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Un’Aquila in Sudamerica

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Un'Aquila in Sudamerica

Seguito de: “Il Cammello di Mandello” di Uros Blazko

Introduzione e traduzione di Sostene Chiaranda

In questa seconda puntata, Vi racconto alcuni episodi relativi al proseguo del viaggio di Uros e Metka con la famigerata Guzzi Quota nell’America del Sud, e precisamente in Peru’ ed in Colombia.
Anche in questo racconto metto insieme episodi ed aneddoti tratti dal libro scritto (in lingua Slovena) da Uros.

LA STRADA DELL’INFERNO
Sbarchiamo in America del Sud, siamo in Perù, e scambiamo quattro chiacchiere con un tassista e quando costui viene a sapere che è nostra intenzione andare al Lago di Titicaca, attraverso Puno ci dice: ”Ahi, ahi, ahi caramba! Lavoro e guido da dieci anni in questa zona, però lassù non ci sono mai stato e non credo ci andrò mai!”. A queste parole, io e Metka ci scambiamo uno sguardo, ma dopo qualche istante di silenzio, decidiamo di partire.
Dopo dieci chilometri l’asfalto non c’è più e poco dopo siamo sopra Arequipa; vediamo le cime delle montagne circostanti alla nostra stessa altezza, ma la strada si alza ancora.
Ad un posto di blocco un poliziotto, controllandoci i documenti, ci chiede: “Perché avete scelto questa strada?” “Perché, che c’è di male?” gli dico io, e lui mi risponde ridandoci i documenti: “Lo vedrete strada facendo!”
Ripartiamo carichi di perplessità e poco dopo ci ritroviamo a viaggiare in mezzo alle nuvole e i tubi di scarico e la coppa dell’olio motore sbattono di sovente sulle rocce. Sto guidando piano, in prima marcia; sulla nostra destra c’è un’enorme muro di roccia, mentre a sinistra, nascosto dalla nebbia, c’è un abisso. Di colpo sento un urto violento, e al tempo stesso un aumento della rumorosità del Guzzone, capisco al volo che si è staccato un tubo di scarico e perciò mi fermo nel tentativo di risistemarlo. In questo punto, avvolte dalla nebbia, ci sono cinque croci, sistemate in una maniera tale da dare l’idea di cinque persone in una macchina, che quasi sicuramente sono finite nel vuoto.
Penso tra me e me, “Questo posto mi fa paura” ma non dico niente a Metka, che al rumore di un camion in avvicinamento, gli corre incontro per avvertirlo che siamo fermi dietro la curva, in modo che non succeda qualcosa di simile a ciò che era accaduto a quelli delle cinque croci!

Risistemato lo scarico della moto, ci accingiamo a ripartire e in lontananza vediamo le montagne coperte di neve, mentre intorno a noi ci sono dei laghetti dove pascolano i lama, attorniati da cicogne ed altri uccelli. Arriviamo in uno dei vari villaggi di questa zona, tutti simili e composti da alcune “case” costruite con lamiere metalliche, alcune di queste sono “ristoranti” dove si può trovare del cibo caldo. Sul muro di una delle case c’è un cartello con scritto: “Vendita benzina”, esce un ragazzino e ci offre un bidone di plastica. Io gli rispondo: “Non ne ho bisogno!”, poi quasi istintivamente, controllo il serbatoio del Guzzone, e con mia grande meraviglia, vedo che è quasi vuoto! Capisco che su una strada così, viaggiando con marce basse, il consumo di carburante aumenta in maniera incredibile, ed è per questo che dappertutto ci sono cartelli che indicano la vendita di benzina. A quel punto, gli corro dietro, e dopo aver trattato il prezzo della tanica di benzina, concludo l’affare. Verso il carburante nel serbatoio del Guzzone, e via lungo questa strada d’inferno. Dopo cinque chilometri la moto incomincia a strappare e alla fine il motore si ferma. Incomincia una “via crucis” fatta di smontaggi e pulizie del filtro carburante e delle varie tubazioni, ma niente! Il ragazzo ci ha venduto benzina sporca, e questo aggiunto al fatto che siamo sopra i 4.000 metri di altitudine, fa si che la moto abbia perso parecchia potenza, e quel che è peggio è che la sporcizia che c’è nella benzina intasa il filtro carburante e il motore si ferma.
Dopo alcune ore passate a ripetere queste operazioni, giungiamo finalmente in un altro villaggio, dove troviamo un specie di “locanda” che reca la scritta “TODOS VUELVEN” (tutti ritorneranno), e dove c’è l’ennesimo cartello di vendita benzina. Buttiamo la benzina rimasta nel serbatoio, e ci riforniamo con del nuovo “liquido” che sembrava benzina, o almeno ne aveva l’odore. Ormai è tardo pomeriggio, la giornata è stata pesante e faticosa, è inutile andare in cerca di ulteriori avventure, ed il proprietario della locanda ci dice: “Tra poco sarà buio, l’aria si farà gelida e la temperatura scenderà sotto lo zero, potrete dormire nella locanda”. E così, dopo aver mangiato qualcosa di caldo, portiamo dentro anche il Guzzone al coperto e prepariamo i nostri “giacigli” per la notte. Il mattino seguente, dopo una rapida colazione, siamo pronti a partire. Il proprietario esce e ci dice: “Metti in moto e vai!” La moto “teneva” il minimo a malapena, ed il proprietario della locanda sembrava felice che la moto funzionasse.

