso di buon senso e civiltà per non recare disturbo a nessuno al passaggio con le moto. Alla manifestazione partecipano anche alcuni enduristi navigati come alcuni giornalisti di Motociclismo Fuoristrada o ex piloti navigati ormai in pensione. Sono previste tre prove speciali cronometrate in un fettucciato ricavato da un campo agricolo e tre giri di percorso entro-fuoristrada che comprendono anche due lunghi guadi. Alla fine della gara, grigliata per mettere tutti d’accordo, se non con l’inclemente cronometro, almeno con le gambe sotto al tavolo e la pancia piena. Arriviamo nel luogo dell’appuntamento (in ritardo) e c’iscriviamo tra gli ultimi. A me spetta il numero 109, che attacco con fierezza sul cupolino. Firmo lo scarico di responsabilità e poi briefing tenuto dall’organizzatore Luigi Corrù. <<Mi raccomando, – dice Gigi col microfono vicino alla bocca – siamo qui per divertirci e passare la giornata in compagnia. Evitate di strafare e, soprattutto, non fatevi male! L’ambulanza è presente ma non è necessario usarla…>>. Nel mio caso non c’è pericolo…a meno che non m’investa qualcuno. Nell’attesa d’entrare nel fettucciato, si forma un gruppetto di curiosi vicino a Piggy che mi fa domande sulla mia anticonformistica cavalcatura: l’unica Moto Guzzi presente alla gara! Sono fiero di me e della mia prode Piggy, compagna di mille avventure…e bla bla bla. La gente sembra divertita nel vedere la mia moto (e forse anche me, che sono vestito da tutto tranne che da Endurista!). Pare un chicco di riso dentro un formicaio tant’è insolita.
Ed eccoci alla gara. Tocca a me: mi posiziono sulla linea di partenza e aspetto il via del commissario di gara. Tre, due, uno… parto sgommando con la ruota posteriore (sulla terra battuta con le gomme stradali è facilissimo!) e affronto la mia prima, vera ed entusiasmante curva in fuoristrada. È subito panico! Le moto che hanno girato prima di me, un centinaio in tutto, hanno già creato i solchi e le cunette sulle quali bisogna appoggiare le gomme per fare le curve nei fettucciati. Abituato ai parametri di tenuta gomma-asfalto ai quali sono ormai assuefatto da anni, devo rivedere completamente il mio stile di guida: qui le ruote si muovono in continuazione e la sensazione d’aderenza precaria mi fa irrigidire come non m’era mai successo. Alla seconda curva dopo il via, perdo l’anteriore e la moto s’appoggia a terra. Pork!…da sotto il casco impreco, pensando che sono solo alla seconda curva e son già orizzontale. La situazione non è per nulla rassicurante se penso che ho ancora circa due chilometri di fettucciato da affrontare. Provo a rialzare il Gùss ma nulla, la tecnica delle braccia sotto la sella che tirano in su, spingendo coi quadricipiti, e il ginocchio che aiuta la manovra non ha efficacia. Sembra un elefante accasciato tant’è pesante, nonostante l’estetica snella e la maneggevolezza nella guida su asfalto facciano apparire il contrario. Mi vengono in soccorso dei ragazzi e mi aiutano a rialzare la moto. Ho la fronte imperlata dal sudore. L’avviamento elettrico Lucas non mi tradisce e il motore si riavvia prontamente. Non m’abbatto e caparbiamente ci riprovo. Inserisco la prima e riparto, tenendo bene a mente i consigli di Simone: il cerchio anteriore da 21’’ è fatto per passare sopra agli ostacoli: per farla curvare la devi inclinare e tu devi restare col busto verticale. <<Un gioco da ragazzi per uno che consuma le saponette della tuta di pelle in pista e non mastica di fuoristrada da quando è nato – penso ironicamente tra me ->>. Affronto il rettilineo che segue per intero il lato del campo con la sgradevole sensazione di non controllare il mio mezzo. Qui non ci sono tasselli ruota a mordere il terreno. Ogni canale che la ruota davanti incontra viene seguito fedelmente…anche contro la mia volontà! Per non farmi venire un infarto, procedo a velocità bradipo, forse pure un po’ più lento. Ho il polso destro bloccato dall’insicurezza, non mi fido a dare gas. Maledetta paura di cadere! Sembra di stare seduto su di un veicolo in equilibrio precario che fa un po’ ciò che vuole lui, non io. E’ un po’ come salire in sella per la prima volta e reimparare a guidare da zero. Strano dopo tutti questi anni in sella, ma molto, molto stimolante. Ho scoperto un nuovo modo d’intendere la motocicletta quando ormai pensavo che questo mondo mi fosse molto familiare. Mi sbagliavo, e confermo la teoria di chi dice che, nella vita, non si finisce mai d’imparare. Esco indenne dal fettucciato, riuscendo a cadere solamente una seconda volta. Poi campo, strada bianca e…guado. Mammamiaaiutoooo! Il percorso prevede l’attraversamento di un paio di canali per lungo, guadi veri e propri, non semplici pozzanghere da raccontare come “mari aperti” agli amici al bar. L’acqua è profonda in alcuni tratti fino a 60 cm e sul fondo ci sono ciottoli grossi e viscidi che si muovono col peso della moto. Un pazzo! Gomme stradali, acqua sopra i perni ruota, gas costante e…doccia assicurata dagli schizzi che salgono dalla ruota anteriore. Prima di entrare, ho chiesto informazioni sulla fattibilità del guado (per me e il mio mezzo) a degli enduristi navigati lì presenti che mi hanno risposto: <<Sì sì, i ciottoli sul greto sono stabili e non sono un problema anche con le tue gomme stradali, vai tranquillo! L’importante è tenere il gas costante.>>.
