di alberto Sala
Partendo dall’inizio, e cioè dalla nascita quasi biologica della passione motociclistica, che definirei pubertà delle due ruote, giravano tra amici diverse moto, e le mie preferenze (solo teoriche, visto che non potevo a 16-18 anni permettermela) erano per le custom, soprattutto la Honda CB500 custom (quella col motore tipo Guzzi raffreddato ad acqua), la GoldWing 1100 non carenata, e le Harley, che avevo visto per la prima volta nel paese di mia nonna in Friuli vicino alla base militare di Aviano sin dalla più tenera età e mi affascinavano esageratamente. Ogni tanto facevo qualche giro con gli amici alternandomi alla guida: ricordo soprattutto due vacanze, una nelle Alpi bavaresi con un Ducati scrambler 450 (magnifico), ed una in Austria con un BMW K100RT (gran granturismo, ma fredda esteticamente e motore ‘elettrico’). Cominciavano a delinearsi i gusti anche per il motore: tra un monocilindrico tuttacoppia e un quadricilindrico elettrico, meglio un bel bicilindrico.
Poi, coi primi soldini dei primi lavori post maturità mi comprai una Vespa 200 Rally di seconda mano (che tuttora posseggo ed adoro; si chiama Giulia), che trattai come una vera moto (non potendo averne una vera), per cui ferie in Spagna, con tanto di tenda e fidanzata al seguito (che poi sarebbe divenuta moglie e fedele compagna in moto), Toscana, e due volte in costiera amalfitana. Si erano delineati i due punti fermi per le vacanze: moto (beh per ora Vespa) e tenda: in una parola libertà.
Giunti al matrimonio, e conquistata una relativa (ho detto relativa) indipendenza economica, decidemmo io e Gigi (non sono gay, è mia moglie, al secolo Rosella) ci guardammo attorno per comprarci di seconda mano una moto vera, in grado di aumentare il comfort, la sicurezza (soprattutto) e le distanze percorribili. Inizialmente ero orientato su un Yamaha Virago 1100, che mi sembrava molto carina; era una custom, e pensavo fosse comoda. Comunque doveva essere una custom bicilindrica (gli altri motori sono solo errori genetici).
Ma poi avvenne il fatto.
Stavamo percorrendo con la fida Giulia le interminabili sequele di curve e controcurve che ornano la costiera Amalfitana, quando mi sorpassa un tizio con una strana custom bianca, che si inclinava dolcemente e ritmicamente per le curve a velocità sostenuta ma con leggerezza, senza dare l’impressione di alcuna difficoltà né di peso. Ho riconosciuto subito la moto: era un California II bianco. …. folgorato.
Certo, … perché non ci ho pensato prima? Il California II era un vecchio modello ormai, ma che fascino, e per la miseria se piegava! Mi ci voleva una GUZZI.
Al ritorno a casa incominciammo l’affannosa ricerca per le riviste e in Secondamano, e dopo aver visto un Nevada 750 prima serie che chiedeva però troppi soldi e un primo California II bianco, prima promesso poi negato, ecco l’annuncio giusto; ecco la NOSTRA moto. California II nero, con borse originali, parabrezza originale, carenatura, autoradio (fin troppo) al giusto prezzo. Non vi dico la paura quando sono partito per portarla a casa! Erano tanti anni che non guidavo una vera moto, dopotutto! Paura svanita dopo 50 metri di guida: “non è pesante, ed è facile da condurre” sono stati i primi pensieri. E la domenica seguente, quando abbiamo fatto il primo ‘giretto’ ufficiale insieme (ovviamente sulle strade a lei più care e piene di ricordi, quelle della sponda lecchese del lago), non stavamo più nella pelle dalla felicità. Ancor oggi, dopo tanto asfalto divorato, il ricordo più bello è quello di quel primo giro. Quasi come l’altro ricordo classico di una prima volta nella vita (quasi, ragazzi, quasi) 😉 .
Il resto, fatto di viaggi lunghi e brevi, di tanti km e di tante soddisfazioni, fino addirittura all’acquisto di un Centauro (che e’ un vero lusso di moto), non hanno fatto che accrescere ulteriormente la passione, e mi (ci) hanno dato la certezza di aver fatto la scelta giusta.
In LIBERTÀ.