Partiamo lasciandoci il villaggio alle spalle, il motore “gira” in maniera soddisfacente, ma dopo circa dieci chilometri, quando la temperatura del motore si è alzata, la moto si ammutolisce all’improvviso. Tra mille imprecazioni, ricomincio a soffiare nel filtro carburante e nelle tubazioni, ma invano, la moto rimane muta, e mentre maledico il proprietario della locanda, non so più cosa fare!
Ad un tratto sento un rumore, si avvicina un motorino. E’ un uomo che ha capito che eravamo nei guai, e sapeva anche il perché! “Ti hanno venduto una miscela di petrolio per lampade, in quel posto lo fanno sempre!”. L’uomo mi porge una tanica di benzina e dopo averlo pagato e ringraziato cento volte, ci salutiamo. Finalmente il motore “gira” con vigore nonostante l’altitudine, e il viaggio prosegue. Dopo alcuni chilometri trascorsi su un fondo impegnativo, ma con tranquillità, ecco l’ennesimo problema, e neanche lieve!
Mentre sto viaggiando ad una buona andatura, sento un “botto” e la moto si solleva per un istante, mi fermo e guardando verso il basso mi accorgo che sotto al motore c’è dell’olio. Ho centrato in pieno un sasso con la coppa dell’olio motore!
L’olio scende a terra, e così anche il mio morale, il danno sembra grave, ma non c’è nemmeno il tempo per disperarsi: io comincio a smontare la coppa dell’olio, mentre Metka ritorna a piedi al villaggio precedente a cercare dell’olio motore. Pulisco bene la coppa e poi, utilizzando dell’alluminio in pasta che mi ero fortunatamente portato appresso, riesco a ripararla. Io ho finito il mio lavoro, la coppa è rimontata, ma Metka non arriva! Dopo un’ora, arriva sbuffando, (a questa altitudine manca l’aria) e con il naso spellato dal sole. Questo inconveniente alla fine ci ha fatto perdere la giornata, e quando arriviamo al primo villaggio, Katy, a 4.340 metri di altitudine,è già buio. Grazie alla gentilezza del proprietario di una Locanda ci rifugiamo all’interno con la moto e dormiamo in mezzo ai tavoli.

