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Come sono diventato Guzzista: Marco Costo

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COME SONO DIVENTATO GUZZISTA:

Flashback : immagini dai contorni sfuocati e dai colori sbiaditi di una distante e torrida estate dei primi anni 70. Un bambino Genovese che passa le vacanze estive in un paesino arroccato sulle pendici di una collina nell’entroterra di La Spezia. Un bar, come esistevano negli anni 70. Un bancone, tavoli, sedie e gli avventori, esclusivamente uomini a bere caffè, vino e grappa, le uniche consumazioni possibili.

Il bar come posto telefonico pubblico nel quale giace, riverito come un oracolo che predice il futuro e al cui raro squillo tutto il paese accorre, un telefono, segno del progresso che prima o poi arriverà anche lì. Realtà distante anni luce dalla quotidianità cittadina del bambino. Per lui e per gli altri bambini niente gelati nel bar del paese, non lo vendono.

Ma……tutti i giorni,pochi minuti prima delle 15, il bambino si affaccia alla grande finestra della sala, che domina dall’alto tutta la vallata in trepidante attesa. Annunziato dal magico suono di una trombetta che gli echi della valle portano fino a lui ecco sbucare dall’ultima curva nascosta, un buffo e colorato mezzo commerciale. Il bambino, dopo aver ottenuto le poche monete da 10 lire necessarie, parte all’impazzata correndo tra i vicoletti lastricati che dalla cima attraversano il paese fino alla strada . Come lui tutti gli altri bambini del paese volano per arrivare in tempo all’appuntamento con lui :
il gelataio.
L’ometto arriva a bordo di una grande motocicletta tutta rossa e lucida, con un cilindrone color ferro posto in orizzontale sotto il serbatoio.
Ma al posto della ruota anteriore, ecco un cubo di metallo giallo, appoggiato su due ruote laterali. Dai quattro vertici superiori del cubo partono quattro tubi, anch’essi gialli, che sorreggono un tendone a spicchi gialli e rossi. Sul manubrio una simpatica trombetta e nel cubo ghiaccio e gelati.
Arrivare primi alla strada è imperativo per poter assaporare il gelato all’ombra del tendone, prima che il gelataio riparta per portare il suo carico di delizie ai bambini del paese successivo.
Il bambino mentre lecca avidamente un gelato mai abbastanza grande osserva la bellissima aquila, che ad ali spiegate, si libra in volo sul serbatoio rosso dello strano mezzo a motore del gelataio……se avessi anch’io un aquila, pensa sempre, potrei scendere dal paese in volo e arriverei tutti i giorni primo. Flashback :immagini più nitide di vita cittadina dei primi anni 80. Il bambino è ormai un ragazzino e tutti i giorni, percorrendo le poche decine di metri che separano la scuola dalla fermata dell’autobus, vede seduto al tavolino di un bar un ragazzo grande, alto, biondo con i capelli a riccioli e gli occhi azzurri, sempre abbronzato. Al tavolo con lui sempre ragazze, che estasiate dalla sua bellezza e dalla sua loquacità sembrano soffrire atroci pene quando lui si alza e se ne va, insieme ad una di loro ogni giorno diversa, a bordo della sua fida moto, sempre parcheggiata a fianco al tavolino. Una moto custom, nuova, bella, bianca, lucida. Un grande manubrio a corna di bue, dietro due grandi valige bianche arrotondate (Nonfango Bags). Sotto le borse due tuboni cromati che luccicano quando piega per partire. E sul brillante serbatoio, una dorata aquila che spicca il volo verso il divertimento fiera di portare ogni giorno una ragazza diversa.
Il ragazzino non collega l’aquila sciupa femmine con l’aquila dispensatrice di prelibate delizie gelate della sua infanzia, ma pensa solo…….. se avessi anch’io un aquila, potrei volare con qualche ragazzina in riviera e……….

