Come sono diventato guzzista. (racconto lunghetto)
A me le moto non piacevano.
Ero accerchiato da fighetti che, minimo minimo, si facevano belli nel cortile della scuola con tuboni iperpompati. Ma quelli che “stavano bene”, quelli invece si facevano tronfi con le prime due tempi sportive, il suono delle moto da competizione. Io no, giravo col mio Ciao rigorosamente di fabbrica, i piedi sui pedali…
Immaginate lo stato d’animo quando, mio malgrado, nel garage compare una Honda CB125 strausata, cerchi a raggi e freni a tamburo. Dopo un mese mi ritrovo a passare un’estate in ospedale, con tante ossa che chiedevano pietà. Era l’estate del ’83, King Kenny le buscava da Fast Freddy, io iniziavo a divorare le riviste specializzate. Con ancora viti e chiodi a tenermi tutto di un pezzo, in un concessionario a Cattolica mi si presenta lei, la RD 350, il sogno proibito di tutti i ragazzini ormonalmente disturbati dell’epoca. No, non potevo farmi questo, soprattutto dopo l’esperienza con i freni della CB125: “te l’avevo detto che non frenava, la chiamano la bara volante…” (ah, il senno di poi!). Opto per la moto a fianco, una V35 prima serie, quella con l’accensione elettronica, quella che a sputazzi faceva concorrenza a un lama. Ma gli ormoni comandavano prepotenti e mi spingono da Molari, il concessionario Guzzi di Rimini, che aveva appesa in un angolo una bella semicarena sportiva; mi spedisce a montarla dal suo meccanico, Silvano Bartolucci. E’ da lui che comincia questa storia.
Faccia che neanche Jean Gabin, basettoni che neanche il miglior Elvis, e la scoperta di un mondo inaspettato, fatto di moto, di persone, di occhi, di libertà e anche di anarchia. Di olio motore, viti spanate, moccoli e “governo ladro”: da lui ho imparato quello che so sulle Guzzi, e tanto di quello che so della vita.
E solo quando ho perpetrato l’alto tradimento di passare a una mangiariso, solo allora ho capito cosa stavo perdendo: perchè la moto in sé è solo un pezzo di ferro, sono le persone che la rendono viva. Vabbè, non teneva la strada, aveva un sacco di robe inutili che si potevano rompere, non ero capace di smontarla e rimontarla! E con che faccia mi potevo presentare agli amici… venduta, subito, qundo mi si pianta in strada con un ronzio persistente. Che ne sapevo io di diavolerie come la pompa della benzina e che senza benzina quella fa rumore e la moto si ferma….
Non sto a elencare le Guzzi che in seguito si sono succedute nel mio garage, i viaggi, le persone e i personaggi che ho potuto conoscere, ma il ricordo va alla casa al campo, che ho aiutato a tirare su, dove Silvano si barcamenava tra viti, olivi e Guzzi da restaurare. Ci andavo ogni volta che la moto aveva un problema, anche se realmente non avevo bisogno del di lui meccanico. Già da tempo mi aveva insegnato a smontare e rimontare, quando pescava viti e bulloni da una scatola da scarpe seduto su una sedia dell’asilo e alla fine, trionfante, mi diceva: “guarda Mazza, non è rimasta neanche una ranela!”.
Se n’è andato un novembre di cinque anni fa, accompagnato dal mio lemans che urlava fuori dalla camera ardente. Pioveva quel giorno, nessuno si è accorto degli occhi rigati dalle lacrime: “guarda, Silvano, non è rimasta nemmeno una ranela….”