Al mattino, nonostante il sole che brucia, fa freddo, e mentre “lotto” coi buchi sulla strada, penso: “Ci è accaduto di tutto, ormai che altro ci può succedere?”. La strada sale, siamo sulla sella dell’Alto Toroya a 4.700 metri di altitudine, questo sarà il punto più alto di tutto il viaggio. Dentro al casco, felice, penso: “Adesso che siamo arrivati fin quassù, siamo imbattibili, nulla ci può fermare!”. Il Guzzone avanza a fatica, noi respiriamo con difficoltà, all’improvviso la moto si ferma! Un brivido mi attraversa la schiena, non ci metto molto a capire che il problema è la pompa della benzina. Il piccolo componente si è stancato di “pompare” tutta la sporcizia che c’era nella benzina degli ultimi giorni!
Batto contro la pompa, nella flebile speranza che riparta, ma niente! Non si sente nessun rumore, all’infuori del vento che soffiava gelido. La pompa è sigillata, non si può aprire, e non ne ho una di scorta! Non rimane che provare a smontarla, la sera si avvicina, il sole ormai ha perso la sua forza, non possiamo passare qui la notte, la tenda non resisterebbe a questo vento e i nostri abiti non ci permettono di passare tutta la notte sotto zero. Se non riesco a sistemare la moto in un’ora, dovremo abbandonarla qui e cercare a piedi un rifugio per la notte!
Mi metto al lavoro, apro il corpo della pompa come una scatoletta, mi tremano le mani, non so bene se dal freddo o dalla paura di non farcela. Mentre controllo come è fatta internamente, la pompa mi cade ed escono rulli e rondelle… ”Quanti rulli c’erano? Le rondelle vanno sotto o sopra? Se riesco a far ripartire la pompa, come farò a sigillarla?”. Questi pensieri mi attanagliano la mente.
“ Ci vorrà molto?” mi chiede Metka, ignara delle mie paure, “Ho freddo!” “Ancora un attimo”, le dico facendomi coraggio! Aiutandomi con un lamierino, della pasta per guarnizioni e delle fascette metalliche, metto insieme rulli e rondelle e riesco a richiudere la pompa, adesso è arrivata l’ora della prova cruciale.
Prima di collegare i fili alla pompa, guardo verso le montagne il sole che si spegne, mentre il vento freddo mi gela il cuore e intanto penso: “ Funzionerà ???”. Da questo dipendeva se avremmo camminato o se avremmo potuto riprendere la strada in groppa al Guzzone.
Collego la pompa, giro la chiave, la vita mi scorre tra le dita, un getto di benzina mi bagna i pantaloni!! “Evviva” un urlo seguito dall’eco si espande tra queste montagne.
Riprendiamo il viaggio, dentro il casco urlo, canto, sono al settimo cielo! Ormai è sera e finalmente ritroviamo l’asfalto, la strada dell’inferno è finita!
Sono così felice che mi fermo, scendo dalla Quota, e lasciandomi cadere sulle ginocchia, bacio il terreno come fa il Papa in terra straniera! E’ stata molto dura, per fare 224 km ci sono voluti tre giorni interi!