Flashback : maccaia, caldo, afa, estate, aria umida e immota che ti appiccica i vestiti addosso. Ci vuole un po’ di frescura. Il ragazzino, diventato ora un ragazzo ventenne inforca l’immancabile Vespa PX e insieme alla sua ragazza imbocca la strada che da Spotorno sale verso Le Manie, in cerca di un refolo d’aria che mitighi la calura afosa di una estate alla fine degli anni 80.
Quasi in cima esisteva un bar ristorante ricavato all’interno di una chiesa sconsacrata. Il ragazzo e la ragazza si fermano e ordinano da bere. Ad un tratto un sommesso borbottio alle sue spalle stuzzica la sua curiosità. Si volta e vede una moto. Attende che il centauro scenda e entri nel bar e con rispettosa attenzione si alza e inizia ad osservare la moto che lo ha incuriosito.
E’ ancora un custom, e al ragazzo torna in mente la moto bianca che da ragazzino sognava per portare a spasso le ragazze. La moto ha ancora il manubrio a corna di bue, anche se meno pronunciato di come se lo ricordava. Anche il serbatoio è diverso, più a goccia, più slanciato verso l’alto. Anche il colore, pur essendo sempre bianco è madreperlato e il serbatoio manda variopinti riflessi. Anche le borse sono bianche ma più aggraziate che prima ( Krauser) e gli specchietti sul manubrio non sono in metallo cromato come su tutte le moto, sono in plastica, rotondi, bianchi come la moto (Vitaloni).
Solo una cosa è uguale, l’impavida aquila che troneggia sul serbatoio. Come un novello Dante che rivede la sua Beatrice dopo nove anni capisce lì, in quel momento, che quella è il tipo di moto che vuole per cavalcare il vento con la sua bella.

Flashback : un piovoso pomeriggio di inverno. Immagini ingrigite dal plumbeo colore del cielo. Panorami laidi della periferia suburbana di una grande città. Una piccola valle alle spalle del più popoloso quartiere di Genova, una valle stretta, brutta, umida nella quale il vento si incanala fino al mare. Primi anni 90, il ragazzo ormai sposato raggiunge il padre nel loro antro segreto. Un posto sporco e maleodorante di olio, di nafta, di benzina, di solventi. Al soffitto pezzi delle più improbabili e ormai dimenticate auto e moto, alle pareti foto sbiadite di passati trascorsi rallystici che le insostituibili necessità della vita hanno invariabilmente relegato nel mondo dei sogni dopo poche e striminzite esperienze.
Indossa la tuta sporca di grasso che pende da un vecchio attaccapanni riciclato e inizia a lavorare sulla vecchia e indomita Vespa. Intanto parla con il padre. Un padre buono, un padre amico, un padre fratello. Uguali nel modo di pensare e nel modo di agire. Un padre Gilerista dei tempi andati in cui le motociclette si facevano con il ferro e le palle e non con la plastica e i computer.
Parla e dice che è finalmente ora di comprare una moto vera. Una moto solida, duratura, fedele. Non una delle solite moto che dopo 6 mesi diventano vecchie solo perché qualche progettista nipponico ha cambiato i colori del serbatoio.
Il vecchio padre, che ha già capito tutto, con la noncuranza che solo i vecchi saggi possono sfoggiare replica “ma lascia stare cosa ne fai di una moto grossa, tieniti la vespa che è più comoda e non ti bagni”.
L’indomani il padre, con lo stesso effetto provocato da un bicilindrico messo in moto di sorpresa in garage senza marmitte, esordisce nel discorso, questa volta con una malcelata nonchalance foriera di ricordi e commozione, “ sun passou pe caxio davanti au Stagi. U gha na Gussi piccinetta ma bentegnua, non me ricordu u numme…….u l’è cumme in peise in America…..so a se. Poriescimu anala a vedde” ( Sono passato per caso davanti a Stagi. E’ in vendita una Moto Guzzi, piccola ma ben tenuta, non mi ricordo il nome. E’ come uno stato americano, non so. Potremmo andare a vederla).
Da quel giorno fu Florida e poi nello sporco e disordinato garage passarono Nevada e poi California e domani forse passerà Bellagio, ma queste sono altre storie e ve le racconterò un’altra volta.