di Maurizio Suppo
A mia madre.
Vroom vroom vromm, il piccolo Giovanni correva sempre ad affacciarsi alla finestra che dava sul grande cortile quando sentiva il vecchio signore che accendeva il suo Falcone. Giuseppe andava ormai per i settanta ma sembrava un ragazzino. Alto, con un fisico asciutto ma ancora incredibilmente atletico, tutte le domeniche mattine da quando era vedovo dopo la messa andava a casa, metteva il Guzzi bello fiammante in mezzo al cortile rivolto verso l’uscita e dopo un bel cicchetto al carburatore via un bel calcione deciso sulla pedivella, mai che lo tradisse una sola volta, partiva sempre e il suo borbottio lo salutava dicendogli che era pronto. Appena lo sentiva Giovanni correva e si sbracciava urlando un sonoro ciao. Giuseppe lo salutava con il suo solito sorriso, un sorriso alla voglia di vivere, gli ricordava tanto lui da piccolo, ai suoi tempi nemmeno si vedevano le moto, vere e proprie mosche bianche. Giovanni, quando i suoi genitori lo permettevano, correva giù per le scale e si fermava a pochi metri dalla stantuffante motocicletta e rimaneva lì incantato con la manine dietro la schiena a guardarla mordicchiandosi il labbro tutto preso dalle sue emozioni da bambino. Giuseppe allora lo prendeva in braccio e lo sedeva sulla sella, il piccolo tutto teso si aggrappava al manubrio e proprio come l’anziano signore gli aveva insegnato, dava dei piccoli colpetti al gas, per lui era importante perchè Giuseppe gli faceva scaldare la sua moto, poi dopo pochi minuti, eccolo di nuovo che ridente tornava di corsa su per le scale tutto felice. Ed eccolo pronto a partire, caschetto, occhialoni e una borsa di cuoio a tracolla, e via. Lasciava le vie di Vercelli per prendere la statale che collegava la città al Monferrato, su per le colline il mono borbottava vivace e prendeva con calma i giri. Giuseppe rimaneva incantato dai pendii coltivati a grano e a vite, e guardava quel paesaggio che conosceva a memoria, per anni aveva fatto su e giù per quelle strade con il suo Sport 15 prima della guerra. Arrivava sempre al solito punto panoramico dal quale si vedeva l’ìmmensa pianura tutta lì sotto ai suoi piedi e in quel momento si sentiva il re del mondo, pensando che nessuno poteva pretendere di più di quello. Il muretto lo aspettava sempre lì fermo e fedele, tirava fuori il suo bel pane e salame, anche il pranzo domenicale era servito, erano lontani i tempi delle tavolate piene di parenti, ora lui era solo, e così gli bastava. Finito il pranzo si ripeteva la procedura del cortile, fatto salvo per il piccolo Giovanni, ma il ritorno se lo faceva allegro, trotterellando di buon passo e mettendo a dura prova il suo fedele rapace. Rientrando nel cortile il motore calava di giri fino a smettere di borbottare, “Alla prossima” gli diceva accarezzandogli la sella e via a casa, ma era felice sebbene fosse sempre stato solo, era felice perchè sapeva che di lì a poco avrebbe sentito il festoso scampanellio di Giovanni, che correva a casa sua ogni domenica per sentire gli incredibili racconti di motori e viaggi che aveva fatto in giovinezza, di quella volta che in pieno inverno rimase senza benzina ad Alagna, di quella volta che lui e sua moglie Claretta andarono a trovare un vecchio cugino a Venezia facendo un viaggio di due giorni,di quelle “volte che…” avevano reso incredibili tanti viaggi agli occhi di un piccolo uomo di quattro anni, racconti che facevano assumere a Giuseppe agli occhi di Giovanni un alone eroico e magico, che gli facevano pensare che anche lui quando fosse stato grande avrebbe voluto fare tutte quelle avventure. Poi arrivò un inverno,freddo e pieno di neve, il vecchio Giuseppe un giorno prese il suo Falcone per fare il suo solito giro, Giovanni non scendeva più per le scale perchè la mamma non glielo permetteva per il freddo, tirava un’aria rigida, ma a lui non importava, calzoni di lana, doppio maglione e un bel montone rovesciato. Ma quella volta non bastò. Il giorno dopo gli prese una gran febbre, e si ammalò di polmoni. Rimase vivo per un pelo dopo quasi tre mesi di malattia, la sua medicina migliore fu il piccolo Giovanni che tutti i giorni gli portava la minestra calda fatta dalla sua mamma, e che gli dava la forza di non lasciarsi andare, viveva per lui, era il figlio, o meglio il nipote che non aveva mai avuto. Gli pianse il cuore quando fu costretto a vendere la sua moto, pianse di dolore perchè era un’amica per lui, una fedele compagna. Passarono gli anni e purtroppo Giuseppe se ne andò lasciando dietro di sè un gran vuoto nel “piccolo” bambino, ormai adolescente. Per Giovanni arrivò il primo motorino, un fiammante M50 della Garelli, poi con il suoi risparmi decise che era ora di comprare una moto. Le sue finanze non gli permettevano molto e quando vide da un meccanico un Falcone con un cartello vendesi, gli venne in mente Giuseppe, e la sua moto, il ricordo delle emozioni che provava quando sentiva le parole del motore e quelle del suo amico lo convinsero ad entrare a chiedere il prezzo. “E’ un pezzo vecchio e malandato, sei sicuro giovanotto?” gli disse il meccanico, “Sì, quanto?” – “Ma non posso chiederti più di centomila! Ha quindici anni!”. L’affare fu concluso, e Giovanni si portò la vecchia moto a casa con un po’ di apprensione dei suoi genitori. In effetti era un po’ malandata, e spelacchiata nella vernice ma il motore stantuffava come se lo ricordava lui e ciò gli bastava. Guardò il libretto e vide scritto in cima alla fila di proprietari il nome del primo :”Vercelli, 22 ottobre 1954. Generalità del proprietario: Giuseppe Mazzeri …” Rimase fulminato, non riusciva a crederci, era la moto del suo amico, e ora era sua, gli occhi gli diventarono lucidi dall’emozione, il vecchio meccanico non sapeva quale tersoro gli aveva ceduto a così poco prezzo. Dopo otto padroni che le avevano ormai fatto sputare l’anima, ora lui un, ventenne studente, aveva ritrovato una parte del suo migliore compagno d’infanzia di sempre e per nulla al mondo l’avrebbe ceduta. Era vecchia e malconcia ma non ai suoi occhi.Trent’anni dopo Giovanni la restaurò, ridonandole lo splendore che ricordava quando era bambino. Ad ogni giro Giovanni non manca di passare per il punto panoramico tanto caro al suo amico, e ogni volta il suo sguardo e quello del Falcone si perdono nell’immensità della pianura. Oggi nel vecchio Falco rivive la memoria di Giuseppe, e delle tante fantasie fatte dal piccolo Giovanni accoccolato sulla sua sella intento a dare dei colpetti di gas sognando le avventure del suo grande amico.