“Vai tranquillo!”: frase celebre che hanno detto al tizio che poi è finito in galera e gli hanno rubato la moglie.
<<C’è poco da stare tranquillo, – mi suggerisce il mio istinto – ma ormai sono qui, perché non provare?>>. Una persona sana di mente avrebbe trovato svariati motivi coerenti per non affrontare il guado, come il fatto che, se cadi a mollo, oltre a tornare a casa bagnato, torni pure senza moto, perché se entra l’acqua nel motore lo fai fuori. Io invece ne ho fatta una questione d’orgoglio personale, mi sono appigliato al pretesto di fare un’esperienza nuova. Ho puntato la ruota anteriore verso l’acqua e mi ci sono tuffato. Non so come ho fatto, ma non mi sono né bagnato più di tanto, né sono caduto ed ho passato il guado miracolosamente indenne. “Kickn’ass” dicono gli statunitensi in slang, colpo di culo (si può dire?) tipico del principiante, la traduzione italiana. Dopo il guado, il percorso prevede di passare in un prato con erba umida, forse il tratto meno impegnativo del percorso insieme con l’attraversamento del campo coltivato a pannocchie e solcato dalle enormi ruote dei trattori. Passaggio tecnico in un bosco, scollinamento nell’alveo d’un torrente pieno di fango dal quale è impegnativo cavarsi fuori. Una mano da colleghi motociclisti per uscirne e lo spirito di gruppo che ci rende fratelli mi fa riemergere insieme a Piggy sull’altra riva.
La guida in piedi sulle pedane del Guzzi TT35 è piacevole ed aiuta a controllare bene il mezzo. Lo sguardo dall’alto, inoltre, fornisce una visione più completa di ciò che succede davanti per quel che riguarda condizioni e praticabilità del fondo sul quale mettere le ruote. Le pedane sono da fuoristrada vera, coi dentini in ferro che mordono la suola in gomma degli stivali. Il manubrio è davvero larghissimo, e questo aiuta ad alleviare, con la sua leva, la fatica che si affronta in fuoristrada per il peso elevato complessivo della moto. Il motore Moto Guzzi, accoppiato al cambio coi rapporti corti, è una manna dal cielo e mi non mi ha mai messo in difficoltà. Merito della regolarità di funzionamento ai bassi regimi che ti permette di puntare il gas e di trottare a passo d’uomo godendoti il panorama (ma non era mica una gara?!).
Il sole cala all’orizzonte, gli ultimi passaggi si affrontano coi fari delle moto che creano nei campi un’atmosfera suggestiva. Sembra di vedere dal vivo le foto in notturna delle moto che partecipano alla Parigi-Dakar. Da pelle d’oca. Per concludere la serata, cena tutti insieme tra birra, salamella e ravioli. Nei giorni successivi, leggo con sorpresa sulla rivista mensile “Moto ON-OFF Lombardia” un articolo che parla di questa manifestazione e un commento di Corrù che mi fa sobbalzare dalla sedia: <<Per Gigi c’è un solo vincitore morale, il pilota di una Moto Guzzi con gomme stradali che ha faticato non poco a terminare tutta la gara>>. Follia o passione lascio a voi deciderlo, io, però, mi sono divertito un sacco.