Assunto: Il Guzzismo è uno stato di affezione Psico-somatica ad inoculazione lenta, progressiva e con meccanismi di contagio per via empatica.
Figlio di motociclista, non di stretta osservanza Guzzista, ho foto mie sin dalla più tenera età, spalmato sul serbatoio delle varie moto possedute da mio padre.
Il primo ricordo cosciente è un fotogramma emotivo dove arrivo a scuola dietro ad un diabolico e scoppiettante Ducati Scrambler nero,
gonfio di orgoglio manco fossi il figlio di Arthur Fonzarelli.
Poi un breve ma intenso imprinting, una V7 Special, purtroppo durata pochissimo, rubata a mio padre dopo pochi mesi, e sempre rimpianta.
Lui poi non ha mai più voluto un’altra Guzzi, Lei non era sostituibile.
Trovò consolazione solo fra le algide e razionali braccia di una Bmw R 60/6.
ma intanto il virus in me era innestato.
Alcuni anni dopo alle medie, la sosta quotidiana ed ostinata a consumare con gli occhi un Le Mans III bianco parcheggiato sul percorso per tornare a casa,
di cui solo un paio di volte ero riuscito a sentire il tuono.
Poi l’adolescenza e la giovinezza, prime volte, amorazzi improbabili ed esperienze rubacchiate qua e la, confuse…
La Vespetta 50 e gli Enduro anni 80, Honda XL 125 (ah, ma ci vuole anche l’olio?) ed XL 600 PARIS-DAKAR, e poi di nuovo Vespetta per un decennio, economica ed indistruttibile,
se sei studente e squattrinato.
Ogni sabato peró, a cavallo del vespino, mentre faccio il mio giro per soddisfare l’altro nuovo demone che mi consuma, la musica ed i dischi,
la lunga sosta in venerazione delle vetrine di Michieli, storico concessionario Guzzi Milanese.
Ricordo mesi a sbavare su un Cali 1100 Carbs rosso/nero fiammante,
ancora oggi mio schema colori di riferimento.
Poi viene l’autunno del ’95, il Servizio Civile, a Morbegno. Dopo un paio di mesi arriva un ragazzo nuovo, una “spina”, ma lo fa con stile.
Arriva di domenica sera tardi, ed entra nel garage dell’albergo dove avevamo gli alloggi, a cavallo di un Le Mans 1 lievemente modificato, bardato come Joe Bar.
Il tuono sordo dei Lafranconi l’avevo sentito arrivare un quarto d’ora prima, sulla Provinciale, ma ora, nel garage con i soffitti a volta è qualcosa di sconvolgente,
rimescola emozioni dal fondo dello stomaco.
La settimana successiva sono già in giro come un folle,
a rivoltare ogni buco di officina della Valtellina,
sino a che, a Chiavenna da un Concessionario storico, trovo un V 35 Imola, bianco/nero e con telaio rosso, copia in 16° di quel Le Mans III.
I mesi seguenti sono febbrili, giornate interminabili in attesa che arrivino le 17, per poter saltare sull’Imoletta, aggrapparmi ai semi-manubri e schizzare all’esplorazione di ogni strada, su e giù per ogni valletta collaterale, ogni passo, fino al buio inoltrato.
In primavera coinvolgo anche i ragazzi dell’associazione disabili presso cui presto servizio, e lì porto a Mandello per una memorabile visita personalizzata alla Fabbrica ed al Museo Guzzi.
Finito il Servizio Civile, a settembre ’96 (quindi il 75° Guzzi), prendo un permesso ed esco prima dal lavoro (incosciente), per precipitarmi per la mia prima volta al Raduno a Mandello, incredibile, un paese invaso dalla passione e dalla follia,
da tutta Europa (ed oltre).
Salto in avanti di 10 anni,
Mandello domenica mattina, chiusura del raduno dell’85°, aria di smobilitazione pigra e colazione sulle panche della Piazza del Mercato, caffé e crostata dai GAL.
Mi sento chiamare, ed eccolo lì il Marchino, l’untore con il Le Mans 1 di Morbegno,
10 minuti dopo conosco mezzo “Moto Guzzi Mandello Club”, di cui suo fratello è lo storico Presidente, e mi faccio dare una dritta sul Cali più affidabile, direttamente da chi, figlio d’arte, le prova in Guzzi sui rulli a fine catena.
Da allora potrei raccontarne mille, Mandello, Beura, Morterone, la Clubhouse del MGCM, il Peppo ed il Biraus, Anima Guzzista, i Calincontri ed i Gari-Carver semi-organizzati, e gli incontri fortuiti e casuali.
Tutti episodi collegati però, da una passione che diventa strumento facilitatore per conoscere persone differenti e fantastiche,
momenti irripetibili, persone indimenticabili, anche quelli che non ci sono più.
Ed il mio California comprato usato nel 2007, che la mia mamma ha preteso di regalarmi perchè era appena andata in pensione,
e la prima volta che ce l’ho portata, per accompagnarla a Teatro.
Quello che il mio babbo, invecchiato, non ha voluto assolutamente provare,
felice però di farsi scorrazzare da me, su per le strade della sua giovinezza Camuna.
Quel Cali che in ogni avventura, come tutte le mie Guzzi, ho diviso con la Compagna della mia vita.
Come faccio a considerarla (solo) una moto?