COLOMBIA
Dopo l’attraversamento dell’Ecuador, ci apprestiamo ad attraversare il confine con la Colombia; un soldato al posto di controllo guarda la foto sul mio passaporto, “Questo nella foto sei davvero tu? Allora dimmi il numero del tuo passaporto!”. Per fortuna che con tutte le volte che l’ho trascritto sui vari documenti me lo ricordo a memoria. Il soldato dopo questo “controllo”, mi restituisce i documenti, e senza un minimo sorriso ci augura buon viaggio. Arriviamo a Pasto, nel sud del Paese; la strada in questo punto sale e scende dalle montagne e l’ambiente è molto diverso da quello degli ultimi giorni, intorno a noi non ci sono rocce o paesaggi aridi, ma una fitta giungla. L’acqua scende dappertutto, dei torrenti attraversano la strada e noto moltissimi autolavaggi, dove si fermano soprattutto gli autocarri, che quando escono da queste boscaglie non si sa neppure di che colore siano realmente. Questi autocarri sono di produzione Americana, di molti anni fa, e dai loro tubi di scarico sprigionano un fumo denso, e questo fumo ci permette di sapere in anticipo, viaggiando in mezzo alla vegetazione fitta, che troveremo a breve un altro autocarro da sorpassare.
Ad un certo punto, tra le foglie delle palme, vediamo del fumo, ma questa volta non è di un autocarro, bensì quello di una trattoria! Col tempo abbiamo capito che anche qui vale la regola che se nel parcheggio della trattoria ci sono alcuni camion, la cucina è ok.
Qui in Colombia il cibo è migliore di quello del Cile o dell’Ecuador, ed è molto piacevole fermarsi a mangiare in una di queste trattorie lungo la strada.
Nelle trattorie e nei ristoranti si preparano tanti tipi di carne; a volte le mangiamo senza neanche sapere da quale animale provenga. Gli Indiani nella giungla si nutrono con carne di scimmia, di tapiro, di vari uccelli e altri animali esotici. Da queste parti una carne molto prelibata è quella di tartaruga, ma noi non abbiamo avuto l’occasione di assaggiarla, e nella maggior parte dei casi troviamo da mangiare carne di maiale o di pollo. Al posto del pane qui usano delle pagnotte di farina di tapioca chiamati “arepa”. Abbiamo trovato molto buona una piatanza fatta con farina di granoturco, mescolata con pezzi di carne, uova e zucchero, cucinata al forno o in padella. Un’altra “specialità” sono le formiche lunghe un paio di centimetri che si friggono nell’olio e si mangiano come “chips” (patatine). Qui si mangiano varie insalate, ma quelle che più ci attirano sono quelle di frutta: in Colombia cresce più del 50% delle specie di frutta del mondo e nemmeno i Colombiani le conoscono tutte! Ogni giorno proviamo qualcosa di nuovo e di strano, i gusti di questi cibi sono incredibili. Esistono sei tipi di banane, che vengono fritte, stufate e perfino cucinate in una specie di brodo. In Europa vengono esportate le banane più grandi e dai colori pi ù belli, ma prive di sapore.
NELLE ZONE DELLA GUERRIGLIA
Siamo sempre nel sud della Colombia, a Popayan; la popolazione locale è composta in prevalenza da Indiani, li vedi per strada a piedi o a cavallo. Un pastore con le sue vacche ci viene incontro e ricambia il nostro saluto. Poco più avanti all’ombra di un albero enorme ci sono alcuni uomini che guardano i passanti, portano dei “macete” alla cintura, decorati con nastri di cuoio colorati; quasi tutti hanno stivali di gomma e cappelli a tesa larga. Sono troppo curiosi per lasciarci in pace, ci fermano e cominciano a farci varie domande. “Da dove venite?” ci chiede uno di loro, “Dalla Slovenia” gli rispondo io, sicuro che mi chiederanno dov’è mai quel Paese, ma lui mi dice subito: “Anche voi avete una guerra come la nostra!”. La cosa mi ha lasciato senza parole, non avrei mai immaginato che questa gente, coi problemi che ha, fosse così informata dei fatti di casa mia!
Proseguiamo il viaggio, noto che ad ogni entrata e uscita dei villaggi ci sono dei posti di guardia, e circondati da sacchi di sabbia, ci sono soldati con le mitragliatrici. Sono preoccupato, spero che nessuno ci crei problemi, ma poi noto che le mitragliatrici sono puntate verso la giungla, e i soldati sono seduti sull’erba, visibilmente annoiati. Ci fermiamo a riposare il fondo schiena e a bere qualcosa in un’osteria, e chiediamo alla proprietaria informazioni riguardo i soldati nelle postazioni. “Sono soldati del Governo” ci dice mentre ci porta un paio di birre, “Gli uomini della Guerriglia controllano tutto il territorio, tranne la strada. Il Governo la ritiene importante, e vuole che il traffico si svolga senza problemi da nord a sud, per questo ha mandato tanti soldati.”
Tra me pensavo: siamo a posto: sulla strada, della nostra sicurezza se ne occupa l’Esercito del Governo, mentre nella giungla se ne occupano gli uomini della Guerriglia! I Colombiani sono abituati a convivere con la guerra, ci abitueremo anche noi.
Dal posto di guardia arrivano due soldati, li invito a bere una birra con noi, loro accettano volentieri, si siedono con noi e uno di loro fa un cenno ai suoi compagni per avvisarli che è tutto a posto.
L’altro ci dice: “Siamo armati così bene, che i guerriglieri non si faranno vedere!”.
Il tempo passa, le bottiglie di birra si svuotano, e i due soldati ci raccontano cose molto interessanti.
“In Colombia combattono tra loro tre Forze Armate; l’Esercito del Governo, la Guerriglia (che è divisa a sua volta in tre gruppi) e le Forze Paramilitari. Tutti portano la stessa uniforme, infatti queste vengono rubate da un gruppo all’altro, a distanza non riesci a distinguere di quale gruppo si tratti, e quando ti fermano è troppo tardi!” “Ma come fate a distinguervi tra di voi?” gli chiedo io, “Ogni gruppo usa una parola d’ordine, che viene cambiata ogni settimana, e poi usiamo dei soprannomi per nascondere la nostra vera identità, Guerriglieri e Paramilitari fanno la stessa cosa”.
“Per voi io sono Vasquez e il mio amico Valdez, ma i nostri veri nomi non li saprai mai!”.
Da dietro i sacchi di sabbia delle postazioni, si sentono i fischi degli altri soldati che hanno sete, e allora Vasquez e Valdez ci ringraziano e salutandoci, portano da bere ai loro compagni.
Sorseggiando l’ultima birra, penso come dev’essere dura convivere con una guerra che dura da più di trentanni!
Dopo qualche altro giorno passato tra la giungla e villaggi Colombiani, arriviamo alla nave che ci porterà in Panama, e poi in moto in Nicaragua attraversando il Costa Rica.
Da qui, piccolo trasferimento aereo fino in El Salvador e poi via col Guzzone in Guatemala, Messico, Texas, Louisiana, Mississippi, e su fino a New York, dove carichiamo il Guzzone sull’aereo che ci riporta a casa.
E’ stato un viaggio affascinante ed infernale, che ci lascerà ricordi ed emozioni indelebili, e mentre l’aereo decolla, sto pensando che un giro in Asia …